Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 6005, del 6 dicembre 2013
Urbanistica.Imprenditore agricolo oneri concessori e variante da agricola a residenziale

La mancanza del requisito dell’imprenditore agricolo a titolo principale è sufficiente a ritenere dovuto il contributo concessorio e insussistente il diritto alla esenzione, legato a ipotesi tassative. Inoltre, va aggiunto che ai fini del mutamento di destinazione d’uso (nella specie, da agricola a residenziale) si ritiene che comporti aumento del carico urbanistico il passaggio tra due categorie funzionalmente autonome, in quanto il mutamento di destinazione d’uso, in sé, nella specie, a differenza di quanto sostiene l’appellata, comporta un maggiore carico urbanistico, al quale si correla la imposizione di pagamento. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 06005/2013REG.PROV.COLL.

N. 01013/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1013 del 2010, proposto da: 
Comune di Macerata, rappresentato e difeso dall'avv. Stefano Benedetti, con domicilio eletto presso Sebastiano Mastrobuono in Roma, via Fabio Massimo 60;

contro

Paola Cacciamani, rappresentato e difeso dagli avv. Lucio Anelli, Giuseppe Carassai, con domicilio eletto presso Lucio Anelli in Roma, via della Scrofa 47; Dirigente Servizio Gestione del Territorio del Comune di Macerata;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. MARCHE - ANCONA: SEZIONE I n. 00854/2009, resa tra le parti, concernente ANNULLAMENTO CONCESSIONE EDILIZIA E PAGAMENTO ONERI CONCESSORI.



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Paola Cacciamani;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 dicembre 2013 il Cons. Sergio De Felice e uditi per le parti gli avvocati Tretola, per delega dell' Avv. Benedetti, e Anelli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

Con ricorso proposto dinanzi al Tar Marche l’attuale appellata, Cacciamani Paola, agiva per l’annullamento in parte qua del provvedimento n. 11365 del 25.9.1998, per il resto favorevole, con cui il Dirigente del Servizio gestione del territorio del Comune di Macerata le aveva comunicato l’accoglimento della sua domanda di concessione edilizia in sanatoria, subordinatamente però al pagamento degli oneri concessori quantificati nell’ammontare di lire 75.062.600.

La ricorrente sosteneva di non dover corrispondere alcun onere per il rilascio del suddetto titolo edilizio o, in via subordinata, di non dover corrispondere la quota relativa agli oneri di urbanizzazione.

L’accoglimento della domanda di concessione edilizia in sanatoria ai sensi dell’art 39 della legge n. 724 del 1994 per la regolarizzazione di un abuso edilizio riguardava la realizzazione negli anni 1990/1993 di lavori di ristrutturazione come definiti dall’art. 31, lett. C) della legge n. 457 del 1978, sul fabbricato di proprietà sito in località Madonna del Monte, individuato in Catasto terreni al Foglio n. 21, con le particelle nn. 35 e 76.

In particolare, con la impugnativa si contestava il rilascio della concessione edilizia in sanatoria a titolo di condono, in quanto subordinato al versamento degli oneri concessori per un importo complessivo di lire 75.062.000, di cui lire 17.121.000 a titolo di oneri di urbanizzazione primaria, lire 15.496.200 a titolo di oneri di urbanizzazione secondaria e lire 42.445.300 a titolo di contributo per costo di costruzione.

La parte ricorrente deduceva vari motivi di censura, sotto diversi profili, relativi alla natura dell’intervento, non sussumibile nella ristrutturazione ma nel restauro e risanamento conservativo, nella violazione di legge, non essendo consentito subordinare l’assenso al pagamento degli oneri, nella possibile illegittimità costituzionale della legge regionale se intesa in tal senso e in altri diversi motivi di censura.

La difesa comunale evidenziava la inapplicabilità dell’art 9 della legge n. 10 del 1977 che esonera dal pagamento dei contributi concessori le costruzioni da realizzare in zona agricola, in funzione della conduzione del fondo da parte dell’imprenditore agricolo a titolo principale, come pure gli interventi di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento non superiori al 20 per cento di edifici unifamiliari, in quanto tali condizioni non ricorrevano nella specie.

