Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 1671, del 26 marzo 2013
Urbanistica.Ristrutturazione edilizia di annessi lontani diversi metri

Rientra nel concetto di “ristrutturazione edilizia” la demolizione di annessi non pertinenziali al fabbricato oggetto d’intervento e da questo lontani “diversi metri”, in quanto gli edifici demoliti erano definibili, senz’altro e oggettivamente, come pertinenze del fabbricato principale, poiché i fabbricati secondari, pur essendo fisicamente separati dall'edifico principale, insistevano, come rilevato dal verificatore, sulla medesima particella di terreno e a pochi metri, ed erano quindi legati all’edifico principale da un nesso strumentale e funzionale. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 01671/2013REG.PROV.COLL.

N. 01581/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1581 del 2011, proposto dalla signora Giuliana Pettinelli, rappresentata e difesa dall'avv. Rosa Federici, con domicilio eletto presso la signora Ilaria Denni in Roma, via delle Milizie, 34;

contro

il Comune di Assisi, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Umberto Segarelli e Tosca Molini, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Giovanni Battista Morgagni, 2/A; 
il Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Soprintendenza Beni Architettonici e Paesaggistici dell'Umbria, in persona del Soprintendente pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

I signori Giancarlo Finauro e Serenella Rossi, rappresentati e difesi dagli avvocati Mario Rampini, e Francesca Maria Colombo, con domicilio eletto presso Paolo Giuseppe Fiorilli in Roma, via Cola di Rienzo 180;

per la riforma

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Assisi e del Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Soprintendenza Beni Architettonici e Paesaggistici dell'Umbria nonché dei signori Giancarlo Finauro e Serenella Rossi;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 marzo 2013 il Cons. Claudio Boccia e uditi per le parti gli avvocati Federici, Segarelli e Rampini, nonché l’avvocato dello Stato Cristina Gerardi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

1. La signora Giuliana Pettinelli, proprietaria di un compendio immobiliare sito in località Capodacqua di Assisi, collocato nelle vicinanze di un immobile di proprietà dei signori Giancarlo Finauro e Serenella Rossi, con il ricorso n. 269 del 2009 chiedeva al T.A.R. per l’Umbria l’annullamento del permesso in sanatoria n. 4 del 28 aprile 2009, rilasciato a questi ultimi dal responsabile dell’Ufficio Pianificazione Urbanistica del Comune di Assisi, del presupposto parere vincolante favorevole di compatibilità paesaggistica del 7 marzo 2009, prot. 5271, rilasciato dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici dell’Umbria e del parere favorevole della C.E. del 2 aprile 2004 e la Relazione Istruttoria del 31 marzo 2009 con la quale il Tecnico Istruttore dell’Ufficio Pianificazione urbanistica del Comune di Assisi ha rimesso l’istanza istruttoria alla Commissione Comunale per la qualità architettonica ed il paesaggio.

2. Il T.A.R. per l’Umbria - dopo aver disposto una verificazione tecnica volta a chiarire i punti controversi della vicenda, affidata al competente ufficio tecnico del comune di Assisi, ed averne acquisito i risultati - respingeva il ricorso con la sentenza n. 452, depositata il 3 settembre 2010.

3. Avverso tale sentenza interponeva appello la signora Pettinelli, deducendo che il T.A.R. per l’Umbria:

3.1. ha fondato la sua decisione di rigetto del ricorso richiamando acriticamente l’esito della verificazione tecnica esperita in esecuzione della propria ordinanza n. 2 del 2010, affidandola ad un “ausiliario del giudice” che non avrebbe garantito il rispetto dei principi di imparzialità e terzietà;

3.2. non ha osservato che la verificazione si è esaurita in un mero “esercizio difensivo della legittimità degli atti comunali”, con un illegittimo allineamento, punto per punto, sulle tesi prospettate dai privati cointeressati;

