Condono edilizio: altolà del TAR alla soprintendenza Vietato chiedere integrazioni documentali a tempo scaduto
(nota alla sentenza del TAR Campania Napoli del 16 agosto 2021, n. 5503)

di Lorenzo Bruno MOLINARO

1. Premessa.
È un severo altolà quello che arriva per la Soprintendenza e, dunque, per l'amministrazione statale dai giudici del T.A.R. Campania Napoli, Sez. VI (Pres. Scudeller, Est. Vampa), che, con la sentenza n. 5503/21, depositata il 16 agosto 2021, pubblicata a parte, hanno accolto il ricorso di un cittadino di nazionalità britannica al quale era stata recapitata, nell'ambito di un procedimento di condono edilizio, una richiesta di integrazione documentale, bocciata come strumentale e dilatoria, poiché pervenuta fuori termine, addirittura dopo il rilascio del permesso in sanatoria e della presupposta autorizzazione paesaggistica.
2. La vicenda giudiziaria.
Per meglio inquadrare gli esatti termini della questione, appare opportuna una breve ricostruzione della vicenda, che può essere così riassunta.
Il ricorrente acquistava nel lontano 2005 un fabbricato per civile abitazione sito in Forio d'Ischia alla località Montecorvo, per il quale l’originaria proprietaria e dante causa aveva presentato al comune regolare domanda di condono edilizio in data 1^ marzo 1995, ai sensi della legge n. 724 del 1994, la cui pendenza aveva determinato la commerciabilità del bene.
A distanza di oltre 22 anni, veniva dato finalmente impulso al procedimento.
Quindi, svolta l’istruttoria di rito ed acquisito il parere favorevole della commissione locale per il paesaggio, essendo la zona assoggettata a vincolo, la civica amministrazione trasmetteva alla Soprintendenza la relativa documentazione, la quale, tuttavia, nei successivi 45 giorni, ovvero nel termine assegnatole dall'art. 146, commi 5 e 8, del d.lgs. n. 42/04, per la formulazione del parere di propria competenza,  rimaneva inerte e silente.
In questi casi, come chiarito anche dal T.A.R., che ha escluso l’applicabilità dell’art. 17 bis della legge n. 241/90 invocato dal ricorrente, il silenzio assume valore  di ”silenzio devolutivo”, che sta a significare che, decorso il termine di legge, il funzionario comunale responsabile per il paesaggio è tenuto, comunque, a chiudere il procedimento, rilasciando l’autorizzazione paesaggistica, laddove spettante.
Allo stesso modo il responsabile dell’ufficio tecnico è legittimato a rilasciare all'interessato il permesso finale.
Ciononostante, la Soprintendenza, non avendo ritenuto, nella specie, esaurito l’iter procedimentale, provvedeva a richiedere, nel giugno 2018, ovvero a distanza di mesi dalla ricezione degli atti e, per giunta, a fronte di titoli abilitativi già rilasciati, la documentazione a suo dire mancante, vale a dire:
- “atti in originale del condono edilizio, (con la precisazione che) la documentazione da produrre dovrà dimostrare in modo certo l’esistenza e l’epoca dell’abuso”;
- “documentazione fotografica che inquadri l’edificio in tutte le sue parti, sia nei particolari sia nell’insieme, nonché l’intera zona in cui è ubicato il manufatto, se è possibile con ripresa dall’alto in modo tale da rilevare le caratteristiche del paesaggio”.
E ciò espressamente avvertendo che “il termine per l’emissione del parere di cui all’art. 146 non può considerarsi iniziato e che tale termine, diversamente, inizierà a decorrere dalla data di ricezione della documentazione mancante sopra evidenziata”.
Avverso tale determinazione proponeva ricorso l’interessato, lamentandone la illegittimità sotto molteplici profili e chiedendone conseguentemente l’annullamento.
Deduceva, in particolare, che l’impugnata richiesta di integrazione documentale, in quanto tardiva ed “extra ordinem”, era da ritenere “inutiliter data”, oltre che illegittima e lesiva della sua posizione soggettiva, in quanto chiaramente elusiva del termine perentorio previsto per legge a garanzia della certezza dei rapporti giuridici tra P.A. e cittadino.
Tale richiesta, infatti, era intervenuta non solo quando l’autorizzazione paesaggistica era stata rilasciata da oltre quattro mesi, ma addirittura quando l’intero procedimento si era già concluso con il definitivo rilascio del permesso a costruire in sanatoria.
Aggiungeva, inoltre, che, per costante giurisprudenza, nelle ipotesi di silenzio assenso ex art. 17 bis della legge n. 241 cit., una volta decorso il termine fissato dalla legge per provvedere, il potere dell'amministrazione deve considerarsi consumato, potendo quest'ultima procedere solo in sede di autotutela all'annullamento dell'atto tacito illegittimamente formatosi (così, fra le tante, T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 9 ottobre 2007 n. 1633; T.A.R. Toscana, Firenze, Sez. II, 22 ottobre 2004, n. 5054; Consiglio di Stato, Sez V, 22 giugno 2004, n. 4335, T.A.R. Puglia Bari, Sez. II, 7 aprile 2003, n. 1633, nonché, da ultimo, anche T.A.R. Campania Napoli, Sez. VII, 28 maggio 2018, n. 3493, secondo cui: « qualora, alla data di adozione del provvedimento impugnato, il titolo si è già formato per scadenza del termine previsto dalla legge, l'Amministrazione, dopo la scadenza di tale termine, non può limitarsi a rigettare l'istanza, ma deve provvedere all'annullamento in autotutela del titolo formatosi per silenzio assenso »).
Quanto, infine, al merito della impugnata istanza di integrazione documentale, il ricorrente eccepiva che, in caso di incompletezza della documentazione, la Soprintendenza può formulare istanze istruttorie integrative solo “a condizione che non si tratti di ingiustificati aggravamenti del procedimento determinati da richieste pretestuose, dilatorie o tardive” (v., sul punto, Cons. Stato, Sez. VI, 20 maggio 2014, n. 2532).
Del resto, già nella vigenza dell’art. 159 del d.lgs. n. 42/04 la giurisprudenza amministrativa aveva precisato che la richiesta di atti ulteriori rispetto a quelli oggetto del procedimento conclusosi con il rilascio del nulla osta da parte dell’ente comunale non era idonea ad interrompere il termine perentorio di sessanta giorni previsto per l’esercizio del potere statale di annullamento.
Il Consiglio di Stato, in particolare, con sentenza della Sezione VI del 12 agosto 2002, n. 4182, si era così espresso in materia.
<< La tesi, oltre ad essere corretta, è anche conforme agli ulteriori principi elaborati dal Consiglio di Stato in ordine al procedimento di annullamento delle autorizzazioni paesaggistiche;
Al riguardo, si rileva che la giurisprudenza, data ormai per pacifica la perentorietà del termine di 60 giorni (cfr., Cons. Stato, VI, n. 1267/94, n. 558/96, 1825/96 e n. 129/98), previsto per l'esercizio del potere di annullamento, ha ritenuto che tale termine decorra dalla ricezione da parte della Soprintendenza dell'autorizzazione rilasciata e della documentazione tecnico - amministrativa, sulla cui base il provvedimento è stato adottato; in caso di omessa o incompleta trasmissione di detta documentazione, il termine non decorre e la Soprintendenza legittimamente richiede gli atti mancanti (cfr., fra tutte, Cons. Stato, VI, n. 114/98).
Tale richiesta istruttoria può, quindi, essere effettuata nel solo caso di mancata trasmissione della documentazione, sulla cui base l'autorizzazione è stata rilasciata, e non di altra documentazione ritenuta utile dalla Soprintendenza.
