Consiglio di Stato Sez. IV n. 1737 del 11 marzo 2022
Urbanistica.Scia e rimedi a tutela del terzo

In materia di rimedi a tutela della posizione di chi si assuma leso dall’attività edilizia posta in essere da altri sulla base di una segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 45 del 13 marzo 2019 vanno privilegiate soluzioni interpretative che evitino un eccessivo sacrificio delle esigenze di tutela di tale soggetto; pertanto, sulla base dell’art. 19, l. 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i., è possibile individuare in capo alla p.a. un duplice ordine di poteri: gli ordinari poteri di vigilanza e inibitori sull’attività avviata dal segnalante, esercitabili nei termini perentori di cui ai commi 3 e 6-bis del predetto articolo, e il potere di autotutela di cui all’articolo 21-nonies, espressamente fatto salvo dal successivo comma 4 ed esercitabile anche dopo la scadenza dei detti termini; a norma del comma 6-ter, il privato interessato può invitare l’amministrazione a esercitare i poteri ordinari entro il termine, e in caso di inerzia attivare i rimedi processuali avverso il silenzio-inadempimento dell’amministrazione, ma ciò non esclude che egli possa, anche dopo la scadenza del termine, sollecitare l’esercizio del potere di autotutela ove ricorrano i presupposti di cui al citato art. 21-nonies


Pubblicato il 11/03/2022

N. 01737/2022REG.PROV.COLL.

N. 05166/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5166 del 2020, proposto da Edilproject S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Maurizia Borea, Giuseppe G. Poli e Francesco Caliandro, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giuseppe G. Poli in Cagliari, via Roma n. 121,

contro

il Comune di Carbonia, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio,

nei confronti

del signor Remo Melis, non costituito in giudizio,

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Seconda) n. 177 del 2020, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nella camera di consiglio del giorno 27 gennaio 2022, il consigliere Claudio Tucciarelli e vista l’istanza di passaggio in decisione depositata il 10 gennaio 2022 dall’avvocato Francesco Caliandro;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. La società appellante chiede la riforma della sentenza n. 177/2020 del T.A.R. per la Sardegna, Sezione II, che ha dichiarato inammissibile il giudizio instaurato dalla medesima società per conseguire: l’annullamento della nota prot. n. 40677 del 25 settembre 2017 del 2° Servizio – Settore Urbanistica, ricevuta per raccomandata a/r il 6 ottobre 2017, con cui l’Amministrazione comunale ha riscontrato le istanze prot. nn. 32277 del 26 luglio 2017 e 39620 del 19 settembre 2017, comunicandone il rigetto; l’accertamento dell’insussistenza dei presupposti della DIA presentata dal sig. Remo Melis il 28 novembre 2014 (n. 3914/14) e della SCIA del 7 marzo 2017 (n. 91/17), e successive integrazioni del 4 maggio; l’accertamento dell’obbligo del Comune di Carbonia di esercitare i poteri repressivi di cui all’art. 19 della legge n. 241/1990, in relazione alla DIA n. 3914/14 e alla SCIA n. 91/17, e successive integrazioni del 4 maggio; in subordine, la condanna del Comune di Carbonia al risarcimento del danno ingiusto subito dalla ricorrente a causa del mancato esercizio dei poteri di verifica e repressione di cui all’art. 19 della legge n. 241/1990.

2. La controversia riguarda la costruzione, completata nel giugno 2018, da parte del controinteressato, in un’area in cui è situato un complesso a destinazione commerciale, di una rampa carrabile a ridosso del confine con la proprietà dell’appellante, su cui a sua volta insiste un immobile commerciale adibito a showroom di una concessionaria automobilistica.

A seguito di istanza di accesso, l’appellante avrebbe appreso che era stata presentata DIA nel 2014, poi integrata con SCIA nel 2017 per due volte. Nel 2017, l’appellante presentava istanza al Comune per sollecitare le verifiche necessarie e l’esercizio dei poteri di carattere inibitorio/repressivo e ottenere l’annullamento della DIA e della successiva SCIA. L’istanza, il cui oggetto era “Istanza di annullamento DIA/SCIA, ai sensi del combinato disposto degli artt. 19 e 21-nonies della legge 22 agosto 1990, n. 241”, lamentava la violazione del regime delle distanze previsto dal Puc e dal Regolamento edilizio comunale, nonché dal codice civile e sosteneva che gli interventi edilizi promossi dal controinteressato avevano le caratteristiche delle “varianti essenziali”. Il Comune ha infine risposto, comunicando di ritenere l’istanza dell’appellante infondata nel merito, poiché l’intervento edilizio non avrebbe violato le distanze.

La società ha quindi impugnato al T.A.R. la nota comunale, chiedendone l’annullamento e l’accertamento dell’insussistenza dei presupposti di legge per l’esercizio delle attività oggetto di denuncia, nonché l’accertamento dell’obbligo del Comune di esercitare i poteri inibitori e repressivi.

3. Il ricorso in primo grado era affidato ai seguenti motivi: violazione dell’art. 9.5 delle Norme tecniche di attuazione (Nta) del Piano urbanistico comunale (Puc) del Comune di Carbonia; violazione dell’art. 152.26 del regolamento edilizio del Comune di Carbonia; violazione degli artt. 872 e 873 del codice civile; violazione degli artt. 3 e 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, carenza e perplessità della motivazione, sviamento.

In particolare, la ricorrente sottolineava che avrebbe errato la nota comunale nel richiamare l’art. 152.25 del Regolamento edilizio comunale (breviter, REC) sulla distanza tra fabbricati e l’art. 9 del D.M. n. 1444/1968, sulle distanze tra pareti finestrate, e che l’illegittimità della DIA e della successiva SCIA in variante non derivava dalla violazione della disciplina in materia di distanza tra pareti finestrate di edifici fronteggianti, ma dalla violazione della normativa relativa alla distanza delle costruzioni dai confini, venendo in rilievo nel caso di specie l’art. 152.26 del Regolamento edilizio e l’art. 9.5 delle Nta del Puc del Comune di Carbonia, per cui i distacchi dai confini non devono essere inferiori a m. 8, con violazione anche dell’art. 873 c.c., che consente ai regolamenti locali di prevedere una distanza superiore a tre metri.