3.3. non ha tenuto conto delle osservazioni tecniche del perito di parte, ing. Marcucci - che confermerebbero l’erroneità della verificazione e della sentenza che su di essa si è basata - relativamente all’individuazione della zona di P.R.G. in cui ricade il fabbricato, alla verifica delle altezze del fabbricato e della loro conformità alle prescrizioni di P.R.G.; alla consistenza del “loggiato” individuato nei grafici di progetto con lettera “c”; agli incrementi di superficie e di volume;

3.4 con la sentenza appellata ha violato il principio della doppia conformità per il rilascio della sanatoria;

3.5. ha ritenuto che l’intervento assentito in sanatoria non necessitasse di una preventiva approvazione di piano attuativo;

3.6. non ha correttamente interpretato la disciplina urbanistica relativa alla zona omogenea prevalente e cioè, alla zona omogenea B1;

3.7. ha errato in ordine alle altezze dell’edificio conseguenti alla sopraelevazione realizzata abusivamente;

3.8. ha errato nel ritenere che il cosiddetto “loggiato” non costituisse né incremento di volumetria né incremento di superficie coperta;

3.9. ha pronunciato una sentenza che presenta profili di erroneità ed illogicità anche in merito alle volumetrie;

3.10. ha erroneamente considerato ammissibile la c.d. “sanatoria ambientale” e, quindi, legittimo il parere della Soprintendenza di Perugia del 17 marzo 2009;

3.11. non ha rilevato il difetto motivazionale ed istruttorio relativo al secondo parere del 17 marzo 2009 della Soprintendenza, che ha superato il suo precedente parere negativo del 21 gennaio 2009, per il rilascio della sanatoria;

3.12. ha errato nel considerare riconducibile al concetto di “ristrutturazione edilizia” l’integrale demolizione di annessi agricoli e la loro diversa localizzazione;

3.13. ha deciso con difetto di istruttoria, essendo stato rilasciato il permesso in assenza del nulla osta per il vincolo idrogeologico e della valutazione del fabbricato in zona sismica ed in manifesta contraddittorietà rispetto all’ordinanza di demolizione nella quale venivano contestati alcuni interventi che rendevano inammissibile la sanatoria.

4. Si costituiva in giudizio il Comune di Assisi che, contestando con apposita memoria la fondatezza dell’appello, ne chiedeva la reiezione.

5. Si costituivano in giudizio anche i signori Giancarlo Finauro e Serenella Rossi, che chiedevano pregiudizialmente di dichiarare inammissibile l’appello per non aver la ricorrente impugnato il provvedimento n. 2 del 21 aprile 2009 del Responsabile dello sportello unico per l’edilizia e le attività produttive, con il quale era stata accertata la compatibilità paesaggistica - ai sensi degli art. 167 e 181 del D. lgs n. 42/2004 e ss.mm.ii.- dell’intervento oggetto della sanatoria per cui è causa.

Secondariamente, contestando con apposite memorie tutti i motivi dell’appello, ne chiedevano il rigetto.

Con memoria di replica l’appellante contestava l’eccepita inammissibilità del ricorso e rendeva alcune ulteriori specificazioni sui proposti motivi d’appello.

6. Con la sentenza non definitiva n. 1538 del 31 gennaio 2012, questo Consiglio di Stato, dopo aver preliminarmente respinto la richiesta di dichiarare inammissibile l’appello avanzata dai signori Finauro e Rossi, ha disposto, ai sensi dell’art. 66 c.p.a., una nuova verificazione, dando incarico al Presidente della Regione Umbria di individuare un ingegnere di adeguata professionalità cui affidare il compito di predisporre una relazione tecnica dettagliata e documentata che, sulla base di quanto dedotto nel ricorso in appello e sostenuto nelle controdeduzioni dei soggetti appellati:

- individui la zona di piano regolatore in cui ricade l’intervento edilizio di cui trattasi;

- precisi, conseguentemente, quali sono le norme di carattere paesaggistico-ambientale, urbanistico ed edilizio cui deve attenersi l’intervento in questione;

- indichi se l’intervento sia conforme alla disciplina edilizia e urbanistica vigente sia al momento della sua realizzazione sia a quello della presentazione della domanda di sanatoria;

- chiarisca, in particolare, quali sono le norme urbanistiche da applicare relativamente alle altezze del fabbricato, alla sua volumetria e superficie, con specifico riferimento al cosiddetto “loggiato” e al corpo scala;

- chiarisca, conseguentemente, se le dette norme urbanistiche siano state rispettate, anche con riguardo alla necessità, o meno, di approvazione di un piano attuativo e alla possibilità di compensazioni.

