Consiglio di Stato Sez. II n. 5811 del 1 luglio 2024
Urbanistica.Demolizione opere abusive su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti pubblici

L’art. 35 TUE prevede che, qualora sia accertata la realizzazione di interventi in assenza di permesso di costruire, ovvero in totale o parziale difformità dal medesimo, “su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti pubblici, il dirigente o il responsabile dell'ufficio, previa diffida non rinnovabile, ordina al responsabile dell'abuso la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi, dandone comunicazione all'ente proprietario del suolo”. Rispetto a tali opere costituisce un presupposto indefettibile della successiva ordinanza di demolizione la diffida emanata, ai sensi dell’art. 35, la quale individua il tipo di abuso realizzato su aree di proprietà di enti pubblici. 


Pubblicato il 01/07/2024

N. 05811/2024REG.PROV.COLL.

N. 07162/2021 REG.RIC.

N. 05187/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7162 del 2021, proposto dai signori Giorgio Pittaro Truant e Tiberio Gasparotto, rappresentati e difesi dagli avvocati Domenico Dodaro, Antonio Malattia e Pietro Mussato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l’avv. Domenico Dodaro in Roma, via Caccini, n. 1;

contro

Comune di San Giorgio della Richinvelda, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Mattia Matarazzo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

del signor Sergio Gasparotto, non costituito in giudizio;


sul ricorso numero di registro generale 5187 del 2022, proposto dai signori Giorgio Pittaro Truant e Tiberio Gasparotto, rappresentati e difesi dagli avvocati Antonio Malattia e Pietro Mussato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di San Giorgio della Richinvelda, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Mattia Matarazzo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

signor Sergio Gasparotto, non costituito in giudizio;

per la riforma

quanto al ricorso n. 7162 del 2021:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia, (sezione Prima), n. 156/2021, resa tra le parti, relativa alla impugnazione della diffida alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi prot. n. 6588 del 17 settembre 2020 e dell’ordinanza n. 2 del 21 dicembre 2020, prot. 9202 di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi;

quanto al ricorso n. 5187 del 2022:

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Friuli Venezia Giulia, (sezione Prima), n. 179/2022 resa tra le parti, relativa all’impugnazione dell’ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi n. 1 del 30 giugno 2021.


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di San Giorgio della Richinvelda;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024 il Cons. Cecilia Altavista e uditi per le parti l’avvocato Antonio Malattia e l’avvocato Mattia Matarazzo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Il signor Tiberio Gasparotto è proprietario di un terreno sito nel Comune di San Giorgio della Richinvelda, località Aurava, via Braida (al foglio 25, mappali nn. 126 e 225, poi nn. p. 575, 121 e 357) sul quale a partire dal 1978 (concessioni edilizie n. 90 del 1978 e n. 125 del 1980) sono stati realizzati capannoni per un allevamento di polli. In particolare con la concessione edilizia del 1978 erano stati assentiti due capannoni delle dimensioni di metri 141,50 x 12,30, e altezza pari a m. 3,00, di cui poi ne era stato realizzato uno solo; il secondo era stato realizzato a seguito della concessione edilizia n. 125 del 1980. Con ulteriore concessione n. 211 del 1980 è stata assentita una tettoia per ricovero attrezzature agricole e con concessione n. 9 del 1983 una pesa con annessa cabina.

Successivamente, con concessione n. 63 del 1989, è stato assentito un capannone per deposito granaglie e scorte delle dimensioni di progetto di m. 15,50 x 30,25 e altezza m. 4,50/5,30. Con titolo dell’8 novembre 2002 è astato assentito un ampliamento delle dimensioni di m. 20,03 x 15,20 e altezza m. 4,00/4,20, che ha ottenuto l’autorizzazione paesaggistica il 26 agosto 2002 con successivo nulla osta della Soprintendenza il 25 ottobre 2002.

Con decreto del Sindaco del 24 marzo 2000 è stata disposta l’occupazione di una parte del mappale n. 126 per la realizzazione dei lavori di costruzione delle fogne comunali oggetto di esproprio. In allegato al decreto di occupazione e alla comunicazione del procedimento di esproprio vi era il piano particellare di esproprio con l’estratto di mappa catastale raffigurante i capannoni del 1978/1980.

A seguito di un incontro tra il sig. Tiberio Gasparotto, il Sindaco e i tecnici comunali tenutosi il 30 maggio 2001, si stabiliva di “predisporre una sbarra con funzionamento automatico lungo la strada comunale denominata via Braida. Alla sbarra si accompagna la presenza di un impianto di disinfezione avente lo scopo di annientare i rischi connessi allo svolgimento dell’attività di depurazione ed ai transiti connessi a tale attività. Lo scopo della stessa è quello, pertanto di porre le premesse di idonea garanzia atta a far sì che la disinfezione venga effettuata. Effettuazione facilitata con l’imposizione del fermo del mezzo di trasporto. Il signor Gasparotto verrà fornito di idoneo telecomando atto al funzionamento della sbarra. Tale opportunità viene esclusivamente limitata alla famiglia Gasparotto. Gli altri utenti della strada potranno utilizzare la stessa azionando il comando manuale della stessa. Le caratteristiche tecniche dell’impianto sono descritte nella nota del Comune …del 3 maggio 2021 nonché nelle tavole grafiche vistate dalle parti e denominate sezione prospetto. Detti documenti fanno parte del presente verbale…L’ubicazione dell’impianto viene individuata così come evidenziato nella planimetria che si allega al presente verbale vistato dalle parti con il segno rosso. L’ingombro dell’impianto verrà mantenuto sul sedime pubblico”. Nella documentazione allegata sono raffigurati i due capannoni realizzati tra il 1978 e il 1980.

La sbarra è stata posizionata nel 2003 dal Comune e con spese di funzionamento a suo carico.

Con D.I.A. n. 14.017 del 7 maggio 2014 e autorizzazione paesaggistica n. 08/2013 del 4 novembre 2014 è stata assentita una tettoia (tettoia ovest) delle dimensioni di progetto di m. 45,30 x 7,93 e altezza m. 3,00/4,50 e 4,00/5,50.

