Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 4976, del 6 ottobre 2014
Urbanistica.Distinzione tra vincoli di tipo conformativo da quelli a contenuto espropriativo (verde privato ha natura conformativa)

A migliore illustrazione del concetto di vincoli preordinati all’esproprio o sostanzialmente espropriativi e comunque comportanti l’inedificabilità, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha avuto modo di far presente come siano tali quelli che svuotano il contenuto del diritto di proprietà, incidendo sul godimento del bene, in modo tale da renderlo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale ovvero diminuendone il suo valore di scambio. Parimenti con riferimento alle prescrizioni recate dagli strumenti di pianificazione territoriale, va pure rammentato il preciso orientamento giurisprudenziale secondo cui non ogni vincolo posto alla proprietà privata dallo strumento urbanistico generale ha carattere espropriativo ed è dunque soggetto alla disciplina relativa. Più specificatamente avuto riguardo ai criteri dettati per distinguere i vincoli di tipo conformativo da quelli a contenuto espropriativo, il vincolo a verde privato deve considerarsi appartenere alla prima delle suddette categorie poiché deve considerarsi connaturato a tale destinazione urbanistica l’imposizione di un vincolo particolare prescritto in funzione della localizzazione di un’opera pubblica la cui realizzazione non è compatibile con la proprietà privata. Così, la classificazione a verde privato deve farsi rientrare tra quelle prescrizioni che regolano la proprietà privata alla realizzazione di obiettivi generali di pianificazione del territorio ai quali non può attribuirsi una natura ablatoria e/o sostanzialmente espropriativa. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese).

N. 04976/2014REG.PROV.COLL.

N. 09972/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9972 del 2011, proposto da: 
Urbedil S.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Chiara Cacciavillani, Ivone Cacciavillani, con domicilio eletto presso Cacciavillani Studio Legale Associato in Roma, via Tacito, 41;

contro

Comune di Creazzo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Dario Meneguzzo, Orlando Sivieri, con domicilio eletto presso il secondo, in Roma, via Cosseria N. 5; 
Regione Veneto, in persona del Presidente pro tempore della Giunta Regionale, rappresentata e difesa dagli avv.ti Ezio Zanon, Andrea Manzi, Tino Munari, con domicilio eletto presso il secondo, in Roma, via Federico Confalonieri 5;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Veneto - Venezia: Sezione I n. 00639/2011, resa tra le parti, concernente adozione seconda variante p.r.g.- espropriazione area sottoposta a vincolo storico-culturale - risarcimento danno;



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Creazzo e della Regione Veneto;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 maggio 2014 il Cons. Andrea Migliozzi e uditi per le parti gli avvocati Federica Scafarelli (su delega dell’avv. Chiara Cacciavillani), Orlando Sivieri e Reggio d'Aci (su delega dell’avv. Andrea Manzi);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

La Società Urbedil è proprietaria in Comune di Creazzo di una vasta area inedificata gravata in base al piano regolatore generale del 1975 da vincolo preordinato all’esproprio in quanto destinata a giardino pubblico - zona verde attrezzato per gioco e sport.

Il Comune approvava l’8 maggio 1992 una variante che classificava l’area come “F, zona per servizi e impianti di interesse comune, disponendo una prima reiterazione del vincolo originariamente preordinato all’esproprio decaduto nel 1980 per decorso del termine quinquennale.

Quindi interveniva la deliberazione consiliare n.368 del 26 aprile 1999 di adozione di una seconda variante al PRG, con assoggettamento dell’area a vincolo espropriativo, venendo la stessa qualificata in parte come bene storico culturale e in parte come verde privato.

La predetta Società impugnava con apposito ricorso innanzi al Tar del Veneto tale deliberazione di cui denunciava la illegittimità sotto vari profili formulando altresì richiesta di accertamento del diritto a conseguire l’indennizzo per reiterazione del vincolo espropriativo nonché di risarcimento del danno.

Successivamente il Comune procedeva alla revoca della delibera di adozione della variante suindicata, cui seguiva l’adozione della delibera consiliare n.78 del 30 ottobre 2001 di riadozione della variante al PRG nonché della delibera della G.M. n.1295 del 30 ottobre 2001 di approvazione dei criteri di indennizzo per la reiterazione dei vincoli espropriativi in zona “F” .

Tali delibere nella parte in cui rispettivamente assoggettavano l’area di proprietà dell’appellante integralmente a verde privato e riservavano l’indennizzabilità unicamente alle sole zone “F”(senza comprendervi altre zone gravate da altri vincoli) venivano impugnate con un secondo ricorso dalla Urbedil che reiterava nei confronti di tali atti le domande di annullamento e di accertamento già dedotte col precedente gravame.