L’intervento si era concretizzato nella demolizione e ricostruzione del preesistente edificio ubicato in zona agricola ed individuato come fabbricato rurale di rilevante valore dal Piano regolatore, con contestuale cambio di destinazione d’uso, poiché la nuova costruzione oggetto di sanatoria non aveva più una destinazione agricola ma residenziale, e la ricorrente non riveste neppure la qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale.

Il giudice di primo grado disponeva verificazione, finalizzata all’accertamento ed alla valutazione degli aspetti tecnici emergenti dalla presente controversia.

Il verificatore accertava che: l’intervento edilizio era da qualificare ristrutturazione edilizia e non già come restauro e risanamento conservativo; l’intervento non aveva comportato mutamento di destinazione di uso o comunque non emergevano elementi univoci in tal senso; dalla documentazione emergeva che il ricorrente difettava della qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale.

Decidendo nel merito, il primo giudice accoglieva il ricorso ritenendolo fondato in merito alla pretesa di non dover pagare alcun onere concessorio, sulla base dell’iter logico per cui “si può verificare che un soggetto, proprietario di un’abitazione familiare unifamiliare ricadente in zona agricola ma non in possesso della qualifica di IATP sia tenuto al pagamento degli oneri concessori, mentre un altro soggetto, anch’egli proprietario di un edificio unifamiliare (che però ricade in zona diversamente classificata dal PRG), sia esonerato da tale obbligazione, il tutto a fronte di un intervento edilizio medesimo avente le medesime caratteristiche; una tale disparità di trattamento non è però giustificabile, dal che discende l’accoglimento del ricorso in parte qua”.

Avverso tale sentenza, ritenendola errata e ingiusta, ha proposto appello il Comune di Macerata, facendo presente la reale natura dell’intervento, che è consistito in una ristrutturazione come emerso dagli accertamenti di causa essendo stato demolito il secondo corpo di fabbrica e parzialmente ricostruito con pareti portanti dal piano terra al piano primo a sostegno del solaio e le opere realizzate sono tali da essere definite variazioni essenziali recanti il mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio.

La relazione del verificatore o consulente di ufficio ha stabilito che dalla documentazione non è stata dimostrata la imprenditorialità agricola a titolo principale del richiedente, che, sola, avrebbe potuto consentire per legge l’esonero dall’onere dei contributi.

L’appellante amministrazione deduce come erroneamente il primo giudice abbia concordato sugli esiti della verificazione in ordine alla esistenza e consistenza dell’abuso e anche in ordine alla assenza in fatto del requisito di imprenditore agricolo a titolo principale.

In ordine alle conclusioni circa la esistenza di variazioni essenziali, il verificatore ha concluso che, se non è avvenuto ancora il mutamento di destinazione di uso, “le previsioni divisorie interne e le modifiche alle aperture esistenti …non pregiudicano tale possibilità”.

In conclusione, l’appello lamenta come sia stata del tutto arbitraria la interpretazione del primo giudice, che ha voluto individuare una disparità di trattamento non riconosciuta dalla legge e anzi ha forzato il dato normativo ritenendo che “si può verificare che un soggetto, proprietario di un’abitazione familiare unifamiliare ricadente in zona agricola ma non in possesso della qualifica di IATP sia tenuto al pagamento degli oneri concessori, mentre un altro soggetto, anch’egli proprietario di un edificio unifamiliare (che però ricade in zona diversamente classificata dal PRG), sia esonerato da tale obbligazione, il tutto a fronte di un intervento edilizio medesimo avente le medesime caratteristiche; una tale disparità di trattamento non è però giustificabile, dal che discende l’accoglimento del ricorso in parte qua”.