In secondo luogo, ne deriverebbe anche l’eccesso di potere in cui sarebbe incorsa l’Amministrazione, che non avrebbe accolto l’istanza della ricorrente con una motivazione errata e fondata sul richiamo delle inconferenti disposizioni del regolamento edilizio in materia di distanze tra pareti prospicienti e delle pari norme del d.m. n. 1444/1968.

In terzo luogo ha precisato la ricorrente in primo grado che l’opera in questione costituirebbe, anche per la sua consistenza, comunque una costruzione ex art. 873 c.c.. La definizione di “corpo di fabbrica” contenuta nel REC non potrebbe avere l’effetto di restringere a esso l’applicazione della disciplina civilistica sulle distanze e integrata dal REC e dalle Nta.

In quarto luogo, secondo la ricorrente in primo grado l’opera realizzata per la superficie carrabile di oltre 220 mq. non potrebbe che considerarsi parte integrante del fabbricato e non, invece, sporgenza con funzione di rifinitura.

In quinto luogo, il ricorso, soffermandosi sul potere del Comune di Carbonia di annullare in autotutela le DIA/SCIA presentate dal controinteressato, in virtù del richiamo, contenuto nell’art. 19, comma 4, della legge n. 241/1990, all’articolo 21-nonies della medesima legge, quale potere di autotutela atecnico o sui generis, che non incide su un precedente provvedimento amministrativo e dunque si caratterizza per essere un atto di “primo grado” che deve, però, possedere i requisiti legittimanti l’atto di “secondo grado”, rileva che occorrerebbe verificare se, oltre alla illegittimità, sussistano gli altri presupposti per l’esercizio del potere in autotutela. A tal fine, quanto al rispetto del termine ragionevole, occorrerebbe considerare il momento di inizio dei lavori (nel 2017); quanto all’interesse pubblico, occorrerebbe considerare quello relativo alle scelte pianificatorie comunali; quanto al contemperamento degli interessi, il mantenimento della rampa altererebbe lo scenario per i frequentatori dello show room oltre a deturpare il confine della proprietà della ricorrente, a compromettere l’ordinato assetto urbanistico e a fare perdere di valore alla proprietà della ricorrente.

4. Il T.A.R. Sardegna, dopo avere disposto incombenti istruttori in capo al Comune (ordinanza istruttoria n. 304/2019), ha infine accolto l’eccezione del controinteressato alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale con la sentenza 13 marzo 2019, n. 45, pronunciata in corso di causa.

La sentenza del T.A.R., dopo avere accolto la richiesta di parte ricorrente di non acquisire i documenti tardivamente prodotti dall’Amministrazione comunale, ha ritenuto che debbano trovare applicazione, anche nel caso di specie, i principi affermati in materia con la sentenza della Corte costituzionale n. 45 del 13 marzo 2019, con la quale è stata affrontata la specifica questione, di rilevanza anche per la presente controversia, della legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6-ter, della legge 7 agosto 1990, n. 241, nella parte in cui non prevede un termine finale per la sollecitazione, da parte del terzo, dei poteri di verifica sulla segnalazione certificata d'inizio attività (SCIA) spettanti all’amministrazione. La questione è stata ritenuta non fondata dalla Corte costituzionale. Ha ricordato il T.A.R. che la Corte costituzionale ha ritenuto, da un lato, che la previsione di un termine costituisca, nel contesto normativo in questione, un requisito essenziale dei poteri di verifica sulla SCIA a tutela dell’affidamento del segnalante; d’altro lato, ha altresì ritenuto che le verifiche cui è chiamata l’amministrazione ai sensi del comma 6-ter siano quelle già puntualmente disciplinate dall’art. 19, da esercitarsi entro i sessanta o trenta giorni dalla presentazione della SCIA (commi 3 e 6-bis), e poi entro i successivi diciotto mesi (comma 4, che rinvia all’art. 21-nonies). Decorsi questi termini, la situazione soggettiva del segnalante si consolida definitivamente nei confronti dell’amministrazione, ormai priva di poteri, e quindi anche del terzo. Questi, infatti, è titolare di un interesse legittimo pretensivo all’esercizio del controllo amministrativo, e quindi, venuta meno la possibilità di dialogo con il corrispondente potere, anche l’interesse si estingue.

Nel dare applicazione ai principi indicati dalla Corte costituzionale, la sentenza del T.A.R. ha osservato che la ricorrente, quale soggetto terzo che si ritiene leso dalla DIA e dalla SCIA, risultava avere tardivamente sollecitato i poteri inibitori della pubblica amministrazione, considerato che si era attivata dopo il termine di 30 giorni non solo dalla presentazione della SCIA, ma altresì dalla piena conoscenza della medesima, a seguito dell’ostensione dei relativi atti da parte dell’Amministrazione comunale in riscontro all’istanza di accesso proposta dalla stessa ricorrente, con conseguente inammissibilità del ricorso in esame nella parte in cui si lamenta l’illegittimità dell’omesso esercizio di tali poteri inibitori della pubblica amministrazione, nonché nella parte in cui si chiede l’annullamento della nota prot. n. 40677 del 25 settembre 2017 di riscontro negativo alla richiesta e sollecitazione dell’esercizio dei poteri inibitori, in considerazione della rilevata tardività della richiesta della società ricorrente - quale soggetto terzo che si ritiene leso dalla DIA e dalla SCIA - di esercizio di tali poteri, quale strumento di tutela offerto al soggetto terzo dalla disposizione di legge in esame.

La sentenza ha inoltre dichiarato l’inammissibilità dell’azione di accertamento, avanzata dalla ricorrente, in forza del disposto dell’art. 19, comma 6-ter, della legge n. 241 del 1990, secondo cui gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione avverso il silenzio di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, non essendo quindi consentita la proposizione di un’azione di mero accertamento, né di una domanda di annullamento della SCIA.

