Consiglio di Stato Sez. VI n. 10062 del 23 novembre 2023
Urbanistica.Trasformazione di volume tecnico in locale destinato alla fruizione umana
La categoria del risanamento conservativo comprende il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio al fine di consentire il recupero dell’edificio esistente, che si vuole conservare. Il mutamento della destinazione d’uso, accompagnato da una risistemazione strutturale interna del volume originariamente non abitabile, risulta invece incompatibile con il concetto di risanamento, che presuppone la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell’edificio.Il mutamento di destinazione di uso di un immobile attuato attraverso la realizzazione di opere edilizie configura quantomeno un’ipotesi di ristrutturazione edilizia; ciò in quanto l’esecuzione dei lavori, anche se di entità modesta, porta pur sempre alla creazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Il fatto che i “nuovi locali” non rispettino le altezze di legge necessarie per la sua destinazione residenziale aggrava la situazione abusiva concretizzatasi, non potendosi certo assumere che, siccome non sono rispettate le altezze, l’allestimento di detto volume non sia destinato alla fruizione umana, incompatibile con quella precedente di mero ricovero degli impianti.
Pubblicato il 23/11/2023
N. 10062/2023REG.PROV.COLL.
N. 05402/2017 REG.RIC.
N. 05244/2021 REG.RIC.
N. 05245/2021 REG.RIC.
N. 05246/2021 REG.RIC.
N. 05248/2021 REG.RIC.
N. 05249/2021 REG.RIC.
N. 05250/2021 REG.RIC.
N. 05251/2021 REG.RIC.
N. 05253/2021 REG.RIC.
N. 05243/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5402 del 2017, proposto da
Giovanni Malagò, rappresentato e difeso dagli avvocati Angelo Clarizia, Paolo Clarizia e Luca Amedeo Melegari, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Angelo Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde, n. 2;
contro
Comune di Sabaudia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Antonio Diurni, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Alberto Maria Floridi in Roma, via di Monte Fiore, n. 22;
sul ricorso numero di registro generale 5244 del 2021, proposto da
Giovanni Malagò, rappresentato e difeso dagli avvocati Angelo Clarizia, Paolo Clarizia e Luca Amedeo Melegari, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Angelo Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde, n. 2;
contro
Comune di Sabaudia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Antonio Diurni, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Alberto Maria Floridi in Roma, via di Monte Fiore, n. 22;
nei confronti
Regione Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Elisa Caprio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
sul ricorso numero di registro generale 5245 del 2021, proposto da
Giovanni Malagò, rappresentato e difeso dagli avvocati Angelo Clarizia, Paolo Clarizia e Luca Amedeo Melegari, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Angelo Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde, n. 2;
contro
Comune di Sabaudia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Antonio Diurni, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Alberto Maria Floridi in Roma, via di Monte Fiore, n. 22;
nei confronti
Regione Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Elisa Caprio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
sul ricorso numero di registro generale 5246 del 2021, proposto da
Giovanni Malagò, rappresentato e difeso dagli avvocati Angelo Clarizia, Paolo Clarizia e Luca Amedeo Melegari, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Angelo Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde, n. 2;
contro
Comune di Sabaudia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Antonio Diurni, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Alberto Maria Floridi in Roma, via di Monte Fiore, n. 22;
nei confronti
Regione Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Elisa Caprio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
sul ricorso numero di registro generale 5248 del 2021, proposto da
Giovanni Malagò, rappresentato e difeso dagli avvocati Angelo Clarizia, Paolo Clarizia e Luca Amedeo Melegari, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Angelo Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde, n. 2;
contro
Comune di Sabaudia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Antonio Diurni, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Alberto Maria Floridi in Roma, via di Monte Fiore, n. 22;
nei confronti
Regione Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Elisa Caprio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
sul ricorso numero di registro generale 5249 del 2021, proposto da
Giovanni Malagò, rappresentato e difeso dagli avvocati Angelo Clarizia, Paolo Clarizia e Luca Amedeo Melegari, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Angelo Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde, n. 2;
contro
Comune di Sabaudia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Antonio Diurni, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Alberto Maria Floridi in Roma, via di Monte Fiore, n. 22;
nei confronti
Regione Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Elisa Caprio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
sul ricorso numero di registro generale 5250 del 2021, proposto da
Giovanni Malagò, rappresentato e difeso dagli avvocati Angelo Clarizia, Paolo Clarizia e Luca Amedeo Melegari, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Angelo Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde, n. 2;
contro
Comune di Sabaudia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Antonio Diurni, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Alberto Maria Floridi in Roma, via di Monte Fiore, n. 22;
nei confronti
Regione Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Elisa Caprio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
sul ricorso numero di registro generale 5251 del 2021, proposto da
Giovanni Malagò, rappresentato e difeso dagli avvocati Angelo Clarizia, Paolo Clarizia e Luca Amedeo Melegari, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Angelo Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde, n. 2;
contro
Comune di Sabaudia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Antonio Diurni, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Alberto Maria Floridi in Roma, via di Monte Fiore, n. 22;
nei confronti
Regione Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Elisa Caprio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
sul ricorso numero di registro generale 5253 del 2021, proposto da
Giovanni Malagò, rappresentato e difeso dagli avvocati Angelo Clarizia, Paolo Clarizia e Luca Amedeo Melegari, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Angelo Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde, n. 2;
contro
Comune di Sabaudia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Antonio Diurni, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Alberto Maria Floridi in Roma, via di Monte Fiore, n. 22;
nei confronti
Regione Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Elisa Caprio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
sul ricorso numero di registro generale 5243 del 2021, proposto da
Giovanni Malagò, rappresentato e difeso dagli avvocati Angelo Clarizia, Paolo Clarizia e Luca Amedeo Melegari, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Angelo Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde, n. 2;
contro
Comune di Sabaudia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Antonio Diurni, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Alberto Maria Floridi in Roma, via di Monte Fiore, n. 22;
nei confronti
Regione Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Elisa Caprio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
quanto al ricorso n. 5243 del 2021:
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Staccata di Latina, n. 439/2020;
quanto al ricorso n. 5244 del 2021:
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Staccata di Latina, n. 440/2020;
quanto al ricorso n. 5245 del 2021:
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Staccata di Latina, n. 441/2020;
quanto al ricorso n. 5246 del 2021:
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Staccata di Latina, n. 442/2020;
quanto al ricorso n. 5248 del 2021:
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Staccata di Latina, n. 443/2020;
quanto al ricorso n. 5250 del 2021:
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Staccata di Latina, n. 445/2020;
quanto al ricorso n. 5251 del 2021:
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Staccata di Latina, n. 446/2020;
quanto al ricorso n. 5253 del 2021:
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Staccata di Latina, n. 447/2020;
quanto al ricorso n. 5402 del 2017:
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Staccata di Latina, n. 337/2017.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio delle parti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 novembre 2023 il Cons. Giordano Lamberti e uditi per le parti gli avvocati Angelo Clarizia, Luca Amedeo Melegari, Alberto Floridi, in sostituzione dell'avv. Antonio Diurni, e Elisa Caprio;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1 – L’appellante è proprietario di un immobile sito in Sabaudia, via Lungomare n. 102, su terreno distinto in Catasto al foglio 121, mappale 6, sub. 1.
1.1 - L’appezzamento ricade, tra l’altro, in area soggetta ai vincoli imposti dal D.lgs. n. 42/2004 (Tutela paesaggistica-ambientale), dal D.P.R. 4.4.2005 istitutivo dell’Ente Parco nazionale del Circeo e dal R.D.L. n. 3267/1923 (Vincolo Idrogeologico). L’area è inoltre ricompresa nella perimetrazione stabilita con D.G.R. del Lazio del 19.3.1996, in attuazione della Direttiva 92/43/CEE (habitat), che ha definito le Zone di Protezione Speciale.
2 – Con ricorso al Tar per il Lazio, l’appellante ha impugnato l’ordinanza di demolizione n. 21 del 1.7.2009, con la quale il Comune di Sabaudia ha contestato la realizzazione, al di sotto del predetto fabbricato, di una “unità immobiliare con struttura portante in muratura della superficie di mq 118 circa, avente altezza variabile da ml. 1,80 a ml. 2,30, completamente interrata e ubicata al di sotto dell’area di sedime dell’abitazione pre-esistente, con accesso indipendente dall’esterno, composta da: a) stanza massaggi di mq 7,60 con annesso bagno di mq. 3,50; b) stanza vogatori di mq 10,20 con annesso bagno di mq 5,00; stanza pluriuso di mq. 70; d) atrio d’ingresso di mq 4,50; e) locale ripostiglio di mq 4,80; f) corridoio di mq 13,00”.
2.1 – L’appellante, a giustificazione del proprio operato, riferisce che al di sotto del fabbricato esisteva da lungo tempo un piano interrato che è stato oggetto di opere di bonifica diversi anni or sono, in quanto infestato da ratti che rendevano inutilizzabili i servizi necessari all’immobile principale ubicati in siffatto spazio, quali fili elettrici, cavi, centralina telefonica, centrale di allarme e fossa biologica; approfittando della necessità di eseguire tali opere di bonifica, attraverso la realizzazione di tramezzature interne e di due piccoli bagni, l’appellante aveva adibito parte di tale locale a palestra per uso personale, sauna e spogliatoio, senza alterare in alcun modo l’assetto del piano sovrastante, in quanto tali opere non sono visibili all’esterno.