Una volta che la documentazione acquisita nel procedimento conclusosi con il nulla osta comunale sia stata trasmessa in modo completo, unitamente ovviamente all'autorizzazione stessa, si deve ritenere che decorra il termine di sessanta giorni per l'esercizio del potere di annullamento senza che lo stesso possa essere interrotto da richieste istruttorie, che risultano idonee ad interrompere il termine solo in caso di incompleta trasmissione della documentazione su cui l'ente regionale (o sub-delegato, come nel caso di specie) si sia pronunciato.
Del resto, tale impostazione appare conforme alla natura di riesame di sola legittimità, e non di merito (confermato dalla Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con sentenza n. 9 del 14-12-2001), di cui al predetto potere di annullamento: se la Soprintendenza ritiene che l'autorizzazione è stata rilasciata in assenza della documentazione necessaria, potrà annullare l'atto, rilevando il vizio di eccesso di potere per difetto di istruttoria. Comunque, qualora l'autorità preposta al controllo ritenga di dover acquisire elementi ulteriori rispetto a quelli posti alla base dell'autorizzazione, potrà acquisirli direttamente tramite un sopralluogo, o delegare tale acquisizione, tenendo però conto che tale richiesta non è idonea ad interrompere il termine perentorio di 60 giorni per la conclusione del procedimento, in quanto relativa a documenti diversi ed ulteriori, rispetto a quelli acquisiti nel procedimento conclusosi con l'autorizzazione. Ogni diversa interpretazione attribuirebbe alla suddetta autorità un potere che potrebbe agevolmente essere sospeso indefinitamente con richieste di elementi integrativi, che condurrebbero al concreto risultato dell'elusione del termine perentorio. Una siffatta elusione del termine perentorio finirebbe per porsi in contrasto con i principi affermati dalla Corte Costituzionale in materia di distribuzione legislativa, tra Stato e Regioni, dei poteri autorizzatori in ambito paesaggistico, alterando, attraverso un potere di annullamento in pratica esercitabile senza termine certo, quel principio di giusto equilibrio tra i poteri di varie autorità, valorizzato dal giudice delle leggi” (v. anche Corte Cost. n. 359 del 18 dicembre 1985, n. 153 del 24 giugno 1986, n. 302 del 9 marzo 1988 e n. 1112 del 12 dicembre 1988, nonché T.A.R. Sardegna n. 1081 del 10 luglio 2001).
3. La strumentalità e la illogicità della richiesta istruttoria.
Nella specie, la richiesta formulata dalla Soprintendenza, oltre ad apparire strumentale, era oltretutto anche illogica, giacché la documentazione richiesta era in realtà già in suo possesso, essendole stata regolarmente trasmessa dal comune di Forio con nota dell’11 ottobre 2017.
La predetta documentazione, comprensiva di relazioni, elaborati grafici e rilievi fotografici da ogni angolazione, rappresentava compiutamente e specificava in dettaglio gli interventi eseguiti, sicché l’atto impugnato, nella parte in cui esigeva l’acquisizione di ulteriore documentazione fotografica “che inquadri l’edificio in tutte le sue parti, sia nei particolari sia nell’insieme, nonché l’intera zona in cui è ubicato il manufatto”, si rivelava anche ultroneo ed ingiustificato.
Quanto, poi, alla affermazione contenuta in tale nota, secondo cui: « il termine per l’emissione del parere di cui all’art. 146 non può considerarsi iniziato e che tale termine, diversamente, inizierà a decorrere dalla data di ricezione della documentazione mancante sopra evidenziata », il ricorrente eccepiva, altresì, che, in fattispecie analoga, proprio il T.A.R. Campania, con sentenza n. 3378 del 10 maggio 2017, aveva affermato che « quando si tratta di atti destinati ad avere efficacia esterna, in particolare come in questo caso di un atto idoneo a interrompere un termine perentorio, la data che rileva non è quella di predisposizione del documento, ma quella di effettivo invio al soggetto destinatario ».
In definitiva, anche a voler prescindere dal fatto che, nella specie, era già abbondantemente decorso il termine perentorio di 45 giorni entro cui la Soprintendenza avrebbe potuto formulare il proprio parere, il ricorrente ribadiva con forza la illegittimità di una richiesta istruttoria, come quella impugnata, avente ad oggetto una documentazione secondaria e marginale, inidonea ad integrare il concetto di “necessaria istruttoria” che eccezionalmente avrebbe potuto giustificare la interruzione del termine perentorio per l’esercizio del potere consultivo dell’autorità preposta alla tutela del vincolo.
In tale ipotesi, infatti, “la richiesta istruttoria, pretestuosa e meramente dilatoria, non dispiega alcuna efficacia né sospensiva né interruttiva sul detto termine (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 1740/2003; id. T.A.R. Calabria Reggio Calabria, 16 gennaio 2002, n. 30)”.
4. La sentenza del T.A.R.
Così riassunte le doglianze formulate dal ricorrente, il T.A.R. ha definito il giudizio accogliendo il ricorso e annullando il provvedimento della Soprintendenza, stigmatizzandone l’operato come tardivo e in violazione di legge, dovendosi - secondo i giudici - garantire, da un lato, l’affidamento del privato e, dall’altro, “la esigenza di assicurare certezza e stabilità alle situazioni giuridiche discendenti da provvedimenti amministrativi”.
La motivazione addotta, perspicua e lapidaria, è la seguente.
“Esclusa la valenza significativa dell’inutile decorso del termine contemplato dall’art. 146 d.lgs. 42/04 (TAR Campania, VI, 26 agosto 2020, n. 3651; TAR Lombardia, II, 5/12/2018, n. 2738), può nondimeno essere agevolmente certata la illegittimità della nota tardivamente resa dalla Soprintendenza.
 E, invero, siccome sopra ampiamente esposto, il silenzio, ovvero l’inutile decorso del termine contemplato per l’esercizio dei munera gravanti in capo alle Amministrazioni interessate, è ben contemplato all’art. 146 d.lgs. 42/04, che ne disciplina partitamente gli effetti, devolutivi ovvero traslativi del potere in capo ad altre Autorità.
Nella fattispecie de qua agitur, la inerzia serbata dalla Soprintendenza, ben oltre il termine di 45 giorni ex lege prescritto, si atteggia quale fatto giuridico costitutivo - recte, devolutivo o traslativo - della potestas per il Comune di procedere alla definizione del procedimento, esprimendo la voluntas provvedimentale sulla “domanda di autorizzazione”, siccome testualmente contemplato all’art. 146, commi 5 e 9, d.lgs. 42/04.
Il provvedimento comunale del 10 aprile 2018, n. 417 - che di questa potestas costituisce estrinsecazione - ha chiuso la fattispecie procedimentale, cristallizzando l’assetto di interessi, in senso favorevole ai desiderata del ricorrente.
 La validità ed efficacia di tale atto provvedimentale, indi:
- poteva essere, eventualmente, incrinata solo all’esito della certazione giudiziale di vizi di legittimità, ovvero in seguito all’esercizio della potestà di riesame in autotutela ad opra della medesima Amministrazione civica, in ossequio al principio del contrarius actus;
- non mai poteva essere scalfita, indi, dalla nota della Soprintendenza quivi gravata, intervenuta contra legem e in guisa tardiva, allorquando la fattispecie provvedimentale si era già conchiusa e perfezionata.
