Il vincolo paesistico dei corsi d’acqua :  deroghe, aspetti urbanistici, urbanizzazione di fatto, limitazione all’esclusione, irrilevanza dei corsi d’acqua minori

di Antonio VERDEROSA

Il vincolo paesistico dei corsi d’acqua : Deroghe, aspetti urbanistici, URBANIZZAZIONE DI FATTO, LIMITAZIONE ALL’ESCLUSIONE, irrilevanza dei corsi d’acqua minori.

 

1. Il vincolo paesistico ambientale.

La parte terza del Dec. Lgs. 42/04 disciplina al Capo II^, l’individuazione dei beni paesaggistici. Secondo il disposto normativo oggi vigente detti beni sono scindibili in due macrocategorie in relazione alle modalità con cui è imposto il vincolo relativo:

  1. beni direttamente individuati mediante dichiarazione di notevole interesse pubblico;

  2. beni individuati ex lege.

Questi ultimi scaturiscono dall’applicazione del 1° comma dell’articolo 142 del vigente Dec. Lgs. 42/04 che ripetendo l’individuazione operata dall’ex Legge Galasso (L. 431 del 08.08.1985), include nel novero dei beni oggetti di tutela paesaggistica, oltre quelli individuati specificatamente secondo le modalità previste dalla L. 1497/39,ampie porzioni del territorio nazionale definite quali beni diffusi vincolati ex lege. L’art. 142 non fa altro che riprodurre pedissequamente le definzioni dei beni paesaggistici individuati con il D.L. n°312 del 27.06.1985 (che introdusse il comma 5 all’art. 82. del D.P.R. n. 616/1977) e recepiti interamente dalla L. n°431 del 08.08.1985 “Conversione in legge con modificazioni del decreto legge 27 giugno 1985, n. 312 concernente disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale”

Tale norma individuò precisamente le aree sottoposte a tutela paesaggistica e poi stabilì le procedure da seguire per le autorizzazioni di cui all'art. 7 della legge 29.6.1939, n. 1497. Tra le aree vincolate rientrano li fiumi, i torrenti e le acque pubbliche iscritte nel T.U. 1775/33 per 150,00 ml dalle sponde.

 

2. Le acque pubbliche.

E’ necessario soffermarsi sulle disposizioni normative che disciplinano le acque pubbliche ed in particolare l’art. 1 comma 1 del R.D. n. 1775 del 11.12.1933 (rubricato “Approvazione del testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e sugli impianti elettrici”) che definiva come pubbliche: “… Tutte le acque sorgenti fluenti e lacuali, anche se artificialmente estratte dal suolo, sistemate o incrementate, le quali considerate sia isolatamente per la loro portata o per l’ampiezza del rispettivo bacino imbrifero, sia in relazione al sistema idrografico al quale appartengono, abbiano o acquistino attitudine ad usi di pubblico generale interesse …”

Il secondo comma del medesimo articolo prevedeva l’iscrizione delle acque pubbliche “… A cura del Ministero dei lavori pubblici, distintamente per province in elenchi da approvarsi per decreto reale, su proposta del Ministero dei lavori Pubblici, previa la procedura da esperirsi nei modi indicati dal Regolamento …”

In sostanza in base al RD n°1775/1933, affinché potessi parlarsi di acque pubbliche, discende dal requisito sostanziale di avere attitudine ad uso di pubblico interesse generale, mentre la iscrizione in elenco ha una portata solo dichiarativa e ricognitiva, ma non costitutiva della pubblicità.

Gli elementi rilevanti indicati dal medesimo Regio Decreto, per accertare la possibilità di utilizzazione pubblica dei corsi d’acqua erano quelli della portata delle acque, dell’ampiezza del bacino imbrifero e del sistema idrografico al quale appartenevano.

Anche l’art. 822 cod. civ. nell’individuare il demanio pubblico, considera beni demaniali <<i fiumi, i torrenti e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia>>. Da tale disamina si evince che fiumi e torrenti sono considerati beni pubblici demaniali di per sé, senza necessità alcuna di inserzione costitutiva in elenchi.

Le altre acque fluenti, che hanno minore importanza e che sono una

categoria residuale, sono pubbliche se abbiano attitudine ad uso pubblico di interesse generale.

Dal significato proprio delle parole nella lingua italiana, si apprende, infatti, che:

il <<corso d’acqua>> indica semplicemente <<lo scorrere delle acque in movimento>>, ed è il <<nome generico di fiumi, torrenti, etc..>>;

il <<fiume>> è un <<corso d’acqua a corrente perenne>>;

mentre il <<torrente>> è un <<corso d’acqua caratterizzato da notevoli variazioni di regime, con periodi in cui scorre gonfio e impetuoso ed altri in cui è quasi completamente secco>>.

