T.A.R. Emilia Romagna (BO) Sezione I n. 163 del 9 febbraio 2016
Urbanistica.Inammissibilità del titolo abilitativo in sanatoria subordinato alla esecuzione di opere edilizie

Non è ammissibile il rilascio di un titolo abilitativo in sanatoria ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 che venga subordinato alla esecuzione di opere edilizie, anche se gli ulteriori interventi sono finalizzati a ricondurre l’immobile abusivo nell’alveo della compatibilità con gli strumenti urbanistici, giacché ciò contrasta ontologicamente con gli elementi essenziali dell’accertamento di conformità, i quali presuppongono la già avvenuta esecuzione delle opere e la loro integrale conciliabilità con la disciplina urbanistica

N. 00163/2016 REG.PROV.COLL.

N. 00116/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso n. 116 del 2010 proposto da Carla Quadri e Myriam D’Angelo, rappresentate e difese dall’avv. Claudio Moscati e presso lo stesso elettivamente domiciliate in Bologna, via Savenella n. 2;

contro

il Comune di Vergato, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Marco Dugato e presso lo stesso elettivamente domiciliato in Bologna, via della Zecca n. 1;

nei confronti di

Italo Capri, Anna Rosa Capri e Maria Parazza, non costituiti in giudizio;

per l'annullamento

del permesso di costruire in sanatoria n. 445/A - prot. n. 16010 del 17 dicembre 2009, rilasciato al sig. Italo Capri per la realizzazione di opera edilizia (box per il ricovero di cani) in Vergato, via Bortolotti n. 2/2;

per quanto occorrer possa, degli atti e provvedimenti ad esso presupposti e/o connessi, ivi compresi il parere favorevole della Commissione per la Qualità architettonica e il paesaggio (seduta in data 8 ottobre 2009) e la comunicazione del Responsabile dell’U.O. “Urbanistica Edilizia Ambiente” prot. n. 16186 del 21 dicembre 2009.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Vergato;

Visti gli atti tutti della causa;

Nominato relatore il dott. Italo Caso;

Uditi l’avv. Claudio Moscati e l’avv. Marco Dugato, per le parti, alla pubblica udienza del 27 gennaio 2016;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

 

FATTO e DIRITTO

In esito ad istanza del sig. Italo Capri, presentata il 16 settembre 2009 ai sensi dell’art. 17 della legge reg. n. 23 del 2004, il Comune di Vergato rilasciava un permesso di costruire in sanatoria (n. 445/A - prot. n. 16010 del 17 dicembre 2009) relativamente all’avvenuta realizzazione, senza titolo abilitativo, di “opere pertinenziali di un servizio annesso all’abitazione destinato ad accogliere animali domestici da compagnia, a Vergato in via Bortolotti 2/2 su immobile identificato catastalmente nel foglio 50 col mappale 130”; il provvedimento comunale, in particolare, dava atto della conformità dell’intervento alla disciplina urbanistica ed edilizia e del parere favorevole reso dalla Commissione per la Qualità architettonica e il paesaggio (seduta in data 8 ottobre 2009).

Avverso tali atti e avverso la comunicazione successivamente effettuata loro, con nota prot. n. 16186 del 21 dicembre 2009, dal Responsabile dell’U.O. “Urbanistica Edilizia Ambiente” del Comune di Vergato hanno proposto impugnativa le ricorrenti, proprietarie di area confinante.