La sentenza non ha poi accolto la domanda di rimessione in termini, presentata dalla ricorrente nell’udienza pubblica, in considerazione dell’interesse contrapposto del controinteressato presentatore della SCIA in ordine all’eccezione di inammissibilità del ricorso per tardiva sollecitazione, da parte del terzo, dei poteri inibitori della pubblica amministrazione, oltre che per il fatto che la domanda di rimessione in termini è stata formulata per la prima volta in sede di discussione alla pubblica udienza, senza che si fosse realizzato il necessario contraddittorio con la parte controinteressata.

La sentenza ha infine stabilito che, nel caso di specie, assume rilevanza decisiva la circostanza che l’odierna ricorrente si fosse attivata dopo il termine di 30 giorni non solo dalla presentazione della SCIA, ma anche dalla piena conoscenza della medesima, a seguito dell’ostensione dei relativi atti da parte dell’Amministrazione comunale.

La sentenza non ha condiviso gli assunti di parte ricorrente secondo cui il comma 6-ter dell’art. 19 della legge n. 241/1990 non viene in considerazione nel caso di specie, nonché l’ulteriore rilievo secondo cui il terzo che assuma di essere leso da una SCIA edilizia può chiedere alla p.a. di operare le dovute verifiche e, se del caso, annullare il “titolo edilizio” illegittimamente formatosi: le specifiche modalità previste dalla legge in favore del soggetto terzo che assuma di essere leso da una SCIA edilizia, allo specifico fine di richiedere alla pubblica amministrazione di operare le dovute verifiche, sarebbero invece proprio quelle previste dall’art. 19, comma 6-ter, della legge n. 241 del 1990.

E ancora, la sentenza impugnata ha ritenuto non conferente il richiamo della ricorrente alla previsione di legge secondo cui il terzo può, senza limiti temporali, denunciare alla p.a. un eventuale abuso edilizio e quest’ultima, ove constati la sussistenza dell’abuso, debba agire di conseguenza, atteso che, nel caso di specie, non si verte in un’ipotesi di realizzazione di opere abusive senza titolo edilizio, bensì di opere sulla base di un titolo edilizio (DIA e SCIA), formatosi nei termini e con le modalità previste dalla legge.

La sentenza ha poi dichiarato l’inammissibilità della domanda di risarcimento del danno, avanzata in via subordinata, in quanto genericamente prospettata dalla parte ricorrente.

Ha infine compensato integralmente tra le parti le spese del giudizio.

5. Il ricorso in appello avverso la sentenza del T.A.R. è affidato ai seguenti motivi.

5.1. In primo luogo sono dedotti: erroneità della sentenza appellata nella parte in cui il giudice ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso; omessa pronuncia e travisamento; violazione e falsa applicazione degli articoli 2, 3, 29, 31, 34, 35, 37, 45, 64 c.p.a., degli articoli 2, 3, 7, 10, 19, 21-nonies, 22 della legge n. 241/1990 e dell’articolo 3 del D.P.R. n. 184/2006; error in procedendo ed error in iudicando; violazione degli articoli 2, 3, 24 e 111 della Costituzione.

5.1.1. Il sollecito dell’intervento comunale da parte dell’appellante sarebbe stato effettuato, diversamente dalla fattispecie oggetto del giudizio della Corte costituzionale, ai sensi del comma 4 dell’art. 19 della legge n. 241/1990, che richiama l’art. 21-nonies della stessa legge (esercizio dei poteri amministrativi in autotutela); inoltre, il Comune medesimo si sarebbe pronunciato nel “merito”, in ordine, cioè, alla questione della legittimità dell’intervento edificatorio promosso dal controinteressato. La sentenza impugnata non avrebbe considerato tali aspetti. Nella sentenza della Corte costituzionale n. 45/2019 sarebbe stato invece affrontato il caso della inerzia comunale a fronte del sollecito del privato, tutelabile con l’azione avverso il silenzio della p.a.

5.1.1.a) Invece, nella fattispecie controversa l’appellante ha chiesto l’annullamento del provvedimento di diniego d’intervento in autotutela assunto dal Comune per ragioni di merito, e non un giudizio avverso il silenzio. L’appellante aveva quindi formulato un’istanza volta a sollecitare i poteri di cui al comma 4 dell’art. 19 della legge n. 241/1990, ben prima della scadenza dei 18 mesi previsti dall’art. 21-nonies della legge n. 241 e il Comune si sarebbe comunque attivato a seguito della predetta istanza adottando un provvedimento espresso. Ne dovrebbe conseguire l’ammissibilità del ricorso in primo grado.

5.1.2. Il lieve ritardo di dodici giorni in cui sarebbe eventualmente incorsa Edilproject (ove lo stesso fosse ritenuto effettivamente esistente ed inescusabile) non avrebbe determinato alcuna consumazione del potere, poiché il Comune, dal momento in cui ha ricevuto l’istanza di Edilproject, era tenuto ad esercitare i poteri previsti dal comma 4 dell’articolo 19 della legge n. 241/1990, che rinvia all’art. 21-nonies e al termine di diciotto mesi ivi previsto (ben lungi dall’essere spirato). L’attivazione del procedimento amministrativo per il diniego dell’istanza farebbe venire meno l’ipotesi di un presunto affidamento del controinteressato.

5.1.2.a) L’Amministrazione sarebbe stata tenuta a dare al controinteressato comunicazione dell’avvio del procedimento attivato da un terzo per l’eventuale adozione di un provvedimento repressivo/inibitorio e, ad avviso dell’appellante, sussisterebbero elementi (quale la costituzione in giudizio del controinteressato, senza che gli fosse stata data notizia dalla segreteria del T.A.R. o dalla ricorrente della fissazione di una nuova udienza) per ritenere che la comunicazione sia comunque intervenuta e, comunque, tale elemento fattuale non sarebbe senz’altro in grado di consentire il consolidamento di un affidamento giuridicamente tutelabile in capo al controinteressato.

