Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 2560, del 10 maggio 2013
Urbanistica.Ordine di demolizione per opere abusive su edificio realizzate prima o dopo della legge n. 765 del 1967

L’ordine di demolizione per la sua natura vincolata può essere emesso, in ragione della riscontrata abusività delle opere, quando l’edificio sia stato realizzato dopo la data di entrata in vigore della legge n. 765 del 1967, ovvero quando l’edificio sia stato realizzato prima di tale data, ma vi siano obiettivi elementi che inducano a ritenere che successivamente ad essa sia stato commesso un abuso (come risulta dai verbali di accertamento, da ordini di sospensione dei lavori, dai materiali adoperati, ecc.). Se invece, per un edificio realizzato sulla base di un legittimo titolo edilizio, emesso in data anteriore all’entrata in vigore della legge n. 765 del 1967, sia riscontrata una difformità, riferibile a una data imprecisata, rispetto al progetto a suo tempo approvato, l’Amministrazione non può senz’altro emanare l’ordine di demolizione, ma deve consentire al proprietario di partecipare al procedimento sanzionatorio, affinché siano eventualmente acquisiti elementi oggettivi che possano chiarire se la difformità risalga al periodo anteriore all’entrata in vigore della medesima legge. In tal caso, l’ordine di demolizione va emesso se, all’esito di tale istruttoria, non emergono elementi tali da indurre a ritenere che l’abuso sia stato commesso prima dell’entrata in vigore della medesima legge. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 02560/2013REG.PROV.COLL.

N. 03670/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3670 del 2012, proposto dalla signora Rosa Fondacaro, rappresentata e difesa dall'avvocato Andrea Abbamonte, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via degli Avignonesi, 5

contro

Il Comune di Napoli, rappresentato e difeso dagli avvocati Giuseppe Dardo, Giacomo Pizza, Giuseppe Tarallo e Anna Pulcini, con domicilio eletto presso il signor Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18

per la riforma della sentenza del T.A.R. della Campania, Sezione IV, n. 1482 del 2012,

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 marzo 2013 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti l’avvocato Giuseppe Abenavoli, per delega dell'avvocato Andrea Abbamonte, e l'avvocato Giampiero Pizza, per delega dell'avvocato Giacomo Pizza;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue

 

FATTO

La signora Fondacaro riferisce di avere acquistato nel corso del 2006 un appartamento nel quartiere napoletano del Vomero, composto di un piano terra e di un piano seminterrato, realizzato nel corso del 1951 previo rilascio di licenza edilizia.

Ella riferisce, altresì, che al momento dell’acquisto dell’appartamento, esisteva già in loco una piccola veranda di circa 4 mq. che, nella tesi dell’appellante, è stata realizzata in epoca anteriore al 1967 (verosimilmente, la sua realizzazione sarebbe coeva a quella dell’intero fabbricato – primi anni Cinquanta del Novecento).

Nel dicembre del 2007, l’appellante ebbe a comunicare al Comune di Napoli l’avvio di alcuni lavori edili di ordinaria e straordinaria manutenzione all’interno del proprio appartamento (l’appellante sottolinea al riguardo che gli interventi in questione non hanno in alcun modo riguardato la veranda all’origine dei fatti di causa).

L’appellante riferisce, poi, che nel corso dei lavori di cui alla richiamata d.i.a., richiese all’impresa incaricata delle lavorazioni di attivarsi per eliminare la situazione di pericolo connessa allo stato dei balconi di sua proprietà e della veranda (lavori – questi ultimi – resi necessari a seguito della diffida rivoltale da un vicino). Tuttavia, anche a seguito di tali interventi, la struttura della veranda non fu in alcun modo alterata, risolvendosi tali attività in interventi limitati ai soli infissi, senza alcuna modifica all’interno della veranda.