Se, dunque, anche i fiumi e i torrenti sono corsi d’acqua, ci si deve interrogare sulla ragione di una loro autonoma previsione accanto ai corsi d’acqua: sarebbe stato sufficiente, da parte del legislatore, prevedere i soli corsi d’acqua, salvo poi ad optare per la necessità o meno della iscrizione nell’elenco delle acque pubbliche.

La previsione autonoma assume allora una sola, plausibile spiegazione: si è pensato ai fiumi e ai torrenti come acque fluenti di maggiore importanza, e ai corsi d’acqua come categoria residuale, comprensiva delle acque fluenti di minore portata (p. es. ruscelli (<<piccolo corso d’acqua>>), fiumicelli (<<piccolo fiume>>), sorgenti (<<punto di affioramento di una falda d’acqua>>), fiumare (<<corso d’acqua a carattere torrentizio>>), etc..).

In tale logica, solo per le acque fluenti di minori dimensioni e importanza, vale a dire per i corsi d’acqua che non sono né fiumi né torrenti, si impone, al fine della loro rilevanza paesaggistica, la iscrizione negli elenchi delle acque pubbliche.

 

L’art. 1 del RD 1775/1933 è stato abrogato, con conseguente soppressione degli elenchi delle acque pubbliche, dal DPR n°238/1999 (rubricato “Regolamento recante norme per l’attuazione di talune disposizioni della L. 5 gennaio 1994 n°36”) che, all’art. 1, da una definizione generale del demanio idrico prevedendo che “… appartengono allo Stato e fanno parte del demanio idrico tutte le acque sotterranee e le acque superficiali anche raccolte in invasi e cisterne …”.

Successivamente, l’art. 144 del D. lgs. 03.04.2006, n°152, rubricato “Norme in materia ambientale” ha ribadito, al primo comma, che “… Tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, appartengono allo Stato …”

Le richiamate definizioni non fanno più riferimento alle caratteristiche delle acque pubbliche definite dall’art. 1 del R.D. n°1775/1933, non richiedendo più che esse, per la loro portata o per l’ampiezza del loro bacino imbrifero, abbiano o acquistino attitudine ad usi di pubblico interesse.

E’, però, altrettanto vero che l’art. 144 del D. lgs. 152/2006, al secondo comma, ha previsto che “… le acque costituiscono una risorsa che va tutelata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà; qualsiasi loro uso è effettuato salvaguardando le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale...”. La stessa indicazione veniva fornita dalla legge n. 36/1994 (abrogante gli elenchi del R.D. n. 1775/1933) tutte le acque fluenti (compreso le sorgenti) sono state dichiarate pubbliche.

Il concetto è stato più volte ribadito dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. TAR Piemonte, n. 1732/2007; TAR Lombardia, BS, n. 1771/2012; TAR Toscana, n. 1749/2012).

Di conseguenza con l’entrata in vigore del DPR 238/2009, giuridicamente tutte le acque indipendentemente se sotterranee o superficiali sono definite pubbliche e assoggettate a tutela .

In passato invece, la iscrizione derivava dalle caratteristiche dell’asta fluviale e dalle sue attitudini a soddisfare un uso pubblico quale l’appartenenza ad un grosso bacino imbrifero o reticolo idrografico , tale da concorrere, con altri corsi d’acqua a formare un coordinato sistema circolatorio delle acque o a partecipare, per un suo apporto ad un determinato bacino idrico.

In ossequio a tale lettura, come precisato anche da molteplici e recenti sentenze in tal senso della Corte Suprema di Cassazione, la certezza circa la sussistenza del vincolo potrebbe ottenersi semplicemente verificando, mediante lettura degli elenchi summenzionati, custoditi e gestiti, per ogni provincia del Genio Civile, l’inserimento o meno del corso d’acqua oggetto di interesse.

Sul punto la giustizia penale, con sentenza della Corte Suprema di Cassazione, III Sez. penale, n°1091/98, si è espressa nel senso di dovere: “… escludersi che il vincolo vigente per le acque fluenti specificate nell’art. 1 della cd. Legge Galasso (oggi trasposta nell’art. 142 del Dec. Lgs. 42/04) possa operare anche per le acque pubbliche non iscritte negli elenchi provinciali di cui al RD. N°1775/33 …”.

Tale orientamento è stato confermato con le più recenti Sentenze n°4001/2000 e 44275/2005, sempre della Suprema Corte di cassazione.

Ai fini della sussistenza del vincolo è opportuno verificare la natura del corso d’acqua e soprattutto la destinazione di zona alla data del 06.09.1985.



3. Profili generali sull’operatività del vincolo paesistico e casi di esclusione.

L'art. 142 del Codice dei beni culturali e del paesaggio individua le aree vincolate direttamente dalla legge in ragione del loro valore ambientale e geografico e, quindi, senza bisogno di un qualche atto di tipo amministrativo. Il vincolo ape legis in discorso non impone l'assoluta immodificabilità delle aree su cui incombe, ma il necessario espletamento della preventiva procedura di autorizzazione da parte dell'Autorità competente.