5.1.2.b) La mancata considerazione da parte dell’Amministrazione di un eventuale affidamento potrebbe, al più, aver prodotto profili di illegittimità del provvedimento assunto dal Comune, che il controinteressato avrebbe dovuto dedurre azionando un ricorso incidentale ai sensi dell’art. 42 c.p.a. La mancata proposizione di un ricorso incidentale nei termini sopra esposti comporterebbe il consolidarsi del provvedimento amministrativo impugnato nella parte in cui lo stesso ha omesso di considerare la questione dell’asserito affidamento ingeneratosi o suscettibile di ingenerarsi in capo al sig. Melis.

5.1.2.c) Il Comune non avrebbe consumato il proprio potere poiché risultava in ogni caso tenuto ad esercitare i poteri ex art. 21-nonies della legge n. 241/1990, cui l’art. 19, comma 4, rinvia.

Nella propria istanza, l’appellante aveva fatto espresso riferimento ai poteri ex art. 21-nonies, con obbligo per la p.a. di pronunciarsi in merito, diversamente da quanto accade in presenza di un ordinario potere di autotutela che si connota per la sussistenza di una discrezionalità che attiene non solo al contenuto dell’atto ma anche all’an del procedere (Cons. Stato, sent. n. 4610/2016, punto 5).

5.1.2.d) La giurisprudenza amministrativa confermerebbe che l’istanza proposta oltre il termine comunque sarebbe idonea a porre l’obbligo per la p.a. di procedere ed emanare un provvedimento espresso.

5.1.2.e) La sentenza impugnata avrebbe omesso di considerare questo aspetto, mentre la stessa sentenza della Corte costituzionale avrebbe chiarito che il potere si esaurirebbe solo una volta decorsi 18 mesi.

5.1.3. L’appellante contesta poi i passaggi della sentenza del T.A.R. in cui si accennerebbe alla possibilità che il termine di 30 giorni per le osservazioni e solleciti di terzi rispetto alla SCIA decorra dalla data di presentazione e non dalla conoscenza della SCIA medesima. E’ da questa seconda che, per l’appellante, deve essere considerato il decorso del termine.

5.1.3.a) L’appellante si rifà alla sentenza 23 marzo 2020, n. 2011, della Seconda Sezione del Consiglio di Stato sul rilievo da attribuire alla piena conoscenza ai fini della decorrenza del termine per la sollecitazione/impugnazione. Il dies a quo non potrebbe essere altrimenti retrodatato e comunque occorrerebbe considerare che la SCIA ha subito un’ultima variazione nel 2017.

5.1.3.b) La sentenza appellata sarebbe erronea nella parte in cui ha escluso la possibilità di riconoscere la sussistenza dell’errore scusabile in capo a Edilproject e ha evocato ragioni di rispetto del principio del contraddittorio, mentre il difensore della parte controinteressata, presente all’udienza pubblica, non aveva formulato alcuna obiezione rispetto alla possibilità di riconoscere l’errore scusabile.

5.1.3.c) Secondo l’appellante, la sentenza appellata errerebbe in quanto sussisterebbero i presupposti per riconoscere la sussistenza dell’errore scusabile sia rispetto al superamento del primo termine di 30 giorni (che, comunque, non rileverebbe nel caso di specie) sia rispetto a ulteriori termini di carattere decadenziale (o, comunque, idonei a determinare delle conseguenze processuali pregiudizievoli in capo ad Edilproject). Andrebbe considerato, ai fini dell’errore scusabile, che la stessa sentenza della Corte costituzionale n. 45/2019 sul comma 6-ter dell’art. 19 della legge n. 241/1990, posta dal T.A.R. Sardegna a fondamento della propria decisione, è successiva alla prima udienza pubblica.

5.1.4.a) La sentenza del T.A.R. sarebbe erronea nella parte in cui ha affermato che non sarebbe consentita la proposizione di un’azione di mero accertamento né di una domanda di annullamento della SCIA.

Edilproject non avrebbe infatti formulato una domanda di annullamento della SCIA, ma una domanda di annullamento di un provvedimento amministrativo che evidenziava l’insussistenza dei presupposti per l’adozione dei provvedimenti repressivi/inibitori previsti dall’art. 19 della legge n. 241/1990. La domanda di accertamento sarebbe stata consequenziale.

5.1.4.b) L’azione di accertamento sarebbe comunque ammissibile nel nostro ordinamento proprio nelle ipotesi, come quella in esame, in cui il terzo leso da una SCIA si lamenti della mancata tutela accordatagli dalla pubblica amministrazione. Analogamente sarebbe ammissibile anche la domanda risarcitoria, formulata sempre in connessione e come conseguenza delle altre domande.

5.2. In secondo luogo sono dedotti: omessa pronuncia; fondatezza del ricorso di primo grado in ragione delle violazioni denunciate in primo grado, che vengono di seguito illustrate e riproposte. Violazione dell’art. 9.5 delle norme tecniche di attuazione del Puc di Carbonia; violazione dell’art. 152.26 del Regolamento edilizio del Comune di Carbonia; violazione degli artt. 872 e 873 del codice civile; violazione degli artt. 3 e 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241; eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, carenza e perplessità della motivazione, sviamento.

L’appello dichiara di riproporre le censure formulate in primo grado e non esaminate dal primo giudice. Si tratta delle censure concernenti:

5.2.1. Le caratteristiche dell’intervento edilizio realizzato dal controinteressato e contestato da Edilproject S.r.l. e le ragioni della sua illegittimità.

5.2.2. I profili di illegittimità dell’intervento edilizio realizzato dal controinteressato e della nota comunale prot. 40677/2017 con cui il Comune ha riscontrato l’istanza di annullamento in autotutela di Edilproject.

5.3. Viene poi dedotta l’erroneità della sentenza appellata nella parte in cui ha dichiarato inammissibile la domanda risarcitoria, e, comunque, viene riproposta la stessa quale domanda di risarcimento per equivalente che, per quanto sinteticamente formulata (considerato anche che la stessa è stata formulata in via subordinata), non sarebbe generica e sarebbe, comunque, ammissibile.