Con ordinanza n. 5274 del 12 ottobre 2012 questo Collegio ha disposto, su istanza del verificatore (ing. Paolo Felici) nominato dal Presidente della Giunta Regionale Umbra (nota del 9 luglio 2012), una proroga di 75 giorni del termine originariamente concesso.

In data 15 gennaio 2013 è stata depositata la relazione tecnica redatta dall’ing. Paolo Felici contenente le risposte ai quesiti posti da questo Collegio.

Il verificatore, in data 7 febbraio 2013, ha presentato la nota spese relativa alla sua attività professionale

6.1.I signori Finauro e Rossi nonché il Comune di Assisi con memorie difensive, rispettivamente, del 30 gennaio 2013 e dell’8 febbraio 2013, hanno ulteriormente precisato le contestazioni relative all’infondatezza dell’appello, chiedendone conseguentemente la reiezione.

6.2. Anche la signora Pettinelli, per il tramite del suo nuovo difensore, ha depositato in data 8 marzo 2013 una memoria d’udienza nella quale si contesta il criterio con cui è stato scelto, da parte del Presidente della Regione Umbria, il verificatore ed il suo operato.

In detta memoria, inoltre, con riferimento all’ordine dei quesiti posti nella verificazione si espone la posizione dell’appellata e le censure che la medesima formula alle conclusioni cui è giunto il verificatore.

Tali censure riguardano la zona di piano regolatore in cui ricade l’intervento edilizio per cui è causa, le norme di carattere urbanistico ed edilizio cui l’intervento avrebbe dovuto attenersi, il regime delle altezze, delle superfici e dei volumi da rispettare nelle predette zone, con riferimento anche al cosiddetto “loggiato”, la necessità di una preventiva approvazione di un piano attuativo e la possibilità di effettuare “compensazioni” con gli “annessi” al fabbricato principale nonché l’acritica accettazione da parte del giudice di prime cure delle conclusioni cui era giunto il verificatore incaricato dal Tar dell’Umbria e l’assenza del nulla osta idrogeologico e della valutazione relativa all’ubicazione del fabbricato in zona sismica: di esse si darà conto congiuntamente ai motivi d’appello che trattano delle stesse problematiche.

7. All’udienza dell'8 marzo la causa è stata trattenuta in decisione.

8. Preliminarmente il Collegio osserva - in relazione alle censure relative alle modalità con cui è stato scelto il verificatore ed al suo operato - che la scelta effettuata dal Presidente della Regione Umbria risponde a criteri di obiettività e terzietà e che le osservazioni dell’appellante rispetto a posizioni di asserito conflitto d’interesse in cui potrebbe essersi trovato il verificatore in relazione alle funzioni dal medesimo svolte nella sua qualità di dipendente del Dipartimento opere pubbliche della Regione Umbria appaiono generiche e prive di riscontri concreti.

Analogamente non possono trovare condivisione le censure mosse all’operato del verificatore, atteso che il Collegio ha avuto modo di riscontrare che la verificazione dal medesimo predisposta è realizzata con criteri obiettivi e con dovizia di particolari in modo da assolvere esaurientemente allo scopo conoscitivo per cui è stata disposta dal Collegio stesso.

9. Nel merito dell’appello e con riferimento alle censure dedotte con i primi tre motivi, relativi alle circostanze già prese in considerazione dalla verificazione disposta dal giudice di primo grado con l’ordinanza n. 2 del 2010, occorre rilevare che gli accertamenti istruttori posti in essere nel corso del giudizio di secondo grado sono di per sé sufficienti per accertare i fatti accaduti e per decidere il giudizio. Diventano pertanto irrilevanti le doglianze avverso le risultanze della verificazione disposta in primo grado (doglianze che hanno indotto la Sezione a disporre gli ulteriori accertamenti istruttori).