 Le conclusioni suesposte si appalesano coerenti con la esigenza di assicurare certezza e stabilità alle situazioni giuridiche discendenti da provvedimenti amministrativi, in funzione di tutela:
- “a latere” privatistico, dell’affidamento del privato, la cui sfera giuridica - ampliata dal potere amministrativo - non può tollerare una situazione di diuturna instabilità; di qui, unitamente agli ordinari termini decadenziali per la impugnativa in sede giurisdizionale, gli stringenti limiti temporali foggiati per l’annullamento di ufficio all’art. 21-nonies l. 241/90, con la fissazione di limiti invalicabili di preclusione/consumazione del potere pubblico nell’interesse dei consociati, al fine di consolidare le situazioni giuridiche soggettive favorevoli nascenti da atti amministrativi, e renderle non più perennemente “claudicanti”, siccome esposte in ogni tempo alla potestà di riesame della Amministrazione; e ciò, beninteso, sempre che il privato non abbia contribuito, con contegni riprovevoli e penalmente rilevanti, alla adozione di provvedimenti illegittimi (art. 21-nonies, comma 3, l. 241/90);
- a latere pubblicistico, a garantire la inoppugnabilità degli atti anche nell’interesse della Amministrazione, nella fattispecie di quella comunale.
 E ciò tenuto conto, peraltro, che il medesimo Comune di Forio:
- non ha ravvisato i presupposti per avviare la potestà di riesame in autotutela in allora, id est a seguito della ricezione della gravata nota della Soprintendenza del 6 giugno 2018;
- ha, anzi e di più, successivamente emanato il definitivo titolo abilitativo in sanatoria, in data 5 luglio 2018”.
5. La parallela giurisprudenza del Consiglio di Stato in materia di annullamento della autorizzazione paesaggistica.
L'arresto del T.A.R., che pur opera incidentalmente un richiamo all’art. 21-nonies della legge n. 241/90 al fine di giustificare la tutela dell’affidamento, è - a ben vedere - in linea anche con quella giurisprudenza che ha escluso, in materia, la possibilità per la Soprintendenza di disporre l’annullamento in autotutela dell’autorizzazione paesaggistica una volta rilasciata dall’amministrazione regionale o delegata.
Tale principio è stato, come è noto, ribadito da ultimo anche dal Consiglio di Stato, Sez. VI, il quale, con sentenza del 10 gennaio 2020, n. 259, ha definitivamente chiarito che il potere che la Soprintendenza esercita ai sensi dell’art. 146 del d.lgs. n. 42/04 deve ritenersi consumato nel momento in cui l’amministrazione regionale e/o quella delegata abbia adottato il provvedimento finale, ovvero l’autorizzazione paesaggistica: con la conseguenza che, essendo l’autotutela, quale procedimento di secondo grado, espressione dello stesso potere esercitato nell’adozione dell’atto di primo grado, l’annullamento di ufficio, il ritiro ovvero la modifica del parere possono intervenire soltanto fino a quando l’organo di amministrazione attiva non abbia adottato il provvedimento finale.
Ciò perché:
Il comma 2 dell’art. 146 cit. prevede che i proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico tutelati dalla legge hanno l’obbligo di presentare alle amministrazioni competenti il progetto degli interventi che intendono intraprendere, corredato dalla prescritta documentazione ed astenersi dall’avviare i lavori fino a quando non ne abbiano ottenuta l’autorizzazione.
Il successivo comma 5 prescrive che sull’istanza di autorizzazione paesaggistica si pronuncia la regione (ovvero l’ente delegato, ai sensi del comma 6), dopo aver acquisito il parere vincolante del Soprintendente.
La medesima disposizione qualifica, invece, il parere del Soprintendente come obbligatorio ma non vincolante, qualora vi sia stata “approvazione delle prescrizioni d’uso dei beni paesaggistici tutelate, predisposte ai sensi degli articoli 140, comma 2, 141, comma 1, 141 bis e 143, comma 1, lettere b), c) e d), nonché positiva verifica da parte del Ministero, su richiesta della regione interessata, dell’avvenuto adeguamento degli strumenti urbanistici”.
Quanto al procedimento da seguire, il comma 7 dell’articolo 146 dispone, inoltre, che l’amministrazione verifica se l’istanza sia corredata dalla prescritta documentazione, provvedendo, se necessario, a richiedere le opportune integrazioni ed a svolgere gli accertamenti del caso; entro quaranta giorni dalla ricezione dell’istanza, l’amministrazione effettua gli accertamenti circa la conformità dell’intervento proposto con le prescrizioni contenute nei provvedimenti di dichiarazione di interesse pubblico e nei piani paesaggistici e trasmette al Soprintendente la documentazione presentata dall’interessato, accompagnandola con un relazione tecnica illustrativa nonché con una proposta di provvedimento, e dà comunicazione all’interessato dell’inizio del procedimento e dell’avvenuta trasmissione degli atti al Soprintendente, ai sensi delle vigenti disposizioni di legge in materia di procedimento amministrativo.
Il comma 8 dispone, poi, che il Soprintendente renda il parere prescritto, limitatamente alla compatibilità paesaggistica dell’intervento nel suo complesso, entro il termine di quarantacinque giorni dalla ricezione degli atti, comunicando agli interessati, in caso di parere negativo, il preavviso di rigetto di cui all’articolo 10 bis della legge n. 241 del 1990.
L’amministrazione, entro venti giorni dalla ricezione del parere, provvede “in conformità”, prevedendosi, peraltro, al comma 9, che, decorsi inutilmente sessanta giorni dalla ricezione degli atti da parte del Soprintendente senza che questi abbia reso il prescritto parere, l’amministrazione provvede comunque sulla domanda di autorizzazione.
Con la richiamata sentenza n. 259/20, il Consiglio di Stato ha, dunque, osservato che “dall’articolato contenuto dell’articolo 146 del d.lgs. n. 42 del 2004 discende in primo luogo che l’autorità competente ad adottare il provvedimento conclusivo del procedimento, relativo all’autorizzazione paesaggistica, è la Regione ovvero l’ente dalla stessa delegato”.
Infatti:
“Il soprintendente partecipa al procedimento attraverso l’espressione di un parere.
Questo, ferma la sua ordinaria obbligatorietà, può assumere duplice natura.
Il parere, invero, non è vincolante quando vi sia stata approvazione delle prescrizioni d’uso dei beni paesaggistici tutelati e la verifica dell’adeguamento degli strumenti urbanistici ai piani paesistici.
Negli altri casi esso ha carattere vincolante per la determinazione finale dell’amministrazione procedente.
Nel caso in cui il parere non sia vincolante, non vi sono dubbi in ordine al momento in cui si consuma il relativo potere in capo alla soprintendenza.
Trattandosi, come ogni atto di natura consultiva, di determinazione diretta ad illuminare e sorreggere l’organo di amministrazione attiva nell’adozione di un provvedimento, il potere si consuma nel momento in cui l’amministrazione procedente ha adottato il provvedimento finale.
Orbene, essendo l’autotutela, quale procedimento di secondo grado, espressione dello stesso potere esercitato nell’adozione dell’atto di primo grado, l’annullamento di ufficio, il ritiro ovvero la modifica del parere possono intervenire fino a quando l’organo di amministrazione attiva non abbia emanato il provvedimento finale.
