Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 532, del 4 febbraio 2014
Urbanistica.Spargimento di brecciame e attività edilizia libera

Può ritenersi rispondente all’attività edilizia libera, di cui all’art. 6 del d.P.R. n. 380/2001, la mera diffusione sul terreno di materiale ghiaioso leggero, inframmezzato alla vegetazione spontanea, facilmente asportabile e rispondente a dichiarate (nonchè plausibili) esigenze di drenaggio, in assenza di coltivazioni in corso.  (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 00532/2014REG.PROV.COLL.

N. 08841/2013 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.
sul ricorso numero di registro generale 8841 del 2013, proposto dal signor Vincenzo Matuozzo, rappresentato e difeso dall'avv. Antonio D'Angelo, con domicilio eletto presso l’avv. Leonardo Salvatori in Roma, via Sicilia n.50;

contro

Comune di Napoli, rappresentato e difeso dagli avvocati Fabio Maria Ferrari, Anna Pulcini e Bruno Crimaldi, con domicilio eletto presso lo studio legale Grez e associati in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;

per la riforma della sentenza del t.a.r. campania – napoli, sezione iv, n. 04328/2013, resa tra le parti, concernente demolizione di opere abusive e rimessa in pristino stato dei luoghi;



Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 14 gennaio 2014 il Cons. Gabriella De Michele e udito per la parte appellante l’avvocato D'Angelo;

Effettuata la comunicazione di cui all'art. 60 cod. proc. amm;

 

'FATTO e DIRITTO'

Con sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, sez. IV, n. 4328/13 del 18.9.2013 (che non risulta notificata), è stato respinto il ricorso proposto dal signor Vincenzo Matuozzo avverso la determinazione dirigenziale n. 407 del 17.10.2011, recante ordine di demolizione e rimessa in pristino per i seguenti interventi, effettuati su suolo agricolo: cambio di destinazione d’uso mediante stesura di brecciame, recinzione dell’area mediante barriera munita di cancello in ferro, posa in opera di un container di circa 20 metri quadrati poggiato su cubi, tettoia di circa 21 metri quadrati e altro fabbricato di circa 14 metri quadrati, con altezza di 2 metri e 40 centimetri. Nella citata sentenza venivano respinte censure riferite a vizi del verbale di sopralluogo (in realtà corrispondente al contenuto del successivo provvedimento sanzionatorio), nonché di omessa comunicazione di avvio del procedimento, dato lo svolgimento di detto sopralluogo alla presenza del diretto interessato e tenuto conto della natura vincolata dell’atto, con conseguente sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 21 octies della legge n. 241/1990.

Quanto alla DIA presentata per la recinzione dal dante causa del ricorrente, si tratterebbe di manufatto diverso da quello contestato, che, pur essendo a sua volta coperto da DIA, eccederebbe i limiti della stessa, trattandosi di recinzione in cemento armato, alta 2 metri e 60 centimetri, in base alle planimetrie allegate alla medesima DIA. Quanto al brecciame, il relativo spargimento contrasterebbe con gli interventi assentibili nell’area, classificata come zona E – sottozona Ea, nella quale non è consentito il deposito, anche temporaneo, di materiale di risulta, risultando ammesse solo attività di lavorazione e manutenzione sia ordinaria che straordinaria dei fondi agricoli: nel caso di specie, il brecciame collocato avrebbe caratteristiche tali, da configurare mutamento di destinazione d’uso del fondo, soggetto a permesso di costruire, non meno degli altri manufatti contestati. L’individuazione precisa dell’area da acquisire ed il preavviso di rigetto, infine, non inciderebbero sulla validità del provvedimento sanzionatorio, essendo la prima integrabile col successivo atto di acquisizione e risultando limitata la seconda ai provvedimenti conseguenti ad istanza di parte.

In sede di appello (n. 8841/13, notificato il 30.11.2013) venivano contestate in primo luogo le caratteristiche delle recinzioni, tutte eseguite in base a denunce di inizio attività, presentate nel 2006 e nel 2008 e consistenti in muri di confine e divisori, di altezza variante fra 0,75 mt. E 1,06 mt.

Il brecciame, a sua volta, sarebbe stato meramente sparso sul suolo, “senza alcuna alterazione dell’assetto idrogeologico, paesaggistico, naturalistico e geomorfologico dei contesti territoriali interessati”, mentre per i manufatti abusivi contestati la demolizione sarebbe stata prevista dallo stesso interessato, compatibilmente però all’avvenuto sequestro dell’area.

In tale contesto, l’appellante reiterava censure di violazione di legge ed eccesso di potere sotto vari profili, sostanzialmente prospettando le seguenti ragioni difensive:

- la comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio, per quanto riguarda le recinzioni, sarebbe stato doveroso in presenza delle denunce di inizio attività al riguardo presentate, con consolidato affidamento del privato circa la regolarità dell’intervento e illegittima emissione dell’atto sanzionatorio, non preceduto da annullamento in via di autotutela dell’autorizzazione tacita formatasi;

- i modesti muri di confine realizzati non sarebbero opere funzionalmente autonome, risultando le stesse finalizzate alla sola delimitazione della proprietà, di modo che l’intervento non sarebbe riferibile all’elencazione, contenuta nell’art. 10 del d.P.R. n. 380/2001;

- la demolizione dei manufatti abusivi sarebbe stata ostacolata solo dal sequestro dell’area e lo spargimento di breccia organica risulterebbe finalizzato ad arginare eventuali danni, provocati da inondazioni meteoriche, senza modifiche del preesistente stato orografico e senza influire sulla naturale permealizzazione del suolo.

