Cass. Sez. III n. 8540 del 22 febbraio 2018 (Ud 18 ott 2017)
Presidente: Di Nicola Estensore: Liberati Imputato: Petracca
Urbanistica.Sanatoria mediante asservimento di una maggiore superficie alla costruzione già realizzata attraverso l’accorpamento di terreni adiacenti

La conformità agli strumenti urbanistici, determinante il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, ottenuta successivamente alla realizzazione delle opere, mediante l’asservimento della volumetria espressa da un fondo limitrofo al terreno su cui erano state edificate le opere in assenza di permesso di costruire e in totale difformità da quello precedentemente ottenuto, con il conseguente aumento dell’area disponibile  e il raggiungimento dei limiti di superficie necessari per la lecita realizzazione delle opere esclude la configurabilità del necessario requisito della doppia conformità richiesto affinché il permesso di costruire in sanatoria determini l’effetto estintivo del reato di cui all’art. 45, ultimo comma, del d.P.R. n. 380 del 2011, giacché tale requisito deve essere escluso non soltanto quando la conformità delle opere consegua a una modifica della disciplina di riferimento o degli strumenti urbanistici che regolano l’assetto del territorio, ma anche quando essa derivi da una modifica della sola situazione di fatto, come nel caso dell’asservimento di una maggiore superficie alla costruzione già realizzata, attraverso l’accorpamento di terreni adiacenti.


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 24 giugno 2016 la Corte d’appello di Lecce ha confermato la sentenza del 10 giugno 2014 del Tribunale di Lecce, con cui Oronza Giovanna Petracca era stata condannata alla pena, condizionalmente sospesa subordinatamente alla riduzione in pristino dello stato dei luoghi, di mesi due di arresto ed euro 12.000,00 di ammenda, in relazione al reato di cui all’art. 44, lett. b), d.P.R. 380/2001 (per avere realizzato, in assenza del permesso di costruire, una piscina interrata di forma rettangolare, delle dimensioni di metri 7,70 x 13,35, profonda circa metri 2,30, un vano interrato delle dimensioni di metri 2,00 x 2,00 x 2,70, due docce in muratura e un bagno retrostante, delle dimensioni di metri 1,70 x 1,20; nonché, in totale difformità dal permesso di costruire n. 18 del 19/8/2003, una scala scoperta in posizione e di dimensioni diverse rispetto a quelle autorizzate, una maggiore profondità del porticato, un ampliamento dell’immobile e la modifica della sua partizione interna).
La Corte territoriale, nel disattendere l’impugnazione della imputata, ha evidenziato, in accordo con il primo giudice, l’inefficacia del permesso di costruire in sanatoria rilasciato alla Petracca, a causa del mancanza del requisito della doppia conformità richiesto dall’art. 36 d.P.R. 380/2001, sottolineando come la appellante non aveva diritto di realizzare le opere così come accertate al momento del sopralluogo, sia perché esprimenti una volumetria maggiore di quella assentita, sia perché tale volumetria era comunque maggiore di quella assentibile in rapporto alla estensione della proprietà al momento del rilascio del permesso di costruire. E’ stata, inoltre, esclusa la natura pertinenziale della piscina e dei manufatti a servizio della stessa, in considerazione delle dimensioni non trascurabili e delle caratteristiche della stessa, con la conseguente disapplicazione del permesso di costruire in sanatoria rilasciato alla Petracca.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Petracca, affidato a tre motivi.
2.1. Con un primo motivo ha denunciato violazione degli artt. 36 e 44, lett. b), d.P.R. 380/2001 e vizio della motivazione, ribadendo che, a seguito della proposizione di ricorso amministrativo e dell’accoglimento della propria richiesta di sospensione dell’esecuzione dell’ordine di demolizione, gli organi tecnici del Comune di Nociglia avevano rilasciato, il 1 agosto 2014, permesso di costruire in sanatoria; ha quindi lamentato l’indebita e immotivata esclusione da parte dei giudici di merito della ricorrenza del requisito della doppia conformità.
Al riguardo ha sottolineato che l’asservimento, successivo al rilascio del permesso di costruire e alla realizzazione delle opere, della volumetria relativa a un fondo adiacente a quello sul quale le stesse erano state edificate, posta dalla Corte d’appello a fondamento della esclusione del suddetto requisito della doppia conformità, non escludeva, ad avviso dei giudici amministrativi, tale requisito,in quanto la conformità delle opere derivava non da una modifica della normativa di riferimento, ma da una regolarizzazione dell’abuso da parte del proprietario attraverso la modifica della sola situazione di fatto, derivante dall’acquisto e dall’asservimento di una maggiore superficie alla costruzione realizzata, mediante l’accorpamento di terreni collocati nelle vicinanze.