Superato tale momento, l’esercizio della funzione consultiva si è esaurito e, dunque, un nuovo esercizio della stessa può aversi solo quando l’organo consultivo risulti nuovamente compulsato dall’amministrazione procedente con richiesta di nuovo parere.
La richiesta, invero, non costituisce unicamente atto di iniziativa del sub procedimento volto alla adozione del parere, ma assume una connotazione sostanziale di conferimento di quel potere consultivo che l’organo statale aveva in concreto perduto per effetto dell’adozione del provvedimento relativo all’autorizzazione paesaggistica.
Vuole, dunque, in buona sostanza affermarsi che l’annullamento di ufficio, una volta rilasciata l’autorizzazione paesaggistica, può investire solo quest’ultima, seguendo evidentemente, in ossequio al principio del contrarius actus, il medesimo procedimento previsto ed applicato per la sua emanazione”.
Dopo aver concluso, dunque, che non vi è spazio, una volta rilasciata l’autorizzazione paesaggistica e consumatosi il potere consultivo, per una determinazione autonoma, da parte della Soprintendenza, di annullamento del parere favorevole dalla stessa precedentemente reso, il Consiglio di Stato si è, poi, interrogato sulla eventualità che le considerazioni espresse possano valere anche nella ipotesi in cui il parere del Soprintendente sia vincolante.
Anche a tale quesito il Supremo Consesso ha dato risposta affermativa, evidenziando che il parere vincolante, pur avendo carattere decisorio, è un atto partecipe della decisione finale, ovvero dell’autorizzazione paesaggistica, provvedimento tipicamente “monostrutturato”, con tutto ciò che ne deriva sul piano degli effetti.
“Infatti, il carattere sostanzialmente decisorio del parere vincolante non esclude che il potere della soprintendenza abbia a consumarsi una volta adottato il provvedimento finale di autorizzazione paesaggistica, considerandosi che tale provvedimento conserva comunque i caratteri di una decisione monostrutturata.
In buona sostanza, il parere della soprintendenza configura una determinazione partecipe della funzione decisoria, nel senso che essa viene a determinare il contenuto del provvedimento finale.
Purtuttavia, l’autorizzazione paesaggistica ovvero il diniego di essa resta un provvedimento monostrutturato, riferibile alla regione o all’ente delegato e non anche alla soprintendenza, il cui parere esaurisce i propri effetti nel momento in cui viene recepito, nella prescritta decisione “in conformità”, adottata dall’amministrazione competente.
Pertanto, la valenza provvedimentale spetta unicamente all’atto della regione, la cui determinazione assorbe in sé i contenuti vincolanti del parere soprintendentizio, il quale, adottato il provvedimento finale, perde ogni sua autonomia, atteso che i suoi effetti giuridici risultano sostituiti da quelli della decisione finale che lo recepisce e che si esplicano all’esterno con valenza ormai autonoma.
A tanto consegue che, assorbita la determinazione soprintendentizia nel provvedimento finale, il relativo potere deve ritenersi esaurito, non potendo più essere rinnovato con un autonomo atto di autotutela, esercitabile – ripetesi – solo fino a quando non è intervenuto il provvedimento finale della regione o del comune.
Anche in tal caso, dunque, il potere di annullamento di ufficio può esplicarsi solo sull’autorizzazione paesaggistica rilasciata da parte dell’amministrazione che ha adottato il relativo provvedimento”.
6. Riflessioni conclusive.
La sentenza del T.A.R. rappresenta indubbiamente un duro monito per le Soprintendenze che non sono nuove a comportamenti come quello censurato, giacché accade frequentemente che l’amministrazione statale richieda, sia nell’ambito dei procedimenti ordinari che di quelli di condono edilizio, integrazioni documentali il più delle volte strumentali e dilatorie, peraltro a termine abbondantemente scaduto, alimentando in tal modo situazioni di incertezza e contenziosi sia con il privato interessato sia con l’ente locale.
E questo è particolarmente grave se si considera, altresì, che l’art. 146 del d.lgs. n. 42/04, prevede testualmente, al comma 7, che:
 “L’amministrazione competente al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica verifica se ricorrono i presupposti per l’applicazione dell’articolo 149, comma 1, alla stregua dei criteri fissati ai sensi degli articoli 140, comma 2, 141, comma 1, 141-bis e 143, comma 1, lettere b), c) e d).
Qualora detti presupposti non ricorrano, l’amministrazione verifica se l’istanza stessa sia corredata della documentazione di cui al comma 3, provvedendo, ove necessario, a richiedere le opportune integrazioni e a svolgere gli accertamenti del caso”.
Dall’inequivoco tenore della disposizione in esame emerge, pertanto, che la sola amministrazione regionale o delegata (e non anche la Soprintendenza) può richiedere “le opportune integrazioni”.
Come sottolineato, infatti, dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 4182/02 sopra citata, seppur con riferimento alla normativa previgente, “ogni diversa interpretazione attribuirebbe alla suddetta autorità un potere che potrebbe agevolmente essere sospeso indefinitamente con richieste di elementi integrativi, che condurrebbero al concreto risultato dell'elusione del termine perentorio”, con l’ovvia conseguenza che “una siffatta elusione del termine perentorio finirebbe per porsi in contrasto con i principi affermati dalla Corte Costituzionale in materia di distribuzione legislativa, tra Stato e Regioni, dei poteri autorizzatori in ambito paesaggistico, alterando, attraverso un potere di annullamento in pratica esercitabile senza termine certo, quel principio di giusto equilibrio tra i poteri di varie autorità, valorizzato dal giudice delle leggi”.
In conclusione, il nuovo arresto dei giudici amministrativi conferma a tutto tondo che anche il termine di 45 giorni previsto dall’art. 146 del Codice del Paesaggio non può essere in alcun modo travalicato e che la violazione di detto termine, anche se astrattamente giustificabile con un eccesso di “sana burocrazia”, va sempre sanzionata.
Ed è giusto e logico che sia così!
Scriveva tempo fa proprio un giornalista inglese (Hooper) sul noto quotidiano The Guardian:
“Dopo la caduta della dittatura fascista di Mussolini gli italiani hanno creato un ordine democratico in cui nessuna persona può esercitare il potere assoluto; il risultato è stato un sistema bizantino di controlli e contrappesi che rende quasi impossibile eseguire le cose rapidamente e in modo decisivo”.
È tempo ormai di prendere coscienza del fallimento di tale sistema che rappresenta un serio ostacolo alla semplificazione amministrativa e ai processi decisionali a qualsiasi livello, con inevitabili ricadute negative sui cittadini.
L’organizzazione democratica del potere non può essere veicolo di paralisi amministrativa o di aggravamento dei procedimenti né minare il principio costituzionale di certezza dei rapporti giuridici.
A perdere sarebbe innanzitutto il “buon senso”!
Ce lo dice anche l’Europa … ma da noi non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.