6. L’appellante ha depositato propria memoria del 23 dicembre 2021 con cui, oltre a ribadire la fondatezza dell’appello, precisa di avere regolarmente notificato il ricorso in appello al Comune e al controinteressato.

7. Con memoria del 10 gennaio 2022, l’appellante ha chiesto che la causa sia trattenuta in decisione sugli scritti già depositati.

8. All’udienza pubblica del 27 gennaio 2022, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

9. La sentenza impugnata ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dall’odierna appellante, ritenendo che debbano trovare applicazione, anche nel caso di specie, i principi affermati in materia con la sentenza della Corte costituzionale n. 45 del 13 marzo 2019, con la quale è stata ritenuta non fondata la questione della legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6-ter, della legge 7 agosto 1990, n. 241, nella parte in cui non prevede un termine finale per la sollecitazione, da parte del terzo, dei poteri di verifica sulla segnalazione certificata d’inizio attività (SCIA) spettanti all’amministrazione.

Nel dare applicazione ai principi indicati dalla Corte costituzionale, la sentenza del T.A.R. ha osservato che la ricorrente, quale soggetto terzo che si ritiene leso dalla DIA e dalla SCIA, risultava avere tardivamente sollecitato i poteri inibitori della pubblica amministrazione, considerato che si era attivata dopo il termine di 30 giorni non solo dalla presentazione della SCIA, ma altresì dalla piena conoscenza della medesima, a seguito dell’ostensione dei relativi atti da parte dell’Amministrazione comunale in riscontro all’istanza di accesso proposta dalla stessa ricorrente. La sentenza ne ha fatto conseguire l’inammissibilità del ricorso nella parte in cui si lamenta l’illegittimità dell’omesso esercizio di tali poteri inibitori della pubblica amministrazione, nonché nella parte in cui si chiede l’annullamento della nota prot. n. 40677 del 25 settembre 2017 di riscontro negativo alla richiesta e sollecitazione dell’esercizio dei poteri inibitori, in considerazione della rilevata tardività della richiesta della società ricorrente - quale soggetto terzo che si ritiene leso dalla DIA e dalla SCIA - di esercizio di tali poteri, quale strumento di tutela offerto al soggetto terzo dalla disposizione di legge in esame.

La sentenza non ha condiviso gli assunti di parte ricorrente secondo cui il comma 6-ter dell’art. 19 della legge n. 241/1990 non verrebbe in considerazione nel caso di specie, nonché l’ulteriore rilievo secondo cui il terzo che assuma di essere leso da una SCIA edilizia può chiedere alla p.a. di operare le dovute verifiche, e, se del caso, annullare il “titolo edilizio” illegittimamente formatosi: le specifiche modalità previste dalla legge in favore del soggetto terzo che assuma di essere leso da una SCIA edilizia, allo specifico fine di richiedere alla pubblica amministrazione di operare le dovute verifiche, sarebbero invece proprio quelle previste dall’art. 19, comma 6-ter, della legge n. 241 del 1990.

La Sezione ritiene necessario evidenziare che la citata sentenza della Corte costituzionale ha affrontato la questione di legittimità costituzionale del comma 6-ter dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990, il quale comma, chiarito che la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili, attribuisce al terzo interessato la facoltà di sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3, c.p.a. Nulla prevede la disposizione circa il termine entro cui va avanzata la sollecitazione e, quindi, entro cui vanno esercitati i poteri di verifica.

Ebbene, la sentenza della Corte costituzionale, intervenuta nel corso del giudizio di primo grado, nel dichiarare non fondate le questioni di legittimità costituzionale poste, ha chiarito che il comma 6-ter - introdotto nel 2011 - dell’art. 19 della legge n. 241/1990 è conforme a Costituzione. Tale comma ha escluso l’esistenza di atti amministrativi impugnabili (il cosiddetto silenzio-diniego) a fronte dei solleciti degli interessati in presenza di DIA/SCIA presentate da terzi e ha quindi limitato le possibilità di tutela del terzo all’azione contro il silenzio, inteso in modo tradizionale come inadempimento.

La sentenza della Corte costituzionale ha inoltre chiarito che il termine entro cui gli interessati possono produrre osservazioni sollecitando interventi dell’amministrazione – senza il quale si avrebbe un potere temporalmente illimitato e in bianco, in manifesto contrasto con il principio di legalità-tipicità - è correlato alle verifiche cui è chiamata l’amministrazione ex art. 19, da esercitarsi entro i sessanta o trenta giorni (questi ultimi per i casi di SCIA in materia edilizia) decorrenti dalla data di presentazione della SCIA (commi 3 e 6-bis), e poi entro i successivi diciotto mesi (comma 4, che rinvia all’art. 21-nonies).

Decorsi questi termini, la situazione soggettiva del segnalante si consolida definitivamente nei confronti dell’amministrazione, ormai priva di poteri, e quindi anche del terzo.

Segnatamente, la Corte ha ricordato che il comma 3 dell’art. 19 attribuisce alla p.a. un triplice ordine di poteri (inibitori, repressivi e conformativi), esercitabili entro il termine ordinario di sessanta giorni dalla presentazione della SCIA (trenta per la SCIA in materia edilizia); mentre il successivo comma 4 prevede che, decorso tale termine, quei poteri sono ancora esercitabili in presenza delle condizioni previste dall’art. 21-nonies della stessa legge n. 241 del 1990.

Quest’ultimo, a sua volta, disciplina l’annullamento in autotutela di atti illegittimi, stabilendo che debba sussistere un interesse pubblico ulteriore rispetto al ripristino della legalità, che si operi un bilanciamento fra gli interessi coinvolti e che, per i provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dei privati, il potere debba essere esercitato entro il termine massimo di diciotto mesi.

Il comma 6-bis dell’art. 19 consente di applicare questa disciplina anche alla SCIA edilizia, prevedendo che restano ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e dalle leggi regionali. La Corte ha inoltre sottolineato che è a questi poteri che deve ritenersi faccia riferimento il comma 6-ter.