Peraltro, le censure proposte con l’atto d’appello sono anche infondate.

Come è stato rilevato dalla giurisprudenza, “è consentito al giudice amministrativo di richiedere alla stessa amministrazione che ha emanato il provvedimento impugnato gli opportuni chiarimenti, senza che ciò implichi violazione del principio di terzietà, del diritto di difesa e del contraddittorio” (Cons. di Stato, Sez. IV, 29 aprile 2004, n. 2609), in quanto “l’onere istruttorio viene diretto all’amministrazione non solo, e non tanto, perché parte processuale ma soprattutto in quanto autorità pubblica che, in tale specifica qualità deve collaborare con il giudice al fine di accertare la verità dei fatti” (Cons. di Stato, Sez. IV, 19 febbraio 2007, n. 881)

Il giudice di prime cure, pertanto, ha correttamente affidato la originaria verificazione alla stessa Amministrazione che in relazione alle sue competenze aveva seguito l’intero procedimento autorizzatorio, consistendo l’incarico ad essa affidato in un mero accertamento volto a completare la conoscenza dei fatti oggetto dei documenti processuali.

Quanto alla censura relativa al fatto che il giudice di prime cure si sarebbe avvalso dei risultati contenuti nella verificazione in maniera acritica, il Collegio ritiene che tale doglianza non sia condivisibile in relazione al fatto che è rimesso al prudente convincimento del giudice l’apprezzamento degli elementi su cui fondare il proprio giudizio.

La sentenza, infatti, ha compiutamente dato conto dei criteri in base ai quali ha ritenuto di avvalersi delle risultanze della verificazione,

Analogamente non risulta condivisibile la doglianza relativa al fatto che la verificazione si sarebbe esaurita in un “mero esercizio difensivo dell’attività svolta dall’Amministrazione comunale”: le censure formulate col ricorso di primo grado sono state oggetto di contraddittorio, con la partecipazione delle parti e dei loro tecnici al procedimento, in esecuzione di quanto stabilito nell'ordinanza che aveva disposto la stessa verificazione.

Per quanto esposto i sopracitati motivi proposti dall’appellante non possono essere condivisi.

9.1. Analogamente non possono trovare condivisione i motivi concernenti le doglianze dedotte dal quinto al nono motivo, proposte dalla signora Pettinelli anche in primo grado per contestare la legittimità del permesso in sanatoria n. 4 del 28 aprile 2009.

Dette doglianze riguardano censure riferibili all’individuazione della zona di P.R.G. in cui ricade il fabbricato, alla verifica delle sue altezze e della loro conformità alle prescrizioni del P.R.G. nonché alla consistenza e alla natura del “loggiato” e del corpo scala ed agli incrementi di superficie e di volume dell’edificio.

L’esame delle citate censure impone alcune considerazioni preliminari.

Per quanto riguarda la censura contenuta nel sesto motivo, quest’ultima evidenzia la non condivisione, da parte della appellante, di quanto stabilito dal giudice di prime cure che ha statuito la “ragionevolezza” della decisione assunta dall’Amministrazione competente che, a fronte di due zone urbanisticamente distinte nelle quali insiste l’edificio, ha ritenuto di applicare al medesimo la disciplina normativa prevista per la zona nella quale ricade la parte di fabbricato di maggior ampiezza.

Osserva il Collegio che detta decisione, viceversa, è da ritenersi condivisibile.

Dalla relazione tecnica depositata il giorno 15 gennaio 2013 dal verificatore, ingegner Paolo Felici emerge, infatti, che circa il 30% del fabbricato di proprietà dei signori Finauro e Rossi ricade in zona omogenea C1, mentre la parte predominante ricade in zona omogenea B1.

Da quanto precede il verificatore ha dedotto che, nell’impossibilità materiale di applicare due normative disomogenee al medesimo fabbricato (di cui non è dubitata l’originaria legittima realizzazione), debbono, “per il principio di maggioranza delle superfici, per il principio che interpreta le volontà tecniche di chi ha redatto la zonizzazione urbanistica e per la presenza delle infrastrutture al servizio dell’edificio”, essere utilizzate le norme tecniche di attuazione delle zone omogenee B1 del P.R.G. in cui ricade la maggior parte dell’edificio, senza peraltro attribuire alcun indice di cubatura o altro beneficio derivante dall’applicazione della disciplina della zona omogenea non prevalente (C1).