2.2 – Nello specifico, a sostegno del ricorso, ha dedotto: - l’insussistenza della violazione di normative urbanistiche e paesaggistiche in ragione della natura meramente interna delle opere realizzate; - di non avere edificato ex novo un’unità immobiliare distinta in stanze ed atrio d’ingresso, come erroneamente indicato nell’ordinanza impugnata, ma di essersi limitato a bonificare un locale interrato, che esiste da moltissimi anni, e nel quale insistevano e insistono tutt’oggi servizi quali le pompe dell’acqua e del riscaldamento, nonché la fossa biologica dell’immobile principale; - che, trattandosi di opere interne a un locale preesistente totalmente interrato, non può sussistere alcuna violazione della normativa urbanistica, poiché non vi è alcuna volumetria realizzata ex novo, né alcuna modifica della natura del locale, non essendo lo stesso abitabile a causa della sua minima altezza; né può ipotizzarsi la violazione di normative paesaggistiche, trattandosi di un’opera interrata che non ha modificato l’aspetto esteriore dell’edificio preesistente.
2.3 – Il Tar per il Lazio, con la sentenza n. 337/2017, ha respinto il ricorso, rilevando che:
- a prescindere dalla dubbia preesistenza del locale interrato, in ragione della mancata inclusione dello stesso nella domanda di condono presentata nel 1995, è incontestabile che su di esso sono stati effettuati, senza autorizzazione, lavori finalizzati alla trasformazione della destinazione d’uso in “abitabile”, anche con la realizzazione di due bagni e di un ingresso indipendente;
- l’area su cui sorgono le opere è classificata dal P.R.G. del Comune di Sabaudia come “Verde Privato Vincolato”, sulla quale l’art. 22 delle N.T.A. consente solamente “opere di restauro e risanamento conservativo e ripristino degli edifici esistenti”, con la precisazione che “nel caso che le aree libere ad essi asservite superano la superficie di mq. 1000, è consentito nella parte eccedente un indice di utilizzazione fondiaria non superiore … a 0,01 mc/mq”;
- la realizzazione di un’unità immobiliare della superficie di mq 118 con accesso indipendente dall’esterno, composta da tre stanze, due bagni, atrio d’ingresso e locale ripostiglio, non è compatibile con la disciplina urbanistica succitata;
- il manufatto è ubicato sulla fascia dunale compresa tra il mare e il Lago di Sabaudia, soggetta a vincoli di inedificabilità particolarmente stringenti, tra i quali quelli posti dal P.T.P. Ambito n. 13, il cui articolo 31 delle NTA vieta gli incrementi edificatori, e dal Piano del Parco, in cui l’area viene classificata in Zona B – Riserve Generali Orientate, per la quale l’art. 27 precisa che in esse “è vietato realizzare nuove opere edilizie e ampliare le costruzioni esistenti”.
2.4 - Avverso tale pronuncia ha proposto appello l’originario ricorrente (ricorso n. 5402/2017).
3 - Con ricorso al Tar per il Lazio (n. 264/2017), sezione di Latina, l’appellante ha impugnato il provvedimento n. 245 del 9/2/2017, col quale il Comune di Sabaudia ha respinto la domanda di condono edilizio presentata dall’appellante in data 9.12.2004 ai sensi della L. n. 326/2003, relativa a una “depandance” realizzata sul terreno di proprietà (sito in Sabaudia, Via Lungomare n. 102, su terreno distinto in Catasto al foglio 121 con il mappale 6) della superficie di circa mq 30.
A sostegno del ricorso ha dedotto le seguenti censure di violazione di legge (art. 32, comma 27 L. 326/2003; artt. 2 e 3 L.R. n. 12/2004) ed eccesso di potere:
I) il provvedimento impugnato è viziato per difetto assoluto di motivazione e di istruttoria, posto che l’amministrazione si limita a enunciare mere affermazioni di stile per respingere l’istanza senza specificare quali norme urbanistiche e quali vincoli precludono la sanatoria;
II) contrariamente a quanto presupposto dal Comune, gli strumenti urbanistici che disciplinano la zona oggetto delle istanze di condono (P.R.G. P.T.P. Sub Ambito 13/1 Zona Ob, P.T.P.R. e Pianificazione dell’Ente Parco Nazionale del Circeo e L.R. n. 52/76) consentono l’edificabilità;
III) il provvedimento impugnato si pone in evidente distonia con la comunicazione di avvio del procedimento del 14/4/2016 prot. n. 9805, che non contiene alcun riferimento alla non conformità dell’opera, alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.
3.1 - Con ricorso al Tar per il Lazio (n. 265/2017), sezione di Latina, l’appellante ha impugnato il provvedimento n. 246 del 9/2/2017, col quale il Comune di Sabaudia ha respinto la domanda di condono edilizio presentata in data 9.12.2004 ai sensi della L. n. 326/2003 relativa alla “edificazione di una superficie adibita a stireria e dispensa con un piccolo bagno per una superficie di 5,00 mq e snr di 13,06 mq”, deducendo le medesime censure di violazione di legge (art. 32, comma 27 L. 326/2003; artt. 2 e 3 L.R. n. 12/2004) ed eccesso di potere di cui al precedente ricorso.
3.2 - Con ricorso al Tar per il Lazio (n. 266/2017), sezione di Latina, l’appellante ha impugnato il provvedimento n. 247 del 9/2/2017, col quale il Comune di Sabaudia ha respinto la domanda di condono edilizio presentata in data 9.12.2004 ai sensi della L. n. 326/2003 avente ad oggetto un “ampliamento della cucina per circa 6,30 mq”, deducendo le medesime censure di violazione di legge (art. 32, comma 27 L. 326/2003; artt. 2 e 3 L.R. n. 12/2004) ed eccesso di potere.
3.3 - Con ricorso al Tar per il Lazio (n. 267/2017), sezione di Latina, l’appellante ha impugnato il provvedimento n. 248 del 9/2/2017, col quale il Comune di Sabaudia ha respinto la domanda di condono edilizio presentata in data 9.12.2004 ai sensi della L. n. 326/2003 avente ad oggetto la realizzazione di una “dependance di circa 29,30 mq”, deducendo le medesime censure di violazione di legge (art. 32, comma 27 L. 326/2003; artt. 2 e 3 L.R. n. 12/2004) ed eccesso di potere.
3.4 - Con ricorso al Tar per il Lazio (n. 268/2017), sezione di Latina, l’appellante ha impugnato il provvedimento n. 249 del 9/2/2017, col quale il Comune di Sabaudia ha respinto la domanda di condono edilizio presentata in data 9.12.2004 ai sensi della L. n. 326/2003 avente ad oggetto l’“edificazione di una tettoia per il riparo delle macchine”, deducendo le medesime censure di violazione di legge (art. 32, comma 27 L. 326/2003; artt. 2 e 3 L.R. n. 12/2004) ed eccesso di potere.
3.5 - Con ricorso al Tar per il Lazio (n. 269/2017), sezione di Latina, l’appellante ha impugnato il provvedimento n. 250 del 9/2/2017, col quale il Comune di Sabaudia ha respinto la domanda di condono edilizio presentata in data 9.12.2004 ai sensi della L. n. 326/2003 avente ad oggetto la “realizzazione di una piccola tettoia adibita a stenditoio”, deducendo le medesime censure di violazione di legge (art. 32, comma 27 L. 326/2003; artt. 2 e 3 L.R. n. 12/2004) ed eccesso di potere.
3.6 - Con ricorso al Tar per il Lazio (n. 270/2017), sezione di Latina, l’appellante ha impugnato il provvedimento n. 251 del 9/2/2017, col quale il Comune di Sabaudia ha respinto la domanda di condono edilizio presentata in data 9.12.2004 ai sensi della L. n. 326/2003 avente ad oggetto la “realizzazione di una dependance di circa 21 mq”, deducendo le medesime censure di violazione di legge (art. 32, comma 27 L. 326/2003; artt. 2 e 3 L.R. n. 12/2004) ed eccesso di potere.
3.7 - Con ricorso al Tar per il Lazio (n. 271/2017), sezione di Latina, l’appellante ha impugnato il provvedimento n. 252 del 9/2/2017, col quale il Comune di Sabaudia ha respinto la domanda di condono edilizio presentata in data 9.12.2004 ai sensi della L. n. 326/2003 avente ad oggetto la realizzazione di un “vialetto, piattaforma in legno e barbecue”, deducendo le medesime censure di violazione di legge (art. 32, comma 27 L. 326/2003; artt. 2 e 3 L.R. n. 12/2004) ed eccesso di potere.
3.8 - Con ricorso al Tar per il Lazio (n. 272/2017), sezione di Latina, l’appellante ha impugnato il provvedimento n. 253 del 9/2/2017, col quale il Comune di Sabaudia ha respinto la domanda di condono edilizio presentata in data 9.12.2004 ai sensi della L. n. 326/2003 avente ad oggetto un “ampliamento della dependance per circa 15 mq”, deducendo le medesime censure di violazione di legge (art. 32, comma 27 L. 326/2003; artt. 2 e 3 L.R. n. 12/2004) ed eccesso di potere.
