TAR Lombardia (MI) Sez. II n. 2332 del 29 luglio 2024
Urbanistica.Revisione peggiorativa della destinazione urbanistica di un’area

Le scelte urbanistiche costituiscono valutazioni di merito sottratte al sindacato giurisdizionale di legittimità, salvo che risultino inficiate da errori di fatto, abnormi illogicità, violazioni procedurali, ovvero che, per quanto riguarda la destinazione di specifiche aree, risultino confliggenti con particolari situazioni che abbiano ingenerato affidamenti e aspettative qualificate e la semplice reformatio in peius della disciplina urbanistica attraverso il ridimensionamento dell'attitudine edificatoria di un'area è interdetta solo da determinazioni vincolanti per l'amministrazione in ordine ad una diversa ‘zonizzazione’ dell'area stessa, ovvero tali da fondare legittime aspettative potendosi configurare un affidamento qualificato del privato esclusivamente in presenza di convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari delle aree, aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di concessione edilizia o di silenzio - rifiuto su una domanda di concessione o ancora nella modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo 

Pubblicato il 29/07/2024

N. 02332/2024 REG.PROV.COLL.

N. 00895/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 895 del 2021, proposto da
Vergani Immobiliare Srl, Kopron Immobiliare Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentate e difese dall'avvocato Umberto Grella, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico ex art. 25 c.p.a. presso il suo studio in Milano, via Cesare Battisti 21;

contro

Comune di Carugate, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Maurizio Boifava, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento

a) della delibera consiliare n. 52 del 9.10.2020, recante controdeduzione alle osservazioni ed approvazione del nuovo Pgt di Carugate, pubblicata sul BURL in data 31.03.2021;

nonché per la condanna

del Comune di Carugate al risarcimento dei danni patiti e patiendi in misura da quantificarsi in corso di causa;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Carugate;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatrice nell'udienza pubblica del giorno 4 giugno 2024 la dott.ssa Laura Patelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Le società indicate in epigrafe sono comproprietarie di un complesso produttivo in via C. Battisti n. 181 a Carugate, catastalmente identificato al foglio 13 mappale 61 sub. 701, 702, 704, 706, 707, 708, mappale 62 sub. 101 e mappale 323 sub. 1, 3, 702 e 703.

2. Hanno esposto in punto di fatto le ricorrenti:

- che, stando al Pgt (Piano di governo del territorio) del 2010, il complesso immobiliare predetto era inserito in un “ambito di trasformazione n. 13A e B (Z.t.o. C3)” di riqualificazione urbana e disciplinato dalla relativa scheda n. 13/B allegata al piano delle regole;

- che in sostanza la disciplina prevedeva la possibilità di trasformazione previo piano attuativo e assegnava all’area una superficie lorda di pavimento (Slp) complessiva di circa 1.910 mq a destinazione mista residenziale (per 573 mq) ed altri usi compatibili (per 1.337 mq), con indice edificatorio pari a 0,5 mq/mq;

- di non aver mai presentato il piano attuativo previsto in ragione della “notoria crisi del settore immobiliare”;

- che con delibera consiliare n. 52 del 9.10.2020 l’amministrazione comunale di Carugate ha approvato il nuovo Pgt, prevedendo per le aree in questione una destinazione a verde di tutela ambientale e paesaggistica, così attuando la politica d’indirizzo delineata dalla relazione del documento di piano ed eliminando ogni possibilità di riconversione residenziale; l’area veniva quindi ricompresa tra quelle destinate a in sito e ricomprendendole nel sistema delle aree destinate a “verde della rigenerazione urbana e di ricomposizione paesaggistica”, aree generanti diritti edificatori con previsione di “atterraggio” negli ambiti definiti di rigenerazione urbana denominati AT4 e AT 5”.

3. Più in dettaglio, il nuovo strumento urbanistico indicava tra gli obiettivi di piano quello della “revisione gli ambiti di trasformazione interni al tessuto urbano consolidato non attuati, con l’obiettivo di rigenerare il territorio recuperando le aree dismesse e bilanciando le destinazioni d’uso” (cfr. Relazione al documento di piano, pag.36) e la “individuazione di nuove aree di mitigazione ambientale e rimboschimento”, nonché la “implementazione e riqualificazione di aree verdi interne al tessuto urbano consolidato”.