Si è costituita l’appellata chiedendo il rigetto dell’appello; eccepisce la inammissibilità dell’appello sostenendo che esso non confuta adeguatamente il motivo di accoglimento da parte del primo giudice (il terzo motivo di ricorso originario, basato sulla corretta applicazione dell’art. 9 lettera d) della legge 10/1977, che afferma la non dovutezza del contributo concessorio per gli interventi di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20 per cento di edifici unifamiliari; ripropone i motivi già proposti in primo grado, rigettati o assorbiti, consistenti nell’affermare: 1) la incostituzionalità dell’art. 70 della legge Marche n.34 del 1992 per violazione dell’art. 117 Costituzione laddove subordina il rilascio della concessione edilizia al pagamento degli oneri concessori; 2) la non dovutezza del contributo in relazione alla natura dell’intervento, che non è una ristrutturazione, ma solo un restauro o risanamento conservativo; 3) anche a ritenere esistente una ristrutturazione edilizia, la non dovutezza dei contributi perché non vi è stato ampliamento volumetrico né mutamento di destinazione di uso; 4) non dovutezza perché non si è dato luogo ad alcun aumento di carico urbanistico.

Con decreto presidenziale del 20 agosto 2012 la causa è stata dichiarata perenta, ma in accoglimento della opposizione proposta la Sezione ha ordinato la reiscrizione a ruolo, in quanto la istanza di discussione del ricorso era stata proposta unitamente alla iscrizione a ruolo della causa e dovendosi ritenere non necessaria altra istanza successivamente alla decisione cautelare.

Alla udienza di discussione del 3 dicembre 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.L’appello è fondato e come tale va accolto per le seguenti ragioni.

In primo luogo e in via preliminare, va rigettata la proposta eccezione di inammissibilità dell’appello, perché non avrebbe adeguatamente confutato il motivo di accoglimento da parte del primo giudice.

In realtà, diversamente da quanto sostiene la parte appellata, che riporta che l’accoglimento sarebbe stato effettuato sulla base della circostanza che si tratta di edificio unifamiliare, il vero motivo di accoglimento è quello fondato sulla rinvenuta (da parte del primo giudice) disparità di trattamento, che si ravviserebbe perché “si può verificare che un soggetto, proprietario di un’abitazione familiare unifamiliare ricadente in zona agricola ma non in possesso della qualifica di IATP sia tenuto al pagamento degli oneri concessori, mentre un altro soggetto, anch’egli proprietario di un edificio unifamiliare (che però ricade in zona diversamente classificata dal PRG), sia esonerato da tale obbligazione, il tutto a fronte di un intervento edilizio medesimo avente le medesime caratteristiche; una tale disparità di trattamento non è però giustificabile, dal che discende l’accoglimento del ricorso in parte qua”.

Tale motivo di accoglimento è stato sinteticamente ma sufficientemente contestato dall’appello del Comune, che ha osservato nella sostanza (si veda il punto 4 dell’appello, sia pure privo di numerazione di pagine) come tale interpretazione abbia in realtà creato una categoria di esenzione non prevista dalla norma (art. 9 della legge 10/1977).

Nel giudizio amministrativo, costituisce specifico onere dell'appellante formulare una critica puntuale della motivazione della sentenza impugnata, posto che l'oggetto di tale giudizio è costituito da quest'ultima e non dal provvedimento gravato in primo grado, e che il suo assolvimento esige la deduzione di specifici motivi di contestazione della correttezza del percorso argomentativo che ha fondato la decisione appellata, con la conseguenza che il mancato assolvimento di tale onere, con le modalità appena precisate, implica l'inammissibilità della censura relativa al capo della decisione che è rimasto estraneo alle critiche svolte nell'atto d' appello (così, Consiglio Stato sez. V, 06 ottobre 2003, n. 5896).

Se costituisce specifico onere ai fini dell’ammissibilità del gravame di contrastare la sentenza del TAR sui capi oggetto di impugnativa (tra tante, si veda Cons. Stato, VI, 4 agosto 2009 n.4889), nella specie tale onere è stato adempiuto, avendo l’appellante amministrazione comunale contestato il motivo di accoglimento della sentenza, consistente in una interpretazione dovuta ad una possibile asserita disparità di trattamento e non già nella sola mera considerazione che si trattava di edificio unifamiliare, circostanza non sufficiente, come tale, a comportare l’esonero dal contributo.