La sentenza n. 45/2019 ha riconosciuto che possa comunque sussistere un vulnus alla situazione giuridica soggettiva del terzo, che ciò trascenda la norma impugnata e che esso vada affrontato in una prospettiva più ampia e sistemica che tenga conto dell’insieme degli strumenti apprestati a tutela della situazione giuridica del terzo. Si è quindi soffermata sui rimedi a tutela dell’interesse legittimo del terzo, per annotare conclusivamente che tutto ciò non esclude l’opportunità di un intervento normativo sull’art. 19, quantomeno ai fini, da una parte, di rendere possibile al terzo interessato una più immediata conoscenza dell’attività segnalata e, dall’altra, di impedire il decorso dei relativi termini in presenza di una sua sollecitazione, in modo da sottrarlo al rischio del ritardo nell’esercizio del potere da parte dell’amministrazione e al conseguente effetto estintivo di tale potere.

La piana lettura della sentenza della Corte costituzionale fa emergere l’esigenza che, anche in sede interpretativa, vengano privilegiate soluzioni che evitino un irragionevole sacrificio degli interessi del terzo e scongiurino il rischio del vulnus paventato. Insieme, la sentenza dà risalto alla piena compatibilità e complementarietà dei due rimedi: l’esercizio dei poteri inibitori, repressivi e conformativi, entro trenta giorni dalla presentazione della SCIA in materia edilizia, e quello dell’autotutela di cui all’articolo 21-nonies.

Vanno quindi messi a raffronto due disposizioni dell’art. 19 della legge n. 241: il comma 4 che, decorso il termine (in questo caso) di 30 giorni, consente comunque all’amministrazione di esercitare il proprio potere in autotutela secondo quanto previsto dall’art. 21-nonies; il comma 6-ter, che consente il sollecito da parte degli interessati delle verifiche da parte dell’amministrazione che, ove non disposto, è azionabile esclusivamente con il rito avverso il silenzio, dal momento che la SCIA e la DIA non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili.

Peraltro, in tal modo non viene preclusa, per una precisa scelta legislativa, la possibilità per il terzo di richiedere l’intervento in autotutela da parte dell’amministrazione, alle condizioni e nei tempi previsti dall’art. 21-nonies della legge n. 241, cui rinvia l’art. 19, comma 4, della legge n. 241/1990.

Ove l’amministrazione adotti un provvedimento di rigetto dell’istanza del terzo, volta a ottenere l’esercizio del potere in autotutela, il terzo medesimo può fare valere in giudizio le proprie ragioni avverse.

Diversamente, la sentenza impugnata ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso, riconducendo le specifiche modalità previste dalla legge in favore del soggetto terzo che assuma di essere leso da una SCIA edilizia, allo specifico fine di richiedere alla pubblica amministrazione di operare le dovute verifiche, esclusivamente a quelle previste dal disposto dell’art. 19, commi 6-bis e 6-ter, della legge n. 241 del 1990.

Nel caso in esame, l’istanza iniziale dell’appellante faceva chiaro riferimento all’art. 21-nonies ed era volta a ottenere dal Comune l’annullamento delle pratiche edilizie presentate dal controinteressato con l’adozione dei provvedimenti conseguenti.

Ottenuto il rigetto dell’istanza, la parte ha quindi presentato ricorso in cui, come prima domanda, chiedeva l’annullamento del provvedimento espresso con cui il Comune di Carbonia aveva rifiutato di intervenire in autotutela, ai sensi dell’articolo 19, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241, sulle opere realizzate dal controinteressato in esecuzione della DIA e della SCIA sopra richiamate.

Ci si trova a tutta evidenza al di fuori del perimetro disegnato dalla sentenza della Corte costituzionale, la quale si è concentrata sulla questione di legittimità costituzionale posta con riferimento al potere “ordinario” di verifica e controllo disciplinato dal comma 3 (a sua volta richiamato dal comma 6-bis, per la SCIA edilizia) del citato articolo 19 della legge n. 241/1990, senza porre limiti invece al potere di autotutela che residua all’Amministrazione comunale, ai sensi del comma 4 del medesimo articolo, anche dopo la scadenza dei termini fissati per l’esercizio del predetto potere “ordinario” (e, quindi, dopo il consolidarsi del titolo abilitativo). Anzi, come si è accennato, la Corte ha richiamato tale potere ulteriore fra quelli che comunque residuano fra i vari strumenti con cui il terzo che si assuma pregiudicato dall’intervento, pur in assenza di un termine utile per la sollecitazione del potere “ordinario” di controllo, può comunque fare valere i propri diritti anche dopo che gli effetti della SCIA si sono consolidati.

Da questa ricostruzione, cui la Sezione aderisce, derivano una serie di conseguenze.

In primo luogo, risulta inconferente l’argomento relativo all’avvenuto decorso del termine per l’esercizio del potere “ordinario” dell’Amministrazione, di cui al comma 6-bis dell’articolo 19 della legge n. 241/1990, e insieme il tema se tale termine dovesse essere computato a decorrere dalla data di presentazione della SCIA oppure – come ritenuto dalla sentenza del T.A.R. impugnata – dalla conoscenza di essa acquisita dalla società ricorrente mediante accesso. Difatti, l’unico termine cui la sentenza avrebbe dovuto dare rilievo è quello di 18 mesi per l’esercizio del potere di autotutela, previsto dall’articolo 21-nonies della stessa legge n. 241/1990 (specificamente richiamato dal comma 4 dell’articolo 19), nella versione all’epoca vigente. Tale termine, pacificamente, non era ancora venuto a scadenza.

In secondo luogo, non risultano conferenti le argomentazioni della sentenza impugnata – su cui peraltro pure l’appellante si sofferma - in ordine all’affidamento consolidatosi in capo al controinteressato a causa dell’avvenuta scadenza del termine di cui al comma 6-bis dell’articolo 19. Dal momento che viene in rilievo il (possibile) esercizio del potere di autotutela successivo a tale scadenza, l’affidamento del controinteressato avrebbe dovuto essere valutato dall’Amministrazione unitamente agli altri presupposti di cui all’articolo 21-nonies per l’esercizio del potere di autotutela.