Imputano all’Amministrazione comunale di avere indebitamente assegnato rilievo al presunto obbligo del sig. Capri (legge reg. n. 5/2005 e relative disposizioni di attuazione) di provvedere alla realizzazione di adeguati manufatti recintati per il ricovero di animali domestici da compagnia, non derivandone in alcun modo una deroga alle disposizioni in materia edilizia ed urbanistica e quindi la possibilità di edificare in difformità dalle previsioni di cui all’art. 28 delle n.t.a. del piano regolatore comunale, nella fattispecie disattese sotto molteplici profili. Si dolgono, inoltre, della circostanza che si sia ammessa la sanatoria dell’abuso, neppure motivando sul punto, nonostante la collocazione della struttura ad una distanza di soli 34 cm. dal confine di proprietà e il mero impegno dell’interessato a regolarizzarne in futuro la posizione, e nonostante la mancata specificazione delle concrete modalità di attuazione delle misure igienico-sanitarie imposte per simili strutture e dell’adeguatezza quindi del box rispetto a tali esigenze, aspetto di cui l’Amministrazione comunale si sarebbe completamente disinteressata. Denunciano, ancora, l’inosservanza delle prescrizioni relative al Regolamento comunale di Polizia urbana e rurale, per non essersi accertato l’effettivo rispetto delle condizioni igienico-sanitarie richieste a tutela di chi vive nelle vicinanze dei ricoveri di animali (art. 34), e per non essersi neppure tenuto conto del divieto di localizzazione di tali ricoveri nel centro abitato (art. 37). Si lamentano, infine, della contraddittorietà e illogicità dell’azione amministrativa, per essere rimasto ingiustificatamente inerte l’ente locale dopo la realizzazione dell’abuso e fino alla presentazione dell’istanza di sanatoria, laddove un precedente analogo manufatto era stato fatto oggetto di ingiunzione di demolizione e poi rimosso dallo stesso proprietario, il tutto senza una motivazione che abbia reso comprensibili le scelte compiute.

Di qui la richiesta di annullamento degli atti impugnati.

Si è costituito in giudizio il Comune di Vergato, resistendo al gravame.

All’udienza del 27 gennaio 2016, ascoltati i rappresentanti delle parti, la causa è passata in decisione.

Osserva il Collegio come una prima questione si incentri sulla compatibilità dell’intervento edilizio con le prescrizioni di cui all’art. 28 delle n.t.a. del piano regolatore comunale. La «relazione tecnica» allegata all’istanza di sanatoria aveva evidenziato che “…L’aspetto urbanistico della presente sanatoria è caratterizzato dalla possibilità di sanare il box per cani utilizzando la quota di edifìcabiltà “una tantum” prevista nelle “zone residenziali edificate B1” in cui, come nella fattispecie, la superficie costruita alla data di adozione dello strumento urbanistico vigente era maggiore dell’edificabilità ammessa dall’indice di utilizzazione fondiaria …” e che “…Tale possibilità oltre che per gli ampliamenti della superficie utile abitabile è ammessa anche per la creazione di servizi alle unità immobiliari esistenti. Nella fattispecie si ritiene che il box per il ricovero e la detenzione dei cani di proprietà del sig. Capri Italo sia una superficie di vero e proprio servizio …”, indicazioni poi fatte proprie dal titolo edilizio impugnato (“…Accertata la conformità urbanistica di cui all’art. 28 delle NTA, che ammette la creazione di opere pertinenziali, che concede, per tutti i fabbricati esistenti alla data dell’adozione del PRG vigente, un incremento di superficie utile per il miglioramento dell’abitabilità e per la creazione di servizi delle singole unità immobiliari. Verificato che dal conteggio presentato dal tecnico risulta un incremento di superficie spettante di diritto sull’intero fabbricato pari al 15% […] il manufatto risulta essere stato realizzato in aderenza ad un fabbricato già esistente ed autorizzato da regolare Concessione Edilizia …”). Le ricorrenti, tuttavia, assumono non ammissibile l’opera in questione perché fonte di rumore ed esalazioni maleodoranti, produttiva di incremento di «superficie non residenziale» anziché di «superficie utile», localizzata in aderenza ad un fabbricato accessorio e non al fabbricato principale, assentita senza il prescritto studio di inserimento ambientale e indebitamente giustificata dall’addotta esigenza di assicurare un idoneo ricovero agli animali domestici del proprietario.

La questione è fondata nei limiti che si indicheranno.