Osserva il Collegio che quanto rilevato dal verificatore va condiviso, poiché l’affermazione relativa all’impossibilità di applicare allo stesso edificio due normative differenti - che implica la conseguente conferma della decisione di natura tecnico-discrezionale assunta dall’Amministrazione - non risulta viziata da illogicità o irragionevolezza.

A ciò deve infine aggiungersi che l’applicazione delle norme relative alla zona omogenea B1 (zone residenziali di completamento) ed in particolare dell’art. 2.2. delle norme tecniche di attuazione del P.R.G. comporta, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante nel quinto motivo, che non era necessaria la predisposizione di un “piano d’attuazione”, in quanto non richiesto per la zona in questione, ma soltanto per la zona omogenea C1.

Per ciò che concerne, invece, la censura relativa alle altezze del fabbricato di cui al settimo motivo, il Collegio osserva che la norma da applicare alla fattispecie de qua, come correttamente sostenuto dal verificatore, è l’art. 60 del Regolamento Comunale Edilizio del 6 novembre 1972, come modificato dalla delibera del consiglio comunale di Assisi n.114 del 23 agosto 2004, efficace all’epoca dei fatti in esame, e non quella contenuta nel R.E. n. 9 del 12 maggio 2009, divenuta efficace in epoca successiva al permesso in sanatoria, adottato in data 28 aprile 2009.

Detto articolo, ai commi 1 e 2, prevedeva che “per altezze negli edifici si intende la distanza verticale massima fra il terreno circostante l'edificio, a sistemazione avvenuta, e la linea di intersezione della parete verticale con il piano di intradosso della gronda. Negli edifici con copertura a falde inclinate e gronda sporgente l'altezza sarà quella media tra le distanze verticali come sopra determinate”.

In base a quanto esposto non risulta condivisibile, come affermato anche dal verificatore, l’argomentazione sostenuta dall’appellante nel settimo motivo, secondo cui l’altezza dell’edificio de quo andava calcolata in base alla media delle altezze di ciascuna falda, in quanto tale criterio di computo non era previsto dalla normativa in vigore ratione temporis, che imponeva al contrario quello della media delle singole altezze.

Pertanto, applicando il criterio previsto da detta normativa, l’altezza dell’edificio, come correttamente affermato nella sentenza di primo grado e nella verificazione disposta da questa Sezione, risulta pari a 7,848 metri e quindi conforme al limite massimo di 8 metri stabilito dal comma 12 dell’art. 2.2. delle N.T.A., applicabile per quanto precedentemente detto alla fattispecie in esame.

Per quanto esposto il sopracitato motivo non può essere condiviso.

Per ciò che riguarda la consistenza del “loggiato” ed i segnalati aumenti di cubatura e di superficie di cui all’ottavo motivo, occorre innanzitutto rilevare che, come già sottolineato dal giudice di primo grado ed è stato ribadito dalla relazione tecnica del verificatore nonché nella nota del Comune di Assisi del 19 novembre 2009, fino all'entrata in vigore del Regolamento Edilizio n. 9 del 2008, avvenuta in data 12 maggio 2009 - non applicabile pertanto ratione temporis alla fattispecie de qua - “per indirizzo d'ufficio e secondo una prassi correntemente e generalmente usata in edilizia (in assenza di norme esplicite al riguardo) le superfici porticate con almeno due lati aperti non venivano mai conteggiate ai fini del calcolo del volume del fabbricato”.

Quanto precede trova conferma anche nell'art. 61, comma 2, del Regolamento Edilizio, che fa riferimento nel conteggio del volume urbanistico a superfici abitabili, fattispecie nelle quali non rientra il “loggiato” dell’edificio dei controinteressati, in quanto aperto verso l'esterno su tre lati.