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Pubblicato il 16/08/2021

N. 05503/2021 REG.PROV.COLL.

N. 04711/2018 REG.RIC.



REPUBBLICA    ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4711 del 2018, proposto da

XXXXXX, rappresentato e difeso dall'avvocato XXXXXX, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliataria ex lege in Napoli, via Armando Diaz, 11; Comune di Forio non costituito in giudizio;

per l'annullamento

    • della nota del 6 giugno 2018, indirizzata al “responsabile dell’Attivitá di Tutela Paesaggistica del comune di Forio” e pervenuta al ricorrente a mezzo del servizio postale in data 9 agosto 2018, con la quale la Soprintendenza A B.A. e P. per l’Area Metropolitana di Napoli, ha richiesto integrazioni documentali relative alla istanza di autorizzazione paesaggistica ex art. 146 d.lgs. 42/04, trasmessa in data 11-13 ottobre 2017, precisando che “il termine
per l’emissione del parere di cui all’art. 146 non può considerarsi iniziato e che tale termine, diversamente, inizierà a decorrere dalla data di ricezione della documentazione mancante sopra evidenziata”;

    • di tutti gli altri atti preordinati, connessi e consequenziali, comunque lesivi della posizione soggettiva del ricorrente.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero per i beni e le attività culturali;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 luglio 2021, tenutasi da remoto,

Rocco Vampa e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

    1. Con atto dell’11 febbraio 2005 il ricorrente acquistava dalla signora XXXXXX un fabbricato per civile abitazione sito in Forio, alla XXXXX, n. XX (località XXXXX), in relazione al quale pendeva domanda di condono presentata, ai sensi della legge n. 724/94, in data 1 marzo 1995.

    1.1. In data 5 ottobre 2017 la commissione per il paesaggio del Comune di Forio emanava parere favorevole all’accoglimento della istanza, con il conseguente invio, in data 11 ottobre 2017, del fascicolo procedimentale alla competente Soprintendenza per l’area metropolitana di Napoli B.A. e P. ai sensi dell’art. 146, comma 7, del d.lgs. n. 42/04.

    1.2. In data 27 marzo 2018, stante l’inutile decorso del termine contemplato all’art. 146, commi 5 e 8, d.lgs. 42/04, il ricorrente sollecitava la civica Amministrazione al rilascio della autorizzazione paesaggistica.

    1.3. In data 10 aprile 2018, indi, con determina n. 417, il Comune di Forio rilasciava la agognata autorizzazione paesaggistica, “vista la nota prot. n. 9108 del
    27 marzo  2018  a  firma  della  ditta  in  oggetto,  contenente  sollecito  per  il  rilascio
dell’autorizzazione paesaggistica (…) considerato che sono trascorsi i termini di legge per l’acquisizione del parere della Soprintendenza; visto l’art. 17 bis della legge n. 241 del 7 agosto 1990, introdotto dall’art. 3 della legge n. 124 del 7 agosto 2015”.

1.4. In data 6 giugno 2018, nondimeno, la Soprintendenza –sul presupposto del mancato avvio dell’iter procedimentale di cui all’art. 146 d.lgs. 42/04, in ragione della mancata ricezione degli elementi istruttori all’uopo necessari-provvedeva a richiedere la documentazione mancante, id est:

    • “atti in originale del condono edilizio, (con la precisazione che) la documentazione da produrre dovrà dimostrare in modo certo l’esistenza e l’epoca dell’abuso”;

    • “documentazione fotografica che inquadri l’edificio in tutte le sue parti, sia nei particolari sia nell’insieme, nonché l’intera zona in cui è ubicato il manufatto, se è possibile con ripresa dall’alto in moda tale da rilevare le caratteristiche del paesaggio”.

E ciò espressamente significando che “il termine per l’emissione del parere di cui all’art. 146 non può considerarsi iniziato e che tale termine, diversamente, inizierà a decorrere dalla data di ricezione della documentazione mancante sopra evidenziata”.

1.5. Il Comune di Forio, di contro, provvedeva a concludere definitivamente il procedimento di condono iniziato nel 1995, rilasciando in favore del ricorrente il titolo abilitativo edilizio in sanatoria (n. 20/18), in data 5 luglio 2018.

1.6. Avverso la nota della Soprintendenza insorgeva il ricorrente avanti questo TAR, ad unico mezzo di gravame essenzialmente deducendo:
    • Violazione e falsa applicazione degli artt. 146 del d.lgs. n. 42/04 e 17-bis della legge n. 241/90. Eccesso di potere per carenza assoluta dei presupposti di fatto e di diritto. Sviamento. Difetto di istruttoria e di interesse pubblico. Contraddittorietà con precedenti manifestazioni. Manifesta ingiustizia. Falso scopo. Falsa causa. Violazione artt. 3, 7 e 10 l. 241/90. Violazione del principio del giusto procedimento. Altri profili; e, invero, la richiesta di integrazione documentale formulata dalla Soprintendenza -in quanto formulata (6 giugno 2018) oltre il termine di 45 giorni di cui all’art. 146, commi 5 e 8, d.lgs. n. 42/04, allorquando era già stata rilasciata dal Comune la
autorizzazione paesaggistica- sarebbe da reputarsi inutiliter data; d’altra parte, si tratterebbe di atto intervenuto allorquando si sarebbe già perfezionato il silenzio assenso ex art. 17-bis della legge n. 241/90; nella fattispecie, invero, già in data 11 ottobre 2017 il Comune aveva inviato alla Soprintendenza la relazione tecnica illustrativa e corredata di “proposta favorevole all’accoglimento” della istanza del ricorrente, così che la mancata, tempestiva, emanazione del parere della Soprintendenza avrebbe assunto significato di assenso, legittimando il Comune alla conclusione del procedimento, pel tramite del rilascio della autorizzazione paesaggistica (oltre che del successivo titolo edilizio in sanatoria); in ogni caso, la richiesta istruttoria assumerebbe carattere pretestuoso e dilatorio, avendo il Comune di Forio compiutamente trasmesso il fascicolo procedimentale già in data 11 ottobre 2017.