L’art. 28 delle n.t.a. del piano regolatore comunale disciplina le «zone residenziali edificate (B1)» e prevede al loro interno le «sottozone B1», stabilendo che vi sono ammessi “…tutti gli usi esistenti, compatibilmente con le prescrizioni del Piano Comunale per il Commercio, a condizione che quelli non residenziali non presentino inconvenienti tali da contrastare con il carattere dell’edificio o degli edifici circostanti o da impedire il normale svolgimento delle funzioni abitative (ad esempio: fonti di rumore, esalazioni nocive o maleodoranti ...) come previsto per le zone A …”, con la possibilità di un “…ampliamento “una tantum”, da realizzare in aderenza al fabbricato esistente, per il quale è richiesto uno studio di inserimento ambientale, da estendere alla strada, alla piazza o comunque alla zona in cui è localizzato l’edificio (per un raggio di 50 m. almeno), che dimostri la sua compatibilità ambientale. L’incremento una tantum è previsto per il miglioramento dell’abitabilità delle singole unità immobiliari o per la creazione di servizi nella misura di: 20% per unità immobiliari fino ad 80 mq di Su …”. Orbene, la circostanza che venga espressamente consentita la “creazione di servizi” rende evidente che l’ampliamento una tantum non è inderogabilmente circoscritto alla «superficie utile» ma può riguardare anche la «superficie non residenziale», benché il parametro di incremento venga commisurato, nella sua misura massima, alle dimensioni della parte abitabile; correttamente, dunque, si è ritenuta realizzabile la struttura destinata al ricovero di animali domestici. Né il vincolo della costruzione in “aderenza al fabbricato esistente” può intendersi nella fattispecie violato, giacché la ratio di evitare la disordinata collocazione sul territorio di nuovi manufatti viene salvaguardata dallo stretto contatto di dette opere con strutture preesistenti, quantunque connotate da funzione accessoria (in questo caso si tratta di autorimesse). Illegittimamente, invece, si è concessa la sanatoria nonostante l’istanza del sig. Capri si fosse limitata a dichiarare soddisfatte le necessarie esigenze sanitarie, ambientali e di benessere, omettendo la produzione del prescritto “studio di inserimento ambientale, da estendere alla strada, alla piazza o comunque alla zona in cui è localizzato l’edificio”, indagine che avrebbe anche consentito di verificare la concreta adozione delle misure utili a garantire l’insussistenza di condizioni incompatibili con l’ordinario svolgimento delle funzioni abitative, in relazione – come prevede l’art. 28 n.t.a. – a possibili fonti di rumore o di esalazioni maleodoranti; sotto questo profilo, relativo ad una carenza di carattere istruttorio, si presenta di conseguenza fondata la censura delle ricorrenti, le quali imputano all’Amministrazione comunale di avere acriticamente condiviso le generiche conclusioni del sig. Capri, nonostante la disciplina urbanistica imponesse in parte qua un accertamento puntuale e determinasse anche la sfera territoriale (non meno di 50 metri) interessata dalla verifica. Né una deroga a detta prescrizione poteva naturalmente derivare dalla normativa a tutela del benessere animale (legge reg. n. 5/2005), in sé inidonea ad esonerare dall’osservanza delle regole che attengono al governo del territorio.

E’ fondata anche la censura con cui le ricorrenti adducono che la sanatoria avrebbe dovuto essere negata a fronte dell’ammissione del privato di avere edificato in violazione del limite di distanza legale dal confine di proprietà e del dichiarato impegno a rimediare a tale irregolarità (dalla «relazione tecnica» risulta che “…Il box in oggetto è realizzato a circa 34 cm. dalla recinzione che definisce il confine catastale di proprietà; non avendo l’autorizzazione della proprietà confinante per costruire a tale distanza si prevede di arretrare la copertura del manufatto fino a mt. 1,50 da detta recinzione (vedi elaborato grafico). In tal modo si ritiene soddisfatta e rispettata la distanza minima dal confine del nuovo manufatto da sanare imposta dal Codice Civile (Art. 873) …”). Per costante giurisprudenza, invero, non è ammissibile il rilascio di un titolo abilitativo in sanatoria ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 che venga subordinato alla esecuzione di opere edilizie, anche se gli ulteriori interventi sono finalizzati a ricondurre l’immobile abusivo nell’alveo della compatibilità con gli strumenti urbanistici, giacché ciò contrasta ontologicamente con gli elementi essenziali dell’accertamento di conformità, i quali presuppongono la già avvenuta esecuzione delle opere e la loro integrale conciliabilità con la disciplina urbanistica (v., tra le altre, TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 4 giugno 2014 n. 3066); del resto, la stessa Amministrazione comunale ha riconosciuto come le distanze legali previste dal codice civile siano state fatte proprie dal piano regolatore locale (v. nota prot. n. 16186 del 21 dicembre 2009), sì che – una volta emersa l’irregolarità – non se ne poteva sicuramente prescindere in sede di rilascio del titolo edilizio in sanatoria. Né induce a diverse conclusioni l’obiezione secondo cui il precedente proprietario dell’area delle ricorrenti avrebbe a suo tempo acconsentito (nel 1979) a che il confinante edificasse in deroga alle distanze legali, in quanto – a tacer d’altro – quella autorizzazione privata si riferiva unicamente a garages, non a ricoveri per animali domestici.