4 - Con la sentenza n. 439/2020, il Tar adito ha respinto il ricorso n. 264/2017, rilevando che:
- l’area su cui sorgono le opere è classificata dal P.R.G. del Comune di Sabaudia come “Verde Privato Vincolato”, sulla quale l’art. 22 delle N.T.A. consente solamente “opere di restauro e risanamento conservativo e ripristino degli edifici esistenti”, con la precisazione che “nel caso che le aree libere ad essi (edifici) asservite superano la superficie di mq. 1000, è consentito nella parte eccedente un indice di utilizzazione fondiaria non superiore … a 0,01 mc/mq”;
- “il manufatto è ubicato sulla fascia dunale compresa tra il mare e il Lago di Sabaudia, la quale è soggetta a vincoli di inedificabilità particolarmente stringenti, tra i quali quelli posti dal P.T.P. Ambito n. 13/1 Fascia Costiera di Sabaudia, Laghi e Promontorio del Circeo, il cui articolo 31 delle NTA vieta gli incrementi edificatori, e dal Piano del Parco Nazionale del Circeo, in cui l’area viene classificata Zona B – Riserve Generali Orientate Sottozona B2 – Riqualificazione Ambientale, per la quale l’art. 27, precisa che in essa è vietato realizzare nuove opere edilizie e ampliare le costruzioni esistenti”;
- “l’art. 32, comma 27 lett. d), del D.L. n. 269 del 2003, convertito dalla L. n. 326 del 2003, fermo restando quanto previsto dagli artt. 32 e 33, l. n. 47 del 1985, prescrive l’insuscettibilità della sanatoria di opere edilizie non autorizzate, realizzate su immobili soggetti a vincoli, istituti prima dell’esecuzione di dette opere, ove le stesse non siano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici”;
- “il manufatto realizzato dal ricorrente risulta in contrasto sia con la disciplina prevista dal P.R.G. (che classifica l’area come “Verde Privato Vincolato”) sia con i vincoli paesaggistici di inedificabilità assoluta sopra specificati, posti a tutela della fascia dunale compresa tra il mare e il Lago di Sabaudia”;
- “non è necessaria la preventiva comunicazione dell’avvio del procedimento per i provvedimenti di diniego del condono edilizio, ciò in quanto tali procedimenti, finalizzati alla sanatoria degli abusi edilizi, sono avviati su istanza di parte. In ogni caso, stante la natura vincolata del diniego di condono, il mancato rispetto della normativa sul procedimento non comporta l’annullabilità del provvedimento secondo quanto disposto dall’art. 21 octies, L. 241/1990”.
4.1 - Con le sentenze nn. 440/2020, 441/2020, 442/2020, 443/2020, 444/2020, 445/2020, 446/2020, 447/2020 sono stati respinti gli altri ricorsi (nn. 265/2017, 266/2017, 267/2017, 268/2017, 269/2017, 270/2017, 271/2017, 272/2017), con una motivazione sostanzialmente analoga a quella innanzi richiamata.
5 - Avverso tali pronunce ha proposto appello l’originario ricorrente: con il ricorso n. 5243/2021 è stata impugnata la sentenza n. 439/2020; con il ricorso n. 5244/2021 è stata impugnata la sentenza n. 440/2020; con il ricorso n. 5245/2021 è stata impugnata la sentenza n. 441/2021; con il ricorso n. 5246/2021 è stata impugnata la sentenza n. 442/2020; con il ricorso n. 5248/2021 è stata impugnata la sentenza n. 443/2020; con il ricorso n. 5249/2021 è stata impugnata la sentenza n. 444/2020; con il ricorso n. 5250/2021 è stata impugnata la sentenza n. 445/2020; con il ricorso n. 5251/2021 è stata impugnata la sentenza n. 446/2020; con il ricorso n. 5253/2021 è stata impugnata la sentenza n. 447/2020.
6 – Previa riunione dei ricorsi, con l’ordinanza n. 6300/2023, la Sezione ha disposto un approfondimento istruttorio a carico del Comune.
7 – All’udienza pubblica del 9 novembre 2023, le cause sono state discusse e trattenute in decisione.
DIRITTO
1 – In via preliminare, deve essere confermata la riunione dei ricorsi in appello indicati in epigrafe, già disposta con l’ordinanza n. 6300/2023, per evidenti ragioni di connessione oggettiva e soggettiva, dal momento che hanno tutti ad oggetto interventi realizzati sulla medesima area dal medesimo proprietario.
2 – Con l’appello n. 5402/2017 è stata impugnata la sentenza n. 337/217, avente ad oggetto l’ordine di demolizione n. 21 del 1.7.2009, con la quale il Comune ha contestato la realizzazione di una “unità immobiliare con struttura portante in muratura della superficie di mq 118 circa, avente altezza variabile da ml. 1,80 a ml. 2,30, completamente interrata e ubicata al di sotto dell’area di sedime dell’abitazione pre-esistente, con accesso indipendente dall’esterno, composta da: a) stanza massaggi di mq 7,60 con annesso bagno di mq. 3,50; b) stanza vogatori di mq 10,20 con annesso bagno di mq 5,00; stanza pluriuso di mq. 70; d) atrio d’ingresso di mq 4,50; e) locale ripostiglio di mq 4,80; f) corridoio di mq 13,00”.
Con la predetta sentenza, il Tar ha respinto il ricorso avverso tale provvedimento, rilevando che:
- a prescindere dalla dubbia preesistenza del locale interrato, in ragione della mancata inclusione dello stesso nella domanda di condono presentata nel 1995, è incontestabile che su di esso sono stati effettuati, senza autorizzazione, lavori finalizzati alla trasformazione della destinazione d’uso in “abitabile”, anche con la realizzazione di due bagni e di un ingresso indipendente;
- l’area su cui sorgono le opere è classificata dal P.R.G. del Comune di Sabaudia come “Verde Privato Vincolato”, sulla quale l’art. 22 delle N.T.A. consente solamente “opere di restauro e risanamento conservativo e ripristino degli edifici esistenti”, con la precisazione che “nel caso che le aree libere ad essi asservite superano la superficie di mq. 1000, è consentito nella parte eccedente un indice di utilizzazione fondiaria non superiore … a 0,01 mc/mq”;
- la realizzazione di un’unità immobiliare della superficie di mq 118 con accesso indipendente dall’esterno, composta da tre stanze, due bagni, atrio d’ingresso e locale ripostiglio, non è compatibile con la disciplina urbanistica succitata;
- il manufatto è ubicato sulla fascia dunale compresa tra il mare e il Lago di Sabaudia, soggetta a vincoli di inedificabilità particolarmente stringenti, tra i quali quelli posti dal P.T.P. Ambito n. 13, il cui articolo 31 delle NTA vieta gli incrementi edificatori, e dal Piano del Parco, in cui l’area viene classificata in Zona B – Riserve Generali Orientate, per la quale l’art. 27 precisa che in esse “è vietato realizzare nuove opere edilizie e ampliare le costruzioni esistenti”.
2.1 – Con l’appello avverso tale pronuncia, l’appellante ha dedotto “l’illogicità della motivazione con riferimento alla preesistenza del locale interrato. Violazione e falsa applicazione del DPR 380/2001, della L. 42/04, della disciplina urbanistica dell’area interessata. Violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità. Errore di fatto per la riconducibilità dell’intervento edilizio all’ipotesi di ristrutturazione edilizia”.
L’appellante sostiene che le opere realizzate al piano seminterrato non consistono in una nuova edificazione, come erroneamente ritenuto dal Tar, bensì in meri interventi di bonifica effettuati all’interno di un locale preesistente, precedentemente adibito al collocamento di impianti tecnici, con contestuale mutamento di destinazione d’uso dello stesso attraverso la realizzazione di modestissime opere di tramezzatura.
Quanto alla preesistenza del locale interrato sin dalla data di realizzazione dell’immobile principale, parte appellante evidenzia la mancanza di specifica contestazione da parte del Comune di Sabaudia sul punto, e pertanto deduce l’erroneità della sentenza del Tar, che si è espressa in termini dubitativi sul punto, in contrasto con il principio di non contestazione di cui all’art 64 c.p.a.
La circostanza che il piano seminterrato non era stato incluso nella domanda di condono presentata nel 1995 sarebbe irrilevante, in quanto all’epoca il locale in questione era destinato esclusivamente ad ospitare l’impiantistica dell’abitazione principale, e dunque costituiva un locale tecnico, che come tale non necessitava del titolo edilizio. La preesistenza del locale sarebbe in ogni caso dimostrata dalla perizia depositata in primo grado a firma dell’Ing. Marcelli, alla quale si dovrebbe attribuire valore testimoniale.
Sulla base di tali premesse, parte appellante deduce che gli interventi realizzati non si pongono in contrasto con la normativa urbanistica e paesaggistica dell’area, trattandosi di interventi qualificabili come risanamento conservativo di un locale preesistente e aventi rilievo esclusivamente interno. Il locale, inoltre, sarebbe qualificabile come volume tecnico, in quanto a causa delle sue caratteristiche strutturali, ed in particolare dell’altezza ridotta (che varia da mt. 2,30 nella sola parte limitrofa all’accesso a mt. 1,80 nella parte interna), non sarebbe suscettibile di utilizzazione autonoma, né utilizzabile ai fini residenziali.
Il Tar avrebbe errato nel ritenere che le opere si pongono in contrasto con gli strumenti urbanistici e con i vincoli insistenti sull’area, in quanto tale conclusione si baserebbe sull’erroneo presupposto per cui gli interventi realizzati avrebbero comportato un mutamento di destinazione d’uso del piano seminterrato da locale tecnico ad abitativo tramite la realizzazione di un nuovo volume.
3 – La censura è infondata.
Quanto alla preesistenza del piano interrato, sul piano astratto giova ricordare che la giurisprudenza amministrativa è pacifica nel gravare il privato dell’onere di dimostrare l’esistenza di un titolo edilizio legittimante la costruzione (cfr. Consiglio di Stato, sez. II, 22/06/2022, n. 5132).
Alla luce di tale principio si giustifica l’assunto del Tar, che si è espresso in senso dubitativo circa la preesistenza del piano interrato in ragione del fatto che lo stesso, per quel che consta, non è assistito da alcun titolo e non era stato neppure indicato nelle diverse domande di condono presentate dal ricorrente per le opere abusivamente realizzate nella medesima area.
3.1 – Sempre sul piano teorico, non risulta idonea a supplire a tale carenza probatoria la relazione tecnica depositata in primo grado, tenuto conto che “una perizia di parte, ancorché giurata, non è dotata di efficacia probatoria e pertanto non è qualificabile come mezzo di prova” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 19/07/2018, n. 5128).