Tutte le zone che possono riqualificarsi come di "ricomposizione spaziale", ovvero tutte quelle zone vocate, secondo le espresse previsioni pianificatorie, a significative manipolazioni urbanistiche ed edilizie, in quanto fortemente compromesse e bisognevoli di interventi di riqualificazione urbana, a differenza delle aree di tipo omogeneo "A" e "B" di cui al D. M. n. 1444 del 1968, che presentano un assetto stabile sul piano urbanistico, devono necessariamente essere sottoposte alla preventiva autorizzazione dell'autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico in conformità a quanto disposto dall'art. 142, comma 1, del d.lgs. n. 42 del 2004 che reitera le previsioni contenute nella legge n. 431 del 1985. Cons. Stato, sez. VI, 13 aprile 2010, n. 2056.

 

4. Natura giuridica delle disposizioni contenute nell'art. 142. Giurisprudenza consolidata.

Le previsioni dell'art. 142 del D.Lgs. n. 42 del 2004, nella materia della protezione paesistica, hanno valore di disposizioni inderogabili adottate dallo Stato nell'ambito della legislazione di sua competenza esclusiva, ai sensi dell'art. 117, comma 2, lettera a), della Costituzione,come conferma l'indicazione dell'ari 2 del d.lgs. stesso, che include nella definizione generale di beni paesistici «gli immobili e le aree indicati dall'art. 134», che, a sua volta,fa espressa menzione (lettera b) delle «aree indicate dall'art. 142». Tale qualificazione implica che altri beni siano obbligatoriamente soggetti a tutela in forme che i Piani regionali potranno disciplinare in concreto, secondo i contenuti dell'art. 143 del d.lgs. in parola, senza però giungere ad escludere la necessità dell'autorizzazione che di tale tutela è il momento ineludibile. Cons. Stato, sez. VI, 27 aprile 2006, n. 2381, Foro amm. CDS, 2006, 4, 1269.

 

5. Natura giuridica delle disposizioni contenute nell'art. 142. Orientamento della Corte Costituzionale e giurisprudenza consolidata.

La Corte Costituzionale con Sentenza n. 66 del 23 marzo 2012, ha ritenuto illegittimo, per violazione dell'articolo 117, secondo comma, lettera s), l'art. 12 della L. R. 26 maggio 2011, n. 10 della Regione Veneto (Modifiche alla legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 "Norme per il governo del territorio" in materia di paesaggio), che nell'introdurre l'art. 45-decies nella legge regionale n. 11 del 2004, operava una modifica sostanziale del regime delle esclusioni dalla tutela prevista dalla norma statale, ritenendola di stretta interpretazione senza possibilità di assimilazioni.

Infatti, la norma introdotta nella Regione Veneto censurata dalla Consulta, consentiva nei Comuni , che alla data del 6 settembre 1985, erano dotali di strumenti urbanistici generali contenenti denominazioni di zone territoriali omogenee non coincidenti con quelle indicate nel D. M. 2 aprile 1968, n. 1444, assimilazioni alle aree escluse dalla tutela ai sensi dell'art. 142, comma 2, del codice dei beni culturali, d.lgs. n. 42 del 2004 (ovvero le aree delimitale negli strumenti urbanistici, ai sensi del citato decreto ministeriale, come zone territoriali omogenee A e B), anche quelle aree, comprese in zone urbanizzate, con le caratteristiche insediative e funzionali delle zone A e B, in tal modo operando una modifica sostanziale del regime delle esclusioni dalla tutela prevista dalla norma statole, che è di stretta interpretazione, rispetto alla quale la legislazione regionale può solo fungere da strumento di ampliamento del livello della tutela del bene protetto e non all'inverso, come nel caso in esame – quale espediente dichiaratamente volto ad introdurre una restrizione dell'ambito della tutela, attraverso l'incremento della tipologia delle aree cui il regime vincolistico non si applica. Corte cast., 23 marzo 2012, n, 661, Foro It, 2012, 7-8, 1,1989.

La mancata indicazione, all'interno del Piano e con riferimento ai<<terriitori costruiti>>, del vincolo relativo a dette aree ex art. 142, può configurare una lacuna o una dimenticanza che non condiziona la vigenza della qualificazione e del regime che essa richiama, onde la necessità di autorizzazione, e non tanto per il principio di gerarchia delle fonti, quanto per quello «di competenza» delle fonti medesime, in base al quale la Regione non può legiferare o normare in contrarietà alle disposizioni della legislazione statole, essendo tale area di interessi riservati appunto allo Stato e preclusi alla sua competenza. Cons. Stato, sez. VI, 27 aprile 2006, n. 2381, Foro amm. CDS, 2006, 4, 1269.