Successivamente, il 6 dicembre 2019, è stato eseguito un sopralluogo dai tecnici del Comune e dalla Polizia locale nel corso del quale veniva accertato che i manufatti erano stati realizzati in difformità dai titoli edilizi rilasciati. In particolare veniva indicato che il capannone realizzato in forza della licenza edilizia del 1978, che prevedeva le sopra richiamate dimensioni di metri 141,50 x 12,30 e altezza pari a m. 3,00, è stato realizzato di dimensioni di m. 141,37 x 12,23 e altezza pari a m. 2,67, con diversa ubicazione con conseguente mancato rispetto delle distanze dalla strada e dal confine di proprietà di terzi ( mappale 127 del foglio 25) e parziale occupazione di via Braida (ex strada vicinale delle Viotte) ed è stato realizzato un ampliamento di m. 3,52 x 3,00; il capannone realizzato in forza della licenza edilizia del 1980, che prevedeva le dimensioni m. 141,50 x 12,30, altezza pari a m. 3,00, ha una diversa ubicazione con conseguente mancato rispetto delle distanze dalla strada e parziale occupazione di via Braida ( ex strada vicinale delle Viotte) ed è stato realizzato con le dimensioni di m. 141,36 x 12,24 con altezza pari a m. 2,67; la tettoia realizzata in forza della concessione n. 211 del 1980, che prevedeva le dimensioni di m. 10,20 x 9,20 e altezza pari a m. 1,76/2,67, è stata costruita delle dimensioni di m. 10,21 x 10,05 e altezza pari a m. 4,47/4,89, con diverse sagoma, altezza e superficie, diversa ubicazione sul lotto di proprietà, tale da implicare il mancato rispetto della distanza dalla strada via Braida (ex strada vicinale denominata ”delle Viotte”) e la parziale occupazione della stessa; la pesa con annessa cabina realizzata in forza della licenza edilizia del 1983, per cui il progetto assentito prevedeva le dimensioni di m. 3,40 x 2,40 (cabina) e 9,80 x 3,80 (pesa) ha diverse dimensioni, di m. 3,92 x 2,98 (cabina) e m. 9,02 x 3,03 (pesa), con diversa ubicazione sul lotto di proprietà, tale da implicare il mancato rispetto della distanza dalla strada Via Braida (ex strada vicinale denominata “delle Viotte”) e la parziale occupazione della stessa; il fabbricato realizzato a seguito di concessione edilizia n. 63 del 24 luglio 1989, che prevedeva in progetto le dimensioni di m. 15,50 x 30,25 e altezza di m. 4,50/5,3 è stato realizzato di m. 15,56 x 30,25 e altezza pari a m. 5,60/6,55 , con diverse altezze e con un ampliamento di m. 5,15 x 4,54. La tettoia ovest con dimensioni di progetto di m. 45,30 x 7,93 e altezza pari a m. 3,00/4,50 e 4,00/5,50, realizzata a seguito di D.I.A. del 7 maggio 2014, è stata costruita di metri 45,35 x 7,72 e altezza pari a m. 3,81/4,47 e m. 5,00/5,60. Nel verbale di sopralluogo si dava altresì atto della destinazione urbanistica dell’area: “Gli immobili censiti al Fg. 25 mapp. 575, 121 e 357 sono ricompresi secondo il PRGC vigente in Zona omogenea E.6.2 - ambiti di interesse agricolo zootecnico paesaggistico. Tale area ricade in zona soggetta a tutela e vincolo paesaggistico ai sensi del d.lgs. 42/2004. Tale area ricade parzialmente in Zona di rispetto del depuratore.

La zona agricola E6.2 corrisponde ad una parte del territorio comunale, caratterizzata da un contesto che vede la presenza, accanto a colture tradizionali o specializzate, di numerose attività zootecniche su scala familiare ed industriale. In queste zone è consentito l'esercizio dell'attività agricola nelle sue forme tradizionali e dell'attività zootecnica peculiare. É consentita la realizzazione di nuovi allevamenti zootecnici di qualsiasi specie anche superiori ai 50 UBA. Nella definizione di allevamento zootecnico rientrano i ricoveri, comunque organizzati, per piccoli, medi e grandi animali”. Si dava atto altresì della identificazione catastale: “gli immobili oggetto di sopralluogo attualmente risultano censiti in Catasto come segue: N.C.T.: Fg. 25 mappale 575 Ente Urbano N.C.T.: Fg. 25 mappale 121 Ente Urbano; N.C.T.: Fg. 25 mappale 357 Ente Urbano; N.C.E.U.: Fg. 25 mappali 121-357-575 - Cat. D/10 Fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole. Gli immobili risultano di proprietà del sig. Gasparotto Tiberio”.

Con la diffida del 17 settembre 2020, adottata ai sensi dell’art. 35 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, il Responsabile dell’area tecnica del Comune diffidava, in relazione alle difformità relative ai capannoni oggetto della concessioni del 1978 e del 1980, alla tettoia di cui alla concessione del 1980 e alla pesa con cabina il signor Tiberio Gasparotto, quale proprietario, il signor Giorgio Pittaro Truant quale direttore dei lavori, la società Sperotto s.p.a., quale costruttrice dei fabbricati, a procedere alla demolizione delle opere “individuate in rosso nella planimetria allegata” e al ripristino dello stato dei luoghi.

2. Avverso tale provvedimento è stato proposto al Tribunale amministrativo regionale del Friuli Venezia Giulia il ricorso r.g. n. 324 del 2020, deducendo in punto di fatto che la via Braida, in un primo tratto della lunghezza di circa 240 metri, è tutt’ora d’uso pubblico in quanto viene utilizzata dai residenti e dai clienti della vicina Azienda agricola; nel successivo tratto v’è una sbarra metallica a comando elettrico fatta installare proprio dall’Amministrazione comunale per impedire l’ingresso all’area dell’allevamento avicolo dell’Azienda del sig. Tiberio Gasparotto a mezzi e persone non pertinenti con la gestione della stessa, salvo per gli incaricati della manutenzione del depuratore comunale ubicato più a sud. Si deduceva altresì che tale tratto è utilizzato esclusivamente dall’azienda del sig. Tiberio Gasparotto e non è consentito l’accesso alla pubblica via da parte di soggetti terzi; che al di là della azienda di proprietà del ricorrente non vi è più traccia della strada che esiste solo sulle mappe catastali, mentre è stata realizzata una canaletta irrigua in calcestruzzo fuori terra nei primi anni ’50 dal Consorzio di Bonifica Cellina Meduna che interseca il presunto sedime della strada (come indicato dalle mappe catastali), impedendo qualsiasi transito oltre l’intersezione, per cui, consentendo al Consorzio la realizzazione della canaletta negli anni ’50, il Comune avrebbe già allora riconosciuto l’assenza di interesse a conservare la destinazione pubblica del sedime al pubblico transito. Inoltre, il sig. Tiberio Gasparotto ha provveduto personalmente e a proprie spese alla asfaltatura della strada delle Viotte, fatta eseguire subito dopo la costruzione dei capannoni (avvenuta negli anni 1978/1981) ed alla sua successiva manutenzione senza che il Comune sia mai intervenuto per esercitare un qualsivoglia diritto. Il ricorrente deduceva ancora, depositando la relativa documentazione, che nello “Stradario” approvato con delibera del Consiglio comunale n. 38 del 13 novembre 1961, “Via Braida” ha come estremi i nn.cc. 1-3 “da via del Popolo a campagna aperta Gasparotto”, che coinciderebbe con il punto attualmente delimitato dalla sbarra metallica; la delibera del Consiglio comunale n.154 del 25 novembre 1987 ha classificato le strade comunali e vicinali di uso pubblico, tra le quali non è indicata via Braida; la delibera del Consiglio comunale n. 15 del 26 febbraio 1998 ha integrato l’elenco delle strade comunali, extraurbane e vicinali e anche in tale elenco non compare quel tratto di via Braida. Depositava a corredo le foto aeree dell’Istituto geografico militare del 1976 da cui non risulterebbe alcun sedime stradale oltre la proprietà di Tiberio Gasparotto e per l’accesso ad essa (dove è attualmente posizionata la sbarra). Sosteneva quindi l’intervenuta sdemanializzazione tacita della strada vicinale denominata “delle Viotte”, via Braida, avente natura di strada privata e comunque la mancata attivazione da parte del Comune del declassamento della strada essendo completamente venute meno le ragioni di interesse pubblico per la demanialità. Lamentava eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti e sviamento di potere, deducendo che il Comune aveva rilasciato i certificati di agibilità a seguito della realizzazione dei manufatti con quella collocazione; che comunque all’epoca era vigente l’art. 31 della legge n. 1150/1942 che consentiva, con licenza del Sindaco, di costruire anche su aree demaniali; che l’Amministrazione non aveva comparato l’interesse pubblico con l’affidamento ingenerato nel privato giusta l’insistenza dei manufatti in loco da oltre 40 anni.

