Cass.Sez. III n. 6593 del 17 febbraio 2012 (Ud. 24 nov. 2011)
Pres.Teresi Est. Andronio Ric.Chiri
Urbanistica.Deposito merci

La realizzazione di un deposito-merci, che, a norma dell'art. 3, comma primo, lett. e, 5) e 7) d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, sia diretto a soddisfare esigenze non meramente temporanee e comporti la trasformazione permanente dello stato dei luoghi necessita del permesso di costruire, non essendo riconducibile al regime delle pertinenze.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. TERESI Alfredo - Presidente - del 24/11/2011
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - SENTENZA
Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere - N. 2503
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. ANDRONIO Alessandro M. - rel. Consigliere - N. 20952/2011
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) CHIRI DANIELE N. IL 28/01/1977;
avverso la sentenza n. 195/2008 CORTE APPELLO di LECCE, del 23/02/2011;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/11/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRO MARIA ANDRONIO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Lettieri Nicola che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Udito, per la parte civile l'avv. Filippo Chiricozzi, in sostituzione dell'avv. Cosmo Luperto;
Udito il difensore avv. Bruni Luca.
RITENUTO IN FATTO
1. - Con sentenza del 23 febbraio 2011, la Corte d'appello di Lecce, accogliendo l'appello del Procuratore generale, ha riformato la sentenza del tribunale di Lecce - sezione distaccata di Maglie, con cui l'imputato era stato assolto dai reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. b), e art. 659 c.p., pronunciando la condanna dell'imputato quanto al primo dei due reati. La costruzione abusiva oggetto di contestazione era stata realizzata nel cortile retrostante la trattoria della quale l'imputato era titolare, in mancanza del permesso di costruire, e constava di un locale di forma rettangolare costituito da una struttura portante in tubolare di ferro bullonata, munito di copertura in pannelli modulari in lamiera coibentati, con una superficie complessiva di metri quadrati 11,27, all'interno della quale veniva custodita merce utilizzata per l'attività di ristorazione svolta nell'edificio principale. 2. - Avverso la sentenza l'imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, deducendo, con unico motivo di gravame, la violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. e.5) e e.7), nonché l'omessa considerazione della reale collocazione e funzione dell'opera. Lamenta la difesa che la Corte d'appello avrebbe escluso l'applicabilità alla fattispecie in esame della categoria della "pertinenze urbanistica" - con la conseguenza di ritenere necessario il permesso di costruire e non la semplice denuncia di inizio attività - erroneamente rilevando che il manufatto non era oggettivamente preordinato ad un'esigenza dell'edificio principale, non era sfornito di un autonomo valore di mercato, era valutabile in termini di cubatura e, comunque, dotato di un valore minimo, non era conforme allo strumento urbanistico. Ad avviso della difesa, l'intervento effettuato era di minima rilevanza, perché: si era appoggiato su ben tre lati di muro preesistente; aveva un'intelaiatura collocata in una angusta rientranza interna all'area retrostante l'esercizio commerciale;
aveva dimensioni inferiori al 20% dell'edificio cui era asservita;
non aveva valore economico autonomo; si trovava in rapporto di mera strumentalità funzionale con l'edificio principale. 3. - In prossimità dell'udienza, le parti civili hanno depositato memoria, concludendo nel senso del rigetto del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO
4. - Il ricorso è inammissibile, perché sostanzialmente diretto ad ottenere da questa Corte una rivalutazione degli elementi di fatto posti a base della decisione censurata; valutazione preclusa in sede di legittimità. La difesa, infatti, si limita a proporre conclusioni alternative rispetto a quelle della Corte d'appello, senza specificamente contestare l'iter logico seguito dalla sentenza e senza operare alcun concreto riferimento a profili, anche di fatto, presi in considerazione.
La decisione impugnata è, peraltro, dotata di una motivazione pienamente sufficiente e logicamente coerente, perché desume la non configurabilità dell'opera realizzata quale pertinenza da elementi quali: la consistenza non minimale dell'intervento, sicuramente suscettibile di diverse utilizzazioni (quale quella, accertata, di deposito di merci utilizzate per l'attività di ristorazione); il fatto che esso procura una permanente alterazione del territorio perché si pone in termini di sostanziale ampliamento del preesistente edificio; il fatto che esso si pone in contrasto con lo strumento urbanistico vigente, perché rappresenta ulteriore volumetria su di un'area che aveva già esaurito la cubatura massima ammissibile ed insiste in una zona in cui sono ammessi solo interventi di conservazione dell'esistente e non anche interventi di nuova edificazione; la non descrivibilità del manufatto alla categoria del "volume tecnico" o a quella della "opera precaria", perché esso era destinato a deposito di merci e non ad ospitare impianti tecnici, e, perciò, finalizzato ad un'attività prolungata nel tempo.
Del tutto inconferente risulta, poi, la considerazione, proposta dalla difesa in punto di diritto, secondo cui ogni manufatto con volumetria inferiore al 20% di quella dell'edificio principale dovrebbe sempre e comunque ritenersi conforme allo strumento urbanistico. Deve infatti rilevarsi che, a norma del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. e.5) ed e.7), all'intervento realizzato non si applica la disciplina delle pertinenze (cui il limite volumetrico del 20% fa riferimento), essendo esso riconducibile alle categorie dei manufatti diretti a soddisfare esigenze non meramente temporanee e, in particolare, a quella del deposito merci, che comporta una modificazione permanente dello stato dei luoghi.
5. - Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 1.000,00. Il ricorrente deve essere altresì condannato alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende e alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili, che liquida in complessivi Euro 1.500,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 24 novembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2012