L'articolo 142 del d.lgs. n. 42 del 2004 include trai beni di interesse paesaggistico «i fiumi, i torrenti e i corsi d'acqua iscritti negli elenchi previsti dal testo unico» di cui al r.d. n. 1775 del 1933: il requisito della iscrizione si riferisce solo ai corsi d'acqua diversi dai fiumi e dai torrenti, i quali sono quindi vincolati ex se a prescindere da tale iscrizione, in quanto acque fluenti di maggiore importanza: tanto ciò vero che fiumi e torrenti sono beni pubblici demaniali senza necessità di iscrizione. T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 18 luglio 2008, n. 2172, Ambiente e sviluppo, 2009, 2, 178.

 

6. Aree escluse e deroghe alla sussistenza del vincolo.

 

6.1. Aree che alla data del 6 settembre 1985 erano delimitate negli strumenti urbanistici ai sensi del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, come zone territoriali omogenee A e B. Giurisprudenza consolidata.

Il regime derogatorio posto dall'art. 142, 2 comma, del Dec. Lgs. 42/04 si deve fondare sul presupposto dell'esistenza di un duplice requisito:

- la vigenza di uno strumento urbanistico (P.R.G.);

- l'essere la zona ricompresa in zona A, B o in un programma pluriennale di attuazione (P.P.A.) le cui previsioni siano state concretamente realizzate.

La giurisprudenza maggioritaria penale rileva che “(…) L'esclusione del vincolo paesaggistico è limitato sul piano temporale e non va esteso oltre le previsioni letterali di legge, sicché le zone di espansione edilizia di cui agli strumenti urbanistici comunali, ancorché parzialmente edificate sono soggette a controllo paesaggistico, per le ulteriori modificazioni, qualora non siano state incluse in un programma pluriennale di attuazione vigente al momento dell'entrata in vigore della Legge Galasso (…)” -Cass. Penale, Sezione III 29 gennaio 2001, n°11716 Estensore Fiale-

Quindi, il legislatore, con la norma citata, dopo avere indicato le zone vincolate -art. 142 comma 1 tra cui alla lettera c … i fiumi, i torrenti, i corsi d'acqua iscritti negli elenchi previsti dal testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative sponde o piedi degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna … escludeva l'operatività del vincolo legale per tutte le aree che alla data del 06.09.1985 (di entrata in vigore della "legge Galasso", pubblicata nella G.U. del 22-8-1985) si trovassero in determinate condizioni.

Quindi al 06.09.1985 bisogna far riferimento per capire se una zona è inclusa nelle aree A e B che determinano la insussistenza del vincolo.

La norma – in maniera del tutto chiara ed inequivoca – non fa alcun riferimento all’inclusione in zona A e B degli strumenti urbanistici adottati-approvati successivamente alla data del 06.09.1985.

L'art. 142, D. Lgs. n. 42 del 2004 per quanto concerne il vincolo di natura paesaggistica, esclude dalla tutela ex lege le aree che, alla data del 6 agosto 1985, erano delimitate negli strumenti urbanistici come zone A. Ogni altro vincolo di natura paesaggistica richiede, invece, che il bene tutelato venga individuato a seguito dell'apposito procedimento di cui agli artt. 138 e seguenti, ovvero in sede di redazione dei piani paesaggistici; in mancanza di tale individuazione non può ritenersi sussistente alcun vincolo. (T.A.R. Puglia, Bari, sez. II, 23 maggio 2011, n. 754, Foro amm. T.A.R., 20^7,5, 1712).

 

E’ chiaro che l’art. 142 del Dec. Lgs. 42/04 esclude il vincolo nelle zone A e B (territorio costruito alla data del 06.09.1985), previste come tali, negli strumenti urbanistici vigenti anteriormente al 06.09.1985 e nel perimetro urbano identificato ai sensi dell’art. 18 della L. 865/71 nei comuni sprovvisti di strumenti urbanistici. Si rimarca la circostanza che i Comuni che a quella data erano dotati di strumento urbanistico per cui le cause di esclusione sono annoverabili solo nelle ipotesi di ricadere nelle zone A e B e non anche a quelle aree che seppur urbanizzate e con caratteristiche insediative e funzionali delle zone A e B in tal modo operando una modifica sostanziale del regime delle esclusioni dalla tutela prevista dalla norma statale, che è di stretta interpretazione, rispetto alla quale non si può ricorrere ad espedienti dichiaratamente volti ad introdurre una restrizione dell’ambito della tutela, attraverso l’incremento della tipologia delle aree cui il regime vincolistico non si applica -Corte Cost. 23 marzo 2012 n66, in “Urbanistica e Governo del Territorio” a cura di R. Giovagnoli, S. Morelli ed. Giuffrè -. La deroga non può estendersi a tutte le aree di fatto urbanizzate alla data di riferimento del 06.09.1985 . Gia si è tuttavia osservato come non si possa integrare o interpretare estensivamente una deroga. Per poter dare rilievo ad un’urbanizzazione di fatto la legge avrebbe dovuto contemplare una quarta ipotesi derogatoria, diversa dalle sole tre previste, che desse rilievo all’urbanizzazione indipendentemente dalla presenza delle specifiche previsioni urbanistiche indicate (cfr., sull’irrilevanza dell’urbanizzazione di fatto, -Consiglio di Stato, sez VI, 18 dicembre 2001 , n. 657 -

Neppure si può fare riferimento alla zonizzazione urbanistica esistente ad una data successiva a quella di riferimento.

