Cass. Sez. III n. 40451 del 12 settembre 2018 (Ud 31 mag 2018)
Pres. Lapalorcia Est. Mengoni Ric. Macrì
Urbanistica.Reati edilizi e messa alla prova

La praticabilità della sospensione con messa alla prova nei reati edilizi, formalmente ricompresi nella cornice edittale che consente l'applicazione dell'istituto, passa obbligatoriamente per l'eliminazione delle conseguenze dannose dei reati in questione, ossia per la preventiva e spontanea demolizione dell'abuso edilizio ovvero per la sua riconduzione alla legalità urbanistica ove ricorrano i presupposti per la cd. sanatoria di (doppia) conformità.



RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 25/10/2017, il Tribunale di Palmi dichiarava non doversi procedere nei confronti di Domenico Macrì in ordine al reato di cui agli artt. 81 cpv. cod. pen., 44, comma 1, lett. c), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, 181, d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, perché estinto per positivo esito della prova, ai sensi dell’art. 464-septies cod. proc. pen.
2. Propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palmi, deducendo – con unico motivo – l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale. Il Tribunale non avrebbe ordinato la demolizione delle opere abusive contestate al Macrì, sebbene imposta dal’art. 168-ter, comma 2, cod. pen.; a mente del quale, infatti, l’estinzione del reato per esito positivo della prova non pregiudica l’applicazione delle sanzioni amministrative accessorie, ove previste dalla legge. L’ordine di demolizione, pertanto, costituirebbe un atto dovuto per il giudice, espressione di un potere autonomo e non meramente suppletivo, sì che dovrebbe esser emanato anche nel caso di estinzione del reato ex art. 464-septies cod. proc. pen.
Si chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso risulta manifestamente infondato.
Questa Corte, pronunciandosi su identica questione, ha già affermato che l'ordine di demolizione dell'opera edilizia abusiva, previsto dall'art. 31, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001, presuppone la pronuncia di una sentenza di condanna, alla quale non può essere equiparata la declaratoria di estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova, ai sensi dell'art. 168-ter cod. pen., che prescinde da un accertamento di penale responsabilità, ferma restando la competenza dell'autorità amministrativa ad irrogare la predetta sanzione (Sez. 3, n. 39455 del 10/5/2017, La Barbera, Rv. 271642). In motivazione, in particolare, si è affermato che il comma secondo dell'art. 168-ter cod. pen. prevede espressamente che l'estinzione del reato per l'esito positivo della messa alla prova non pregiudica l'applicazione delle sanzioni amministrative accessorie, ove previste dalla legge. Si tratta di una previsione necessaria, in quanto il nuovo istituto della messa alla prova - che può essere catalogato, a pieno titolo, nella cause di estinzione del reato (come si ricava inequivocabilmente proprio dal tenore del comma citato, laddove la norma si riferisce agli effetti dell'esito positivo della prova) - si caratterizza, tuttavia, dalle altre cause di estinzione del reato per il suo carattere di strumento di composizione preventiva e pregiudiziale del conflitto penale, insorto con la formulazione dell'accusa verso l'imputato o con l'inizio dell'indagine da parte del pubblico ministero.
4. Il ricorrente sostiene che la disposizione sarebbe stata violata dal giudice di merito, nella misura in cui, registrato l'esito positivo della messa alla prova in relazione ai reati contestati al Macrì, tra cui anche la contravvenzione di cui all'art. 44 lett. c) del d.P.R. n. 380 del 2001, ne ha dichiarato l'estinzione omettendo di emanare l'ordine di demolizione del manufatto abusivo di cui all'art. 31 dello stesso d.P.R.
Orbene, la tesi non appare condivisibile.