In terzo luogo, il fatto che il Comune abbia dato riscontro all’istanza con un provvedimento espresso, sia pure di diniego, rende non decisiva, ai fini della controversia in esame, la questione se, nella specie, il Comune fosse obbligato o meno a rispondere all’istanza medesima, tema che, come accenna l’appellante, avrebbe semmai potuto essere sollevato dal controinteressato.

Peraltro, la Sezione ritiene utile ricordare, ai fini della definizione degli effetti conformativi della pronuncia di accoglimento, che la giurisprudenza amministrativa ha da tempo affermato che l’autotutela di cui al comma 4 dell’articolo 19 della legge n. 241/1990 presenta alcune peculiarità rispetto al generale potere di autotutela, in quanto, mentre di regola si assume che questo sia ampiamente discrezionale nell’apprezzamento dell’interesse pubblico che può imporne l’esercizio e non coercibile (al punto che la p.a. non ha neanche l’obbligo di rispondere a eventuali istanze con cui il privato ne solleciti l’esercizio), ciò non vale in questo caso laddove, anche per l’intima connessione di tale potere col più generale dovere di vigilanza che incombe al Comune sull’attività edilizia ai fini dell’ordinato assetto del territorio, a fronte di un’istanza di intervento ai sensi dell’articolo 19, comma 4, l’Amministrazione ha il dovere di rispondere, essendo la sua discrezionalità limitata solo alla verifica della sussistenza o meno dei presupposti di cui all’articolo 21-nonies (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 13 febbraio 2017, n. 611; id., sez. VI, 3 novembre 2016, n. 4610).

Questo orientamento è stato confermato dalla giurisprudenza di primo grado anche dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 45/2019 (cfr. T.A.R. Milano, sez. II, 2 maggio 2020, n. 728; T.A.R. Salerno, sez. II, 8 gennaio 2020, n. 18) e va confermato, a maggior ragione alla luce delle considerazioni svolte dalla sentenza della Corte costituzionale la quale – pur riconoscendo di non potere intervenire sui vuoti normativi esistenti nel sistema – ha messo in evidenza la questione di possibili lacune nella tutela del terzo confinante rispetto agli interventi realizzati sulla base della SCIA.

Ne deriva che, nel caso di specie, non solo il Comune era obbligato a rispondere, come ha fatto, sull’istanza dell’odierna appellante, ma che sarà obbligato a ripronunciarsi su di essa all’esito della presente decisione di accoglimento.

In quarto luogo è evidente che un’ipotetica fondatezza dell’azione di annullamento proposta in via principale avrebbe reso recessiva ogni valutazione sull’ammissibilità o meno della connessa azione di accertamento, essendo in re ipsa che il Comune, una volta annullato il provvedimento censurato, avrebbe dovuto ripronunciarsi sull’istanza della ricorrente.

E’ evidente che l’autotutela, collocata all’interno del procedimento in esame, presenta due tratti peculiari in quanto: non incide su un precedente provvedimento amministrativo e dunque si caratterizza per essere un atto di “primo grado” che deve, però, possedere i requisiti legittimanti l’atto di “secondo grado”; l’amministrazione, a fronte di una denuncia da parte del terzo, ha l’obbligo di procedere all’accertamento dei requisiti che potrebbero giustificare un suo intervento repressivo e ciò diversamente da quanto accade in presenza di un “normale” potere di autotutela che si connota per la sussistenza di una discrezionalità che attiene non solo al contenuto dell’atto ma anche all’an del procedere.

La Sezione aderisce alla tesi secondo cui tale opzione interpretativa va sostenuta in quanto coniuga in modo più equilibrato le esigenze di liberalizzazione sottese alla SCIA con quelle di tutela del terzo (e, ora, viene incontro alle preoccupazioni manifestate dalla Corte costituzionale). Se il terzo “potesse sollecitare i poteri inibitori senza limiti temporali e di valutazione dell’incidenza sulle posizioni del privato che è ricorso a questo modulo di azione verrebbero frustrate le ragioni della liberalizzazione, in quanto l’interessato, anche molto tempo dopo lo spirare dei trenta (o sessanta) giorni previsti dalla legge per l’esercizio dei poteri in esame, potrebbe essere destinatario di atti amministrativi inibitori dell’intervento posto in essere. La qualificazione del potere come potere di autotutela costituisce invece, da un lato, maggiore garanzia per il privato che ha presentato la SCIA, in quanto l’amministrazione deve tenere conto dei presupposti che legittimano l’esercizio dei poteri di autotutela e, in particolare, dell’affidamento ingenerato nel destinatario dell’azione amministrativa, dall’altro, non vanifica le esigenze di tutela giurisdizionale del terzo che può comunque fare valere, pur con queste diverse modalità, le proprie pretese” (Cons. St., Sez. VI, n. 4610/2016).

Così ricostruita la questione sul piano normativo, il provvedimento impugnato in primo grado costituisce rigetto da parte dell’Amministrazione dell’istanza del terzo, volta a ottenere l’esercizio del potere in autotutela, del 24 luglio 2017, a seguito della presa visione il 13 giugno 2017 della documentazione messa a disposizione del Comune. Il ricorso avverso tale provvedimento è dunque ammissibile.

In questi termini argomentati, i motivi di appello volti a contestare la declaratoria di inammissibilità del ricorso di primo grado da parte della sentenza impugnata sono fondati e pertanto deve essere dichiarato ammissibile il ricorso di primo grado.

10. Per l’effetto devolutivo dell’appello, occorre farsi carico di esaminare il merito della controversia, una volta riconosciuta l’ammissibilità del ricorso in primo grado.