6.2. Aree che alla data del 6 settembre 1985 erano delimitate negli strumenti urbanistici ai sensi del d.m. 2 aprile 1968,n. 1444, come zone territoriali omogenee diverse dalle zone A e B, limitatamente alle parti di esse ricomprese in piani pluriennali di attuazione, a condizione che le relative previsioni siano state concretamente realizzate. Giurisprudenza consolidata.

La formulazione vigente dell'art. 142, comma 2, del D.L. 42/2004, non lascia dubbi circa il suo significato ne ad interpretazioni vaga circa la insussistenza del vincolo in determinate aree.

Il vincolo della zona di rispetto da un corso d’acqua pubblico non è un vincolo di P.R.G., ma, in quanto posto dall’art. 142 del D.lgs 42/2004 (ed in precedenza dalla legge 431/85 e D.lgs 490/99), è operativo ope legis, con la conseguenza che esso si impone anche contro eventuali previsioni contrarie di P.R.G. o regolamenti locali e, per altro verso, la sua eventuale indicazione grafica negli strumenti urbanistici non ha carattere costitutivo ma semplicemente ricognitivo: sicché la sua mancata indicazione nel P.R.G. non significa che il vincolo non esista, bensì che la sua estensione è esattamente quella, di 150,00 metri, stabilita dall’art. 142 del DLgs 42/2004.

Con l'art. 142 del d.lgs. n. 42 del 2004 si è intervenuti sulla norma derogatoria al vincolo paesaggistico di cui all'art. 1, comma 2, della L. n. 431 del 1985, al fine di non vanificare una penetrante tutela paesaggistica ed ambientale.

Suddetta norma ha chiarito che condizione per l'applicabilità della deroga è la concreta realizzazione, nel singolo caso, delle previsioni dei P.P.A. Ne consegue che deve intendersi definitivamente preclusa qualsiasi iniziativa edificatoria in aree soggette a vincoli di natura paesaggistica che non presentino tale condizione, risultando inapplicabili criteri diversi da quelli discendenti dalla norme in vigore. Cons. Stato, sez. IV, 5 marzo 2008, n. 926

La giurisprudenza ha sentenziato che “… l’esclusione dal vincolo paesaggistico generale (concernente cioè talune categorie di beni, quali territori costieri contermini a laghi, fiumi, torrenti ecc.) per le zone diverse dalla “A” e dalla “B”, e limitatamente a quelle aree individuate in piani pluriennali di attuazione, ha carattere eccezionale ed è di stretta interpretazione. Ne deriva che non rientra in detta esclusione il progetto di lottizzazione approvato, trattandosi di strumento urbanistico di diversa natura giuridica e comunque non sostituivo del menzionato piano di attuazione …” -Cass. Pen., sez. III, 19 luglio 1993, n. 1512-

Peraltro, sempre nell’ottica di limitare l’operatività delle esclusioni, si è pure affermato che la suddetta deroga deve essere riferita a “… piani pluriennali di attuazione le cui previsioni siano ancora operanti e che rivestano in termini di attualità il loro carattere di disciplina conformativa del territorio, al momento in cui la richiesta di autorizzazione edificatoria viene compiuta e debba quindi essere rilasciata. Una diversa interpretazione contrasterebbe con la ratio della norma che è quella di salvaguardare la positiva realizzabilità di quell’assetto territoriale che era oggetto delle previsioni del P.P.A., consentendone l’ultimazione (indipendentemente dal fatto che le opere di realizzazione siano state già intraprese e che quindi al presupposta autorizzazione sia stata rilasciata) ma sempre e comunque all’interno dell’ambito temporale di vigenza del piano stesso …” -Consiglio di Stato, sez VI, 2 ottobre 2007, n. 5072-