5. Come noto, l'ordine di demolizione (già previsto dall'art. 7, ultimo comma, I. n. 47 del 1985) costituisce l'esplicitazione di un potere sanzionatorio non residuale o sostitutivo, ma autonomo rispetto a quello dell'autorità amministrativa, attribuito dalla legge al giudice penale (per tutte, Sez. U, n. 15 del 19/6/1996, Monterisi, Rv. 205336, a mente della quale l'ordine di demolizione adottato dal giudice ai sensi dell'art. 7 legge 28 febbraio 1985, n. 47, al pari delle altre statuizioni contenute nella sentenza definitiva, è soggetto all'esecuzione nelle forme previste da codice di procedura penale, avendo natura di provvedimento giurisdizionale, ancorché applicativo di sanzione amministrativa). Trattasi di una sanzione amministrativa di tipo ablatorio (non di una pena, principale o accessoria, nel senso individuato dalla giurisprudenza CEDU: cfr. da ultimo, Sez. 3, n. 41475 del 03/05/2016, Porcu, Rv. 267977; né di una misura di sicurezza patrimoniale), caratterizzata dalla natura giurisdizionale dell'organo istituzionale al quale ne è attribuita l'applicazione, la cui catalogazione fra i provvedimenti giurisdizionali trova ragione giuridica proprio nella sua accessività alla "sentenza di condanna" (vedi Cass., Sez. U., Monterisi, cit.).
6. Da quanto precede, e dalla lettera del citato art. 31, discende allora che tale ordine richiede comunque la pronuncia di una sentenza di condanna (o ad essa equiparata, come la sentenza di applicazione di pena concordata), non risultando a ciò sufficiente l'avvenuto accertamento della commissione dell'abuso, come nel caso di sentenza di estinzione per prescrizione (da ultimo, Sez. 3, n. 50441 del 27/10/2015, Franchi, Rv. 265616; tra le altre, Sez. 3, n. 756 del 2/12/2010, Sicignano, Rv. 249154; Sez 3, n. 8409 del 28/2/2007, Muggianu, non massimata; Sez. 3, n. 10/2/2006, Cirillo, Rv. 233673).
7. In conseguenza di quanto esposto, e contrariamente a quanto argomentato dal Procuratore ricorrente, l'ordine di demolizione del manufatto abusivo, pur avendo natura di sanzione amministrativa, non può essere applicato in conseguenza della declaratoria di estinzione per esito positivo del procedimento di sospensione con messa alla prova, pronuncia che - per i motivi sopra esposti riguardo al carattere del nuovo istituto di strumento di composizione preventiva e pregiudiziale del conflitto penale, che non sembra prevedere un preventivo accertamento di penale responsabilità - ben difficilmente può essere equiparata alla "sentenza di condanna" richiesta come presupposto dall'art. 31 del T.U.E. (argomenti, sul punto, si traggono da Sez. 2, n. 53648 del 05/10/2016, M., Rv. 268635, secondo cui "la sentenza di proscioglimento per esito positivo della messa alla prova, di cui all'art. 464-septies cod. proc. pen., non è idonea ad esprimere un compiuto accertamento sul merito dell'accusa e sulla responsabilità, sicché essa non può essere posta alla base di un contrasto di giudicati tra coimputati per il medesimo reato che abbiano diversamente definito la loro posizione processuale"; si veda anche Sez. 3, n. 14750 del 20/01/2016, Genocchi, Rv. 266387, secondo cui "L'ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova, di cui all'art. 464-quater cod. proc. pen., non determina l'incompatibilità del giudice nel giudizio che prosegua con le forme ordinarie nei confronti di eventuali coimputati, trattandosi di decisione adottata nella medesima fase processuale che non implica una valutazione sul merito dell'accusa ma esclusivamente una delibazione sull'inesistenza di cause di proscioglimento immediato ai sensi dell'art. 129 cod. proc. pen. nonché una verifica dell'idoneità del programma di trattamento e una prognosi favorevole di non recidiva").
Ciò non comporta, evidentemente, che l'ordine di demolizione, in quanto tale, rimanga irrimediabilmente precluso dall'intervenuta estinzione del reato, perché anzi, proprio in forza dell'espressa previsione dell'art. 138-ter cod. pen., esso potrà e dovrà essere irrogato, ricorrendone i presupposti di legge, dalla autorità amministrativa preposta; significando solo che non ricorrono le condizioni di legge per la concorrente impartizione da parte del giudice penale, in ragione del particolare esito processuale che non consente l'integrazione del presupposto processuale (sentenza di condanna) previsto dall'art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001.