Interveniva quindi il decreto della Giunta Regionale del Veneto n.422 del 21 febbraio 2003 di approvazione della variante, provvedimento pure impugnato unitamente al presupposto parere del Comitato Tecnico Regionale del 17/12/2002 con ulteriore ricorso da parte della Società interessata.

L’adito Tribunale amministrativo con sentenza n.639/11 rigettava i tre ricorsi, giudicandoli infondati.

Di qui l’appello all’esame con cui Urbedil, con un unico, articolato motivo ha denunciato, sotto vari profili, la erroneità del decisum del primo giudice.

Lamenta in primo luogo parte appellante la mancata pronuncia da parte del Tar sul secondo motivo del ricorso con cui aveva impugnato la delibera consiliare n.368/99 di adozione della seconda variante al PRG che ha assoggettato l’area di proprietà in parte come bene storico culturale in parte come verde privato.

Rileva inoltre la erroneità delle statuizioni con cui il primo giudice ha qualificato i vincoli (re) impressi all’area de qua con le delibere del 2001 come vincoli conformativi e non come sostanzialmente espropriativi: in realtà, ad avviso dell’appellante, la classificazione a verde privato comporta una inedificabilità assoluta e il divieto di qualsiasi sua modificazione, venendosi ad arrecare delle limitazioni di carattere sostanziale all’esercizio del diritto di proprietà dell’appellante e privando completamente di valore economico l’area in questione.

Si sono costituiti in giudizio il Comune di Creazzo e la Regione Veneto che hanno contestato la fondatezza del proposto gravame, chiedendone la reiezione.

All’udienza pubblica del 17 maggio 2014 la causa è stata introitata per la decisione.

DIRITTO

L’appello è infondato e deve essere, pertanto, rigettato, per le ragioni di seguito esposte.

Non è rilevabile in primo luogo a carico della sentenza del primo giudice, contrariamente a quanto ritenuto dalla parte appellante, il vizio derivante da una mancata pronuncia su secondo motivo del ricorso rivolto avverso la delibera consiliare di adozione della seconda variante al PRG, basato sulla dedotta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 40 e 49 della legge Regione Veneto n.61/85 e questo per almeno tre ordini di ragioni:

a) se il vizio a suo tempo dedotto è strumentale alla dichiarazione di illegittimità della delibera n.368/99, esso è interamente assorbito e comunque superato dal fatto che l’atto deliberativo de quo è stato successivamente revocato e quindi tutt’al più parte appellante potrebbe lamentarsi del fatto che il Tar, a rigore, avrebbe dovuto dare atto della intervenuta improcedibilità in parte qua del relativo ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, per essere stato l’originario provvedimento sostituito da altre determinazioni recanti una “nuova” definizione del rapporto giuridico in controversia;

b) la società appellante oppone la sopravvivenza dell’interesse a veder definita espressamente la doglianza a suo tempo formulata in ragione degli effetti pregiudizievoli medio tempore prodotti dal provvedimento revocato: ora a prescindere dalla circostanza che l’atto di autotutela è intervenuto in un lasso di tempo ragionevolmente breve (poco più di un anno) in relazione al quale non è agevole ravvisare effetti pregiudizievoli di una certa rilevanza, rimane il fatto che il “pregiudizio” di tipo economico è solo genericamente dedotto, senza che siano stati forniti elementi in ordine alla sussistenza di un danno risarcibile collegato ad un deprezzamento del valore del terreno del tutto indimostrato, con un pregiudizio configurato solo in via ipotetica;

c) l’eventuale esito positivo della delibazione del profilo di censura dedotto non comporta necessariamente effetti sul “versante” risarcitorio, non sussistendo un rapporto di automaticità tra dichiarazione di illegittimità (nella specie peraltro di carattere procedurale) e la produzione di un danno ingiusto suscettibile di risarcimento (cfr , ex multis, Cons. Stato Sez. V 17/2/2013 n.798; Cons. Stato Sez. VI 11/12/2013 n.5935).

Occorre a questo punto, prendere in esame il nucleo fondante della quaestio iuris portata all’esame della Sezione, e cioè verificare la natura giuridica del vincolo derivante dalla classificazione dell’area de qua come “verde privato”, come introdotto con le determinazioni assunte a mezzo delle delibere comunali del 2001 e del decreto regionale del 2003 sopra indicati) e in particolare stabilire se il vincolo in questione sia di tipo conformativo o viceversa (come sostenuto da Urbedil) avente carattere sostanzialmente espropriativo, come tale suscettibile di risarcimento ovvero di indennizzo.

Ritiene il Collegio che la destinazione urbanistica impressa all’area di che trattasi non costituisce vincolo espropriativo e neppure a carattere sostanzialmente espropriativo.