In ultimo al fine di non permettere ulteriori compromissioni del territorio paesagisticamente vincolato la giurisprudenza amministrativa si è orientata a ritenere che : “…..La circostanza che la zona sia prevalentemente urbanizzata, o addirittura già paesisticamente degradata, non fa venir meno la esigenza di evitare che una zona soggetta per legge a vincolo sia preservata da ulteriori interventi deturpanti. Il vincolo paesistico legale e la esigenza di tutela ad esso sottesa non vengono meno per il solo fatto che il vincolo è stato già in passato violato e la zona deturpata, imponendosi, al contrario, un maggiore rigore per il futuro, onde prevenire ulteriori danni all’ambiente e salvaguardare quel poco di integro che ancora residua. Né il carattere <<massiccio>> dell’intervento è smentito, come pretende parte appellante, dalla circostanza che l’opera si mantiene entro gli indici di edificabilità prescritti per l’edilizia scolastica. Il rispetto di tali indici non toglie, comunque, che si tratta della realizzazione di un’opera di ingente mole e cubatura (non un’abitazione monofamiliare, bensì un complesso scolastico), e che il rispetto degli indici di edificabilità attiene alla compatibilità urbanistica dell’intervento, ma non anche – e non ancora – alla compatibilità ambientale. In definitiva, il rispetto degli indici di edificabilità rileva per verificare se l’opera sia conforme alla disciplina urbanistica – edilizia, ma non è condizione sufficiente a garantire anche il rispetto del paesaggio, ancorato a valutazioni qualitative caso per caso che prescindono dall’utilizzo di indici quantitativi predeterminati….” Consiglio di Stato, sez VI, del 18 dicembre 2002 , n. 657-

In alcuni casi viene presentato lo scenario consistente nel ritenere possibile alla luce di interpretazione estensiva dell’art. 142, comma 2 del Codice l’assimilazione alle zona A e B espressamente qualificate come tali dagli strumenti urbanistici vigenti alla data del 06.09.1985, delle porzioni territoriali che, pur avendo alla data di entrata in vigore della legge Galasso una diversa destinazione, presentassero tuttavia una densità edilizia rispondente ai parametri normativamente stabiliti con riferimento ai centri storici ed alle aree di completamento assimilandole tra di loro.

In realtà il C. di S. con sentenza n°2056/2010 ha sancito che …..le eccezioni alla regola generale (la disapplicazione del regime vincolistico) vanno sempre interpretate restrittivamente ( dato che nel dubbio prevale la regola e non l’eccezione), e considerato che l’area oggetto dell’intervento non era stata qualificata come zona omogenea di tipo <B> ( né tantomeno come zona <A>) dallo strumento urbanistico del Comune vigente al 6 settembre 1985 ( data prevista dalla legge quale discrimen temporale per l’applicazione del regime derogatorio), né rientrava – sempre a tale data - in un piano di attuazione le cui previsioni fossero già state realizzate ( ipotesi derogatoria di cui alla lett. b) del medesimo art. 142, 2° comma). Di qui la pacifica assoggettabilità delle zone di ricomposizione spaziale al regime vincolistico imposto dalla normativa a protezione del paesaggio, risultando , ardita e al postutto non consentita ogni operazione ermeneutica volta ad attrarre ( in via estensiva o analogica) le aree di ricomposizione spaziale in una diversa categoria normativa…….

 

In conclusione, si ritiene anzitutto di dover richiamare I'attenzione sulla circostanza che, alla luce della giurisprudenza del giudice amministrativo, penale e della Corte costituzionale, deve ritenersi impraticabile, in via generale e in qualsivoglia contesto territoriale, ogni interpretazione volta a operare indebite "assimilazioni" di porzioni territoriali alle aree per Ie quali le puntuali e tassative indicazioni dell'articolo 142, comma 2, del Codice escludono l’operatività del regime di tutela.

 

 

6.3. Aree che alla data del 6 settembre 1985, nei comuni sprovvisti di tali strumenti, ricadevano nei centri edificati perimetrati ai sensi dell'articolo 18 della legge 22 ottobre 1971, n. 865. Giurisprudenza consolidata.

La condizione di zona inclusa nel centro edificato -così come perimetrato ai sensi dell’art. 18 della L. 865/71 - alla data del 06.09.1985 non può determinare l’insussistenza del vincolo paesistico-ambientale in quei comuni all’epoca (1985) dotati di strumento urbanistico.

In conseguenza di ciò, l’area doveva essere necessariamente classificata A (centro storico) o B (edificata satura o di completamento) o – in alternativa – ricadere nell’ambito di piani pluriennali di attuazione le cui relative previsioni erano state concretamente realizzate .

La condizione di esclusione del vincolo è limitata a quelle aree che ricadevano nel centro edificato perimetrato ai sensi dell'articolo 18 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 alla data del 06.09.1958 nei comuni sprovvisti strumenti urbanistici, e questo.

In ogni caso la vigenza del vincolo deve essere sempre riferita alla strumentazione urbanistica vigente alla data del 06.09.1985.