Allo stesso modo non può trovare accoglimento, sempre con riferimento all’ottavo motivo, la censura con cui l’appellante ha contestato l’aumento di superficie derivante dalla presenza del “loggiato” e la connessa violazione della circolare ministeriale del 26 giugno 2009, n. 33.

Per ciò che riguarda il primo profilo è, infatti, sufficiente ribadire, come peraltro rilevato dal giudice di primo grado ed in seguito dal verificatore, che le superfici non residenziali dell’edificio destinate a soffitta sono comunque rimaste invariate anche in seguito alla trasformazione di una parte di esse in “loggiato” in quanto, sulla base di ciò che si è detto in precedenza, anche quest’ultimo è considerato superficie non residenziale.

Per quanto riguarda il secondo profilo, occorre preliminarmente rilevare che la circolare ministeriale sopra citata non solo risulta essere successiva all’emanazione degli atti impugnati dall’appellante e, quindi, inapplicabile ratione temporis al caso di specie, ma anche – per sua natura - non può essere considerata decisiva per la corretta interpretazione delle previsioni urbanistiche rilevanti nella specie.

Comunque, nel merito la doglianza non può ugualmente essere ritenuta condivisibile, in quanto il supposto superamento del limite del “25% dell’area di sedime del fabbricato stesso” non ha avuto luogo, poiché il loggiato non si proietta all’esterno della superficie di sedime ma, per quanto in precedenza detto, ha semplicemente sostituito una porzione di soffitta già esistente.

Per quanto sin qui esposto e con conferma di quanto rilevato dalla sentenza di primo grado e confermato dalla verificazione disposta da questa Sezione, si può concludere che il cosiddetto “loggiato” non ha prodotto né incrementi di volumetria né di superficie.

Per quanto concerne l’aumento delle volumetrie censurato con il nono motivo d’appello, deve rilevarsi che il “corpo scala” risulta esterno e dunque non computabile, sicché sul punto risulta condivisibile quanto osservato dalla sentenza impugnata, mentre, quanto al sottotetto, esso riguarda superfici non residenziali già esistenti.

Per ciò che riguarda l'utilizzazione della demolizione dei manufatti esterni all’edificio al fine di compensare l'aumento di volumetria ad abitazione civile di cui al decimo e al dodicesimo motivo, osserva la Sezione che dalla documentazione acquisita risulta con chiarezza una circostanza senz’altro decisiva per la soluzione della controversia.

Con i provvedimenti impugnati in primo grado, è stata assentita la sanatoria degli incrementi di volume che hanno riguardato l’edificio, poiché la relativa istanza ha chiesto di tenere conto della volumetria del corpo di fabbrica immediatamente adiacente, di cui è stata prevista la demolizione (per ottenere la sanatoria) ed è stato poi effettivamente demolito.

Stando così le cose, la Sezione ritiene di ribadire il proprio orientamento (tra le altre, Sez. VI, 20 giugno 2012, n. 3578) per il quale l’art. 167, comma 4, del Codice n. 42 del 2004 non consente di sanare le opere edilizie che abbiano comportato l’aumento di volumi (anche tecnici), ma osserva nel contempo che l’art. 167, proprio perché intende valorizzare e salvaguardare le aree sottoposte al vincolo paesaggistico, consente alla Soprintendenza di esaminare favorevolmente l’istanza di sanatoria (ovviamente, ferme restando tutte le altre valutazioni di sua competenza), quando l’istanza preveda la demolizione di volumi, del tutto legittimamente realizzati, per ‘compensare’ il mantenimento di altri, realizzati senza titolo.

In altri termini, purché si mantenga il rispetto dei limiti legittimamente assentibili in tema delle superfici e dei volumi, ben può la Soprintendenza ritenere accoglibile l’istanza di sanatoria, quando la demolizione di volumi legittimamente assentiti consenta di ritenere che, nel suo complesso, la volumetria legittimamente assentibile non sia inferiore a quella da porre a base del provvedimento di sanatoria.

Ciò è quanto è avvenuto nella specie.