8. Chiarito tale profilo - e rigettato dunque il motivo di ricorso del Procuratore su di esso concentrato – appare opportuno a questa Corte a soffermarsi ancora sul tema del rapporto tra reati edilizi e messa alla prova. Va premesso che è da escludere, a dispetto dell'incompiutezza della disposizione normativa (art. 168-bis, cod. pen.) che, in presenza dei reati inclusi nella forbice edittale prevista, l'imputato possa esercitare un diritto alla messa alla prova, restando al giudice il solo sindacato di verifica della ricorrenza dei presupposti formali: al contrario, la concessione del beneficio della sospensione del procedimento con messa alla prova, ai sensi della norma citata, è rimessa al potere discrezionale del giudice e postula un giudizio volto a formulare una prognosi positiva riguardo all'efficacia riabilitativa e dissuasiva del programma di trattamento proposto ed alla gravità delle ricadute negative sullo stesso imputato in caso di esito negativo (Sez. 4, n. 9581 del 26/11/2015, dep. 08/03/2016, Quiroz, Rv. 266299); la pretesa funzione deflattiva non costituisce, infatti, lo scopo della probation, la quale, senza incidere sul rilievo penale del fatto e senza troncare il processo, al fine di favorire il recupero alternativo dell'autore del reato, avvia un sub-procedimento, che seguendo da presso l'esperimento della prova, nel caso auspicabile di buon esito, si conclude con la declaratoria di estinzione del reato. Escluso dunque ogni automatismo, va ancora considerato che secondo la testuale previsione dell'art. 168-bis cod. pen. la messa alla prova comporta la prestazione di condotte volte alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato; l'istituto prevede altresì l'affidamento dell'imputato al servizio sociale, per lo svolgimento di un programma che può implicare, tra l'altro, attività di volontariato di rilievo sociale, ovvero l'osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali. La lettura della disposizione evidenzia chiaramente - come dimostra la posizione attribuita nel comma e il successivo uso del termine "altresì" - che il legislatore ha inteso assegnare rilievo prioritario, e pregiudiziale rispetto all'affidamento dell'imputato al servizio sociale, alla "eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato": deve essere allora chiaro che la mera eventuale prestazione delle attività in senso al servizio sociale non esplica alcuna efficacia, ai fini del positivo superamento della messa alla prova, in assenza di condotte teleologicamente volte, e concretamente ed univocamente idonee, alla eliminazione del danno o del pericolo derivante dal reato.
9. Da quanto premesso deriva – con riguardo alla materia che occupa - che la praticabilità della sospensione con messa alla prova nei reati edilizi, formalmente ricompresi nella cornice edittale che consente l'applicazione dell'istituto, passa obbligatoriamente per l'eliminazione delle conseguenze dannose dei reati in questione, ossia per la preventiva e spontanea demolizione dell'abuso edilizio ovvero per la sua riconduzione alla legalità urbanistica ove ricorrano i presupposti per la cd. sanatoria di (doppia) conformità.
10. Tali condotte - come già indicato – sono pregiudiziali (in senso logico, ma non necessariamente cronologico) rispetto all'affidamento dell'imputato in prova al servizio sociale e alla verifica del suo positivo esito, ed impongono pertanto al giudice di operare un corretto controllo, anche mediante le opportune e necessarie verifiche istruttorie, sul puntuale e integrale raggiungimento dell'obiettivo della eliminazione delle conseguenze del reato edilizio, non potendosi ammettere — come pare essere avvenuto nella fattispecie in esame, senza però che tale profilo, in difetto di impugnazione sul punto, possa essere oggetto di censura da parte di questa Corte - che venga dichiarata l'estinzione del reato, per compiuto e positivo esito, in presenza di un abuso non completamente demolito o non integralmente sanato (ricorrendone le condizioni) sul piano urbanistico.
11. Ne consegue che, nella materia edilizia, la corretta applicazione, da parte del giudice, della sospensione del processo con messa alla prova passa, doverosamente, per la preventiva verifica della avvenuta effettuazione, da parte dell'imputato, di condotte atte a ripristinare l'assetto urbanistico violato con l'abuso, o mediante la sua piena e integrale demolizione ovvero mediante la sua riconduzione, ove possibile, alla legalità attraverso il rilascio di un legittimo (e dunque non condizionabile all'esecuzione di futuri interventi) titolo abilitativo in sanatoria; di modo che tale verifica rende, almeno nella normalità dei casi, implicitamente superata la problematica - erroneo bersaglio dell'odierna impugnazione - del potere/dovere del giudice di ordinare la demolizione anche a seguito di sentenza ex art. 168-ter cod. pen., nella misura in cui, secondo il descritto fisiologico decorso delle cadenze procedimentali, tale ordine giudiziale non dovrebbe infatti avere più ragion d'essere una volta accertata l'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, il 31 maggio 2018