Il reato avrebbe, quindi, dovuto essere dichiarato estinto per l’intervenuto rilascio di concessione in sanatoria, erroneamente disapplicata dalla Corte d’appello.
2.2. Con un secondo motivo ha prospettato violazione degli artt. 31 e 44 d.P.R. 380/2001 e ulteriore vizio della motivazione, riguardo alla errata esclusione della pertinenzialità della piscina, essendo la stessa posta a servizio del fabbricato principale e in rapporto adeguato e non esorbitante rispetto alle esigenze di un uso normale da parte del soggetto residente nell’edificio principale, con la conseguenza che non richiedeva per la sua realizzazione il permesso di costruire ma solamente una denunzia di inizio attività (D.I.A.) o una segnalazione certificata di inizio attività (S.C.I.A.), trattandosi di opera priva di destinazione autonoma e non in contrasto con gli strumenti urbanistici.
Ha inoltre lamentato la mancanza di motivazione riguardo alla rilevanza dei modesti aumenti volumetrici del fabbricato principale, dovuti ad errori esecutivi e non incidenti sulla sua conformazione e sulle sue caratteristiche, e anche riguardo alla diversa distribuzione degli spazi interni, trattandosi di attività edilizia libera, e alla sanatoria della scala, non determinante aumenti volumetrici e per la quale, quindi, dovevano reputarsi sussistenti i presupposti per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, che quindi arbitrariamente era stato disapplicato dalla Corte d’appello, o, comunque, ritenuto non idoneo, per mancanza dei presupposti, a determinare l’estinzione del reato.
2.3. Con un terzo motivo ha lamentato violazione dell’art. 165 cod. pen. e vizio della motivazione, per l’indebita subordinazione della sospensione della pena alla rimessione in pristino dei luoghi, che non era stata giustificata dalla Corte d’appello, che aveva anche omesso di tenere conto della sopravventa sanatoria.
2.4. Con memoria del 3 ottobre 2017 la ricorrente ha depositato memoria, alla quale ha allegato la sentenza del TAR della Puglia del 2 ottobre 2017, evidenziando che il Comune di Nociglia, a seguito della sospensione dell’ordine di demolizione, aveva riesaminato la posizione della Petracca, rilasciandole permesso di costruire in sanatoria relativo a tutte le opere abusive dalla stessa realizzate, tanto che il giudice amministrativo aveva dichiarato la sopravvenuta carenza di interesse a coltivare detto ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato solamente in relazione al terzo motivo.

2. Il primo motivo, mediante il quale sono stati denunciati violazione degli artt. 36 e 44, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001 e vizio della motivazione, per l’errata considerazione della portata del permesso di costruire in sanatoria ottenuto dalla ricorrente, di cui sarebbe stato indebitamente escluso l’effetto estintivo del reato ascrittole, non è fondato.
Va al riguardo ricordato che costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui la sanatoria degli abusi edilizi idonea, ai sensi dell’art. 45 d.P.R. n. 380 del 2001, ad estinguere il reato di cui all'art. 44 del d.P.R. cit., non ammettendo termini o condizioni, deve riguardare l'intervento edilizio nel suo complesso e può essere conseguita solo qualora ricorrano tutte le condizioni espressamente indicate dall'art. 36 d.P.R. cit. e, precisamente, la doppia conformità delle opere alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della realizzazione del manufatto, che al momento della presentazione della domanda di sanatoria, dovendo escludersi la possibilità di una legittimazione postuma di opere originariamente abusive che, solo successivamente, in applicazione della cosiddetta sanatoria "giurisprudenziale" o "impropria", siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica (Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, Chisci, Rv. 260973; conf. Sez. 3, n. 51013 del 05/11/2015, Carratù Rv. 266034; Sez. 3, n. 24451 del 26/04/2007, Micolucci, Rv. 236912).
Deve, dunque, escludersi la possibilità di una legittimazione postuma di opere originariamente abusive che, successivamente, siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica (Sez. 3, n. 7405 del 15/01/2015, Bonarota, Rv. 262422, resa in ipotesi di illegittimo rilascio di un permesso di costruire in sanatoria rilasciato per intervento eseguito su particella catastale alla quale, successivamente all'abuso, era stata asservita altra particella al fine di superare il limite di cubatura stabilito dalle previsioni urbanistiche).