1.7. Si costituiva la intimata Amministrazione, instando per la reiezione del gravame.

1.8. La causa, al fine, all’esito della discussione tenutasi nella udienza del 20 luglio 2021, veniva introitata per la decisione.
DIRITTO

    2. Il ricorso è fondato, nei termini in appresso puntualizzati ed emersi anche all’esito della discussione, con assorbimento della ultima doglianza relativa alla sostanziale inesistenza dei presupposti per procedere alla richiesta integrazione documentale.

    2.1. La richiesta di integrazione della documentazione avanzata dalla Soprintendenza, nella parte in cui pretenderebbe rimettere in discussione rapporti già divisati pel tramite della voluntas provvedimentale conclusiva del procedimento finalizzato al rilascio della autorizzazione paesaggistica – conchiusosi effettivamente in data 10 aprile 2018- è illegittima, comechè intempestiva, e affatto inidonea a scalfire l’assetto degli interessi, siccome definitivamente regolato dalla civica Amministrazione.

    2.2. E ciò pur rimarcando, in uno con le statuizioni già rese in fattispecie “parzialmente” similare da questo TAR, la inapplicabilità in subiecta materia
dell’art. 17-bis l. 241/90 e dell’istituto del silenzio assenso colà foggiato, e pure a più riprese invocato dal ricorrente nel corpo del gravame introduttivo.

2.3. Va, all’uopo sempre in via liminare, rimarcata la applicabilità alla fattispecie de qua agitur della disciplina procedimentale compendiata all’art. 146 d.lgs. 42/04 e della scansione temporale colà tratteggiata.

2.3.1. E’ ben vero, infatti, che l’art. 32 della legge 47/85, richiamato dall’art. 39, comma 1, l. n. 724/94, prescrive che “il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso. Qualora tale parere non venga formulato dalle suddette amministrazioni entro centottanta giorni dalla data di ricevimento della richiesta di parere, il richiedente può impugnare il silenzio-rifiuto”.

2.3.2. E, tuttavia, la citata norma vale a riconoscere –all’interno del procedimento finalizzato al rilascio del condono- autonoma e peculiare dignità all’intervento della Autorità preposta alla tutela del vincolo.

2.3.3. Trattasi, in altre parole, di norma che:

    • nell’an e nel quid, tratteggia la condicio indefettibile dell’intervento nel procedimento della Autorità paesaggistica;

    • nel quomodo, non può che rinviare ai moduli procedimentali che quell’intervento disciplinano e governano nel momento in cui la Autorità è chiamata ad intervenire.

2.3.4. In altre parole, la valenza precettiva dell’art. 32 l. 47/85 si sostanzia nella previsione del necessario intervento della Autorità paesaggistica, non mai fissando in forma statica le forme procedimentali attraverso cui quell’intervento deve dispiegarsi; forme che non possono che essere governate, anche in ossequio al principio tempus regit actum, dalla disciplina vigente al momento della emanazione dell’atto di competenza della Autorità.

2.3.5. In questo senso, indi, deve intendersi il richiamo effettuato dalla giurisprudenza all’istituto del “rinvio mobile” che sarebbe contenuto all’art. 32 della l. 47/85: la norma, invero, nella parte in cui sancisce la natura indefettibile del parere favorevole della Amministrazione preposta alla tutela
del vincolo paesaggistico, costituisce per così dire una “clausola aperta”, tale da essere dinamicamente adeguata e riempita di contenuti a misura del mutamento della disciplina che regge il modus di esplicazione della voluntas della Autorità che “gestisce e tutela” l’interesse paesaggistico.

2.3.6. Di qui la condivisibile affermazione per cui “in considerazione della natura autonoma del procedimento di gestione del vincolo paesaggistico, il quale s'innesta nella disciplina del condono e il cui atto conclusivo - se favorevole - costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al titolo edilizio, e del rilievo costituzionale dei valori coinvolti, deve escludersi l'ultrattività sine die di una disciplina, ormai superata, del modulo procedimentale di gestione del vincolo, a fronte della sua profonda modificazione, atteso che la Soprintendenza, secondo le previsioni a regime dell'art. 146 d.lg. n. 42 del 2004, a decorrere dal 1º gennaio 2010, non esercita più un mero riesame successivo di legittimità (scaturente in un eventuale annullamento), bensì una funzione consultiva, mediante l'espressione di un parere preventivo di merito, obbligatorio e in alcune ipotesi anche vincolante. Pertanto, a fronte dell'intervenuta abrogazione dell'art. 82, comma nono, d.P.R. n. 616 del 1977, l'art. 12 del d.l. n. 2/1988, deve ritenersi abrogato per incompatibilità e non può fungere da fonte di disciplina del procedimento autorizzatorio in materia di condono edilizio; abrogato il citato art. 82, comma nono, è divenuto applicabile l'art. 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio in relazione a tutte le istanze (formulate in ogni tempo e che ancora non avevano dato luogo a un accoglimento o a un rigetto) volte ad ottenere una autorizzazione paesaggistica, per opere già realizzate o ancora da realizzare. Diversamente, sarebbe risultato in contrasto con la ratio dell'accentuazione dei poteri soprintendentizi nei procedimenti di valutazione della compatibilità paesaggistica collegati al rilascio di titoli edilizi, insita nel nuovo modulo procedimentale, escluderne l'applicazione proprio in un settore sensibile quale quello della sanatoria di interventi abusivi” (CdS, VI, 11 settembre 2013, n. 4492).

2.3.7. Per le esposte ragioni, indi, tenuto conto della data di trasmissione degli atti alla Soprintendenza (11 ottobre 2017), al procedimento in esame si applica l’art. 146 d.lgs. n. 42 del 2004, in vigore a far tempo dall’1 gennaio 2010.
2.4. Può ora procedersi allo scrutinio delle doglianze articolate da parte ricorrente, iniziando da quella afferente alla asserita formazione del silenzio assenso ex art. 17-bis l. 241/90 e che, come supra accennato, non può essere accolta (TAR Campania, VI, 26 agosto 2020, n. 3651).