Con una seconda censura lamentava la violazione e/o falsa applicazione di legge, in relazione all’art. 3 della legge n. 241/1990, l’eccesso di potere per difetto di istruttoria, genericità e incomprensibilità del provvedimento, la contraddittorietà rispetto ad altri atti della P.A., non essendo individuate le specifiche difformità realizzate e le norme violate.

2.1. Per le difformità rispetto ai titoli edilizi, con provvedimento del 21 dicembre 2020, il responsabile dell’area tecnica ha ingiunto al signor Gasparotto, al Direttore dei lavori geometra Pittaro Truant, alle società costruttrici, la demolizione delle opere e il ripristino. Al provvedimento veniva allegata una planimetria con le difformità rilevate.

Avverso tale provvedimento sono stati presentati motivi aggiunti in cui si riproponevano le censure del ricorso e si formulava una terza censura con cui si lamentava la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990, la mancata individuazione della fattispecie di abuso edilizio, l’eccesso di potere per carenza dei presupposti, l’incomprensibilità dell’agere amministrativo, avendo il Comune richiamato norme sopravvenute all’abuso e comunque non specificato la norma violata.

2.2. Si costituiva in giudizio il Comune che contestava l’avvenuta sdemanializzazione tacita della strada sostenendo che non vi sarebbero atti univoci, positivi, concludenti, incompatibili con la volontà di conservarne la destinazione pubblica, in quanto l’apposizione della sbarra da parte dello stesso ne confermerebbe caso mai la natura pubblica, essendo stata collocata solo in funzione di tutela sanitaria dell’allevamento, sostenendo altresì che di fatto sarebbe sempre aperta come dimostrato dal fatto che il consumo elettrico per il relativo movimento risulterebbe praticamente nullo. Ha dedotto che la canaletta sarebbe collocata più a monte del tratto ove insistono le opere abusive e potrebbe provare al massimo la sdemanializzazione della strada vicinale in quel tratto, irrilevante rispetto a quello di interesse ai fini di causa; comunque sarebbe rimasto a carico dei proprietari della canaletta l’obbligo di garantire la percorribilità della strada con la realizzazione di un ponte, ai sensi dell’art. 35, l. 20 marzo 1865 n. 2248, all. F. Sosteneva poi la corretta individuazione degli abusi nel verbale di accertamento. Lo stesso ricorrente avrebbe riconosciuto la natura pubblica della strada, indicandola come “strada vicinale delle Viotte” nelle rappresentazioni topografiche allegate alle istanze di concessione ad edificare.

2.3. Con la sentenza n. 156 del 2021 è stato respinto il ricorso “non risultando dagli atti l’esistenza di elementi idonei a comprovare, con il richiesto carattere di univocità, l’intervenuta sdemanializzazione della strada vicinale per il tratto ubicato oltre la sbarra metallica”; inoltre “le difformità riscontrate risultano adeguatamente comprensibili guardando al contenuto dell’ordinanza di demolizione del 28.12.2020, che le descrive con sufficiente precisione. In particolare, quanto alle difformità tra gli interventi e il progetto di cui alle concessioni edilizie, l’ordinanza esplicita le dimensioni dei fabbricati accertate in sede di sopralluogo, comparandole con le dimensioni autorizzate. Per quanto attiene, invece, all’asserito abuso consistente nell’aver edificato senza rispettare le distanze dalla strada vicinale, le parti del fabbricato interessate sono rappresentate graficamente nella planimetria allegata al provvedimento di demolizione”. É stato invece accolto il terzo motivo formulato con i motivi aggiunti ritenendo non sufficiente la motivazione in diritto del provvedimento di demolizione, in quanto i riferimenti normativi posti a fondamento dell’intervento repressivo riguardano norme posteriori alla data di edificazione delle opere e non utili a delineare il regime giuridico di riferimento per il giudizio di abusività, il cui onere era a carico dell’Amministrazione.

2.4. Avverso tale sentenza è stato proposto l’appello r.g. n. 7162 del 2021 con cui è stata contestata la sentenza impugnata per avere ritenuto infondati i motivi del ricorso introduttivo oggetto anche dei motivi aggiunti, che sono stati riproposti sostenendo l’avvenuta sdemanializzazione tacita della strada e comunque la mancata attivazione da parte del Comune del declassamento della strada essendo completamente venute meno le ragioni di interesse pubblico in merito alla conservazione della demanialità. In particolare erroneamente il T.A.R. non avrebbe dato rilievo alle circostanze per cui la sbarra viene azionata dal solo signor Tiberio Gasparotto, che la sbarra è sempre chiusa, venendo abbassata la sera e rialzata la mattina, che per il depuratore viene utilizzata la strada attualmente denominata “via Saletto”, mentre sarebbe irrilevante l’avvenuto esproprio dell’area in quanto tale striscia di terreno non è stata utilizzata per l’accesso al depuratore; comunque il Comune non ha contestato l’intervenuto accordo con il Gasparotto circa un percorso alternativo più a nord e lungo il confine tra i mappali 121 e 574 del Foglio 25, che, in caso di necessità, viene utilizzato dal personale addetto e dai mezzi diretti al depuratore; inoltre il TAR non avrebbe considerato che dalla documentazione fotografica, depositata nel corso del giudizio di primo grado, emergeva che fin dal 1976 ( Foto aeree Istituto geografico militare) i terreni oggi occupati dai capannoni si presentavano regolarmente coltivati in un blocco unico, a riprova che sin da tale data non vi era la presenza di alcuna strada, provando quindi che il sedime stradale della “strada delle Viotte” o “via Braida” è scomparso da quasi cinquant’anni e quella realizzata per l’accesso alla proprietà Gasparotto al momento di realizzazione dei capannoni è una strada nuova, che è stata sempre manutenuta dal Gasparotto. Infine il TAR non avrebbe considerato la documentazione depositata in giudizio relativa alla classificazione delle strade comunali, in cui non è indicato quel tratto di strada. Ha dedotto di avere proposto azione per l’accertamento dell’usucapione davanti al Tribunale di Pordenone.

Con riguardo al secondo motivo di ricorso, respinto dal giudice di primo grado, ha dedotto che il motivo aggiunto accolto avrebbe dovuto condurre ad accogliere anche tale censura in quanto anche nella diffida non erano state indicate le normative di legge sulla base delle quali la P.A. avrebbe affermato l’abusività delle opere.