Le dichiarazioni contenute nella suddetta relazione non possono neppure assurgere a prova testimoniale come prospettato da parte appellante, non potendosi riconoscere alle stesse alcun valore probatorio, in quanto introdotte in giudizio al di fuori della procedura all’uopo stabilita della legge (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 18/05/2021, n. 3853).
In ogni caso, dalla lettura della relazione risulta soltanto che nell’anno 1995 sarebbe già esistito un volume interrato (che venne “edificato durante la costruzione della villa”), senza tuttavia specificare se questo fosse incluso nella licenza edilizia che ha autorizzato l’edificazione della villa, né l’epoca della sua realizzazione; ne deriva che non appare rilevante neppure la prospettata mancata contestazione da parte del Comune circa la preesistenza (o meno) del volume interrato, posto che, come detto, agli atti manca comunque la prova – il cui onere incombe sul privato - del titolo che lo legittima.
3.2 – Ferme le considerazioni appena esposte, la questione circa la preesistenza e legittimità dello “spazio” sottostante il fabbricato, nel quale sono stati posti in essere gli interventi contestati dal Comune, non assume in ogni caso una valenza decisiva ai fini del presente giudizio, come di seguito meglio spiegato.
L’ordinanza di demolizione impugnata richiama la nota della Procura della Repubblica di Latina n. 7461/2008 del 23.09.2008 con allegata relazione tecnica redatta dall’Ente Parco Nazionale del Circeo e il verbale di sequestro preventivo operato in data 12.09.2008 dal personale della Polizia Giudiziaria, che descrivono compiutamente l’abuso, sintetizzabile nell’allestimento dello spazio sottostante la villa, reso abitabile in assenza di alcun titolo edilizio.
A seguito dell’ordinanza istruttoria della Sezione n. 6300/2023, il Comune ha chiarito che: i) le murature perimetrali e portanti del vano in questione costituivano sottofondazione della villa originariamente edificata, coeve quindi alla realizzazione della villa stessa; ii) i ripristini di cui all’ordinanza comunale n. 21/2009 non prevedono la demolizione di strutture portanti di sottofondazione del sovrastante fabbricato; iii) non sono state ordinate demolizioni che possono avere riflessi sulla consistenza originaria del seminterrato.
Ne deriva che le opere contestate sono quelle che hanno permesso di trasformare lo spazio seminterrato da “vano vuoto”, privo di qualsiasi rilevanza urbanistico-edilizia, ad “unità immobiliare” invece rilevante in termini volumetrici ed urbanistici.
Nella propria memoria difensiva il Comune ha ribadito che “l’ingiunzione di demolizione non riguarda la struttura nel suo insieme ma solo le opere interne (ed al limite la nuova porta di accesso e le finestre), ovvero quelle opere che hanno il locale reso suscettibile di utilizzo stabile e continuativo per attività antropiche”. In questi termini si era espresso anche l’Ente Parco che, nella nota del 18.12.2009, prescriveva che il ripristino sarebbe dovuto avvenire “eliminando non solo i bagni ma anche tutte le restanti opere (anche di finitura) che hanno conferito al vano sottofondazione una connotazione di accessorio residenziale alla sovrastante abitazione”.
3.3 – Chiarita l’esatta portata dell’abuso – che deve essere ridimensionato rispetto a quanto erroneamente temuto dall’appellante e che, giova rimarcarlo, non impone la demolizione anche dei muri perimetrali e della fondamento della villa, bensì il solo ripristino dello spazio sottostante il fabbricato allo stato antecedente alle opere di allestimento interno contestate - anche le restanti censure non possono essere condivise.
Invero, l’intera prospettazione dell’appellante non considera che tale spazio nella sua consistenza originaria non poteva considerarsi un volume urbanisticamente rilevante.
Nella relazione depositata in giudizio lo stesso tecnico dell’appellante afferma che “Durante i sopralluoghi ho constatato che esisteva un unico locale interrato per una superficie uguale all'area di sedime della villa soprastante; all'interno dello stesso rilevai alcuni plinti, in linea, di conglomerato cementizio armato. Le pareti dell'interrato erano praticamente il prolungamento della tamponatura della villa ed erano costituite in parte da blocchetti di cemento, in parte da blocchetti di tufo e laterizi; il tutto al rustico, ovvero senza intonaco di finitura. Il pavimento del locale non era livellato ma presentava gibbosità ed avvallamenti; anche l'altezza del locale, rispetto al solaio-pavimento della villa, non era unica poiché in alcuni punti era di circa 1,80 ml., in altri di circa 2,10-2,15 ml. Lungo le pareti di tamponamento, più precisamente nella parte fronte mare ed in quella laterale, erano presenti due "bocche di lupo" e due finestre di limitate dimensioni che permettevano l'arieggiamento di tutto il locale. All'interno dell'interrato erano state collocate delle pompe di sollevamento che servivano sia per lo smaltimento delle acque nere (nel locale erano situate le tubazioni di scarico ed i pozzetti) che per la mandata delle acque chiare nella villa soprastante.
Nello stesso era state collocate altresì le centraline dell'impianto telefonico e di quello dell'allarme, nonché parte dell'impianto elettrico. Anche i tubi di mandata dell'impianto di riscaldamento percorrevano il solaio-soffitto del locale…Mi risulta che il proprietario ha provveduto a bonificare il piano interrato con una sistemazione più razionale degli impianti, per esempio, spostando la caldaia di riscaldamento; provvedendo altresì alla pavimentazione del locale mantenendo lo stesso dislivello, intonacando le pareti, ricavando due piccoli locali e due bagnetti di servizio. Provvedendo infine ad aprire un comodo ingresso”.
La mancata inclusione dello spazio interrato nei titoli edilizi può dunque trovare una plausibile giustificazione nel fatto che lo stesso, per come descritto nella citata relazione, doveva ritenersi completamente non fruibile, se non per alloggiarvi gli impianti destinati a servire l’abitazione soprastante, fungendo dunque, al più, da mero vano tecnico (lo stesso tecnico conferma che: “Il sottoscritto nel 1995, nella stesura della domanda di sanatoria non ha inserito tale locale poiché lo stesso era totalmente interrato, edificato durante la costruzione della villa e non costituente un volume fiscale”).
Ciò che rileva ai fini del presente giudizio è invece che l’appellante ha reso abitabile e fruibile, senza alcun titolo autorizzatorio, tale spazio, creando di fatto un nuovo volume urbanisticamente rilevante.
Per le ragioni esposte, essendo chiara la situazione di fatto nella quale si colloca il provvedimento impugnato, non è necessario disporre alcun ulteriore approfondimento istruttorio, dovendosi disattendere la richiesta di verificazione avanzata dall’appellante.
3.4 – Alla luce delle considerazioni che precedono, deve concludersi che la sentenza del Tar ha correttamente reputato irrilevante l’aspetto relativo alla preesistenza del seminterrato, dal momento che i lavori compiuti dall’appellante all’interno dello stesso costituiscono di per sé un abuso perseguibile con la sanzione del ripristino.
Infatti, la trasformazione posta in essere dall’appellante doveva necessariamente essere assistita da un adeguato titolo edilizio che, nel caso di specie, è insussistente.
Contrariamente alla tesi di parte appellane - secondo cui, stante la preesistenza del volume interrato, qualificato come pertinenziale alla villa e insuscettibile di utilizzo residenziale, non sussisterebbe alcuna violazione delle disposizioni urbanistiche ed edilizie, in quanto quelle contestate sarebbero mere opere interne di risanamento conservativo di un locale preesistente – la modifica, negli stessi termini prospettati da parte appellante, che di fatto ha reso fruibile il vano allestendolo a palestra, con spogliatoio e bagni, non può in alcun modo essere ricondotta nell’ambito di un mero intervento di risanamento conservativo, avuto riguardo al fatto che, per come ammesso dallo stesso appellante, in precedenza tale volume non era fruibile, ma solo destinato a vano tecnico.
La categoria del risanamento conservativo comprende il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio al fine di consentire il recupero dell’edificio esistente, che si vuole conservare (cfr. Cons. St., Sez. V, 5 settembre 2014, n. 4523). Il mutamento della destinazione d’uso, accompagnato da una risistemazione strutturale interna del volume originariamente non abitabile, risulta invece incompatibile con il concetto di risanamento, che presuppone la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell’edificio (cfr. Cons. St., Sez. V, 17 marzo 2014, n. 1326).
Anche la giurisprudenza penale ha chiarito che il mutamento di destinazione di uso di un immobile attuato attraverso la realizzazione di opere edilizie configura quantomeno un’ipotesi di ristrutturazione edilizia; ciò in quanto l’esecuzione dei lavori, anche se di entità modesta, porta pur sempre alla creazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente (cfr. Cassazione penale, sez. III, 14/02/2017, n. 6873).
Il fatto che i “nuovi locali” non rispettino le altezze di legge necessarie per la sua destinazione residenziale aggrava la situazione abusiva concretizzatasi, non potendosi certo assumere che, siccome non sono rispettate le altezze, l’allestimento di detto volume non sia destinato alla fruizione umana, incompatibile con quella precedente di mero ricovero degli impianti (trattasi invero, tra l’altro, di una stanza massaggi di mq 7,60 con annesso bagno di mq. 3,50 e di una stanza vogatori di mq 10,20 con annesso bagno di mq 5,00).
3.5 - Contrariamente alla prospettazione di parte appellante non si è al cospetto di un cambio di destinazione d’uso senza opere.
L’attuale situazione di fatto è stata infatti ottenuta attraverso l’esecuzione di opere edilizie, che hanno creato, in luogo del preesistente spazio interrato ove erano collocati gli impianti, un volume fruibile con accesso indipendente dall’esterno, composto da: a) stanza massaggi di mq. 7, 60 con annesso bagno di mq. 3, 50; b) stanza vogatori di mq. 10,20 con annesso bagno di mq. 5, 00; c) stanza pluriuso di mq. 70; d) atrio d'ingresso di mq. 4,50; e) locale ripostiglio di mq. 4, 80; f) corridoio di mq. 13,00.