Il Comune di Napoli, costituitosi in giudizio, eccepiva in via preliminare la parziale inammissibilità del ricorso, in quanto la necessità di annullamento dei titoli edilizi taciti, conseguenti alle DIA presentate, sarebbe censura proposta per la prima volta in appello. Quanto alla omessa comunicazione di avvio del procedimento, invece, sarebbe stata sufficiente la presenza dell’interessato al momento del sopralluogo effettuato dall’Amministrazione, con conseguente consapevolezza dell’avvio del procedimento sanzionatorio. Nessuna considerazione difensiva, inoltre, sarebbe stata prospettata con riferimento agli altri manufatti, “pure sanzionati e non rimossi”. Proverebbe troppo, infine, la definizione del brecciame come “breccia organica”, essendo “in natura i materiali inorganici…i minerali da cui si traggono tutti i tipi di pietre per ricavarne brecciame”.

Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene che l’appello sia parzialmente fondato, pur rilevandosi, in via preliminare, l’irrilevanza di censure di “error in judicando”, intese come censure di difetto di motivazione della sentenza appellata (in quanto tale ipotetico vizio deve ritenersi assorbito dall’effetto devolutivo dell’appello, che comporta integrale rivalutazione delle questioni controverse in tale sede riproposte, con modifica o integrazione della motivazione ove necessario: cfr. in tal senso Cons. St., sez. IV, Cons. St., sez. IV, 19.9.2012, n. 4974 e 20.12.2005, n. 7201; Cons. St., sez. V, 17.9.2012, n. 4915, 13.2.2009, n. 824 e 19.11.2009, n. 7259; Cons. St., sez. VI, 25.9.2009, n. 5797 e 24.2.2009, n. 1081; Cons. St., sez. III, 10.4.2012, n. 2057).

Nel merito non appare sostanzialmente contestata, in primo luogo, l’abusività ed il carattere di “nuove costruzioni” di due manufatti (tettoia e container), che per dimensioni e caratteristiche avrebbero richiesto – per il relativo inserimento in area inedificata – permesso di costruire, con specificazione di una destinazione d’uso, compatibile con la destinazione agricola dell’area stessa. La demolizione di detti manufatti (per i quali non risulta presentata istanza di sanatoria) appare tuttavia subordinata al dissequestro del terreno interessato, su motivata richiesta del soggetto obbligato, che detta richiesta ha in effetti preannunciato in sede di appello (con relativa ormai avvenuta presentazione, attestata dal difensore dello stesso in data odierna). In tale contesto, comunque, la mancata esecuzione nei termini dell’ordinanza non può essere imputata all’attuale appellante, con conseguente inidoneità del provvedimento sanzionatorio a produrre automaticamente gli effetti acquisitivi, di cui all’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001.

A diverse conclusioni si deve pervenire, poi, per quanto riguarda la recinzione e lo spargimento di brecciame.

Con riferimento alla recinzione, l’appellante ribadisce che l’intervento sarebbe stato preceduto, nel 2006 e nel 2008, da due denunce di inizio attività, in presenza delle quali le installazioni di cui trattasi non avrebbero potuto ritenersi abusive, con conseguente necessità che l’Amministrazione procedesse – prima di emettere eventuali provvedimenti repressivi – a rimuovere il titolo abilitativo, tacitamente formatosi, in via di autotutela. L’Amministrazione eccepisce, al riguardo, l’inammissibilità di “ius novorum” in appello. Detta eccezione è solo parzialmente condivisibile, in quanto la cesura di omessa comunicazione di avvio del procedimento, già prospettata in primo grado di giudizio (con entrambe le denunce di inizio attività depositate in atti), traeva solo da queste ultime ragione di fondatezza, risultando detta comunicazione non dovuta in presenza dei presupposti per l’emanazione di atti sanzionatori vincolati e dovuta, invece, per l’avvio di procedimenti in via di autotutela