3. Nel frattempo l’Amministrazione, a seguito dell’annullamento dell’ordine di demolizione, ha avviato un nuovo procedimento di repressione degli abusi edilizi, concluso con l’emanazione dell’ordinanza di demolizione n. 1 del 30 giugno 2021, indicando che per i capannoni realizzati con le concessioni del 1978 e del 1980, per la tettoia realizzata a seguito della concessione edilizia n. 211 del 1980 e per la pesa con cabina sussistono parziali difformità dal titolo realizzato nonché la violazione del d.lgs. n. 285 del 1992 e delle norme relative alle opere realizzate su aree demaniali ( artt. 823 cc, art. 7 d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 378 legge 20 marzo 1865, n. 1859). Per il capannone realizzato con la concessione del 1989 e la tettoia realizzata con DIA del 2014 sussistono variazioni essenziali rispetto al titolo con violazione rispettivamente dell’art. 7 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e della legge regionale n. 19 del 2009; inoltre il capannone è stato realizzato in assenza dell’autorizzazione paesaggistica, mentre la tettoia è stata realizzata in difformità dall’autorizzazione. Veniva altresì rilevato il contrasto delle opere con le normative vigenti, in particolare con il d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, per le opere realizzate con violazione delle distanze dalla strada, con la legge regionale 11 novembre 2009, n. 19, con i vincoli paesaggistici anche per le opere realizzate prima dell’apposizione del vincolo, con le norme relative alle costruzioni in zone sismiche e all’uso del cemento armato. L’ordinanza distingueva quindi i vari interventi ai fini della demolizione, indicando nella allegata planimetria in colore rosso quelli realizzati con occupazione di aree demaniali, per cui la demolizione era ingiunta ai sensi dell’art. 48 della legge regionale n. 19 del 2009; in colore giallo gli interventi effettuati in parziale difformità dal titolo, ai sensi dell’art. 47 della legge regionale, per cui era possibile applicare la sanzione pecuniaria e la oblazione ridotta in caso di sanatoria; in colore azzurro l’intervento effettuato in difformità dalla DIA per cui, ai sensi dell’art. 50 della legge regionale, è possibile l’applicazione della sanzione pecuniaria; in colore verde l’intervento realizzato con variazioni essenziali rispetto alla concessione edilizia del 1989, ai sensi dell’art. 45 della legge regionale, preannunciando l’acquisizione in caso di inadempimento; con colore rosa gli interventi realizzati nella fascia di rispetto stradale.

3.1. Avverso tale provvedimento è stato proposto il ricorso r.g. 341 del 2021 lamentando con un primo motivo la nullità per violazione e/o elusione del giudicato rispetto alla sentenza n. 156/2021 avendo l’ordinanza reiterato i riferimenti generici come quello al codice della strada senza individuare la specifica norma applicabile e i richiami a norme sopravvenute come la legge regionale n. 19 del 2009, anche se richiamando altresì alcune disposizioni vigenti al momento dell’esecuzione dei lavori, ma senza specificare quale fosse effettivamente l’epoca della realizzazione; comunque si tratterebbe di norme irrilevanti rispetto alla presente vicenda, quali l’art. 7, d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, relativo all’occupazione temporanea di strade e l’art. 378, della legge n. 2248 del 1865 all. F, che riguarda i poteri del Prefetto in caso di condotte volte all’alterazione dello “stato delle cose”. Con ulteriori censure si sosteneva la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3, della l. n. 241/1990 per la mancata individuazione della fattispecie di abuso edilizio, l’eccesso di potere per carenza dei presupposti, l’incomprensibilità dell’agere amministrativo, la mancata comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della medesima l. n. 241/1990; si riproponevano le censure del precedente ricorso in ordine alla natura della strada e alla mancata corretta individuazione delle opere abusive.

Anche in questo giudizio si costituiva il Comune sostenendo l’infondatezza del ricorso in quanto nell’ordinanza sarebbero motivati tutti i presupposti degli abusi, indicate espressamente le parti abusive e le norme relative a ogni singolo abuso.

3.2. Con la sentenza n.179 del 2022 il ricorso è stato respinto ritenendo correttamente individuate le disposizioni applicabili ratione temporis, sufficienti a fondare e giustificare il potere repressivo dell’amministrazione. Il giudice di primo grado ha quindi escluso la necessità della comunicazione di avvio del procedimento trattandosi di atti vincolati e ha ritenuto infondate le censure riproposte del precedente ricorso, richiamando le argomentazioni espresse nella sentenza n. 156 del 2021.

3.3. Avverso tale sentenza è stato proposto l’appello r.g. n. 5187 del 2022, contestando le argomentazioni del giudice di primo grado e riproponendo le censure del ricorso di primo grado, in particolare in ordine all’errato riferimento al codice della strada del 1959 in quanto non idoneo a giustificare la violazione delle distanze dalla strada, all’incertezza rispetto alla individuazione della natura delle difformità derivante dal generico richiamo all’art. 15 della legge n. 10 del 1977, alla contraddittorietà del richiamo a norme che riguardano differenti poteri esercitabili, e comunque alla rilevanza del richiamo a norme non effettivamente applicabili. É stato contestato, quindi, il riferimento alla legge regionale n. 19 del 2009, sopravvenuta rispetto agli interventi edilizi nonché ai vincoli paesaggistici comunque richiamati anche per le opere eseguite prima della loro apposizione, non essendo peraltro individuata la data di realizzazione degli abusi. É stata, quindi, riproposta la censura relativa alla mancata comunicazione di avvio del procedimento in relazione alla complessità della situazione di fatto. É stata contestata la parte della sentenza relativa alla reiezione dei motivi del precedente ricorso riproposti insistendo per l’avvenuta sdemanializzazione tacita della strada vicinale.

4. In entrambi i giudizi si costituiva il Comune di San Giorgio della Richinvelda.

In particolare nel giudizio n.r.g. 7162 del 2021 il Comune eccepiva l’intervenuta cessazione della materia del contendere, avendo il Comune emanato una nuova ordinanza di demolizione il 30 giugno 2021, con conseguente irricevibilità, inammissibilità o improcedibilità dell’appello. Sosteneva poi l’infondatezza dell’appello in relazione alla mancanza di elementi per ritenere la avvenuta sdemanializzazione.

Nel giudizio n.r.g. 5187 del 2022 la parte appellante rinunciava alla istanza cautelare con adesione del Comune, che dava atto della pendenza di trattative finalizzate al raggiungimento di una soluzione concordata dell’intera questione controversa.

In vista dell’udienza pubblica la parte appellante giudizio nel giudizio r.g. n. 7162 del 2021 ha depositato memoria, in cui ha replicato in ordine alla cessazione della materia del contendere, deducendo che sono rimasti salvi gli effetti della diffida non rinnovata. In tale giudizio entrambe le parti hanno presentato memoria di replica confutando le difese avversarie e insistendo nelle proprie tesi difensive.

Nel giudizio r.g. 5187 del 2022 entrambe le parti hanno presentato memorie e repliche.

Nella memoria il Comune ha eccepito la tardività del deposito in appello della documentazione costituita dai documenti nn. 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11 e 12 di controparte, in quanto in particolare per questi ultimi, relazioni di un tecnico di parte, l’appellante avrebbe potuto produrli anche nel giudizio di primo grado. Nella replica la parte appellante ha sostenuto che si tratta di elementi decisivi ai fini della decisione della controversia, mentre nella memoria depositata nel giudizio r.g. 7162 del 2021 ha dedotto che la relazione tecnica ha comportato complesse ricerche d’archivio che è stato possibile effettuare nel corso del giudizio.