11. La domanda dell’odierna appellante va accolta nei termini che seguono.

11.1. Innanzitutto, la documentazione prodotta – ivi comprese fotografie del manufatto controverso – rendono manifesta, in uno con le disposizioni di riferimento, la violazione delle distanze stabilite dal Regolamento edilizio comunale. In specie, risulta inconferente quanto sostenuto dal Comune con il provvedimento di rigetto impugnato con il ricorso in primo grado; laddove ha fatto riferimento all’art. 152.25 del REC (in base a cui per distanza minima prescritta tra edifici si intende la distanza minima fra le pareti prospicienti degli stessi, di cui almeno una finestrata, misurata nei punti di massima sporgenza, relativo alle distanze tra pareti finestrate), a fronte dell’istanza dell’odierno appellante che, invece, contestava la violazione del regime delle distanze dai confini. L’istanza infatti sosteneva – né risultano elementi atti a smentire tale ricostruzione - che l’edificio commerciale oggetto di ampliamento ricade in zona D (Artigianale, industriale, commerciale), sottozona D2.2 (Insediamenti commerciali, artigianali in ambito urbano), del Piano urbanistico comunale-PUC, per la quale l’art. 9.5 delle norme tecniche di attuazione- NTA prevede che ogni complesso deve sorgere isolato nel lotto e i distacchi dai confini non devono essere inferiori a m. 8. E peraltro, lo stesso REC (art. 152.26), occupandosi della distanza dai confini (quindi disciplinando il profilo specifico invocato dall’istante), dopo avere chiarito che per distanza dai confini (o dal filo stradale) si intende la distanza tra la proiezione del fabbricato sul piano orizzontale, misurata nei punti di massima sporgenza e la linea di confine o il filo stradale, prevede che sia stabilito dagli strumenti urbanistici un minimo assoluto anche in rapporto all’altezza massima degli edifici. La costruzione in questione risulta essere stata inizialmente progettata sul confine e, in un secondo momento, in base all’aggiornamento del progetto iniziale, la rampa sarebbe stata arretrata di m. 1,5 rispetto al confine tra le due proprietà, quella del controinteressato e quella dell’appellante, al fine di osservare l’art. 905 c.c., relativo alla distanza per l’apertura di vedute dirette e balconi. Nel caso di specie, infatti, il regolamento edilizio locale, con il rinvio allo strumento urbanistico, non si è limitato a fissare solo la distanza minima tra le costruzioni, bensì ha optato anche per una distanza minima (un “minimo assoluto”, in base all’art. 152.26 del REC) delle costruzioni dal confine.

Va soggiunto che la consistenza dell’opera realizzata è tale da dovere essere ricondotta al concetto civilistico di costruzione, in quanto destinata a estendere e ampliare la consistenza del fabbricato (Cass. civ., 10 settembre 2009, n. 19554; Cons. St., Sez. IV, ord. n. 424/2010).

Il riferimento della nota comunale impugnata al “corpo di fabbrica”, così come qualificato dal REC, non è inoltre idonea a negare la natura di “costruzione” dell’opera in questione, la cui nozione (v. art. 873 c.c., sulle distanze tra costruzioni) è unica e non può certo essere derogata da parte di disposizioni di rango secondario, sia pure al limitato fine del computo delle distanze legali, non fosse altro che per la ragione che il rinvio contenuto ai regolamenti locali è ivi circoscritto alla sola facoltà di stabilire una “distanza maggiore” (cfr. Cass. civ., Sez. II, 16 marzo 2017, n. 6855).

Ove pure la definizione regolamentare richiamata dal Comune fosse specificamente riferita anche alle norme sulle distanze, la stessa sarebbe disapplicabile in quanto in contrasto con disposizione di legge che prevale sulle contrastanti previsioni degli strumenti urbanistici, sostituendosi ad esse (cfr. Cass. civ., sez. II, 16 marzo 2015, n. 5163; Cons. Stato, sez. IV, 18 luglio 2019, n. 5034).

11.2. La domanda risarcitoria, pur ammissibile, non può essere accolta in quanto è stata riproposta la domanda già presentata nel giudizio di primo grado in via subordinata. L’accoglimento della domanda principale di annullamento preclude quindi la domanda risarcitoria. Questa peraltro difetta di qualsiasi elemento di prova, non avendo l’appellante addotto elementi che consentano di valutare la sussistenza dei requisiti soggettivi né gli specifici profili di danno – se non un generico riferimento alla formazione di una intercapedine e al peggioramento dell’impatto visivo - né avendo proceduto a produrre una quantificazione del danno, come invero preannunciato nel ricorso in appello.

12. In conclusione, la Sezione, accogliendo parzialmente il ricorso in appello, in riforma della sentenza impugnata ammette il ricorso in primo grado e ne accoglie la domanda di annullamento del provvedimento ivi impugnato. L’Amministrazione comunale, nell’esercitare nuovamente, a seguito dell’annullamento, il proprio potere in autotutela secondo quanto stabilito dalla presente sentenza, verificherà la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 21-nonies, della legge n. 241/1990. E’ respinta la domanda risarcitoria proposta con il ricorso davanti al T.A.R. e riproposta con l’appello. Le spese seguono la soccombenza, come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello n.r.g. 5166/2020, come in epigrafe proposto, lo accoglie parzialmente, nei sensi di cui alla motivazione che precede e, per l’effetto, in riforma della impugnata sentenza:

- accoglie la domanda di annullamento del provvedimento impugnato con il ricorso n. 1029/2017, proposto al Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna;

- respinge la domanda per il risarcimento del danno;

- condanna il Comune di Carbonia e il controinteressato, costituito in primo grado, a rifondere all’appellante le spese del presente grado di giudizio, liquidate in complessivi € 6.000 (euro seimila), di cui € 3.000 (euro tremila) a carico del Comune di Carbonia ed € 3.000 (euro tremila) a carico del controinteressato, oltre oneri di legge ove dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 ottobre 2021 con l’intervento dei magistrati:

Raffaele Greco, Presidente

Vincenzo Lopilato, Consigliere

Luca Lamberti, Consigliere

Nicola D'Angelo, Consigliere

Claudio Tucciarelli, Consigliere, Estensore