L'esclusione dell'operatività del vincolo paesaggistico per le aree rientranti nella previsione dell'art. 142, comma secondo, lett. e) del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, riguarda esclusivamente quelle aree che, nei comuni sprovvisti di strumenti urbanistici, alla data del 6 settembre 1985 ricadevano nei centri edificali perimetrali ai sensi dell'art. 18 della 1. 22 ottobre 1971, n. 865 (cosiddetti «territori costruiti»), con conseguente divieto per le amministrazioni comunali di ampliare detta disciplina derogatoria ricomprendendovi anche zone non edificate. (Nella specie la Corte ha ritenuto integrato il reato paesaggistico, nonostante il rilascio da parte del Comune di permessi di costruire in assenza dell’autorizzazione paesaggistica, necessaria trattandosi di territorio non costruito). Cass. Pen., sez. III, 8 giugno 2010, n. 27261, CED.

 

7. Vincolo ope legis e di PRG.

Per costante giurisprudenza, qualora vi sia un contrasto tra le indicazioni grafiche del piano regolatore generale e le prescrizioni normative, siano queste ultime a prevalere, in quanto in sede di interpretazione degli strumenti urbanistici le risultanze grafiche possono solo chiarire e completare quanto è normativamente stabilito nel testo, ma non possono sovrapporsi o negare quanto risulta da questo. Dunque, nel contrasto tra normativa e segno grafico, occorre dare prevalenza alla prima (Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 2158, del 18 aprile 2013).

La norma, è in linea con la interpretazione fornita dalla Circolare n°3 del 31/08/1985 “Applicazione della L. 8 agosto 1985, n. 431 (Tutela delle zone di particolare interesse ambientale)” Gazzetta Ufficiale del 12/11/1985, n°266 – secondo cui: “(…)Tali vincoli agiscono ope legis e, pertanto, non richiedono nessun provvedimento amministrativo di notifica del l'interesse ipso iure tutelato e non possono essere modificati a differenza di quelli imposti con provvedimenti amministrativi sia dello Stato che delle regioni, i quali possono essere annullati o modificati ai sensi dell'art. 14 del regolamento di attuazione della legge n. 1497/39 e con le limitazioni disposte dal terzo comma dell'art. 82 del D.P.R. n. 616/77. Tanto non esime tuttavia dalla loro definizione sul territorio, essendo la elencazione fattane dal legislatore per necessità generica.(…)”.

Nei medesimi termini si è espresso, anche di recente, il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 413/2012, il quale ha sentenziato che : “(…) Sul punto, è per vero destituita di fondamento la pretesa del Comune di Rivarolo Canavese contestare la stessa esistenza del vincolo siccome non indicato nelle tavole allegate al P.R.G. comunale: infatti, nella specie trattasi di vincolo ex lege discendente dall’inserimento dell’area entro i 150 metri da un corso d’acqua costituente acqua pubblica ai sensi dell’art. 142, comma 1, lettera c), d.lgs. nr. 42 del 2004, per il quale le esigenze di tutela paesaggistica sono presunte dal legislatore e possono, al più, essere escluse dall’amministrazione interessata con una dichiarazione di irrilevanza ex art. 142, comma 3, del medesimo decreto, ciò che non risulta avvenuto nel caso di specie. (…)”.

La medesima Circolare riporta che: (…) Non sono sottoposte al vincolo di cui all'art. 1 le zone A, B, e - limitatamente, alle parti comprese nei piani pluriennali di attuazione - le altre zone come delimitate negli strumenti urbanistici e, per i comuni sprovvisti di tali strumenti, i centri edificati perimetrati. Restano cioè, escluse dall'applicazione del suddetto art. 1 e, quindi non sono assoggettate a vincolo paesaggistico le zone omogenee A e B come delimitate dagli strumenti urbanistici ai sensi del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 e, in mancanza di tali strumenti, i centri edificaci perimetrati ai sensi dell'art. 18 della L. 22 ottobre 1971, n. 865, mentre sono comprese nell'ambito di efficacia del vincolo le aree non incluse nei piani pluriennali anche per quei comuni non tenuti a dotarsi di tali piani. Ciò comporta che, anche gli interventi edilizi consentiti in dette aree, ai sensi del l'art. 6, terzo comma, della legge n. 94 del 25 marzo 1982, sono sottoposti a regime della legge n. 431 in questione e perciò l'edificabilità è subordinata al sistema autorizzatorio vigente (…)”

Sempre il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 657/2002, ha chiarito che il legislatore statale ha attribuito alle Regioni il potere di svincolare paesagisticamente solo i corsi d’acqua classificati pubblici diversi da fiumi e torrenti, in quanto quest’ultimi sono pubblici ex lege e non abbisognano, quindi, di un provvedimento di riconoscimento della pubblicità.

Tale interpretazione è stata condivisa anche dalla Suprema Corte di Cassazione penale, Sez. III, con la sentenza n. 29733/2013.

In ultimo, la Suprema Corte di Cassazione con la recentissima Sentenza n°6629 del 07.01.2014 pubblicata in data 12.02.2014 ha rilevato che “… riguardo alla violazione dell'art. 142, lettera c), del D. lgs n. 42 del 2004, a fronte di una documentazione pubblica da cui risulta la natura di acqua pubblica della zona, e come tale, pertanto, tutelata, non vi è la necessità di svolgere ulteriori accertamenti a dimostrazione di siffatta natura …”.