Nella memoria di replica il Comune ha eccepito l’inammissibilità di una nuova censura nella memoria dell’appellante che non sarebbe stata mai proposta prima, relativa alla inesistenza della strada, nonché per la mancata riproposizione della questione della intervenuta usucapione nell’atto di appello, che era stata respinta nella sentenza di primo grado.

5. All’udienza pubblica del 28 maggio 2024 gli appelli sono stati trattenuti in decisione.

DIRITTO

6. In via preliminare ritiene il Collegio di riunire gli appelli, che riguardano, anche se sotto differenti aspetti, i medesimi immobili ed essendo la diffida oggetto dell’appello r.g. 7162 del 2021 atto presupposto, almeno in parte, della successiva ordinanza di demolizione n. 1 del 2021 oggetto dell’appello r.g. 5187 del 2022.

7. Con riguardo all’appello n.r.g. 7162 del 2021 deve essere esaminata l’eccezione relativa alla cessazione della materia del contendere.

L’eccezione è infondata in relazione alla sussistenza di un interesse autonomo all’impugnazione della diffida, adottata ai sensi dell’art. 35 del d.P.R. 380 del 2001.

L’art. 35 prevede che, qualora sia accertata la realizzazione di interventi in assenza di permesso di costruire, ovvero in totale o parziale difformità dal medesimo, “su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti pubblici, il dirigente o il responsabile dell'ufficio, previa diffida non rinnovabile, ordina al responsabile dell'abuso la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi, dandone comunicazione all'ente proprietario del suolo”.

La demolizione del 30 giugno 2021, oggetto dell’appello n.r.g. 5187 del 2022, riguarda non solo le difformità dai titoli edilizi, per i quali il verbale di sopralluogo del 6 dicembre 2019 costituisce l’unico presupposto, ma anche interventi considerati abusivi in quanto realizzati su aree di proprietà comunali o in violazione della distanza dalla strada pubblica. Rispetto a tali opere costituisce un presupposto indefettibile della successiva ordinanza di demolizione la diffida emanata, ai sensi dell’art. 35, la quale individua il tipo di abuso realizzato su aree di proprietà di enti pubblici. Nel caso di specie è stata emessa una sola diffida quella del 17 settembre 2020, che non è stata oggetto di rivalutazione da parte dell’Amministrazione, la quale dunque costituisce tuttora il presupposto autonomo della ordinanza di demolizione del 30 giugno 2021 nella parte in cui si riferisce ad opere abusive in quanto realizzate su beni pubblici. Tale diffida, in quanto comportante l’individuazione della natura pubblica di beni asseritamente occupati, ha mantenuto la propria autonomia rispetto alla successiva ordinanza di demolizione che la rende tuttora lesiva, a prescindere dalla rinnovazione del procedimento demolitorio.

Infondate sono altresì le ulteriori eccezioni proposte dal Comune.

Con riguardo alla tardività della documentazione si deve rilevare che i documenti depositati ai numeri 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9 riguardano la gestione dell’allevamento avicolo, ai fini della sussistenza del periculum in mora quale presupposto per l’accoglimento della domanda cautelare; tale presupposto, nella fase cautelare del giudizio, deve essere considerato all’attualità e pertanto la documentazione depositata non incorre in alcuna decadenza. Con riguardo alle relazioni del tecnico di parte, comunque depositate nei termini di cui all’art. 73 c.p.a., si tratta di relazioni basate su documentazione risalente che la parte ha dedotto di avere potuto acquisire con complesse ricerche che, quindi, giustificano la produzione in grado appello.

É infondata altresì l’eccezione relativa all’inammissibilità delle censure, in quanto, la questione dell’uso pubblico della strada è stata complessivamente proposta in primo grado e riproposta in entrambi gli appelli, mentre sia in primo grado che in appello era stato richiamato lo stato della strada, depositando altresì le foto aeree del 1976.

8. I motivi proposti avverso la diffida sono stati riproposti anche avverso il secondo provvedimento di demolizione e possono essere trattati congiuntamente nei giudizi riuniti.

Tali motivi sono fondati e conducono agli accoglimenti di entrambi gli appelli.

In primo luogo, ritiene il Collegio di precisare di potere decidere anche in ordine all’accertamento della demanialità della strada ai sensi dell’art. 8 c.p.a, per cui “Il giudice amministrativo nelle materie in cui non ha giurisdizione esclusiva conosce, senza efficacia di giudicato, di tutte le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti, la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale”, trattandosi, nel caso di specie, non di dichiarare definitivamente la proprietà in capo a chi la rivendica ma solo di accertare, in via incidentale, un presupposto di fatto che condiziona la legittimità dell'atto impugnato. Infatti per la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio l’accertamento sul carattere pubblico di una strada non eccede l'ambito della competenza del giudice amministrativo se costituisce il presupposto per l’adozione del provvedimento amministrativo contestato. Sebbene, infatti, la valutazione in ordine alla contestazione dei provvedimenti di classificazione di una strada - come di proprietà pubblica o dedita all'uso pubblico - sia rimessa alla competenza del giudice civile, involgendo pretese di accertamento di un diritto soggettivo, nondimeno, sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo quando la verifica incidenter tantum in ordine all'esistenza di una servitù di uso pubblico sulla strada o della sua demanialità sia finalizzata solo a stabilire se i gravati provvedimenti comunali ripristinatori siano o meno legittimi (Cons. Stato, Sez. VII, 19 aprile 2022, n. 2905; Sez. IV, 20 aprile 2023, n. 4012). Se quindi il giudice amministrativo non ha giurisdizione per l’accertamento, in via principale, della natura vicinale, pubblica o privata, della strada, ovvero della servitù pubblica di passaggio, essendo dette questioni devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, il medesimo giudice può e deve valutare -incidentalmente ossia ai limitati fini del giudizio concernente la legittimità degli atti impugnati - la natura vicinale, pubblica o privata, del passaggio nella strada su cui si controverte, dal momento che tale questione costituisce un presupposto degli atti sottoposti al suo esame in via principale (Cons. Stato, Sez. IV, 15 luglio 2020, n. 4570; Sez. V, 16 ottobre 2017, n. 4791).

Nel caso di specie la verifica in ordine alla natura pubblica della strada conduce ad un giudizio di illegittimità degli atti impugnati mancando il presupposto su cui il Comune ha basato tutti i suoi accertamenti.

Risulta, infatti, dalla documentazione versata in atti che il Comune non abbia in alcun modo dato la prova del presupposto fondamentale dell’intero procedimento ovvero la natura pubblica della strada via Braida, ex strada vicinale delle Viotte, della quale l’unico elemento considerato determinante dal Comune è l’indicazione contenuta nelle mappe catastali, in cui è indicato un tracciato stradale con la denominazione “strada vicinale delle Viotte”.

Nella stessa relazione di sopralluogo si dà atto che è stato eseguito un “confronto tra le mappe catastali e le pratiche edilizie”, senza che siano addotti ulteriori elementi a sostegno della proprietà pubblica o della destinazione pubblica della strada.