L’area delle società ricorrenti veniva fatta oggetto di cessione compensativa, con attribuzione di diritti edificatori ai sensi dell’art.11, comma 3 e 4, L.R. n.12/2005.

4. Le società comproprietarie hanno quindi impugnato il nuovo strumento urbanistico, chiedendone l’annullamento in parte qua sulla base di cinque motivi. Hanno inoltre domandato il risarcimento del danno subito per la ritenuta pianificazione illegittima, consistente nella mancata attuazione del Pgt del 2010 e nella diminuzione di valore dell’immobile in ragione del vincolo espropriativo apposto.

5. Il Comune di Carugate si è costituito in giudizio per resistere al ricorso, eccependo l’inammissibilità del ricorso per omessa notifica ai controinteressati proprietari di aree aventi una destinazione identica a quella delle ricorrenti.

6. Ad esito dell’udienza camerale del 29 giugno 2021, la domanda cautelare proposta dalle società ricorrenti è stata respinta dal Tar con ordinanza n. 641 del 29 giugno 2021, per assenza di pregiudizio grave e irreparabile nelle more della decisione di merito. Ha infatti evidenziato il Tar che «anche alla luce della formulazione dell’art. 11 delle Nta del Piano dei Servizi – il quale non prevede espressamente la demolizione delle opere edilizie già insistenti sui terreni ricompresi nelle aree destinate a “verde della rigenerazione urbana e di ricomposizione paesaggistica” – allo stato non si evincono elementi da cui ritenere che la prosecuzione delle attività già in essere sia inibita o limitata».

7. In vista dell’udienza pubblica di trattazione di merito, le parti hanno depositato documenti e memorie, insistendo nelle rispettive domande.

Infine, all’udienza del 4 giugno 2024, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. In via preliminare, deve essere esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per omessa notifica agli altri soggetti proprietari di aree disciplinare in maniera analoga a quelle delle ricorrenti.

L’eccezione è infondata.

Di norma, infatti, non sussistono controinteressati all'impugnazione degli strumenti di programmazione urbanistica, con l'eccezione dell'ipotesi in cui sia fatta oggetto di impugnazione una variante al piano regolatore che abbia un oggetto del tutto specifico e circoscritto, nonché nei casi in cui, pur essendo impugnato uno strumento urbanistico, vi sia l'evidenza di posizioni specifiche di soggetti interessati al mantenimento dell'atto che determinano la loro qualità di controinteressati (cfr. Tar Lombardia, Milano, Sez. II, 28 giugno 2023, n. 1627; cfr. anche Consiglio di Stato, Sez. II, 26 marzo 2020, n. 2103, il quale evidenzia che «non è identificabile una "regola generale" (salvo eccezioni) di non configurabilità di controinteressati all'impugnazione di atti di pianificazione urbanistica» e che «la sussistenza (e dunque l'individuazione) del soggetto controinteressato […] si determina in ordine alla previsione (o meglio, allo specifico contenuto costitutivo) dello stesso, laddove questa forma oggetto di impugnazione, richiedendosene l'annullamento. Ne consegue che, laddove sia oggetto di impugnazione la delibera di approvazione di uno strumento urbanistico, saranno controinteressati in sede processuale i soggetti beneficiari delle nuove previsioni introdotte per il tramite del medesimo (laddove il motivo di impugnazione tenda ad ottenere il totale annullamento dell'atto), ovvero quei soggetti destinatari di specifiche, positive previsioni, laddove il motivo di impugnazione si rivolga non già all'atto nel suo complesso, bensì ad una previsione particolare del medesimo»).

Nel caso di specie, le società contestano la disciplina attribuita all’area di proprietà, senza censurare le previsioni relative alle aree di terzi, sicché non è individuabile alcuna posizione di controinteressato sostanziale all’impugnativa.