L’aumento di volumetria sul fabbricato destinato ad abitazione, pari a 236,88 metri cubi, è risultato inferiore al volume derivante dalla demolizione (effettivamente disposta) degli annessi, pari a 277,02 metri cubi.

Invece, per quanto esposto in precedenza, non rilevano il corpo scala ed il loggiato.

E, per completezza, rileva la Sezione che l'ammissibilità sotto il profilo edilizio delle opere in questione era esplicitamente prevista dall'art. 2.2. delle N.T.A. del P.R.G. relativo alla zona omogenea B1, che consentiva interventi di demolizione, ricostruzione e ristrutturazione degli edifici esistenti ed il loro ampliamento o la sopraelevazione, qualora ciò fosse consentito, come nel caso di specie, dagli indici di densità fondiaria.

Inoltre non risulta fondata la tesi dell’appellante, secondo cui non potrebbe rientrare nel concetto di “ristrutturazione edilizia” la demolizione di annessi non pertinenziali al fabbricato oggetto d’intervento e da questo lontani “diversi metri”, in quanto gli edifici demoliti erano definibili, senz’altro e oggettivamente, come pertinenze del fabbricato principale, poiché i fabbricati secondari, pur essendo fisicamente separati dall'edifico principale, insistevano, come rilevato dal verificatore, sulla medesima particella di terreno e a pochi metri, ed erano quindi legati all’edifico principale da un nesso strumentale e funzionale.

Per quanto appena esposto la demolizione degli edifici pertinenziali al fabbricato principale risulta, quindi, legittima e, di conseguenza, utilizzabile per compensare l’aumento di volume dovuto agli interventi oggetto del permesso in sanatoria n. 4 del 28 aprile 2009.

In relazione a quanto esposto non possono accogliersi le censure previste nel nono e nel dodicesimo motivo d’appello.

9.2. Per quanto sin qui esposto non risulta condivisibile anche la censura di cui al quarto motivo con cui l'appellante rileva la violazione del “principio della doppia conformità” di cui all'art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001, che prevede che ai fini dell'ottenimento del permesso in sanatoria l'intervento sia conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso sia al momento della presentazione della domanda.

La signora Pettinelli lamenta questo vizio sottolineando che, nel caso di specie, non sarebbero state rispettate le norme urbanistico - edilizie riguardanti la volumetria, le superfici e le altezze da applicare nella fattispecie de qua.

Come si è in precedenza rilevato la normativa applicabile al caso in esame è quella relativa alla zona omogenea B1 ed in particolare le norme dettate dagli artt. 60 e 61 del R.E. del 6 novembre 1972, come modificato dalla delibera del consiglio comunale di Assisi del 23 agosto 2004, n. 114 e dall’art. 2.2. delle NTA del P.R.G..

Detta normativa, come emerso nel precedente numero 8.1. e nella verificazione ordinata da questa Sezione del Consiglio di Stato, è stata rispettata sia con riferimento alle altezze, sia alla superficie, sia alla volumetria degli interventi effettuati dai signori Finauro e Rossi.

Ne deriva che in relazione a quanto precede viene meno, di conseguenza, anche il motivo di doglianza, ricorrendo in questo caso i presupposti per l'applicazione dell'art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001.

9.3. Per ciò che riguarda le censure addotte dall’appellante in parte con il decimo e con l’undicesimo motivo a sostegno dell'illegittimità del parere vincolante e favorevole di compatibilità paesaggistica emesso dalla Soprintendenza il 17 marzo 2009, che ha superato il suo precedente parere negativo del 21 gennaio 2009, deve rilevarsi che anche tali censure non possono trovare accoglimento.

In primo luogo, alla luce di quanto precede, l'intervento realizzato dai signori Finauro e Rossi - in ragione della demolizione di manufatti a suo tempo legittimamente assentiti - non ha comportato incrementi di volume utile né di superficie, condizioni queste che rappresentano il necessario presupposto per procedere al rilascio della sanatoria ambientale di cui all'art. 167, comma 4, lettera a), del d. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42.