Come è noto la giurisprudenza consolidata ritiene che essendo il catasto preordinato a fini essenzialmente fiscali, le indicazioni delle mappe catastali e le relative annotazioni non rilevino quale prova della proprietà o di altri diritti reali se non come ulteriori elementi di prova rispetto ai titoli che devono essere prodotti dalle parti e solo in assenza di indicazioni univoche contenute in tali titoli (Cass. civ., Sez. II, Ord., 3 novembre 2023, n. 30605; Cass. civ., Sez. II, 6 novembre 2023, n. 30823). Peraltro, nel caso di specie, anche le risultanze catastali non costituiscono indici univoci della natura pubblica della strada.

In primo luogo dalle mappe catastali, sulle quali è stato basato l’accertamento da parte dei tecnici comunali, la strada delle Viotte è indicata come “strada vicinale”. Le strade vicinali per loro natura costituiscono stare private (interpoderali che collegano più fondi) che possono essere di uso pubblico. Infatti l’art. 22 della legge n. 2248 del 1865 prevede che “è di proprietà dei comuni il suolo delle strade comunali” e non quindi quello delle strade vicinali.

Inoltre, ai sensi dell’art. 2 comma 6 lettera D) ultimo periodo del d.lgs. 285 del 1992, “ai fini del presente codice, le strade vicinali sono assimilate alle strade comunali”, mentre il punto n. 52 dell’art. 3 comma 1, definisce le strade vicinali come “strada vicinale (o Poderale o di Bonifica): strada privata fuori dai centri abitati ad uso pubblico”.

Sulla base di tali definizioni la giurisprudenza ha chiarito che le strade vicinali non sono necessariamente di proprietà comunali, ma sono assoggettate al regime della strade comunali al fine della regolamentazione del codice della strada, in caso di uso pubblico, il quale giustifica, per evidenti ragioni di ordine e sicurezza collettiva, la soggezione delle aree, anche private, alle norme del codice della strada, in caso di destinazione ad uso pubblico, nonostante le prime siano per definizione di proprietà privata (Cass. civ., II, 25 giugno 2008, n. 17350; Cons. Stato, Sez. V, 27 ottobre 2023, n. 9282). Inoltre, affinché un'area privata venga a far parte del demanio e assuma, quindi, la natura di strada pubblica, non è sufficiente che essa sia destinata all'uso pubblico, ma è invece necessario che sia intervenuto un atto o un fatto che ne abbia trasferito il dominio alla P.A. e che essa sia destinata all'uso pubblico dalla stessa P.A. ovvero che la strada risulti di proprietà di un ente pubblico territoriale in base a un atto o a un fatto (convenzione, espropriazione, usucapione, ecc.) idoneo a trasferire il dominio e che essa venga destinata, con una manifestazione di volontà espressa o tacita dell'ente all'uso pubblico ( Cass. civ., Sez. II, 2 febbraio 2017, n. 2795; Cons. Stato, Sez. V, 2 ottobre 2018, n. 5643). Pertanto l’indicazione catastale di strada vicinale non è idonea di per sé a fargli acquisire la destinazione all’uso pubblico, potendo al massimo costituire un elemento di prova dell’esistenza di una strada vicinale di collegamento tra i fondi, con la conseguenza che anche l’unico elemento su cui è stata basata la proprietà pubblica della strada da parte del Comune viene meno sulla base della stessa documentazione catastale ritenuta fondamentale dai tecnici comunali.

Del resto che la raffigurazione della strada vicinale nelle mappe catastali non fosse rappresentativa di una proprietà pubblica della stessa è confermata anche dalle stesse risultanze catastali - nei limiti in cui dalle indicazioni catastali si possa trarre qualche argomento di prova - in quanto i mappali nn. 575, 121 e 357 oggetto dell’accertamento comunale (come da verbale del 6 dicembre 2019) risultano intestati al signor Gasparotto - in base alle visure dallo stesso prodotte e non specificamente contestate dalla difesa comunale - mentre risultano di proprietà comunale i mappali 358, 353 355, 356 e 359 corrispondenti ad un diverso tratto della strada non occupato dai capannoni di proprietà dell’appellante.

La destinazione pubblica della strada vicinale, che la renderebbe soggetta al regime del demanio pubblico ai sensi dell’art. 825 c.c. (che riguarda i diritti reali che spettano allo Stato, alle province e ai comuni su beni appartenenti ad altri soggetti “quando i diritti stessi sono costituiti per l’utilità di alcuno dei beni indicati dagli articoli precedenti o per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono i beni medesimi”) e quindi al regime di cui all’art. 35 del Testo unico edilizia (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 22 giugno 2022, n. 5126), poi non trova conferma in alcun elemento di prova neppure in base agli atti depositati in giudizio dal Comune emergendo elementi di prova in senso contrario. La giurisprudenza consolidata della Cassazione, seguita anche da questo Consiglio, infatti, ritiene che una strada vicinale sia soggetta a servitù di uso pubblico solo in presenza di un titolo, quale una convenzione tra il proprietario e l’ente pubblico, ovvero nel caso in cui l’uso pubblico si sia protratto per il tempo necessario ai fini dell'acquisto per usucapione. Inoltre perché si costituisca per usucapione una servitù pubblica di passaggio su una strada privata, è necessario che concorrano contemporaneamente l’ uso generalizzato del passaggio da parte di una collettività indeterminata di individui, considerati uti cives in quanto portatori di un interesse generale, non essendo sufficiente neppure un'utilizzazione uti singuli, cioè finalizzata a soddisfare un personale esclusivo interesse per il più agevole accesso ad un determinato immobile di proprietà privata; l’oggettiva idoneità del bene a soddisfare il fine di pubblico interesse perseguito tramite l'esercizio della servitù; il protrarsi dell’uso per il tempo necessario all'usucapione. Una strada, dunque, rientra nella categoria delle vie vicinali pubbliche se sussistono i requisiti del passaggio esercitato “iure servitutis publicae” da una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad una comunità territoriale, della concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze di generale interesse, anche per il collegamento con la pubblica via, e dell’esistenza di un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico. Della sussistenza di tali elementi il Comune (interessato a far valere l’uso pubblico della via) deve dare idonea dimostrazione, salvo che la strada non sia inserita nell’elenco delle strade comunali, ciò rappresentando una presunzione (semplice) di appartenenza della stessa all'ente ovvero del suo uso pubblico (Cass. civ Sez. II, Ord., 24 marzo 2023, n. 8526; Sez. 6-2; 12 marzo 2021, n. 7091; Cass. Sez. 2, 2019 n. 10059; Cass. 29 novembre 2017, n. 28632; 5 luglio 2013 n. 16864; Cass., SS. UU., 16 febbraio 2017, n. 713; Cons. Stato, Sez. IV, 10 ottobre 2018, n. 5820; id., 19 marzo 2015, n. 1515; Sez. V 13 gennaio 2020, n. 275; Sez. VI, 20 giugno 2016, n. 2708). In definitiva affinché una strada possa qualificarsi come pubblica o di uso pubblico è necessario che alla base via un valido titolo di acquisto (Cons. Stato, Sez. V, 29 agosto 2023, n. 8026).