2.4.1. Orbene, costituisce dato di fatto irrefutabile -siccome comprovato per tabulas - quello relativo alla tardività del contegno della Soprintendenza che:

    • ha ricevuto la relazione tecnica illustrativa e la proposta del Comune, trasmessa l’11 ottobre 2017, in data 12-13 ottobre 2017;

    • ha serbato un contegno affatto inerte per oltre 8 mesi, provvedendo soltanto in data 6 giugno 2018 –non già ad emanare il parere- bensì a richiedere documentazione integrativa;

    • ha dunque impiegato uno spatium temporis lunghissimo per ravvisare pretese manchevolezze e lacune documentali, ictu oculi percepibili all’atto della ricezione e della protocollazione della nota del Comune.

2.4.2. Talchè, è giustappunto la entità inusitata del lasso temporale impiegato per la richiesta di “regolarizzazione/integrazione”, a deprivare di rilievo logico, prima ancora che giuridico, l’assunto della Soprintendenza circa il mancato “avvio del decorso” di esso termine, fino alla integrazione della documentazione.

2.4.3. Il più contiene il meno. E, invero e a tacer d’altro:
    • se la legge individua un termine di 45 giorni per il compiuto dispiegarsi della potestas consultiva ex lege demandata alla Soprintendenza;
    • a fortiori tale termine non mai può essere superato nella ipotesi –quale quella che ne occupa- in cui la Amministrazione si limita, non già a rilasciare il parere, ma a semplicemente certare la incompletezza delle evidenze documentali trasmesse dal Comune.

2.4.4. E, tuttavia, la irrefragabile violazione del termine ex lege contemplato per l’apporto consultivo della Soprintendenza non integra veruna fattispecie di silenzio significativo a’ sensi dell’art. 17-bis l. 241/90.
2.4.5. E ciò, anzitutto, in ragione della natura speciale della disciplina foggiata all’art. 146 del d.lgs. 42/04, frutto della peculiare significanza e pregnanza che la tutela dell’interesse ambientale e paesaggistico riveste nel nostro ordinamento, in ossequio alla quale l’inutile decorso dello spatium temporis che connota la scansione del procedimento:

    • non assume (tacita) significanza provvedimentale;

    • costituisce, per contro e al più, fatto devolutivo della competenza (cd. “silenzio devolutivo”), non arrestando il procedimento.

2.4.6. E, invero, siccome è testualmente dato leggere ai commi 9 e 10 dell’art.

146 d.lgs. 42/04:

    • “decorsi inutilmente sessanta giorni dalla ricezione degli atti da parte del soprintendente senza che questi abbia reso il prescritto parere, l’Amministrazione competente provvede comunque sulla domanda di autorizzazione”; analogamente il comma 5 del ridetto art. 146 prescrive che il parere del soprintendente “è reso nel rispetto delle previsioni e delle prescrizioni del piano paesaggistico, entro il termine di quarantacinque giorni dalla ricezione degli atti, decorsi i quali l’amministrazione competente provvede sulla domanda di autorizzazione”; l’inerte contegno della Soprintendenza, devolve in funzione acceleratoria la potestas decisoria al Comune che dunque può procedere anche in assenza del prescritto parere; la ratio della disposizione è chiara nel senso di impedire che il silente contegno della Autorità possa andare a detrimento dell’interesse, pure meritevole di tutela, alla celere definizione del procedimento;

    • “decorso inutilmente il termine indicato all’ultimo periodo del comma 8” [id est, il termine di 20 giorni dalla ricezione del parere della Soprintendenza da parte del Comune] “senza che l’Amministrazione si sia pronunciata, l’interessato può richiedere l’autorizzazione in via sostitutiva alla Regione, che vi provvede, anche mediante un commissario ad acta, entro sessanta giorni dal ricevimento della richiesta”; anche nella fase stricto sensu decisoria, indi, la inerzia del Comune e la violazione del termine ex lege contemplato per l’esercizio del potere non determina alcuna
ipotesi di silenzio significativo, ovvero di consumazione del potere, facultando l’interessato a compulsare in via sostitutoria altro ente.

2.4.7. Di qui la incompatibilità delle speciali prescrizioni dell’art. 146 d.lgs. 42/04, rispetto a quelle contenute nella legge generale del procedimento amministrativo (art. 17-bis l. 241/90), ciò che ne determina ex se la applicabilità al caso di specie, in ossequio al principio per cui lex specialis derogat legi generali.

2.5. D’altra parte, sotto altro e concorrente profilo, va nondimeno rimarcato che l’invocato art. 17-bis della legge 241/90 costituisce norma volta ad assicurare stabilità e certezza delle situazioni giuridiche nei rapporti tra le Amministrazioni, al pari di quanto contemplato “a latere” privatistico dall’art. 21-nonies l. 241/90; e, invero, proprio sul decorso del tempo quale fatto che vale a consumare e precludere l’esercizio del potere, anche nei rapporti tra PP.AA., il nuovo art. 17-bis della l. 241/90 (sul silenzio assenso tra Amministrazioni) non a caso è stato posto a raffronto con l’art. 21-nonies che ci occupa; come affermato dal Consiglio di Stato in sede consultiva, “a tale nuova regola generale [id est, l’art. 21-nonies l. 241/90] che riforma i rapporti ‘esterni’ dell’amministrazione con i privati, corrisponde – introdotta ad opera dell’art. 17-bis – una seconda regola generale, che pervade i rapporti ‘interni’ tra amministrazioni” (CdS, comm. speciale, parere 13 luglio 2016, n. 1640; TAR Lombardia, I, 17 marzo 2020, n. 515).

2.5.1. Si verte, invero, in tema di “rapporti orizzontali tra Amministrazioni (…) non essendoci, quindi – a differenza di quello che accade rispetto al silenzio-assenso di cui all’articolo 20 – un coinvolgimento diretto dei diritti del privato” (CdS, 1640/16, cit.).

2.5.2. E ciò vale altresì a spiegare la disposizione di cui al comma 3 dell’art.

17-bis che, nel sancire la applicabilità del silenzio assenso anche nel caso “in cui

    • prevista l’acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali”:
    • si discosta dalla regola generale di cui all’art. 20, comma 4, l. 241/90, che di contro nei “rapporti verticali” tra consociati ed Amministrazione esclude qualsivoglia ipotesi di silenzio assenso in materie “sensibili”, quali quelle ambientali e paesaggistiche;

    • trova una ragionevole giustificazione proprio nel suo diverso spettro applicativo, afferente giustappunto ai rapporti orizzontali e lato sensu endogeni all’Apparato amministrativo.

Di talché, siccome rimarcato dal Supremo Consesso, la norma quivi invocata da parte ricorrente regola e governa esclusivamente i rapporti procedimentali (per così dire “in orizzontale”) tra Amministrazioni, e non anche quelli ad iniziativa di parte, come in via paradigmatica è quello afferente alla domanda di condono edilizio, ovvero di autorizzazione paesaggistica (in sanatoria).