Con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. della Campania e recante il n. 4455/2010, l’appellante chiedeva l’annullamento della disposizione dirigenziale n. 777 del 29 dicembre 2009 (notificatale solo il successivo 19 maggio 2010) con cui era stato disposto il ripristino dello stato dei luoghi, atteso che “l’intervento eseguito rientra nella tipologia della ristrutturazione edilizia di cui all’art. 3, c. 1, lett. d del Testo unico delle disposizioni di legge e regolamentari in materia di edilizia (…)” e che i lavori erano stati svolti senza il previo rilascio del necessario titolo abilitativo.

Con la sentenza in epigrafe, il T.A.R. della Campania ha respinto il ricorso ritenendolo infondato.

La sentenza in questione è stata impugnata in sede di appello dalla signora Fondacaro, la quale ne ha chiesto la riforma articolando o seguenti motivi:

1) Error in iudicando et in procedendo – Violazione degli articoli 3, 7 e 21-octis della l. 241/90 – Motivazione carente ed erronea su un punto decisivo della controversia.

Il T.A.R. non avrebbe tenuto in adeguata considerazione il motivo di ricorso con il quale si era lamentato che l’ordine comunale di ripristino fosse basato su presupposti del tutto indimostrati (così come lo stesso carattere di abusività dell’opera).

Allo stesso modo, la sentenza sarebbe meritevole di riforma per la parte in cui ha respinto il motivo con il quale si era lamentato che l’ordine di ripristino fosse stato adottato in violazione della normativa in materia di comunicazione di avvio del procedimento. Ed infatti, anche a voler ritenere che l’ordine di rimessione in pristino rappresenti un provvedimento vincolato una volta che sia stata accertata l’abusività del manufatto, l’appellante rileva che avrebbe potuto (se solo le fosse stata data rituale comunicazione di avvio) rappresentare al Comune elementi in fatto e in diritto idonei ad attestare la legittima edificazione del manufatto e la sua assoluta risalenza nel tempo

Inoltre, il T.A.R. non avrebbe rilevato che il Comune avrebbe avuto l’obbligo di motivare in ordine al bilanciamento dei diversi interessi nella specie coinvolti, potendo concludere per il ripristino dello stato dei luoghi solo previa apposita valutazione dell’effettivo interesse pubblico (il quale potrebbe parimenti essere soddisfatto in modo adeguato attraverso l’imposizione di una sanzione pecuniaria)..

2) Error in iudicando et in procedendo – Violazione di legge e del principio di gerarchia delle fonti – Violazione e falsa applicazione dell’art. 31 della l. 1150/1942 in connessione con la l. 765/67 – Difetto di istruttoria – Travisamento dei fatti – Motivazione erronea e perplessa.

La sentenza in epigrafe sarebbe meritevole di riforma per avere apoditticamente affermato che la ricorrente non avesse fornito una prova adeguata in ordine all’asserita risalenza cronologica dell’opera sanzionata.

In tal modo statuendo il Tribunale avrebbe palesato un evidente difetto nell’esame degli atti di causa, dal momento che l’odierna appellante aveva versato in atti una relazione giurata dalla quale era possibile desumere che l’intero fabbricato (e anche la veranda all’origine dei fatti di causa) risaliva ad epoca anteriore al 1967 (epoca in cui per la realizzazione di un manufatto del tipo di quello per cui è causa) non era richiesto alcun titolo abilitativo edilizio.

In tal modo decidendo, i primi Giudici non avrebbero tenuto in adeguata considerazione alcune circostanze che, laddove adeguatamente valutate, avrebbero dovuto condurre a un esito diverso.

Ci si riferisce, in particolare: a) al fatto che la veranda era già presente nell’appartamento al momento in cui esso era stato acquistato dalla signora Fondacaro (2006); b) al fatto che i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria che l’appellante aveva svolto sul proprio balcone a seguito della d.i.a. del 12 dicembre 2007 in alcun modo avevano riguardato la veranda in questione, la cui realizzazione – anzi – risaliva a molti anni addietro.

L’appellante ha, inoltre riproposto nella presente sede i motivi di ricorso già proposti in primo grado e ritenuti assorbiti dal T.A.R. in considerazione del carattere assorbente delle ragioni emerse in sede di esame dei primi due motivi.