8. IRRILEVANZA (art. 142 c. 3 del D. lgs. 42/04).

L’art. 142 1 comma lett. C del D.Lgs. n. 42 del 2004, va interpretato nel senso che solo per le acque fluenti di minori dimensioni ed importanza, vale a dire per i corsi d’acqua che non sono né fiumi né torrenti, si impone, ai fini della loro rilevanza paesaggistica, la iscrizione negli elenchi delle acque pubbliche.

La norma appena citata prevede la disapplicazione del suddetto vincolo solo per i corsi d’acqua minori (e non anche per i fiumi ed i torrenti) che la Regione abbia ritenuto in tutto o in parte, irrilevanti ai fini paesaggistici, includendoli in apposito elenco reso pubblico e comunicato al Ministero per i Beni e le attività Culturali alla data di entrata in vigore (12.05.2006) del D. Lgs. n. 157 del 24/3/2006 (che sostituisce il comma dell’art. 142), fermo restando la facoltà dello stesso Ministero di confermare la rilevanza paesaggistica dei suddetti beni.

E’opportuno precisare che la Corte Costituzionale, con la sentenza 7 novembre 2007, n. 367 (Pres. Bile, Red. Maddalena) ebbe a statuire a chiare lettere, nel punto 7.1 del considerato in diritto, che …spetta unicamente allo Stato il compito di definire le modalità di tutela e alla Regione spetta l’individuazione nel concreto dei beni paesaggistici e la collocazione di quest’ultimi nei piani paesaggistici….

Ciò a dimostrazione che la dichiarazione di irrilevanza non è automatica ma segue un preciso, lungo e complesso iter procedimentale che si avvia con una formale richiesta da parte dei Comuni interessati.

Nel caso della Regione Campania, si evidenzia che la stessa non ha mai predisposto alcun elenco reso pubblico (e comunicato al Ministero), con la individuazione dei corsi d’acqua fluenti irrilevanti ai fini paesaggistici in epoca precedente alla data del 12.05.2006 come recita il comma 3 dell’art. 142 nella attuale formulazione.

In ogni caso seppur prevista proceduralmente, la irrilevanza, secondo il comma 3, non potrà mai produrre effetti retroattivi.

 

 

 

Antonio Verderosa

Architetto

 

 

Avvertenza:
trattasi di riflessione commentata in materia di normativa urbanistica e paesaggistica, pertanto non deve essere intesa come trattazione giurisprudenziale avente valore verso o presso terzi.

1 ….in riferimento, proprio, all’art. 142 del d.lgs. n. 42 del 2004, la cui elencazione delle aree vincolate per legge rappresentava nella sostanza un continuum rispetto alla precedente disciplina (sentenza n. 164 del 2009). Per altro verso, a sottolineare l’assoluta centralità di tale disciplina – ed il risalto che, sul piano costituzionale, ad essa deve essere effettivamente riconosciuto –, sta anche l’osservazione per la quale, attraverso le disposizioni dettate dal codice dei beni culturali e del paesaggio, proprio laddove hanno reintrodotto la tipologia dei beni paesaggistici e ne hanno operato la relativa ricognizione, si è inteso dare «attuazione al disposto del (citato) articolo 9 della Costituzione, poiché la prima disciplina che esige il principio fondamentale della tutela del paesaggio è quella che concerne la conservazione della morfologia del territorio e dei suoi essenziali contenuti ambientali» (sentenza n. 367 del 2007). Ci si muove, dunque, nell’ambito di una rigorosa tipizzazione di tassative ipotesi vincolistiche, alla quale corrisponde una altrettanto dettagliata previsione di casi, ugualmente nominati e tassativi, di deroga. Ebbene, nel caso di specie, la normativa regionale impugnata opera una modifica sostanziale del regime delle esclusioni dalla tutela prevista dal codice dei beni culturali e del paesaggio, attraverso una “assimilazione” fra aree individuate dalla legislazione statale come sottratte al regime vincolistico e aree che, pur con denominazioni diverse rispetto a quelle indicate nel decreto ministeriale n. 1444 del 1968, presenterebbero, rispetto alle prime, caratteristiche similari, sia pure per relationem. Si tratta, dunque, di una operazione normativa da ritenersi in sé non consentita, in quanto direttamente incidente su materia riservata alla legislazione statale, rispetto alla quale la legislazione regionale può solo fungere da strumento di ampliamento del livello della tutela del bene protetto e non – all’inverso, come nel caso qui in esame – quale espediente dichiaratamente volto ad introdurre una restrizione dell’ambito della tutela, attraverso l’incremento della tipologia delle aree cui il regime vincolistico non si applica. …..