3.6 - Anche il rilievo con il quale si rivendica la natura di mero volume tecnico del preesistente locale, che sarebbe stato solo bonificato dall’appellante, non coglie nel segno, ove si consideri che le opere poste in essere, a rigore, non paiono neppure riconducibili al mero mutamento della destinazione d’uso di un precedente volume, che presuppone che questo fosse in origine comunque urbanisticamente rilevante ed autorizzato; integrano, invece, la creazione di una nuova volumetria, dal momento che detto spazio, prima della trasformazione, era urbanisticamente non rilevante e non fruibile e, pertanto, mai autorizzato.
Al riguardo, giova ricordare che la nozione di volume tecnico corrisponde a un’opera priva di qualsiasi autonomia funzionale, anche solo potenziale, perché destinata solo a contenere, senza possibilità di alternative impianti serventi di una costruzione principale per essenziali esigenze tecnico-funzionali di essa (ex plurimis, Consiglio di Stato, sez. VI, 27/11/2017, n. 5516). Per tale ragione, i volumi tecnici sono tendenzialmente esclusi dal calcolo della volumetria. Ne deriva che la trasformazione dell’originario volume tecnico in un locale destinato alla fruizione umana (per palestra, sauna, ecc.) costituisce, sotto il profilo edilizio-urbanistico, la creazione di una nuova volumetria per la quale era necessario munirsi di un adeguato titolo edilizio rispettoso della disciplina edilizia della zona.
In ogni caso, come già sottolineato, anche in relazione al prospettato mutamento di destinazione d’uso, la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che “il mutamento di destinazione di uso di un immobile attuato attraverso la realizzazione di opere edilizie configura in ogni caso un'ipotesi di ristrutturazione edilizia; ciò in quanto l'esecuzione dei lavori, anche se di entità modesta, porta pur sempre alla creazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente” (Consiglio di Stato, sez. VI, 15/11/2022 n. 9986; in termini analoghi cfr. anche Consiglio di Stato sez. VI, 13/07/2022, n. 5907: “Deve, pertanto, ritenersi legittima l'ordinanza di demolizione avente ad oggetto interventi che, in assenza di permesso di costruire, abbiano operato un indiscusso mutamento di destinazione d'uso con opere edilizie di una struttura preesistente”).
7 - La pacifica assenza di un titolo a legittimazione delle opere contestate – da ritenersi imprescindibile per le ragioni esposte - ne comporta l’abusività, anche a prescindere dal rispetto sostanziale della disciplina urbanistica e vincolistica della zona.
Per tale ragione, non è necessario esaminare in questa sede la compatibilità dell’opera sotto i predetti profili. Tale valutazione presuppone invero la presentazione di una domanda di sanatoria ed il previo pronunciamento al riguardo da parte dell’amministrazione competente.
7.1 – Devono essere infine disattesi anche i rilievi di cui alla memoria depositata da parte appellante in data 19 ottobre 2023, tenuto conto che l’ordinanza di demolizione è atto necessitato a seguito della constatazione dell’abuso, rispetto al quale all’amministrazione non è attribuito alcun margine di discrezionalità (cfr. Cons. St., Sez. V, 17 settembre 2008, n. 4446). Ne deriva che, nel caso in cui non sia concretamente possibile procedere al ripristino, o sussistano effettivamente i paventati pericoli per la statica dell’intero immobile, sarà il Comune a valutare, in un secondo tempo, tali eventualità, senza che ciò incida sulla legittimità dell’ordinanza di demolizione oggetto del presente giudizio.
Come più volte precisato dalla giurisprudenza, tale questione deve essere valutata a valle del provvedimento di demolizione, laddove ne sussistano i relativi presupposti (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 23 novembre 2017, n. 5472; Cons. Stato, sez. VI, 29 novembre 2017, n. 5585).
7.3 – In definitiva: la sentenza n. 337/2017 del Tar per il Lazio deve essere confermata e con essa il provvedimento impugnato, con la precisazione che l’ordine di demolizione non ha ad oggetto la demolizione di strutture portanti di sottofondazione del sovrastante fabbricato, ma solo il ripristino della consistenza originaria dello spazio interrato.
8 – Devono ora esaminarsi gli ulteriori ricorsi in appello, aventi ad oggetto le sentenze del Tar per il Lazio indicate in epigrafe che hanno confermato i provvedimenti di rigetto delle istanze di condono presentate dall’appellante in relazione alle opere realizzate senza titolo sulla medesima area.
Le sentenze impugnate, con una motivazione sostanzialmente analoga, hanno disatteso le censure di cui ai ricorsi di primo grado, rilevando che:
- l’area su cui sorgono le opere è classificata dal P.R.G. del Comune di Sabaudia come “Verde Privato Vincolato”, sulla quale l’art. 22 delle N.T.A. consente solamente “opere di restauro e risanamento conservativo e ripristino degli edifici esistenti”, con la precisazione che “nel caso che le aree libere ad essi [edifici] asservite superano la superficie di mq. 1000, è consentito nella parte eccedente un indice di utilizzazione fondiaria non superiore … a 0,01 mc/mq”;
- “il manufatto è ubicato sulla fascia dunale compresa tra il mare e il Lago di Sabaudia, la quale è soggetta a vincoli di inedificabilità particolarmente stringenti, tra i quali quelli posti dal P.T.P. Ambito n. 13/1 Fascia Costiera di Sabaudia, Laghi e Promontorio del Circeo, il cui articolo 31 delle NTA vieta gli incrementi edificatori, e dal Piano del Parco Nazionale del Circeo, in cui l’area viene classificata Zona B – Riserve Generali Orientate Sottozona B2 – Riqualificazione Ambientale, per la quale l’art. 27, precisa che in essa “è vietato realizzare nuove opere edilizie e ampliare le costruzioni esistenti”;
- “l’art. 32 comma 27 lett. d) del D.L. n. 269 del 2003 convertito dalla L. n. 326 del 2003, fermo restando quanto previsto dagli artt. 32 e 33, l. n. 47 del 1985, prescrive l’insuscettibilità della sanatoria di opere edilizie non autorizzate, realizzate su immobili soggetti a vincoli, istituti prima dell’esecuzione di dette opere, ove le stesse non siano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, condizione quest’ultima, che costituisce una novità rispetto alle precedenti leggi sul condono edilizio”;
- “il manufatto realizzato dal ricorrente risulta in contrasto sia con la disciplina prevista dal P.R.G. (che classifica l’area come “Verde Privato Vincolato”) sia con i vincoli paesaggistici di inedificabilità assoluta sopra specificati, posti a tutela della fascia dunale compresa tra il mare e il Lago di Sabaudia”;
- “non è necessaria la preventiva comunicazione dell’avvio del procedimento per i provvedimenti di diniego del condono edilizio, ciò in quanto tali procedimenti, finalizzati alla sanatoria degli abusi edilizi, sono avviati su istanza di parte” (Consiglio di Stato sez. VI 19/09/2018 n. 5465). In ogni caso, stante la natura vincolata del diniego di condono, il mancato rispetto della normativa sul procedimento non comporta l’annullabilità del provvedimento secondo quanto disposto dall’art. 21 octies, L. 241/1990”.
8.1 – A sostegno dei ricorsi in appello, parte appellante ha dedotto tre motivi di censura:
I) “Violazione di legge in relazione agli artt. 32 comma 27 L. 326/03 nonché artt. 2 e 3 L.R. n. 12/2004); illogicità della motivazione”.
Con tale motivo, parte appellante deduce il difetto di istruttoria in cui sarebbe incorso il Comune di Sabaudia e sostiene che il provvedimento di diniego di condono impugnato in primo grado integri più correttamente una declaratoria di inammissibilità della domanda di condono, non esaminata nel merito, ostando ad una diversa soluzione la carenza di istruttoria e l’inidoneità della motivazione.
Secondo l’appellante, il TAR ha erroneamente condiviso la motivazione del Comune e, pur ammettendo l’esistenza di una minima capacità edificatoria nella normativa urbanistica di riferimento, ha rigettato il ricorso in ragione della maggiore ampiezza della domanda di condono rispetto a detta capacità edificatoria della quale il Comune, nel provvedimento impugnato, non faceva menzione, entrando così nel merito della domanda e sostituendosi all’amministrazione.
Da un altro punto di vista, erroneamente la sentenza impugnata farebbe riferimento a normative vincolistiche non citate dal Comune, sosterrebbe l’alternatività tra le cause per le quali il condono ex lege n. 326/2003 non può essere concesso, nonché l’irrilevanza del P.T.P.R.
Parte appellante sostiene altresì la spettanza del condono ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. b) della L.R. n. 12/2004, secondo il quale le domande di sanatoria non sono inammissibili in radice per la sola esistenza di vincoli. Ne discenderebbe l’obbligo per il Comune di procedere ad una istruttoria che evidenzi la zona in cui sono state realizzate le opere delle quali si chiede la sanatoria e la loro difformità alle prescrizioni degli strumenti urbanistici nonché, in difetto di un vincolo di inedificabilità assoluta, di concedere il condono anche solo parziale, dal momento che lo strumento urbanistico consentiva un aumento di cubatura, sia pur minima.