In linea generale, vanno preliminarmente richiamati i principi espressi dalla Corte Costituzionale con la sentenza 20 maggio 1999 n. 179 (dichiarativa della illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 7 n. 2, 3, 4 e 40 della legge 17 agosto 1942 n.1150 e 2, primo comma della legge 19 novembre 1968 n.1187 nella parte in cui consente all’Amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti preordinati all’espropriazione o che comportino l’inedificabilità senza la previsione di un indennizzo), secondo cui i vincoli urbanistici non indennizzabili che sfuggono alla previsione del predetto art.2 della legge n.1187/68 sono quelli che riguardano intere categorie di beni, quelli di tipo conformativo e i vincoli paesistici, mentre i vincoli urbanistici soggetti alla scadenza quinquennale , che devono essere invece indennizzati sono:

a) quelli preordinati all’espropriazione o aventi carattere sostanzialmente espropriativo in quanto implicanti uno svuotamento incisivo della proprietà;

b) quelli che superano la durata non irragionevole e non arbitraria ove non si compia l’esproprio o non si avvii la procedura attuativa preordinata all’esproprio con l’approvazione dei piani esecutivi;

c) quelli che superano quantitativamente la normale tollerabilità secondo la concezione della proprietà regolata dalla legge nell’ambito dell’art.42 della Cost..

A migliore illustrazione del concetto di vincoli preordinati all’esproprio o sostanzialmente espropriativi e comunque comportanti l’inedificabilità, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha avuto modo di far presente come siano tali quelli che svuotano il contenuto del diritto di proprietà, incidendo sul godimento del bene, in modo tale da renderlo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale ovvero diminuendone il suo valore di scambio (tra le tante, Cons. Stato Sez. IV 3/12/2010 n.8531; idem Sez. IV 23 dicembre 2010 n. 9772; Cons. Stato Sez. V 13 aprile 2012 n. 2116).

Parimenti con riferimento alle prescrizioni recate dagli strumenti di pianificazione territoriale, va pure rammentato il preciso orientamento giurisprudenziale secondo cui non ogni vincolo posto alla proprietà privata dallo strumento urbanistico generale ha carattere espropriativo ed è dunque soggetto alla disciplina relativa (Cons. Stato Sez. IV 28/12/2012 n.6770; Cass. SS.UU. 25/11/2008 n.28501).

Più specificatamente avuto riguardo ai criteri dettati per distinguere i vincoli di tipo conformativo da quelli a contenuto espropriativo, il vincolo a verde privato deve considerarsi appartenere alla prima delle suddette categorie poiché deve considerarsi connaturato a tale destinazione urbanistica l’imposizione di un vincolo particolare prescritto in funzione della localizzazione di un’opera pubblica la cui realizzazione non è compatibile con la proprietà privata (Cons. Stato Sez. IV 9/6/2008 n. 2837).

Così, la classificazione a verde privato deve farsi rientrare tra quelle prescrizioni che regolano la proprietà privata alla realizzazione di obiettivi generali di pianificazione del territorio ai quali non può attribuirsi una natura ablatoria e/o sostanzialmente espropriativa (Cons. Stato Sez. IV 13 luglio 2011 n.4242; idem Sez. IV 19/1/2012 n. 244).

Non può dunque attribuirsi alla destinazione di verde privato (re) impressa dal Comune di Creazzo all’area di proprietà di Urbedil la natura di vincolo a contenuto sostanzialmente espropriativo con la conseguenza che, in mancanza di una limitazione alla proprietà privata intesa sia come disponibilità che utilizzazione del bene, è impossibile far derivare dalla anzidetta destinazione urbanistica un effetto risarcitorio e neppure, in via subordinata, l’insorgenza di un diritto alla indennizzabilità, situazioni giuridiche soggettive di ristoro economico configurabili unicamente in presenza di un vincolo ablatorio o limitativo dei diritti dominicali.

In relazione quindi al petitum e alla causa petendi fatti valere dall’appellante, il gravame all’esame si rivela privo di fondamento, meritando l’impugnata sentenza integrale conferma, con la precisazione che altri motivi di doglianza dedotti e/o adombrati devono ritenersi assorbiti e comunque inidonei a far mutare le prese statuizioni.

Tenuto conto della peculiarità della vicenda all’esame sussistono giustificati motivi per compensare tra le parti le spese e competenze del presente grado del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Compensa tra le parti le spese e competenze del presente grado del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 maggio 2014 con l’intervento dei magistrati:

Riccardo Virgilio, Presidente

Raffaele Greco, Consigliere

Andrea Migliozzi, Consigliere, Estensore

Umberto Realfonzo, Consigliere

Leonardo Spagnoletti, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 06/10/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)