Non è poi configurabile l’assoggettamento di una strada vicinale a servitù di passaggio ad uso pubblico in relazione ad un transito sporadico ed occasionale, anche laddove essa sia adibita al transito di persone diverse dai proprietari o possa servire da collegamento con una via pubblica né l’esistenza di un diritto di uso pubblico del bene può sorgere per meri fatti concludenti, ma presuppone un titolo idoneo a tal fine. In particolare nei casi in cui la proprietà del sedime stradale non appartenga ad un soggetto pubblico, bensì ad un privato, la prova dell’esistenza di una servitù di uso pubblico non può discendere da semplici presunzioni o dal mero uso pubblico di fatto della strada, ma necessariamente presuppone un atto pubblico o privato (provvedimento amministrativo, convenzione fra proprietario ed amministrazione, testamento) o l’intervento della usucapione ventennale, fermo restando che relativamente a quest’ultimo titolo di acquisto del diritto va preliminarmente accertata la riconosciuta idoneità della strada a soddisfare esigenze di carattere pubblico (Cons. Stato, Sez. V, 16 ottobre 2017, n. 4791).

Peraltro neppure l’iscrizione di una strada nell’elenco delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico ha natura costitutiva e portata assoluta, ma riveste funzione puramente dichiarativa della pretesa del Comune, ponendo una semplice presunzione dell’uso pubblico, superabile con la prova contraria della natura della strada e dell'inesistenza di un diritto di godimento da parte di una collettività mediante un'azione negatoria di servitù. (Cons. Stato, Sez. II, 22 giugno 2022, n. 5126).

Sulla base di tali consolidati orientamenti giurisprudenziali si deve considerare che, nel caso di specie, non sussiste né è stata allegata dal Comune alcuna prova né della proprietà pubblica né della destinazione al pubblico della strada vicinale delle Viotte, ammesso che si possa ritenere ancora materialmente esistente, in relazione a quanto emerge dalle fotografie dell’Istituto geografico militare del 1976.

Nello stesso verbale di sopralluogo del 6 dicembre 2019 si richiamava la destinazione urbanistica dell’area, che risulta per i mappali 575, 121 e 357 del foglio 25 “Zona omogenea E.6.2 - ambiti di interesse agricolo zootecnico paesaggistico”; soggetta a tutela e vincolo paesaggistico ai sensi del d.lgs. 42/2004, parzialmente in Zona di rispetto del depuratore. Da tale destinazione urbanistica, indicata dal Comune, non emerge alcun riferimento relativo alla esistenza di una strada di uso pubblico né in relazione alla destinazione a viabilità comunale né alla esistenza nella pianificazione urbanistica comunale di una fascia di rispetto stradale.

Lo stesso Comune dà atto dell’esistenza di una canaletta in cemento che interseca la strada, indicata anche nell’ allegato al verbale di sopralluogo, pur sostenendo che il proprietario avrebbe avuto l’obbligo di consentire lo scavalcamento della canaletta con la realizzazione di un ponte, che però dall’epoca di costruzione della canaletta - rispetto alla quale non è stato contestato quanto dedotto dall’appellante che sia stata realizzata negli anni ’50 - non è mai stata realizzata. Se anche la canaletta è posta dopo i capannoni Gasparotto, la sua esistenza è un chiaro indice della mancanza di una destinazione all’uso pubblico della strada, non risultando null’altro tra i capannoni Gasparotto e la canaletta, per cui la strada comunque non potrebbe che arrivare solo fino alla proprietà Gasparotto.

Si tratta, dunque, di indici concreti della mancanza di un uso pubblico della strada, ulteriormente corroborati dalla vicenda della sbarra apposta dal Comune nel 2003. Se infatti lo scopo di tale sbarra era garantire la disinfezione dei mezzi, comunque ha comportato che almeno dal 2003 il transito sia stato ulteriormente limitato non risultando provato neppure che vi siano altre persone che azionino la sbarra oltre al signor Gasparotto (non essendo un univoco elemento di prova la circostanza, dedotta dal Comune, relativa al costo minimo della bolletta elettrica, che proverebbe il mancato uso dell’energia elettrica per l’azionamento della sbarra che, secondo il Comune, sarebbe sempre aperta; infatti il mancato consumo elettrico potrebbe provare che la sbarra sia sempre aperta ma anche che la stessa sia sempre chiusa, mentre il signor Gasparotto ha dedotto che la sbarra viene aperta la mattina e chiusa la sera). Peraltro nel verbale del 3 maggio 2001 era stato specificato che la sbarra doveva essere collocata sul sedime pubblico, con ciò fornendo un ulteriore elemento di prova che il tratto ulteriore della strada sia privato.

Inoltre sia la parte appellante che il Comune hanno depositato in giudizio la delibera del Consiglio comunale del 1961 con cui è stato approvato lo “stradario”, in cui per la frazione Aurava risulta tra le aree di circolazione la via Braida ai numeri civici da 1 a 3 da “via del Popolo a campagna aperta Gasparotto”; la delibera del Consiglio comunale del 25 novembre 1987, che ha classificato le strade vicinali, in cui non risulta la strada delle Viotte né risulta indicata una strada vicinale in corrispondenza di quel tratto ovvero nella prosecuzione di via Braida; la delibera del Consiglio comunale n. 15 del 26 febbraio 1998, di integrazione dell’elenco delle strade extraurbane e vicinali, che ha riclassificato le strade vicinali ad uso pubblico, le strade comunali urbane e le strade comunali extra urbane, in cui la strada compare nuovamente con la denominazione di “via Braida”, e con indicazione dei capisaldi “da via del Popolo a campagna aperta”.

Il Comune nella memoria ha poi richiamato l’art. 20, co. 1, l. 20 marzo 1865, n. 2248, per cui “gli elenchi delle strade approvati definitivamente, e di cui sarà deposta copia negli archivi della Prefettura, fanno prova in materia di strade per tutti gli effetti di ragione” confermando quindi sotto tale profilo l’irrilevanza della indicazione catastale, rispetto agli elenchi delle strade in cui non è neppure inserita la strada vicinale delle Viotte.

Peraltro sia dal piano particellare degli espropri, allegato al decreto di occupazione del 24 marzo 2000, sia dagli elaborati al progetto della sbarra collocata nel 2003, allegati al verbale di incontro del 3 maggio 2001, risulta non solo la strada “vicinale delle Viotte”, ma anche la sua parziale occupazione con uno dei manufatti realizzati nel 1978-1980.

Nel caso di specie, la mancanza dell’iscrizione nell’elenco delle strade o almeno l’incertezza circa l’uso pubblico della strada, non poteva consentire al Comune di procedere a contestare l’illegittima occupazione di una area demaniale in mancanza di qualsiasi prova in ordine alla natura pubblica del tratto di strada occupato, ammesso che il tratto fosse materialmente esistente, anche considerato che di tale presunta occupazione il Comune era comunque a conoscenza almeno dalla comunicazione del piano particellare d’esproprio del 24 marzo 2000 nonché dal 3 maggio 2001, data di approvazione concordata del progetto per la realizzazione della sbarra.