Ancora, l’appellante evoca un orientamento giurisprudenziale secondo cui le cause di diniego del condono ai sensi della l. n. 326/2003 devono operare contemporaneamente, anziché disgiuntamente. I vincoli di cui al D. Lgs. 42/2004 (Tutela Paesaggistica-Ambientale) e al D.P.R. 04/04/2005 (Vincolo Ente Parco Nazionale del Circeo), in vigore dal 6 luglio 2005, sarebbero successivi all’edificazione delle opere oggetto di istanza di condono, pertanto, l’unico vincolo astrattamente opponibile al richiedente sarebbe il vincolo idrogeologico di cui al R.D.L. n. 3267/23, non considerato dal TAR e il cui contenuto non è specificato nell’atto impugnato. Non si comprenderebbe, dunque, se si tratti o meno di un vincolo di inedificabilità, vieppiù tenuto conto che la Legge Regionale n. 52/1976 consentirebbe nella zona in parola un indice di edificabilità pari a quello del P.R.G.
Erroneamente il Giudice di prime cure avrebbe considerato preclusivo di qualsiasi intervento edificatorio il vincolo apposto dal P.T.P. non menzionato dal Comune, integrando la motivazione del provvedimento; così come erroneamente avrebbe ritenuto ininfluente l’approvazione del P.T.P.R. della Regione Lazio, le cui norme per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica anche ai fini del condono già vigevano nel momento in cui vennero emessi i provvedimenti impugnati, in quanto adottate dalla Giunta Regionale, sebbene non ancora approvate. Da ultimo, in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale n. 240 del 22.10.2020, che aveva annullato la delibera di approvazione del P.T.P.R., il Piano sarebbe stato riapprovato in data 21 aprile 2021;
II) “Carenza assoluta di motivazione, inconferenza della motivazione con l’oggetto del ricorso e manifesta illogicità in riferimento alle opere oggetto di richiesta di condono”.
Con il secondo motivo, l’appellante ribadisce che lo strumento urbanistico vigente nel Comune di Sabaudia consente la realizzazione di opere con incremento di volumetria nella zona interessata dagli abusi; pertanto, il Comune avrebbe dovuto verificare se le opere delle quali si chiede il condono comportassero o meno un incremento volumetrico. Al contrario, né il Comune né il TAR avrebbero affrontato il problema della natura concreta delle opere in condono, con conseguente carenza di motivazione della sentenza e dei provvedimenti impugnati. La motivazione della sentenza sarebbe altresì illogica ed inconferente con le opere oggetto del procedimento amministrativo, poiché alcuni dinieghi di condono hanno ad oggetto superfici che non comportano alcun tipo di incremento volumetrico;
III) “Violazione dell’art. 21 octies L. 241/90”.
Infine, con il terzo motivo, parte appellante censura la sentenza di primo grado nella parte in cui non ha attribuito rilievo alla difformità tra il contenuto della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza ex art. 10 bis della L. n. 241/1990, fondata esclusivamente sulla sottoposizione della zona a vincolo paesaggistico, ed il provvedimento di diniego del condono, che assumeva altresì la difformità delle opere rispetto agli strumenti urbanistici. A sostegno del motivo di appello, l’appellante richiama una sentenza di questa Sezione concernente l’applicabilità dell’art. 10 bis citato anche al procedimento di condono, evidenziando che l’istante, qualora avesse ricevuto la comunicazione del preavviso di rigetto completa, tra le ragioni ostative, del riferimento allo strumento urbanistico, avrebbe potuto dedurre questioni fattuali o giuridiche che, in ipotesi, avrebbero potuto condurre ad una decisione differente da quella in concreto adottata dal Comune e, in particolare, che il P.R.G. consente un incremento di volumetria. Ciò avrebbe imposto al Comune un’istruttoria sulla volumetria assentibile e sulla conformità allo strumento urbanistico di alcune opere non volumetriche, rendendo i condoni anche solo parzialmente accoglibili.
9 - Le censure, che possono essere esaminate congiuntamente, sono infondate.
Il Comune, nei provvedimenti impugnati, ha richiamato in modo esplicito sia l’art. 32, comma 27, della l. 326/2003, sia l’art. 3, lettera b), della l.r. 12/2004 che, per le ragioni di seguito esposte, escludono in radice la possibilità di sanare le opere per cui è causa.
Al riguardo, la tesi dell’appellante non può essere condivisa, fondandosi su una lettura errata dell’art. 32, commi 26, lett. a) e 27, lett. d) del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, e del relativo allegato 1.
Ai sensi dell’art. 32 comma 26 lettera a) del D.L. 269/2003: “Sono suscettibili di sanatoria edilizia le tipologie di illecito di cui all’allegato 1: a) numeri da 1 a 3, nell’ambito dell’intero territorio nazionale, fermo restando quanto previsto alla lettera e) del comma 27 del presente articolo, nonché 4, 5 e 6 nell’ambito degli immobili soggetti a vincolo di cui all’articolo 32 della legge 28 febbraio 1985 n. 47”.
L’art. 32, comma 27, del medesimo decreto legge prevede che: “Fermo restando quanto previsto dagli articoli 32 e 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora (…) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici”.
9.1 - Secondo quanto prevedono le suddette norme, non sono in alcun modo suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai numeri 1, 2 e 3 dell’allegato 1 alla citata legge (cd. abusi maggiori), realizzate su immobili soggetti a vincoli (per quanto qui rileva) idrogeologici e paesaggistici, a prescindere dal fatto che (ed anche se) si tratti di interventi conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici e al fatto che il vincolo non comporti l’inedificabilità assoluta dell’area. Sono invece sanabili, se conformi a detti strumenti urbanistici, solo gli interventi cd. minori di cui ai numeri 4, 5 e 6, dell’allegato 1 al d.l. n. 326, cit. (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria), previo parere della autorità preposta alla tutela del vincolo.
9.2 - La giurisprudenza (cfr. Cons. St. n. 1664 del 2 maggio 2016; Cons. St. n. 735 del 23 febbraio 2016, Cons. St. n. 2518 del 18 maggio 2015) ha, infatti, costantemente affermato che, ai sensi dell’art. 32, comma 27, lett. d) del decreto legge n. 269 del 30 settembre 2003, convertito nella legge n. 326 del 24 novembre 2003 (cd. terzo condono), le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli sono sanabili solo se, oltre al ricorrere delle ulteriori condizioni – e cioè che le opere siano realizzate prima della imposizione del vincolo, che siano conformi alle prescrizioni urbanistiche e che vi sia il previo parere dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo - siano opere minori senza aumento di superficie (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria). Pertanto, un abuso comportante la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria in area assoggettata a vincolo non può essere sanato.
9.3 – Specularmente, questo Consiglio (Cons. St., sez. VI, 18 maggio 2015, n. 2518) ha chiarito che, ai sensi dell’art. 32, comma 27, lett. d) del decreto legge sul terzo condono, sono sanabili le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli, fra cui quello ambientale e paesistico, solo se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni: a) si tratti di opere realizzate prima della imposizione del vincolo; b) seppure realizzate in assenza o in difformità del titolo edilizio, siano conformi alle prescrizioni urbanistiche; c) siano opere minori senza aumento di superficie (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria); d) che vi sia il previo parere dell’Autorità preposta al vincolo (cfr. Cons. St., sez. VI, 2 marzo 2010, n.1200; Cons. St., sez. IV, 19 maggio 2010, n. 3174).
L’applicabilità della sanatoria, nelle aree sottoposte a vincolo, alle sole opere di restauro o risanamento conservativo o di manutenzione straordinaria, su immobili già esistenti, se ed in quanto conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici è stata poi confermata anche dalla costante giurisprudenza penale, secondo cui: “in tema di abusi edilizi commessi in aree sottoposte a vincolo paesaggistico, il condono previsto dall’art. 32 del D.L. n. 269 del 2003 (convertito, con modificazioni, dalla l. n. 326 del 2003) è applicabile esclusivamente agli interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell’allegato 1 del citato D.L. (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) e previo parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo, mentre non sono in alcun modo suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai precedenti numeri 1, 2 e 3 del medesimo allegato, anche se l’area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici” (Corte Cass., sez. III, 20 maggio 2016, n. 40676).
9.4 - Le disposizioni citate sono state oggetto di diverse pronunce della Corte Costituzionale, che hanno confermato che il condono edilizio di cui al d.l. n. 269/2003 è caratterizzato da un ambito oggettivo più circoscritto rispetto a quello del 1985, in conseguenza dei limiti ulteriori contemplati dal comma 27 dell’art. 32, i quali “si aggiungono a quanto previsto negli artt. 32 e 33 della legge n. 47 del 1985” (cfr. Corte cost., sentenza 28 giugno 2004, n. 196) “e non si possono considerare racchiusi nell’area dell’inedificabilità assoluta” (cfr. Corte cost., ordinanza 8 maggio 2009, n. 150).
In particolare, la pronuncia n. 181 del 2021 ha affermato che “Sull’ambito oggettivo di applicazione del terzo condono (che era stato già definito nella sentenza n. 196 del 2004), questa Corte ha confermato che costituiscono vincoli preclusivi della sanatoria anche quelli che non comportano l’inedificabilità assoluta (ordinanza n. 150 del 2009). In particolare, ha precisato che il richiamo alla precedente distinzione tra inedificabilità relativa ed assoluta contenuta negli artt. 32 e 33 della legge n. 47 del 1985 viene effettuato al solo fine di coordinare la vecchia disciplina della sanatoria con quella sopravvenuta, mentre non risulta dirimente nella definizione dell’ambito oggettivo del condono del 2003 che viene in discussione in questa sede; aggiungendo, poi, che il condono di cui al d.l. n. 269 del 2003 è caratterizzato da un ambito oggettivo più circoscritto rispetto a quello del 1985, per effetto dei limiti ulteriori contemplati dal precitato comma 27, i quali si aggiungono a quanto previsto negli artt. 32 e 33 della legge n. 47 del 1985 (sentenza n. 196 del 2004) e non sono racchiusi nell’area dell’inedificabilità assoluta (ordinanza n. 150 del 2009)”.