Tale considerazione discende dal rilievo che la sanatoria prevista dall'art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, già disciplinata dall'art. 13 della l. n. 47 del 1985, è diretta a sanare le opere solo formalmente abusive, in quanto eseguite senza il previo rilascio del titolo, ma conformi nella sostanza alla disciplina urbanistica applicabile per l'area su cui sorgono, vigente sia al momento della loro realizzazione sia in quello presentazione dell'istanza di conformità (cfr. Tar Campania, Sez. VIII, Sentenza 5 dicembre 2016 n. 5611).
 Nel caso in esame la conformità agli strumenti urbanistici, che ha determinato il rilascio del permesso di costruire, è stata ottenuta successivamente alla realizzazione delle opere, mediante l’asservimento della volumetria espressa da un fondo limitrofo al terreno su cui erano state edificate le opere in assenza di permesso di costruire e in totale difformità da quello ottenuto nel 2003, con il conseguente aumento dell’area disponibile (da 10.040,00 metri quadrati a 18.220,00 metri quadrati) e il raggiungimento dei limiti di superficie necessari per la lecita realizzazione delle opere.
Ciò, tuttavia, esclude la configurabilità del necessario requisito della doppia conformità richiesto affinché il permesso di costruire in sanatoria determini l’effetto estintivo del reato di cui all’art. 45, ultimo comma, del d.P.R. n. 380 del 2011, giacché tale requisito deve essere escluso non soltanto quando la conformità delle opere consegua a una modifica della disciplina di riferimento o degli strumenti urbanistici che regolano l’assetto del territorio, ma anche quando essa derivi da una modifica della sola situazione di fatto, come nel caso dell’asservimento di una maggiore superficie alla costruzione già realizzata, attraverso l’accorpamento di terreni adiacenti.
Il riferimento dell’art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001 alla conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della realizzazione dell’opera non può che essere inteso con riferimento alla situazione di fatto di tale epoca, sulla base della quale dovrà, dunque, necessariamente, essere verificata detta conformità, posto che tale indagine non può non tenere conto dello stato di fatto esistente al momento della realizzazione delle opere, sulla base del quale dovrà, quindi, esserne verificata la conformità agli strumenti urbanistici dell’epoca, nonché a quelli vigenti al momento del rilascio del permesso di costruire in sanatoria.
Il solo asservimento di maggiori superfici a quelle originariamente disponibili non consente, pertanto, di ritenere che le opere fossero assentibili anche al momento della loro realizzazione in assenza di permesso di costruire o in totale difformità da quello ottenuto, posto che la situazione di fatto esistente in tale momento non lo consentiva e che la sola modifica successiva di tale situazione non consente di ritenere che anche in precedenza dette opere fossero conformi agli strumenti urbanistici vigenti.
Correttamente, dunque, la Corte d’appello ha escluso l’invocata portata estintiva del reato ascritto alla ricorrente del permesso di costruire in sanatoria dalla stessa ottenuto, non sussistendo la conformità delle opere al momento della loro realizzazione, con la conseguente manifesta infondatezza delle doglianze di violazione di legge e vizio della motivazione sollevate dalla Petracca con il primo motivo di ricorso.

3. Il secondo motivo, mediante il quale sono stati prospettati ulteriori vizi delle motivazione e altre violazioni degli artt. 31 e 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, in relazione alla affermazione della configurabilità di illeciti urbanistici anche con riferimento alla realizzazione di una piscina e dei relativi manufatti di servizio, stante il loro carattere pertinenziale, per effetto del quale sarebbero realizzabili mediante semplici denunzia di inizio attività o segnalazione certificata di inizio attività, e anche con riferimento alla modesta entità delle altre difformità contestate, è anch’esso infondato.
Affinché un manufatto presenti il carattere di pertinenza, tale da non richiedere per la sua realizzazione il permesso di costruire, è necessario che esso sia preordinato a un'oggettiva esigenza funzionale dell'edificio principale, sia sfornito di un autonomo valore di mercato, sia di volume non superiore al 20% di quello dell'edificio cui accede, di guisa da non consentire, rispetto a quest'ultimo e alle sue caratteristiche, una destinazione autonoma e diversa (così, da ultimo, Sez. 3, n. 52835 del 14/07/2016, Fahrni, Rv. 268552; conf. Sez. 3, n. 25669 del 30/05/2012, Zeno, Rv. 253064; Sez. 3, n. 6593 del 24/11/2011, Chiri, Rv. 252442; Sez. 3, n. 39067 del 21/05/2009, Vitti, Rv. 244903; Sez. 3, n. 37257 del 11/06/2008, Alexander, Rv. 241278).