Il fatto che il Comune abbia disciplinato in maniera analoga altre zone si riverbererà, in caso di accoglimento del ricorso, nella doverosa valutazione di uniformare in autotutela la disciplina di piano che dovesse risultare all’esito del contenzioso, ma non impone la chiamata in giudizio di tutti i soggetti interessati da previsioni pianificatorie analoghe a quella della proprietà oggetto di contestazione.

2. Venendo ora al merito del ricorso, la domanda di annullamento è articolata in cinque motivi, coi quali si deduce, (i) “in via preliminare e assorbente” che la previsione di cessione di uno standard specifico pari al 100% dell’estensione territoriale della superficie dell’area all’interno di un Pgt che prevede uno standard generale pari a 60 mq/abitanti (contro i 18 mq/abitante dettato dall’art. 9 della LR Lombardia 12/2005) sarebbe illegittima per violazione dell’art. 9 della L.R. n. 15/2005 che prevedrebbe invece uno standard pari a 18 mq/abitante e perché non sarebbe stato adeguatamente motivato il sovradimensionamento dello standard richiesto. Inoltre, (ii) il Pgt sarebbe illegittimo per violazione dell’affidamento ingenerato nelle proprietarie dal Pgt del 2010 circa le potenzialità di trasformazione edilizia dell’area. Sarebbe poi (iii) stata illogicamente riformata in senso peggiorativo la previsione di piano previgente, con disparità di trattamento rispetto ad altri contesti ritenuti analoghi ai quali sarebbe stata invece affidata una potenzialità edificatoria.

Ulteriormente, (iv) le previsioni urbanistiche sarebbero illegittime per erronea applicazione della disciplina compensativa prevista dall’art. 11 L.R. n. 12/2005; in particolare, l’indennizzo previsto attraverso i diritti edificatori riconosciuti non consisterebbe in un serio ristoro del bene. Infine, si sviluppa un motivo (v) subordinato, per l’ipotesi in cui la disciplina dell’area debba essere intesa come perequativa e non compensativa.

3. Il ricorso è fondato limitatamente al quarto motivo.

Devono essere tuttavia esaminati anzitutto i motivi dal primo a terzo, per priorità logica o graduazione espressa delle ricorrenti.

4. Il primo motivo – relativo all’affermato sovradimensionamento degli standard – è infondato.

Anzitutto, la difesa comunale contesta la quantificazione dello standard generale operata dalle ricorrenti in 60 mq/abitante, precisando che il rapporto corretto è di 36,36 mq/abitante. Detto standard sarebbe previsto nel nuovo Pgt a fronte di un rapporto già esistente di 33,99. I calcoli operati dall’amministrazione circa la quantificazione dello standard richiesto, contenuti nel documento 6 del Comune, smentiscono in punto di fatto la ricostruzione operata dalle ricorrenti, le quali si limitano peraltro a una mera affermazione sul punto, priva di supporto probatorio.

Al di là della riconducibilità o meno delle aree verdi a quelle che concorrono alla determinazione dello standard – aspetto su cui si incentra la difesa comunale – va evidenziato che il rapporto di standard individuato dal Comune è solo lievemente più alto di quello già esistente e comunque notevolmente inferiore a quello del Pgt precedente. Infatti, nel Pgt del 2010 la superficie a standard complessiva era in rapporto di 50,83 mq/ab, mentre nel Pgt del 2020 oggetto di contestazione il rapporto viene portato a mq/ab. 36,36, con una riduzione percentuale tra i due Pgt del 24% (cfr. doc. 6 citato).

Tale rapporto deve essere letto in un’ottica di razionale e progressiva diminuzione dello standard richiesto dal previgente Pgt. A fronte della situazione di fatto (standard esistente e standard previgente), sarebbe stato impossibile giustificare una riduzione dello standard richiesto ancora maggiore, senza uno stravolgimento della situazione di fatto, situazione che pure il pianificatore comunale deve considerare, costituendo essa la base di partenza delle politiche di pianificazione.

In tema di politiche di pianificazione e a conferma della ragionevolezza della scelta operata dall’amministrazione comunale, si consideri pure che il dimensionamento degli standard è avvenuto in misura sovradimensionata (ma pur in riduzione rispetto al piano precedente) a fronte dell’inserimento, tra gli obiettivi di piano, di quello della «salvaguardia del verde urbano, periurbano e di cintura già esistente» (cfr. Relazione al documento di piano, in atti).