2.5.3. Il procedimento che ci occupa, invero, è strutturalmente ed ontologicamente connotato (con un rapporto per così dire “verticale”) dalla iniziativa privata: il rapporto, indi, intercorre pur sempre tra il privato e la parte pubblica, ancorchè “collettivamente” articolata nelle diverse Autorità preposte rispettivamente alla tutela degli interessi edilizi ed urbanistici, nonché di quelli ambientali e paesaggistici.

2.5.4. Le superiori conclusioni sono, di poi, expressis verbis caratterizzanti il parere del Consiglio di Stato (1640/16), ove è testualmente dato leggere della inapplicabilità del silenzio assenso ai “procedimenti ad iniziativa di parte che si svolgono presso un’Amministrazione competente a ricevere la domanda del privato ma rispetto ai quali la competenza sostanziale è di altra Amministrazione”.
Ciò che avviene giustappunto nel caso della autorizzazione paesaggistica –che si innesta, nella fattispecie, nella più ampia fattispecie procedimentale del condono- ove il procedimento:

    • è senz’altro ad iniziativa di parte;

    • si svolge “presso una Amministrazione”, il Comune;

    • è connotato dalla valenza decisiva del parere della Soprintendenza, effettiva titolare della competenza sostanziale, e a cui il Comune richiede la
formulazione del parere non già nell’interesse proprio (dell’Ente) bensì in quello del privato.

2.5.5. E, invero, accedendo alla tesi propugnata da parte ricorrente, il vero beneficiario del silenzio assenso sarebbe il privato, avendosi, quindi, un’ipotesi di silenzio assenso nei rapporti (non endoprocedimentali tra Amministrazioni, ma) con i privati; ciò che è estraneo alla logica che permea la norma in esame. 2.6. D’altra parte, opinare per la applicazione dell’art. 17-bis l. 241/90 anche ai procedimenti ad iniziativa della parte privata integrerebbe, sostanzialmente, la abrogazione dell’art. 20, comma 4, l. 241/90 che, di contro, tale fattispecie di silenzio significativo espressamente esclude a tutela di interessi “sensibili” di rango anche costituzionale.

Un tale percorso ermeneutico è, dunque, impraticabile, conducendo a tacer d’altro ad una surrettizia e tacita abrogazione di una norma (art. 20, comma 4) espressa, e posta a presidio di interessi fondamentali.

2.7. A non dissimili conclusioni, infine, conduce anche il dato normativo relativo alla autorizzazione paesaggistica semplificata, per cui –a differenza della ordinaria autorizzazione paesaggistica- l’applicabilità dell’istituto del silenzio assenso è ex professo stabilita dall’art. 11, comma 9, DPR 31/17, ove è testualmente dato leggere che “In caso di mancata espressione del parere vincolante del soprintendente nei tempi previsti dal comma 5, si forma il silenzio assenso ai sensi dell’articolo 17-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successiva modificazioni e l’Amministrazione procedente provvede al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica”. Di talché, ubi lex voluit, dixit, ubi noluit, tacuit.

2.8. Orbene, esclusa la valenza significativa dell’inutile decorso del termine contemplato dall’art. 146 d.lgs. 42/04 (TAR Campania, VI, 26 agosto 2020, n. 3651; TAR Lombardia, II, 5/12/2018, n. 2738), può nondimeno essere agevolmente certata la illegittimità della nota tardivamente resa dalla Soprintendenza.

2.8.1. E, invero, siccome sopra ampiamente esposto, il silenzio, ovvero l’inutile decorso del termine contemplato per l’esercizio dei munera gravanti in
capo alle Amministrazioni interessate, è ben contemplato all’art. 146 d.lgs. 42/04, che ne disciplina partitamente gli effetti, devolutivi ovvero traslativi del potere in capo ad altre Autorità.

2.8.2. Nella fattispecie de qua agitur, la inerzia serbata dalla Soprintendenza, ben oltre il termine di 45 giorni ex lege prescritto, si atteggia quale fatto giuridico costitutivo –recte, devolutivo o traslativo- della potestas per il Comune di procedere alla definizione del procedimento, esprimendo la voluntas provvedimentale sulla “domanda di autorizzazione”, siccome testualmente contemplato all’art. 146, commi 5 e 9, d.lgs. 42/04.

2.8.3. Il provvedimento comunale del 10 aprile 2018, n. 417 –che di questa potestas costituisce estrinsecazione- ha chiuso la fattispecie procedimentale, cristallizzando l’assetto di interessi, in senso favorevole ai desiderata del ricorrente.

2.8.4. La validità ed efficacia di tale atto provvedimentale, indi:

    • poteva essere, eventualmente, incrinata solo all’esito della certazione giudiziale di vizi di legittimità, ovvero in seguito all’esercizio della potestà di riesame in autotutela ad opra della medesima Amministrazione civica, in ossequio al principio del contrarius actus;

    • non mai poteva essere scalfita, indi, dalla nota della Soprintendenza quivi gravata, intervenuta contra legem e in guisa tardiva, allorquando la fattispecie provvedimentale si era già conchiusa e perfezionata.

2.8.5. Le conclusioni suesposte si appalesano coerenti con la esigenza di assicurare certezza e stabilità alle situazioni giuridiche discendenti da provvedimenti amministrativi, in funzione di tutela:

    • “a latere” privatistico, dell’affidamento del privato, la cui sfera giuridica – ampliata dal potere amministrativo- non può tollerare una situazione di diuturna instabilità; di qui, unitamente agli ordinari termini decadenziali per la impugnativa in sede giurisdizionale, gli stringenti limiti temporali foggiati per l’annullamento di ufficio all’art. 21-nonies l. 241/90, con la fissazione di limiti invalicabili di preclusione/consumazione del potere pubblico nell’interesse dei
consociati, al fine di consolidare le situazioni giuridiche soggettive favorevoli nascenti da atti amministrativi, e renderle non più perennemente “claudicanti”, siccome esposte in ogni tempo alla potestà di riesame della Amministrazione; e ciò, beninteso, sempre che il privato non abbia contribuito, con contegni riprovevoli e penalmente rilevanti, alla adozione di provvedimenti illegittimi (art. 21-nonies, comma 3, l. 241/90);

    • a latere pubblicistico, a garantire la inoppugnabilità degli atti anche nell’interesse della Amministrazione, nella fattispecie di quella comunale.

2.8.6. E ciò tenuto conto, peraltro, che il medesimo Comune di Forio:

    • non ha i ravvisato i presupposti per avviare la potestà di riesame in autotutela in allora, id est a seguito della ricezione della gravata nota della Soprintendenza del 6 giugno 2018;

    • ha, anzi e di più, successivamente emanato il definitivo titolo abilitativo in sanatoria, in data 5 luglio 2018.

3. Le peculiari connotazioni della controversia, e delle questioni giuridiche sottese, inducono a compensare inter partes le spese di lite.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla il gravato atto. Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa. Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 20 luglio 2021, tenutasi da remoto, con l'intervento dei signori magistrati:

Santino Scudeller, Presidente

Carlo Buonauro, Consigliere

Rocco Vampa, Referendario, Estensore