Si è costituito in giudizio il Comune di Napoli il quale ha concluso per la reiezione dell’appello.

Alla pubblica udienza del giorno 8 marzo 2013 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dalla proprietaria di un immobile ubicato nel territorio del Comune di Napoli, avverso la sentenza del T.A.R. della Campania con cui è stato respinto il ricorso avverso il provvedimento che ha ordinato la rimessione in pristino (con conseguente demolizione) in relazione a una veranda posta su un balcone di sua proprietà, in quanto asseritamente realizzata senza il necessario titolo edilizio.

2. Come emerge dalla narrativa della vicenda contenziosa, il Comune di Napoli ha ritenuto dirimente, al fine di adottare le proprie determinazioni, la qualificazione dei lavori di realizzazione e di quelli poi effettuati sul locale verandato esistente sul balcone di proprietà della signora Fondacaro come interventi di ristrutturazione edilizia ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera d) del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (‘Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia’).

2.1. Al riguardo, il Comune appellato (con una motivazione ritenuta sufficiente dal T.A.R.) si è limitato a rilevare che la realizzazione del volume verandato è riconducibile a una tipologia in relazione alla quale è necessario il permesso di costruire (articolo 10, comma 1, lettera c), d.P.R. 380, cit.) e ha emanato la conseguente misura ripristinatoria.

2.2. Tuttavia, in tal modo decidendo, il Comune di Napoli non ha esaminato in modo compiuto talune circostanze in relazione alle quali, laddove fosse stata effettuata una più compiuta istruttoria, si sarebbe potuti pervenire a conclusioni affatto diverse.

Ci si riferisce, in particolare, all’affermazione in fatto (supportata dalla signora Fondacaro con una documentazione depositata nel corso del giudizio di primo grado, atteso che l’ordine di ripristino non è stato preceduto da una comunicazione di avvio) secondo cui il volume verandato in questione non fosse di recente realizzazione (né fosse stato realizzato in occasione dei lavori di cui alla d.i.a. del 2007), ma risalisse a molti decenni addietro e, addirittura fosse di fatto coeva alla realizzazione dello stesso fabbricato (conseguente al rilascio nel 1951 della licenza edilizia).

2.2.1. La data di realizzazione del manufatto non è stata in alcun modo presa in considerazione dal Comune (i cui funzionari di Polizia municipale, pure, nell’annotazione di servizio in data 9 febbraio 2009, davano atto dell’esistenza in loco di “un vecchio volume verandato”, pur senza prendere posizione sul se esso risalisse o meno ad epoca anteriore al 1967).

In particolare, con il provvedimento in data 29 dicembre 2009, il Comune di Napoli riteneva senz’altro abusivo il manufatto (e adottava il conseguente ordine di ripristino dello stato dei luoghi, senza disporre la previa comunicazione di avvio e senza consentire la partecipazione della proprietaria), evidentemente ritenendo che esso fosse stato realizzato in epoca successiva all’entrata in vigore della legge 6 agosto 1967, n 765.

2.2.2. A sua volta, la circostanza in fatto relativa all’effettiva data di realizzazione del manufatto non è stata considerata rilevante dal primo Giudice, il quale si è limitato ad affermare al riguardo che “non rileva, perché non adeguatamente provata, l’asserita risalenza cronologica dell’opera sanzionata” (pag. 3 della sentenza appellata).

In tal modo decidendo, tuttavia, il Tribunale non ha rilevato che il provvedimento impugnato in primo grado si è basato su una istruttoria insufficiente.

Ritiene al riguardo la Sezione che l’ordine di demolizione per la sua natura vincolata può essere senz’altro emesso, in ragione della riscontrata abusività delle opere, quando l’edificio sia stato realizzato dopo la data di entrata in vigore della legge n. 765 del 1967, ovvero quando l’edificio sia stato realizzato prima di tale data, ma vi siano obiettivi elementi che inducano a ritenere che successivamente ad essa sia stato commesso un abuso (come risulta dai verbali di accertamento, da ordini di sospensione dei lavori, dai materiali adoperati, ecc.).