Da quanto sopra si deduce che, pur discostandosi lo standard richiesto da quello di 18 mq/ab. previsto come misura minima dal d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, non era ipotizzabile una riduzione ancora ulteriore e, pertanto, nel caso di specie, il sovradimensionamento non necessita di apposita motivazione e anzi esso può considerarsi “sufficientemente contenuto” (come affermato da giurisprudenza amministrativa che il Collegio condivide, il sovradimensionamento degli standard minimi di cui al d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, se sufficientemente contenuto, non necessita di una apposita giustificazione urbanistica, rientrando nell'ambito della discrezionalità della amministrazione la possibilità di scostamento dagli stessi; cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 10 dicembre 2007, n. 6326; id., 4 dicembre 1998, n. 1732; Consiglio di Stato sez. IV, 18 dicembre 2023, n. 10965).

5. Il secondo e il terzo motivo devono essere esaminati congiuntamente, in quanto connessi. Con gli stessi si lamenta la lesione dell’affidamento ingenerata nelle ricorrenti circa il mantenimento delle potenzialità edificatorie precedenti e l’illogicità della riforma in senso peggiorativo.

5.1. In primo luogo, nessun affidamento legittimo si è ingenerato in capo alle ricorrenti circa il mantenimento della destinazione pregressa dell’area, in assenza di un piano attuativo approvato ed efficace (piano che in effetti mai risulta presentato).

5.2. In linea generale, in ordine alla revisione della disciplina dell’area di proprietà rispetto al previgente strumento urbanistico, la giurisprudenza, condivisa dal Collegio, ha più volte chiarito che il potere pianificatorio può essere esercitato anche incidendo negativamente sull’affidamento (mero e non qualificato) dei privati al mantenimento delle pregresse previsioni urbanistiche.

Va infatti ricordato che “la pianificazione urbanistica implica valutazioni di opportunità sulla scorta di valutazioni comparative degli interessi pubblici in gioco, che sfuggono al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, a meno che non si dimostrino palesi travisamenti dei fatti, illogicità o irragionevolezze. Tale potere non è limitato solo alla disciplina coordinata dell'edificazione dei suoli ma, per mezzo della disciplina dell'utilizzo delle aree, è finalizzato a realizzare anche sviluppi economici e sociali della comunità locale nel suo complesso con riflessi qualvolta limitativi agli interessi dei singoli proprietari di aree. Quindi le scelte in concreto, effettuate con i detti obiettivi ed interessi pubblici agli stessi immanenti, devono corrispondere agli scopi prefissati nelle linee programmatiche per la gestione urbanistica del territorio” (cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato, sez. I, 29 gennaio 2015, n. 283). Negli stessi termini si esprime la giurisprudenza della Sezione, secondo cui “le scelte urbanistiche compiute dalle autorità preposte alla pianificazione territoriale rappresentano scelte di merito, che non possono essere sindacate dal giudice amministrativo, salvo che non siano inficiate da arbitrarietà od irragionevolezza manifeste ovvero da travisamento dei fatti in ordine alle esigenze che si intendono nel concreto soddisfare” (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 12 agosto 2020, n. 1568; id., 29 maggio 2020, n. 960; id., 9 dicembre 2016, n. 2328; id. 3 dicembre 2018, n. 2715; id., 3 dicembre 2018, n. 2718; id., 21 gennaio 2019, n. 119; id., 5 luglio 2019, n. 1557; id., 16 ottobre 2019, n. 2176; id., 21 novembre 2019, n. 2458; id., 5 marzo 2020, n. 444; id., 7 maggio 2020, n. 705; id., 2 luglio 2024, n. 2057).