Una tale analisi è stata del tutto omessa dalla ricorrente, che pure ne sarebbe stata onerata alla luce della sua allegazione difensiva, non avendo indicato alcunché circa il rapporto tra la piscina e il fabbricato cui essa accede, ed avendo, anzi, compiuto una valutazione parcellizzata delle opere prive di permesso di costruire o realizzate in totale difformità da quello ottenuto, volta a sminuirne l’incidenza, dovendo, invece, essere compiuta una valutazione complessiva dell’opera (cfr., Sez. 3, n. 15442 del 26/11/2014, Prevosto, Rv. 263339; Sez. 3, n. 16622 del 08/04/2015, Casciato, Rv. 263473), onde qualificarla, accertare il suo completamento, verificarne la rispondenza agli strumenti urbanistici e stabilirne anche il regime di assentibilità.
Dalla sola descrizione delle opere contenuta nella imputazione emerge, comunque, l’idoneità a un utilizzo autonomo della piscina, in considerazione delle sue dimensioni, come pure dei manufatti a essa accessori, trattandosi di una piscina interrata di forma rettangolare, delle dimensioni di metri 7,70 x 13,35, profonda circa metri 2,30, di un vano interrato delle dimensioni di metri 2,00 x 2,00 x 2,70, di due docce in muratura e di un bagno retrostante, delle dimensioni di metri 1,70 x 1,20, di cui, oltre a non emergere la destinazione a una oggettiva esigenza funzionale dell’edificio principale, riguardo alla quale la ricorrente non ha prospettato nulla di specifico (se non la generica qualificabilità di una piscina come pertinenza), si ricava senza necessità di indagini tecniche l’idoneità a un utilizzo autonomo.
L’incidenza delle altre opere realizzate in totale difformità dal permesso di costruire (costituite da una scala scoperta in posizione e di dimensioni diverse rispetto a quelle autorizzate, una maggiore profondità del porticato, un ampliamento dell’immobile e dalla modifica della sua partizione interna) è stata valutata, nel suo complesso, come determinante una variazione essenziale, e si tratta di valutazione unitaria e sintetica corretta dal punto di vista metodologico e non sindacabile sul piano del merito nel giudizio di legittimità  (cfr. Sez. 3, n. 40541 del 18/06/2014, Cinelli, Rv. 260652), posto che, come emerge dalla descrizione delle opere, non si tratta di mere difformità esecutive o di diverse modalità di realizzazione dell’opera, ma di opere incidenti sulla struttura e sulla conformazione dell’edificio.
Ne consegue, in definitiva, la manifesta infondatezza anche del secondo motivo di ricorso.

4. Il terzo motivo, mediante il quale è stata lamentata l’indebita subordinazione della sospensione condizionale della pena alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi, risulta, alla luce del rilascio del permesso di costruire in sanatoria, fondato.
La cosiddetta sanatoria impropria ottenuta dalla ricorrente, pur non determinando l’estinzione del reato ascrittole, a causa della mancanza del requisito della doppia conformità richiesto dall’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, comporta l’attuale conformità urbanistica delle opere dalla stessa realizzate, con la conseguente necessità di revocare il relativo ordine di demolizione, in quanto sarebbe incongruo procedere alla demolizione di un manufatto originariamente abusivo ma poi assentito (cfr. Sez. 3, n. 14329 del 10/01/2008, Iacono Ciulla, Rv. 239708; Sez. 3, n. 24273 del 24/03/2010, Petrone, Rv. 247791; Sez. 3, n. 24410 del 09/02/2016, Pezzuto, Rv. 267192).

5. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata senza rinvio, limitatamente alla subordinazione della sospensione condizionale della pena alla esecuzione dell’ordine di demolizione, con eliminazione di tale ordine.
Nel resto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in considerazione della manifesta infondatezza del primo e del secondo motivo di ricorso, quest’ultimo affidato anche a censure di fatto non consentite nel giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla subordinazione della sospensione condizionale della pena all’esecuzione dell’ordine di demolizione, ordine che elimina.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso il 18/10/2017