Pertanto, l’appello deve ritenersi ammissibile sotto tale profilo.

2.Occore ora esaminare la correttezza del ragionamento del primo giudice, contestato dall’appello, sulla base sia degli accertamenti effettuati sulla natura dell’intervento che sulla base della disciplina normativa sulla dovutezza del contributo.

In fatto, la verificazione ha dato modo di accertare che:

a) l’intervento (che secondo il Comune è consistito nella demolizione e ricostruzione del preesistente edificio ubicato in zona agricola ed individuato come fabbricato rurale di rilevante valore dal Piano regolatore con contestuale cambio di destinazione di uso poiché la nuova costruzione oggetto di sanatoria non avrebbe più destinazione agricola ma residenziale) deve essere qualificato come ristrutturazione edilizia e non come restauro e risanamento conservativo; b) non sussistono elementi univoci nel senso che esso avrebbe comportato mutamenti di destinazione d’uso, anche se le previsioni divisorie interne e le modifiche alle aperture esistenti non pregiudicano tale possibilità; c) non si può ritenere dalla documentazione esistente che sussista il requisito dell’imprenditore agricolo a titolo principale e anzi, deve ritenersi, tale qualifica non sussiste.

La legge invocata 28/01/1977, n. 10 all’articolo 9 prevede (prevedeva perché trattasi di articolo abrogato dall'articolo 136, comma 1, lettera c) del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, a decorrere dal 1° gennaio 2002; tuttavia applicabile ratione temporis, poiché l’intervento è degli anni novanta e il ricorso originario dell’anno 1998) che il contributo di cui al precedente articolo 3 non è dovuto per (lettera a) le opere da realizzare nelle zone agricole, ivi comprese le residenze, in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze dell'imprenditore agricolo a titolo principale, ai sensi dell'art. 12, L. 9 maggio 1975, n. 153.

Si intende quindi (tra tante, si veda Consiglio Stato sez. V, 30 agosto 2005, n. 4424) che l'esonero dal pagamento degli oneri concessori per gli edifici destinati alla conduzione del fondo e alle esigenze dell' imprenditore agricolo, stabilito dalla lett. a), art. 9, l. n. 10 del 1977, spetta soltanto a tutti i soggetti che esercitino l'attività agricola a titolo principale, tanto persone fisiche che persone giuridiche.

Pertanto, una volta accertata la insussistenza della qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale, l’esenzione è del tutto ingiustificata, né si giustifica l’accoglimento motivato sulla base di una asserita disparità di trattamento con situazione, invero del tutto differente, di un altro soggetto, anch’egli proprietario di un edificio unifamiliare (che però ricade in zona diversamente classificata dal PRG), che non sarebbe esonerato da tale obbligazione, a fronte di un intervento edilizio medesimo avente le medesime caratteristiche.

A meno di non incorrere in una interpretazione arbitraria, si deve soltanto accertare, a tal fine – salvo valutare altresì la natura dell’intervento realizzato – se sussiste il requisito della imprenditore agricolo a titolo principale (che è oggetto di una specifica disciplina, ora a seguito della c.d. Legge di orientamento sull’imprenditore agricolo), in quanto solo in tal caso sussiste il diritto (e invero ovviamente la ragione legislativa) alla esenzione del contributo di concessione per le opere da realizzare in zona agricola.

Con riguardo alla effettiva natura dell’intervento, è evidente che non possa essere accolta la tesi della parte appellata, riproposta in memoria, secondo cui si tratterebbe nella specie soltanto di restauro o risanamento conservativo.

Sia sufficiente osservare come in relazione alla natura di ristrutturazione dell’intervento si sono espressi con chiarezza sia la verificazione sia lo stesso primo giudice, che ha accolto il ricorso, come visto, sulla base di diverso iter logico interpretativo. Né, al riguardo, l’appellata ha fornito argomenti in grado di sovvertire le conclusioni del verificatore.