In rapporto al potere riconosciuto in materia alle regioni, la sentenza n. 71 del 2005 della Corte costituzionale aveva affermato che “a seguito della citata sentenza n. 196 del 2004, la disciplina contenuta nell’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003 ha subito una radicale modificazione, soprattutto attraverso il riconoscimento alle Regioni del potere di modulare l’ampiezza del condono edilizio in relazione alla quantità e alla tipologia degli abusi sanabili, ferma restando la spettanza al legislatore statale della potestà di individuare la portata massima del condono edilizio straordinario, attraverso la definizione sia delle opere abusive non suscettibili di sanatoria, sia del limite temporale massimo di realizzazione delle opere condonabili, sia delle volumetrie massime sanabili” (in questi termini si vedano anche le sentenze nn. 70 e 304 del 2005). La sentenza n. 70 del 2005 ha chiaramente ribadito che ciò che esula dalla potestà delle Regioni è il “potere di rimuovere i limiti massimi di ampiezza del condono individuati dal legislatore statale” e con la sentenza n. 49 del 2006 la Corte ha riaffermato che “la giurisprudenza di questa Corte sul condono edilizio straordinario del 2003 è costante nell’affermare che spetta al legislatore statale determinare non solo tutto ciò che attiene alla dimensione penalistica del condono, ma anche la potestà di individuare, in sede di definizione dei principi fondamentali nell’ambito della materia legislativa «governo del territorio», la portata massima del condono edilizio straordinario, attraverso la definizione sia delle opere abusive non suscettibili di sanatoria, sia del limite temporale massimo di realizzazione delle opere condonabili, sia delle volumetrie massime sanabili”.
9.5 - Le disposizioni della L.R. n. 12/2004 risultano conformi ai principi innanzi ricordati.
Nello specifico, in base all’art. 3, comma 1, lett. b) della L.R. n. 12/2004, fermo restando quanto previsto dall’articolo 32, comma 27, del d.l. 269/2003 e successive modifiche, dall’articolo 32 della l. 47/1985, come da ultimo modificato dall’articolo 32, comma 43, del citato d.l. 269/2003, nonché dall’articolo 33 della l. 47/1985, non sono comunque suscettibili di sanatoria: “le opere di cui all’articolo 2, comma 1, realizzate, anche prima della apposizione del vincolo, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela dei monumenti naturali, dei siti di importanza comunitaria e delle zone a protezione speciale (2a), non ricadenti all’interno dei piani urbanistici attuativi vigenti, nonché a tutela dei parchi e delle aree naturali protette nazionali, regionali e provinciali”.
9.6 - In definitiva, la norma statale di cui all’art. 32, comma 27, del decreto legge n. 269 del 2003 – richiamata anche dalla disposizione regionale – esclude la possibilità di rilascio del condono per la realizzazione di opere recanti nuove superfici e nuovi volumi – quali quelle in esame – su aree soggette a vincoli posti a tutela dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali.
In senso ancor più restrittivo, la l.r. Lazio n. 12 del 2004 prevede poi la non sanabilità delle opere realizzate, anche prima della apposizione del vincolo, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela dei monumenti naturali, dei siti di importanza comunitaria e delle zone a protezione speciale, non ricadenti all’interno dei piani urbanistici attuativi vigenti, nonché a tutela dei parchi e delle aree naturali protette nazionali, regionali e provinciali.
Con la sentenza n. 181 del 30 luglio 2021, la Corte Costituzionale ha reputato legittima la disciplina regionale che prevede la non condonabilità dell’opera abusiva in caso di vincolo sopravvenuto.
9.7 – Alla luce dei principi innanzi ricordati, deve dunque precisarsi che, in riferimento al cd. terzo condono, appare sostanzialmente irrilevante la natura del vincolo (assoluto, piuttosto che relativo), dal momento che, a fronte di opere che non possono definirsi minori nel senso innanzi precisato, la presenza del vincolo preclude il condono, senza la necessità dell’acquisizione del parere dell’Autorità preposta alla salvaguardia del vincolo.
Una volta che l’opera realizzata senza titolo non sia riconducibile ad un abuso cd. minore e sia stata realizzata in un’area vincolata risulta del pari irrilevante che questa sia conforme alla disciplina urbanistica.
10 – In riferimento alla fattispecie in esame, stante il limite tracciato dal legislatore alle opere condonabili, deve evidenziarsi come vengano in rilievo ipotesi che esulano dall’ambito di applicazione oggettivo delle speciali disposizioni condonistiche per le quali è stata presentata la domanda, trattandosi pacificamente della realizzazione di nuove opere in un’area soggetta a vincolo. Come riferito dallo stesso appellante, pur nell’incertezza sull’epoca di realizzazione degli abusi, l’area è stata assoggettata a vincolo idrogeologico già con il R.D.L. 3267/1923, a cui si sono aggiunte nel tempo le ulteriori misure di tutela citate nei provvedimenti di diniego. Ne deriva che, a prescindere dalla loro conformità sostanziale alla disciplina urbanistica dell’area, le opere eseguite senza titolo non sono condonabili.
Le considerazioni che precedono sono confermate dalla più recente giurisprudenza di questo Consiglio, secondo cui “non sono in alcun modo suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai numeri 1, 2 e 3 dell’allegato 1 alla citata legge (cd. abusi maggiori), realizzate su immobili soggetti a vincoli, a prescindere dal fatto che (ed anche se) si tratti di interventi conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici e al fatto che il vincolo non comporti l’inedificabilità assoluta dell’area. Sono invece sanabili, se conformi a detti strumenti urbanistici, solo gli interventi cd. minori di cui ai numeri 4, 5 e 6, dell'allegato 1 al d.l. n. 326, cit. (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria), previo parere della autorità preposta alla tutela del vincolo” (Cons. St., 28 febbraio 2023, n. 2081).
10.1 - Avuto riguardo alle numerose domande relative ad opere realizzate nella medesima area ed evidentemente funzionali a rendere più agevole e confortevole la fruizione dell’abitazione principale alla quale accedono, deve osservarsi come la prospettazione di parte appellante non consideri l’orientamento della giurisprudenza per cui la valutazione dell’abuso edilizio presuppone, tendenzialmente, una visione complessiva e non atomistica dell’intervento, giacché il pregiudizio recato al regolare assetto del territorio deriva non dal singolo intervento, ma dall’insieme delle opere realizzate nel loro contestuale impatto edilizio.
Nello specifico, la stessa parte appellante definisce gli interventi minori, che non comportano un incremento di superficie e volume, come “elemento accessorio richiesto dalle esigenze dell’uso”, confermando indirettamente il legame funzionale che caratterizza tutte le opere realizzate.
Ne consegue che, nel rispetto del principio costituzionale di buon andamento, l’amministrazione comunale dovrebbe esaminare contestualmente l’intervento abusivamente realizzato, e ciò al fine precipuo di contrastare eventuali artificiose frammentazioni che, in luogo di una corretta qualificazione unitaria dell’abuso e di una conseguente identificazione unitaria del titolo edilizio che sarebbe stato necessario o che può, se del caso, essere rilasciato, prospettino una scomposizione virtuale dell’intervento finalizzata all’elusione dei presupposti e dei limiti di ammissibilità della sanatoria stessa. In questo senso, la giurisprudenza della Sezione ha ribadito che la verifica dell’incidenza urbanistico-edilizia dell’intervento abusivamente realizzato deve essere condotta avuto riguardo alla globalità delle opere, che non possono essere considerate in modo atomistico (cfr. Cons. St., sez. VI, 6 giugno 2012, n. 3330). Di eguale tenore la giurisprudenza penale, secondo cui: “non è ammessa la possibilità di frazionare i singoli interventi edilizi difformi al fine di dedurre la loro autonoma rilevanza, ma occorre verificare l’ammissibilità e la legalità alla luce della normativa vigente, dell’intervento complessivo realizzato” (Corte Cass., sez. III, 18 gennaio 2017, n. 8885).
10.2 - Tanto precisato, nel caso in esame deve evidenziarsi che:
- le opere per le quali è stato richiesto il condono consistono in: a) una dependance per circa 30,00 mq; b) una superficie adibita a stireria e dispensa con un piccolo bagno per una su di 5,00 mq e snr di 13,06 mq; c) un ampliamento della cucina per circa 6,30 mq; d) una dependance di circa 29,30 mq; e) una tettoia per il riparo delle macchine; f) una piccola tettoia adibita a stenditoio; g) una dependance di circa 21 mq; h) un vialetto, una piattaforma in legno e un barbecue; i) un ampliamento della dependance per circa 15 mq.;
- l’area è soggetta ad una pluralità di vincoli che i provvedimenti impugnati richiamano: a) D.lgs. n. 42/2004 (Tutela paesaggistica-ambientale); b) D.P.R. 4.4.2005 istitutivo dell’Ente Parco nazionale del Circeo; c) R.D.L. n. 3267/1923 (Vincolo Idrogeologico). I provvedimenti danno inoltre atto che l’area è ricompresa nella perimetrazione stabilita con la D.G.R. del Lazio del 19 marzo 1996, in attuazione della Direttiva 92/43/CEE (habitat), che ha definito le zone di protezione speciale (ZPS).
Come anticipato, tale situazione, alla luce della giurisprudenza innanzi citata, appare di per sé ostativa al condono delle opere, indipendente dall’aspetto relativo alla loro conformità alla disciplina urbanistica, dal momento che gli interventi, globalmente considerati, non possono essere ricondotti nell’ambito delle opere di restauro e risanamento conservativo e ripristino degli edifici esistenti (cd. abusi minori), trattandosi di nuove opere realizzate ex novo.