In secondo luogo, risulta del tutto ragionevole la valutazione della Soprintendenza, la quale – sotto il profilo paesaggistico – ha evidentemente ritenuto conforme all’interesse pubblico il mantenimento di un unico manufatto, con ripristino del verde sull’area di sedime prima occupata da manufatti legittimamente assentiti (il cui precedente volume è stato computato per la ‘compensazione’).

Il parere emesso dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici dell’Umbria non risulta pertanto affetto dai vizi dedotti dall’appellante, in quanto emanato in base ai presupposti previsti dal citato art. 167 del d. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42.

Per quanto esposto il motivo non può essere accolto.

9.4. Da ultimo vanno esaminate le censure di cui al tredicesimo motivo d’appello, relative al rilascio del permesso in sanatoria in assenza del nulla osta per il vincolo idrogeologico e senza la preventiva valutazione di compatibilità sismica.

Al proposito occorre in primo luogo rilevare che questo motivo d'appello è stato sollevato per la prima volta nel presente grado di giudizio e, pertanto, risulta inammissibile a norma dell'art. 104 del c.p.a..

Detto motivo, tuttavia, risulta infondato anche nel merito.

Infatti, per ciò che concerne la censura relativa alla mancata richiesta del nulla osta relativo al vincolo idrogeologico, deve rilevarsi che il fabbricato ricade effettivamente in area vincolata a “Rischio R4”. Ciò comporta che, a norma dell'art. 14 delle N.T.A. del Piano di Assetto Idrogeologico, nella suddetta area non siano ammesse opere che comportino un aumento del carico urbanistico.

Dalla verificazione disposta da questo Collegio e dal precedente numero 8.1. emerge, però, che gli interventi de quibus non hanno aumentato il carico urbanistico, né per quanto riguarda le volumetrie né per quanto riguarda la superfici utili: poiché è risultata del tutto immodificata l’area di sedime dell’edificio di cui è stato assentito il mantenimento, le opere poste in essere dall'appellante non necessitavano, dal punto di vista idrogeologico, del previo parere della Provincia di Perugia.

Per ciò che riguarda la censura relativa all'assenza della preventiva valutazione del rischio sismico, deve sottolinearsi che risulta agli atti che i controinteressati abbiano depositato il progetto strutturale presso la competente Provincia di Perugia, in conformità con quanto previsto dalla legge 2 febbraio 1974, n. 64, recante “provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche”.

Ciò posto, risulta infondata la censura secondo cui il permesso in sanatoria sarebbe illegittimo, poiché il procedimento riguardante l’idoneità sismica è autonomo rispetto a quello riguardante il rilascio del titolo edilizio (Cons. Stato, Sez. IV, 11 giugno 2002, n. 3253), anche se questo acquista efficacia solo a seguito dell’emanazione del nulla osta previsto dalla legge 2 febbraio 1974, n. 64

(Cons. Stato, Sez. V, 6 agosto 1997, n. 875)

10. Per quanto sin qui esposto l’appello è da ritenersi infondato e va, pertanto, respinto.

11. Il Collegio ritiene congruo il compenso richiesto dal verificatore con la nota del 7 febbraio 2013, pari a complessivi euro 4.117,42, comprensivi di ritenuta d’acconto, pari al 20% e di trattenuta Inps. Esso va posto a carico dell’appellante, in quanto risultato soccombente.

12. Il Collegio ritiene, altresì, che le spese del secondo grado di giudizio devono seguire il criterio della soccombenza ed essere liquidate nella misura indicata nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull'appello n. 1581 del 2011, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Pone a carico della parte appellante il pagamento del compenso richiesto dal verificatore nella misura indicata nella parte motiva.

Condanna l’appellante al pagamento delle spese, dei diritti e degli onorari di giudizio, che quantifica in complessivi euro 4000.00 (oltre accessori di legge), da corrispondere al Comune di Assisi, nella misura di euro 2.000, ed ai signori Finauro e Rossi, nella misura di euro 1.000 ciascuno.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2013 con l'intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Claudio Contessa, Consigliere

Andrea Pannone, Consigliere

Silvia La Guardia, Consigliere

Claudio Boccia, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 26/03/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)