La caratteristica degli interventi di mero restauro è quella di essere effettuati mediante interventi che non comportano l’alterazione delle caratteristiche edilizie dell’immobile da restaurare, rispettando gli elementi formali e strutturali dell’immobile stesso, dovendosi privilegiare la funzione di ripristino della individualità originaria dell’immobile (Cassazione penale, III, 1 settembre 2009, n.33536), mentre la ristrutturazione edilizia si caratterizza per essere idonea ad introdurre un quid novi rispetto al precedente assetto dell’edificio.

Nella specie è stato demolito il secondo corpo di fabbrica e parzialmente ricostruito con pareti portanti dal piano terra al piano primo a sostegno del solaio e le opere realizzate sono tali da essere definite variazioni essenziali recanti il mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio; il verificatore aggiunge che non è da escludersi – e anzi tutte le circostanze di fatto portano a ritenerlo probabile - il successivo mutamento di destinazione d’uso da agricolo a residenziale.

La mancanza del requisito dell’imprenditore agricolo a titolo principale è sufficiente a ritenere dovuto il contributo concessorio e insussistente il diritto alla esenzione, legato a ipotesi tassative.

Inoltre, va aggiunto che ai fini del mutamento di destinazione d’uso (nella specie, da agricola a residenziale) si ritiene che comporti aumento del carico urbanistico il passaggio tra due categorie funzionalmente autonome, in quanto il mutamento di destinazione d’uso, in sé, nella specie (per tali considerazioni, si veda di recente tra varie Cons. Stato, V, 30 agosto 2013, n.4326) a differenza di quanto sostiene l’appellata, comporta un maggiore carico urbanistico, al quale si correla la imposizione di pagamento.

3.In relazione alla asserita incostituzionalità della legge regionale Marche n.34 del 1992, che all’art. 70 subordinerebbe il rilascio della concessione edilizia al pagamento dei contributi di concessione in violazione dell’art. 117 della Costituzione, mentre in generale (art. 2, comma 60 L.n.662 del 1996) il rilascio della concessione edilizia subordina il rilascio solo alla conformità del progetto alla normativa, si osserva quanto segue.

In primo luogo, tale motivo, sia pure in modo sintetico, deve intendersi riproposto (pagina 1 della memoria di discussione datata 2 marzo 2010) e come tale va esaminato.

Il motivo è palesemente infondato.

L’art. 70 su menzionato rubricato “Decadenza della concessione” si esprime nel senso che “Il rilascio della concessione edilizia è comunicato dal sindaco, con lettera raccomandata, corredata da ricevuta di ritorno, al richiedente il quale è tenuto a ritirare la concessione entro sessanta giorni dalla data di ricevimento della comunicazione, dopo aver assolto agli obblighi previsti dall’art. 3 della legge 10/1977, nonché a iniziare i lavori entro un anno dalla scadenza del termine suddetto”.

Dalla ratio e dall’esame del tenore letterale della disposizione (dedicata alla decadenza, nella specie non intervenuta e che interverrebbe invece sulla base dell’inadempimento o per il mancato inizio dei lavori entro l’anno), non risulta in alcun modo che il rilascio della concessione sia subordinato al previo pagamento degli oneri di concessione, come sostiene l’appellata, ma al contrario il rilascio – come nel sistema generale, appositamente richiamato – determina il sorgere di un obbligo di pagamento secondo le regole generali, in quanto anche ai sensi dell’art. 3 della richiamata legge 10/1977 la concessione comporta (fa sorgere l’obbligazione), la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza delle spese di urbanizzazione nonché al costo di costruzione.

4. Per le sopra esposte considerazioni, va accolto l’appello e, in conseguenza, in riforma dell’appellata sentenza, va rigettato il ricorso proposto in primo grado.

La condanna alle spese del doppio grado di giudizio segue il principio della soccombenza; le spese sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, rigetta il ricorso originario.

Condanna la parte appellata Cacciamani Paola al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, liquidandole in complessivi euro cinquemila.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 dicembre 2013 con l'intervento dei magistrati:

Marzio Branca, Presidente FF

Sergio De Felice, Consigliere, Estensore

Fabio Taormina, Consigliere

Francesca Quadri, Consigliere

Umberto Realfonzo, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 13/12/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)