11 - Per le ragioni esposte, non sussiste alcun difetto di istruttoria, né il Comune avrebbe dovuto verificare se le opere delle quali si chiede il condono comportassero o meno un incremento volumetrico e/o di superficie, poiché appare evidente dalla stessa descrizione delle opere che queste integrano tale aumento, in particolare la dependance di circa 30,00 mq, la superficie adibita a stireria e dispensa con un piccolo bagno per una superficie di 5,00 mq e snr di 13,06 mq, l’ampliamento della cucina per circa 6,30 mq, la dependance di circa 29,30 mq, la dependance di circa 21 mq, l’ampliamento della dependance per circa 15 mq.
Come già detto, quanto osservato da parte appellante in ordine alla necessità di esaminare ciascuna istanza in maniera autonoma si pone in contrasto con la giurisprudenza citata, dovendosi aver riguardo alla modifica complessiva del territorio posta in essere dall’appellante, seppur questi abbia ritenuto di parcellizzare l’intervento, presentando una pluralità di istanze; né deriva che il diniego deve ritenersi legittimo anche per quell’opera che, di per sé considerata, non integra un aumento volumetrico in senso stretto.
In ogni caso, anche in quest’ultima ipotesi (cfr. vialetto, piattaforma in legno e barbecue) non si è al cospetto di interventi eseguiti sull’esistente (e nello specifico di restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria), ma di nuove opere, seppure di modesta entità, che contribuiscono ad incidere sul territorio gravato dai numerosi vincoli innanzi ricordati.
11.1 – Alla luce delle considerazioni già svolte, non è inoltre possibile ammettere una scissione in sede procedimentale dell’unitaria domanda formulata, avente ad oggetto una specifica opera, che non può evidentemente essere sanata solo parzialmente, in assenza di elementi, che era onere del richiedente rappresentare, atti a giustificare la valutazione separata di determinate porzioni autonomamente fruibili e, dunque, scindibili, dovendosi anzi preferire una valutazione complessiva dell’abuso nel senso innanzi precisato.
In sintonia con tali considerazioni la Sezione (Cons. St., sez. VI, 27 gennaio 2022, n. 566) ha avuto modo di precisare che “la legislazione urbanistica e la giurisprudenza formatasi in materia di condono edilizio escludono la possibilità di una sanatoria parziale, sul presupposto che il concetto di costruzione deve essere inteso in senso unitario e non in relazione a singole parti autonomamente considerate. Pertanto, non è possibile scindere la costruzione tra i vari elementi che la compongono ai fini della sanatoria di singole porzioni di essa. Del resto, una volta che risulti l’inaccoglibilità di un’istanza per come è stata proposta, l’amministrazione legittimamente la respinge, senza porsi la questione se una diversa istanza – in ipotesi – avrebbe potuto avere un esito diverso” (cfr. anche Cons. St., sez. VI, 23 novembre 2021, n. 784 e 2 luglio 2018, n. 4033).
11.2 – Per quanto sopra esposto, come correttamente rilevato dal Tar, non può portare ad un diverso esito l’ipotetica conformità sostanziale delle opere (o parti di esse) alla disciplina urbanistica dell’area, né il dato per cui per alcune opere, o per parti di esse, non si incorrerebbe nel vincolo costituito dall’indice di utilizzazione fondiaria in incremento sull’esistenza stabilito nel P.R.G. in 0,01 mc/mq.
11.3 - Le considerazioni già svolte rendono irrilevante anche il rilievo di cui alla memoria depositata in primo grado in data 31 maggio 2019, relativo alla vigenza delle norme di P.T.P.R. per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica anche ai fini del condono nel momento in cui venne emesso il provvedimento impugnato, nel quale si rappresentava che il P.T.P.R. era stato adottato dalla Giunta Regionale ben prima del provvedimento impugnato, mentre la sola approvazione era intervenuta in epoca successiva, e che il testo dell’art. 7 comma 3 di detto P.T.P.R. disponeva che dalla data della adozione fino alla sua pubblicazione “ai fini delle autorizzazioni di cui agli articoli 146 e 159 del Codice, si applicano in salvaguardia le disposizioni del PTPR adottato”.
A prescindere dal merito dei rilievi ed in disparte il profilo di loro inammissibilità - in quanto non oggetto di motivo di censura ritualmente notificato con il ricorso - deve ribadirsi che i provvedimenti impugnati non avrebbe potuto avere un contenuto diverso da quello in concreto adottato, essendo normativamente precluso il condono per le opere in questione.
12 - Infine, deve rilevarsi che l’appellante, nell’articolare il motivo di appello relativo alla supposta violazione dell’art. 10 bis della l. 241/1990, in riferimento alla fattispecie concreta, si limita a rilevare la discordanza tra il contenuto del preavviso di rigetto e quello del provvedimento di diniego e la circostanza per cui, qualora la motivazione del preavviso di rigetto avesse menzionato lo strumento urbanistico tra le ragioni ostative all’accoglimento dell’istanza, egli avrebbe dedotto che il P.R.G. consente un incremento di volumetria, ciò che avrebbe imposto un’istruttoria sulla volumetria assentibile e sulla conformità allo strumento urbanistico di alcune opere non volumetriche, rendendo i condoni anche solo parzialmente accoglibili.
Anche supponendo la sussistenza del vizio astrattamente contestato, deve ricordarsi che per disporre l’annullamento è necessario che il privato non si limiti a contestare l’omessa o l’errata comunicazione, ma alleghi le circostanze che avrebbe potuto sottoporre all’Amministrazione per indurla a determinarsi diversamente.
Nel caso in esame, deve ancora una volta rimarcarsi che la natura dell’abuso globalmente considerato, comportante nuovi volumi e superfici fruibili in area vincolata, esclude in radice la possibilità di aver accesso al beneficio del cd. terzo condono per chiara volontà del legislatore, senza alcun margine di discrezionalità da parte dell’amministrazione e a prescindere dall’ulteriore istruttoria invocata da parte appellante e dai profili attinenti alla conformità urbanistica delle opere.
In base alla giurisprudenza “L’istituto del c.d. preavviso di rigetto, di cui all’art. 10-bis citato, ha lo scopo di far conoscere alle amministrazioni le ragioni fattuali e giuridiche dell’interessato che potrebbero contribuire a far assumere agli organi competenti una diversa determinazione finale, derivante dalla ponderazione di tutti gli interessi in campo e determinando una possibile riduzione del contenzioso fra le parti; tuttavia, tale scopo viene meno ed è di per sé inidoneo a giustificare l’annullamento del provvedimento nei casi in cui il suo contenuto non sarebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, sia perché vincolato, sia perché sebbene discrezionale sia raggiunta la prova della sua concreta e sostanziale non modificabilità (C.d.S., III Sez., 1.8.2014, n. 4127)” (Cons. St., sez. III, 28 settembre 2015, n. 4532).
12.1 – Seppure la più recente giurisprudenza abbia ammesso, come ricordato da parte appellante, l’applicabilità dell’istituto di cui all’art. 10 bis L. n. 241/1990 nei procedimenti di sanatoria o di condono edilizio (cfr. Cons. St., sez. VI, 18 gennaio 2019, n. 484; cfr. anche Cons. St., sez. VI, 2 maggio 2018) e, più in generale, l’idoneità della violazione del contraddittorio procedimentale ad inficiare la legittimità del provvedimento anche nei procedimenti vincolati, quale quello di sanatoria, quando il contraddittorio procedimentale con il privato interessato avrebbe potuto fornire all’amministrazione elementi utili ai fini della decisione (cfr. Cons. St., sez. VI, 1 marzo 2018, n. 1269), come già rilevato, la giurisprudenza ha anche precisato che, affinché la violazione dell’art. 10 bis comporti l’illegittimità del provvedimento impugnato, il privato non può limitarsi a denunciare la lesione delle proprie garanzie partecipative - nel caso di specie peraltro non pretermesse totalmente stante l’avvenuta comunicazione del preavviso di rigetto - ma è anche tenuto ad indicare gli elementi, fattuali o valutativi che, se introdotti in fase procedimentale, avrebbero potuto influire sul contenuto finale del provvedimento (cfr. Cons. St., sez. VI, 16 settembre 2022, n. 8043; Cons. St., sez. VI, 27 aprile 2020, n. 2676, secondo cui “Ai fini della configurabilità della violazione dell’art. 10-bis, l. n. 241/90, le garanzie procedimentali non possono ridursi a mero rituale formalistico, con la conseguenza che, nella prospettiva del buon andamento dell’azione amministrativa, il privato non può limitarsi a denunciare la lesione delle proprie pretese partecipative, ma è anche tenuto ad indicare o allegare gli elementi, fattuali o valutativi, che, se introdotti in fase procedimentale, avrebbero potuto influire sul contenuto finale del provvedimento”).
Come più volte sottolineato, nel caso di specie, il provvedimento non avrebbe potuto avere un contenuto diverso da quello in concreto adottato, a prescindere dall’astratto aumento di volumetria consentito dal P.R.G. che l’appellante avrebbe dedotto nel corso del procedimento, con conseguente applicabilità dell’art. 21 octies, secondo comma, L. n. 241/1990.
13 - Per le ragioni esposte gli appelli vanno respinti.
Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta al Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (cfr. Cons. St., sez. VI, 13 maggio 2019, n. 3110). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
14 – Le spese di lite, avuto riguardo all’apparente equivoco circa l’esatta portata dell’ordine di demolizione, definitivamente chiarito dal Comune solo in corso di causa, possono essere compensate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, previa loro riunione, li respinge e compensa le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 novembre 2023 con l'intervento dei magistrati:
Sergio De Felice, Presidente
Giordano Lamberti, Consigliere, Estensore
Davide Ponte, Consigliere
Lorenzo Cordi', Consigliere
Thomas Mathà, Consigliere