In materia di denuncia di inizio attività (DIA), come disciplinata dall’art. 22 del d.P.R.6.6.2001, n. 380, in effetti, sussistono tuttora diversi indirizzi giurisprudenziali, circa la natura giuridica dell’istituto e degli effetti del decorso del termine, che consente al dichiarante di effettuare gli interventi edilizi oggetto di denuncia. In alcune pronunce, in particolare, si ravvisa in esito alla procedura in questione la formazione di un provvedimento tacito, abilitativo dell’intervento (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. St., sez. VI, 5.4.2007, n. 1550; Cons. St., sez. IV, 12.3.2009, n. 1474 e 25.11.2008, n. 5811; Cons. St., sez. II, 28.5.2010, parere n. 1990); in altre decisioni si identifica la DIA come atto privato di autocertificazione, che pur non costituendo espressione di potestà pubblicistica resta oggetto di poteri di controllo ed inibitori, anche dopo la scadenza del predetto termine, sempre comunque nel rispetto degli articoli quinquies e nonies della legge n. 241/1990 (cfr. in tal senso Cons. St., sez. VI, 9.2.2009, n. 717 e 14.11.2012, n. 5751). E’ riconosciuto dalla giurisprudenza, in ogni caso, l’affidamento del privato, cui sono finalizzati i principi garantistici dell’autotutela, in termini di comunicazione di avvio del procedimento e di motivata enunciazione di eventuali presupposti di inapplicabilità della DIA, anche a prescindere da un vero e proprio annullamento dell’assenso tacito, che si ritenesse in precedenza formato (purchè in presenza di corretti requisiti formali dell’istanza: corrispondenza alle opere eseguite ed esibizione di altri atti di assenso eventualmente necessari, a norma dell’art. 23, comma 5, del d.P.R. n. 380/2001).

Nella situazione in esame, non risultando la sussistenza di vincoli, né comunque l’esigenza di altri preventivi pareri per la presentazione di denuncia di inizio attività, il Collegio ritiene che le caratteristiche delle opere – che appaiono peraltro di consistenza inferiore a quella segnalata nella sentenza in esame – non consentissero di considerare le denunce di inizio attività presentate “tamquam non essent”, con conseguente esigenza di previa comunicazione di avvio del procedimento di autotutela, finalizzato alla rimozione degli effetti autorizzativi, conseguenti al decorso del termine prescritto. Ove infatti ricorrano i principi dell’autotutela il provvedimento sanzionatorio – di norma vincolato – assume connotati discrezionali, connessi all’esigenza di bilanciamento fra gli interessi pubblici e privati coinvolti, nei termini oggi specificati nell’art. 21 nonies della legge n. 241/1990. Un affidamento consolidato, in esito a DIA non resa oggetto di tempestiva contestazione, in altre parole, rende la comunicazione di avvio di cui trattasi non mero adempimento formale, ma atto prodromico dell’autotutela, da esercitare comunque con provvedimento motivato e non con mera applicazione della misura sanzionatoria. Non si vede, pertanto, come detto fondamentale adempimento potesse considerarsi sostituito dalla mera presenza del diretto interessato al sopralluogo, non certo effettuato dall’organo competente a deliberare nei termini sopra specificati. Non possono non rilevare, inoltre, le caratteristiche della recinzione di cui trattasi, oggettivamente diverse – come comprovato tramite perizia di parte e documentazione fotografica – da quelle che nella sentenza appellata avevano fatto dichiarare necessario il permesso di costruire: al posto della “recinzione in cemento armato alta 2 metri e 60 centimetri” è rilevabile, infatti, solo un muretto di altezza variabile fra metri 1,06 a metri 0,83, con sovrastante cancellata di non lieve consistenza, ma comunque distinta dall’opera muraria (con evidente possibilità che l’intervento, effettuato in base a titoli abilitativi taciti diversi, fosse ritenuto in tutto o almeno in parte – in termini da precisare in un provvedimento motivato – assoggettabile a DIA, sufficiente per delimitazioni dei confini non effettuate con opere di consistente entità, come confermato dalla giurisprudenza citata nella stessa sentenza appellata).

Quanto allo spargimento di brecciame, infine, le caratteristiche finali del terreno – a loro volta comprovate da perizia e documentazione fotografica – appaiono lungi dal configurarne l’integrale pavimentazione (implicante mutamento della destinazione agricola dell’area e soggetta a permesso di costruire), così come non appaiono sussistenti cumuli di materiale, qualificabili come deposito. Può d’altra parte ritenersi rispondente all’attività edilizia libera, di cui all’art. 6 del d.P.R. n. 380/2001, la mera diffusione sul terreno di materiale ghiaioso leggero, inframmezzato alla vegetazione spontanea, facilmente asportabile e rispondente a dichiarate (nonchè plausibili) esigenze di drenaggio, in assenza di coltivazioni in corso.

Il Collegio ritiene pertanto, conclusivamente, che l’appello in esame possa essere accolto solo nei limiti in precedenza specificati; quanto alle spese giudiziali, infine, il Collegio stesso ne ritiene equa la compensazione, tenuto conto del solo parziale annullamento del provvedimento sanzionatorio impugnato.

P. Q. M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie in parte il ricorso in appello indicato in epigrafe, nei termini specificati in motivazione e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, annulla in parte qua la determinazione dirigenziale n. 407 del 17.10.2011; compensa le spese giudiziali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 gennaio 2014 con l'intervento dei magistrati:

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P.Q.M.

Stefano Baccarini, Presidente

Maurizio Meschino, Consigliere

Gabriella De Michele, Consigliere, Estensore

Roberta Vigotti, Consigliere

Carlo Mosca, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 04/02/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)