Quanto, poi, al denunciato silenzio degli atti progettuali allegati all’istanza di sanatoria circa le necessarie misure di tutela igienico-sanitaria – in relazione anche al disposto dell’art. 34 del Regolamento comunale di Polizia urbana e rurale (“…I proprietari di cani e di altri animali o coloro che li abbiano ricevuti in custodia sono responsabili degli insudiciamenti cagionati … Gli stessi devono, inoltre, garantire le condizioni igienico-sanitarie del luogo in cui vivono gli animali e di chi vive nelle vicinanze …”) –, il Collegio rileva in effetti la genericità delle indicazioni in tal senso contenute nella «relazione tecnica» del 15 settembre 2009. Oltre all’affermazione secondo cui “…Le acque della copertura sono raccolte da una lattoneria in lamiera d’acciaio e canalizzate verso la fognatura bianca esistente …”, nulla viene specificato circa le modalità di smaltimento delle deiezioni degli animali e delle sostanze liquide legate alla pulizia; profili, questi, che non possono essere rimessi unicamente ad una verifica da effettuare nell’uso quotidiano della struttura di ricovero e alla responsabilità che grava sul proprietario dei cani, ma che necessariamente assumono rilievo in sede di rilascio del titolo edilizio relativo al manufatto a tale funzione destinato. Né, d’altra parte, l’Amministrazione risulta avere operato in sede istruttoria per accertare l’adeguatezza delle misure eventualmente predisposte dal privato.

Non persuade, invece, la doglianza imperniata sul divieto di cui all’art. 37 del Regolamento comunale di Polizia urbana e rurale (“Nel centro abitato è vietato costruire ricoveri per animali quali pollai, stalle, canili, porcili e simili. E’ altresì vietato l’allevamento di animali da stalla e da cortile”). Si tratta di prescrizione necessariamente riferita ad allevamenti e ricoveri relativi all’esercizio di attività di impresa, non ai box che, senza fini di lucro e per le sole finalità del proprietario, ospitino animali domestici o di compagnia, tanto più che le disposizioni contenute negli artt. 36 e 36-bis recano norme in materia di custodia dei cani che sottintendono la loro presenza in luoghi di residenza non isolati.

Circa, infine, la lamentata incoerenza dell’azione amministrativa del Comune di Vergato, che dopo l’ingiunzione di demolizione del precedente manufatto avrebbe omesso di sanzionare il nuovo abuso del sig. Capri e avrebbe ingiustificatamente tollerato la presenza del manufatto sine titulo fino alla presentazione della relativa istanza di sanatoria, il Collegio osserva come il protrarsi dell’inerzia dell’Amministrazione non vizi ex se il successivo permesso di costruire in sanatoria, il cui presupposto è costituito unicamente dalla conformità dell’intervento alla disciplina urbanistico-edilizia (oltre al versamento di contributi vari). Il tardivo agire dell’ente locale, insomma, non incide sulla legittimità di un atto il cui rilascio non è soggetto a scadenza, neppure quando si sarebbe potuto da tempo ingiungere al proprietario la demolizione delle opere edilizie eseguite in assenza di titolo abilitativo.

In conclusione, il ricorso va accolto per la mancata acquisizione del prescritto “studio di inserimento ambientale”, per la violazione della distanza legale ex art. 873 cod.civ. (fatta propria dal piano regolatore comunale) e per l’omesso accertamento dell’adeguatezza del manufatto quanto alle condizioni igienico-sanitarie da assicurare per una simile destinazione d’uso. Dal che l’annullamento del permesso di costruire in sanatoria n. 445/A - prot. n. 16010 del 17 dicembre 2009.

Le spese di lite seguono la soccombenza dell’Amministrazione comunale, e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna, Bologna, Sez. I, pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla il permesso di costruire in sanatoria n. 445/A - prot. n. 16010 del 17 dicembre 2009.

Condanna l’Amministrazione al pagamento delle spese di lite, nella misura complessiva di € 3.000,00 (tremila/00), oltre agli accessori di legge e alla rifusione del contributo unificato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Bologna, nella Camera di Consiglio del 27 gennaio 2016, con l’intervento dei magistrati:

 

Giuseppe Di Nunzio, Presidente

Italo Caso, Consigliere, Estensore

Ugo De Carlo, Primo Referendario

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 09/02/2016

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)