Se invece – per un edificio realizzato sulla base di un legittimo titolo edilizio, emesso in data anteriore all’entrata in vigore della legge n. 765 del 1967 - sia riscontrata una difformità, riferibile a una data imprecisata, rispetto al progetto a suo tempo approvato, l’Amministrazione non può senz’altro emanare l’ordine di demolizione, ma deve consentire al proprietario di partecipare al procedimento sanzionatorio, affinché siano eventualmente acquisiti elementi oggettivi che possano chiarire se la difformità risalga al periodo anteriore all’entrata in vigore della medesima legge.

In tal caso, l’ordine di demolizione va emesso se, all’esito di tale istruttoria, non emergono elementi tali da indurre a ritenere che l’abuso sia stato commesso prima dell’entrata in vigore della medesima legge.

Al riguardo, possono rilevare le risultanze catastali o fotografiche (di data incontestabile), i verbali della polizia municipale, l’identità dei materiali e la stretta riconducibilità delle opere aggiuntive alla struttura portante dell’edificio, il fatto che l’intero edificio risulti costruito con una determinata sagoma, ovvero se solo per un appartamento risulti realizzata la veranda.

Nella specie, l’appellante ha supportato le proprie deduzioni, sulla avvenuta realizzazione dell’edificio negli anni Cinquanta con la veranda oggetto del giudizio, co una perizia giurata a firma dell’ingegner M. (depositata in atti in una con il ricorso introduttivo), la quale ha concluso nel senso che “(…) è possibile asserire che la costruzione della veranda in argomento è coeva alla costruzione del corpo di fabbrica (nel 1951), in quanto le strutture sono concatenate, i getti di calcestruzzo continui e caratterizzati dai medesimi componenti e mineralogie”.

2.3. Concludendo sul punto, la sentenza in epigrafe è meritevole di riforma, poiché, in primo luogo, non ha rilevato che l’ordine di rimessione in pristino risulta illegittimo per la mancata comunicazione di avvio del relativo procedimento.

Sotto tale aspetto, va ribadito che l’ordine di demolizione può e deve senz’altro essere emesso quando sia incontestata l’abusività delle opere (in tal senso –ex plurimis -: Cons. Stato, IV, 17 settembre 2012, n. 4925; id., IV, 18 aprile 2012, n. 2286; id., IV, 15 dicembre 2011, n. 6618). Ebbene, nel caso in questione, la realizzazione della veranda in un edificio legittimamente assentito nel 1951 e le sue caratteristiche strutturali (tipiche dell’edilizia dell’epoca) avrebbero dovuto indurre l’Amministrazione ad approfondire, in contraddittorio con la proprietaria, la questione della effettiva data di realizzazione del manufatto, evidente essendo che il corretto accertamento di tale presupposto di fatto ha un rilievo dirimente per la legittimità dell’ordine di demolizione.

In secondo luogo, il TAR avrebbe dovuto valutare le deduzioni di parte (supportate dalla circostanziata perizia), con le quali l’odierna appellante aveva rilevato l’insussistenza dei presupposti di fatto per l’adozione dell’impugnato ordine di rimessione in pristino.

3. Per le ragioni sin qui esaminate, il ricorso in epigrafe deve essere accolto (con assorbimento di ogni ulteriore profilo in rito e in merito) e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, deve essere disposto l’annullamento degli atti impugnati in primo grado, fatta salva l’adozione degli ulteriori atti di competenza dell’amministrazione comunale.

Il Collegio ritiene che sussistano giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese dei due gradi di lite fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello n. 3670 del 2012, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, dispone l’annullamento degli atti impugnati in primo grado, fatta salva l’adozione degli ulteriori atti di competenza dell’amministrazione comunale.

Spese compensate dei due gradi.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2013 con l'intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Claudio Contessa, Consigliere, Estensore

Andrea Pannone, Consigliere

Silvia La Guardia, Consigliere

Vincenzo Lopilato, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 10/05/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)