Se, infatti, il tempo, secondo la consolidata giurisprudenza, non rileva ai fini del potere di repressione degli abusi edilizi, costituisce però un elemento determinante, sotto il profilo dell’acquisto per usucapione, al fine di provare la natura pubblica della strada, che, nel caso di specie, può essere, almeno per il tratto occupato dal capannone, facilmente esclusa già solo per la stessa realizzazione dello stesso capannone risalente a circa quaranta anni prima. Ai fini degli indici della destinazione all’uso pubblico della strada rileva, infatti, la circostanza che almeno da quaranta anni non sia più avvenuto il transito lungo la parte della strada occupata dal capannone di proprietà Gasparotto; inoltre sicuramente il transito non può essere avvenuto oltre la proprietà del signor Gasparotto mancando la possibilità di attraversamento della canaletta, che, a prescindere dalla sussistenza di un obbligo di provvedere a realizzare l’attraversamento, ha reso l’attraversamento stesso comunque impossibile. Inoltre, dal 2003 il transito è stato ulteriormente limitato dalla collocazione della sbarra rimanendo non provato che vi siano altre persone oltre al signor Gasparotto che azionino la sbarra o che comunque percorrano quel tratto di strada come membri della collettività indifferenziata, non essendo neppure rilevante l’eventuale passaggio dei mezzi per il depuratore che potrebbe al limite provare una servitù di passaggio in favore del fondo su cui è ubicato il depuratore.

Ne deriva che non sussistevano i presupposti per l’esercizio dei poteri attribuiti dall’art. 35 del d.P.R. 380 del 2001 per le opere realizzate su aree pubbliche con conseguente illegittimità della diffida.

9. Ad avviso del Collegio l’illegittimità della diffida comporta l’illegittimità anche della ordinanza di demolizione del 30 giugno 2021, che deve essere annullata integralmente, in quanto basata su un presupposto di fatto inesistente ovvero l’avvenuta occupazione di aree di proprietà pubblica e la violazione delle distanze dalla strada e comunque essendo viziata da autonome carenze motivazionali.

Se, infatti, l’ordinanza di demolizione è basata, altresì, sulle difformità edilizie dovute alla realizzazione degli immobili in parte con diversa ubicazione e con dimensioni e sagoma differenti dai titoli rilasciati, una volta venuto meno il presupposto della occupazione dell’area del demanio stradale, tutti i profili contestati devono essere rivalutati dagli uffici comunali, individuando le specifiche difformità di ognuna delle opere edilizie esulanti dalla destinazione pubblica della strada e emanando un nuovo ordine di demolizione.

Infatti nel provvedimento di demolizione del 30 giugno 2021, oggetto del presente giudizio, per i capannoni del 1978 e del 1980, per la cabina e la pesa e per la tettoia del 1980, la demolizione è stata ingiunta, ai sensi dell’art. 48 della legge regionale n. 19 del 2009, che riguarda gli interventi abusivi realizzati su suoli di proprietà dello Stato o di altri enti pubblici. Anche se per i medesimi immobili la demolizione è stata ingiunta anche per le difformità rispetto ai titoli edilizi (che consistono nella realizzazione con dimensioni minori e diversa ubicazione per i capannoni del 1978 e del 1980, per i quali è stata altresì ordinata la demolizione in quanto realizzati in parziale difformità), in ogni caso sussiste una stretta connessione degli abusi rilevati rispetto al presupposto dell’occupazione della strada e della violazione delle distanze con la necessità che devono essere specificamente rivalutati i soli aspetti di difformità edilizia tuttora rilevanti, sui quali potrebbe anche influire la disciplina sopravvenuta del d.l. 29 maggio 2024, n. 69.

Comunque il provvedimento di demolizione impugnato individua le difformità edilizie per le singole opere, ma con una confusione di piani e aspetti, che non rendono intellegibili i presupposti per la qualificazione dell’abuso né i singoli poteri esercitati rispetto alle differenti opere.

In particolare anche per le opere realizzate successivamente, in base ai titoli edilizi del 1989 e alla DIA del 2014, per le quali sono state accertate alcune difformità non è chiaramente individuata la qualificazione dell’abuso. Con riguardo al capannone realizzato a seguito della concessione edilizia del 1989, per cui sono state accertate le diverse dimensioni del manufatto realizzato inoltre con diversa sagoma (minore superficie e maggiore altezza), ai fini della qualificazione dell’abuso, nel verbale di sopralluogo del 6 dicembre 2019 si indica la parziale difformità del titolo, mentre nel provvedimento di demolizione del 30 giugno 2021 si qualifica l’abuso come realizzato con variazioni essenziali ( quindi difformità totale), tanto che si ingiunge la demolizione ai sensi dell’art. 45 della legge regionale (analogo all’art. 31 del D.P.R. 380 del 2001) preannunciando l’acquisizione (dell’immobile e dell’area di sedime nonché dell’area ulteriore secondo le prescrizioni urbanistiche). Analogamente per la tettoia realizzata con DIA del 2014, per cui la difformità consiste nella diversa altezza, ai fini della qualificazione dell’abuso, nel verbale di sopralluogo del 6 dicembre 2019 si indica la parziale difformità del titolo, mentre nel provvedimento di demolizione del 30 giugno 2021 si qualifica come variazione essenziale, anche se poi si ingiunge la demolizione per le difformità dalla SCIA.

Non è quindi chiarito quale valutazione abbia compiuto il Comune per qualificare gli abusi come parziali difformità o come variazioni essenziali da cui deriverebbe inoltre l’acquisizione dell’area al patrimonio comunale.

Con riguardo al vincolo paesaggistico non è stato in alcun atto indicato quale sia il vincolo apposto all’area e la data di entrata in vigore, essendo contenuto sia nel verbale di sopralluogo del 6 dicembre 2019 che nel provvedimento di demolizione del 30 giugno 2021 solo il generico riferimento al d.lgs. 42 del 22 gennaio 2004, richiamato, inoltre, espressamente ma sempre in modo generico, anche per le opere eseguite prima della sua apposizione (epoca non specificamente individuata).

In particolare, per il capannone di cui alla concessione del 1989, di cui è stata indicata la mancanza di autorizzazione paesaggistica, non è stato specificato in base a quale previsione vincolistica l’autorizzazione sarebbe stata necessaria al tempo della realizzazione.

Il Comune poi da una parte ha contestato la mancanza del titolo paesaggistico o la realizzazione in difformità dallo stesso solo per gli immobili realizzati a seguito dei titoli rilasciati nel 1989 e nel 2014, dall’altra ha indicato una generica violazione paesaggistica anche con riguardo ai vincoli sopravvenuti (come se dovessero essere valutati ai fini della domanda di sanatoria), con una valutazione che esula invece dal provvedimento di demolizione. Ne deriva un’evidente carenza di motivazione da cui deriva la illegittimità del provvedimento di demolizione anche con riguardo a tali ulteriori profili.

10. In conclusione entrambi gli appelli sono fondati e devono essere accolti, e, in riforma delle sentenze impugnate, devono essere accolti i ricorsi di primo grado, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione, con riguardo alle eventuali difformità edilizie rispetto ai titoli rilasciati.

11. In considerazione della complessità della controversia le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando, riunisce gli appelli, come in epigrafe proposti, li accoglie e per l’effetto, in riforma delle sentenze impugnate, accoglie i ricorsi di primo grado.

Spese del doppio grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 con l’intervento dei magistrati:

Antonella Manzione, Presidente FF

Cecilia Altavista, Consigliere, Estensore

Carmelina Addesso, Consigliere

Stefano Filippini, Consigliere

Valerio Valenti, Consigliere