Proprio con riferimento alla revisione peggiorativa della destinazione urbanistica di un’area, il Consiglio di Stato, in seno all’orientamento giurisprudenziale di cui si è dato conto, ha ribadito, con la pronuncia della Sezione IV, 9 maggio 2018, n. 2780, che “le scelte urbanistiche costituiscono valutazioni di merito sottratte al sindacato giurisdizionale di legittimità, salvo che risultino inficiate da errori di fatto, abnormi illogicità, violazioni procedurali, ovvero che, per quanto riguarda la destinazione di specifiche aree, risultino confliggenti con particolari situazioni che abbiano ingenerato affidamenti e aspettative qualificate” e che “la semplice reformatio in peius della disciplina urbanistica attraverso il ridimensionamento dell'attitudine edificatoria di un'area è interdetta solo da determinazioni vincolanti per l'amministrazione in ordine ad una diversa ‘zonizzazione’ dell'area stessa, ovvero tali da fondare legittime aspettative potendosi configurare un affidamento qualificato del privato esclusivamente in presenza di convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari delle aree, aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di concessione edilizia o di silenzio - rifiuto su una domanda di concessione o ancora nella modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo (cfr., ex plurimis sez. IV, 4 marzo 2003, n. 1197; sez. IV, 25 luglio 2001, n. 4078; Ad. plen. n. 24 del 1999)”.

5.3. Come già chiarito, nella fattispecie in esame, nessun affidamento qualificato può essere riconosciuto in capo alle ricorrenti, che si limitano ad allegare di voler sfruttare l’area secondo la precedente destinazione.

Da ciò discende il rigetto delle censure.

6. Deve infine essere esaminato l’ultimo dei motivi svolto in via principale, che è fondato nei limiti appresso precisati.

Le ricorrenti lamentano anzitutto che la disciplina prevista per l’area non sia chiara e che, qualora si tratti di misura compensativa, la misura dell’indennità di esproprio prevista non costituisca un serio ristoro del bene.

Su quest’ultimo profilo, la difesa comunale eccepisce il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, dovendo l’idoneità della misura dell’indennizzo essere ricondotta alla giurisdizione del giudice ordinario.

6.1. Come precisato in punto di fatto, l’area delle ricorrenti – su cui è edificato un complesso produttivo – è stata inserita nel nuovo Pgt di Carugate tra quelle “verde della rigenerazione urbana e di ricomposizione paesaggistica”.

Per dette aree, l’art. 11 delle norme tecniche (Nt) del Piano dei servizi (Pds) prevede (comma 1) che siano «ammesse esclusivamente attività compatibili con le esigenze di protezione della natura e dell’ambiente e non è ammessa alcun tipo di edificazione» e che (comma 8) «nelle aree individuate sottoelencate, trova applicazione l’istituto della perequazione urbanistica di cui al comma 3 dell’art. 11 della L.R. 12/05: in luogo della corresponsione dell’indennità di esproprio, l’Amministrazione Comunale attribuisce, a fronte della demolizione di eventuali manufatti presenti, a fronte delle eventuali bonifiche da svolgere a carico dei proprietari, a fronte della cessione gratuita dell’area, un indice virtuale trasferibile su aree edificabili all’interno degli Ambiti di Trasformazione denominati “AT4 e AT 5”» secondo una tabella che indica la superficie lorda residenziale edificabile. Lo stesso comma prevede poi che «le quantità di SL residenziali sopra esposte sono valide entro 36 i mesi dalla pubblicazione sul BURL della Variante del PGT, superati i 36 mesi le quantità sopra esposte sono dimezzate».

6.2. Le società ricorrenti deducono l’incertezza della disciplina applicabile, se quella della perequazione (stante il riferimento letterale espresso a detto istituto) o quella della compensazione (stante l’espressa previsione di un’indennità di esproprio e il riferimento all’art. 11, comma 3, della L.R. n. 12/2005 disciplinante appunto la compensazione urbanistica).

A fronte dell’ambiguità terminologica in effetti contenuta nell’art. 11 delle Nt del Pds, al fine di individuare la disciplina applicabile e valutare la legittimità della disciplina posta dal Pgt per le aree delle ricorrenti, è necessario prendere avvio dalla distinzione tra gli istituti della perequazione e della compensazione.

6.2.1. Da un lato, la perequazione – disciplinata dall’art. 11, commi 1 e 2, L.R. n. 12/20015 – ha la precipua finalità di mitigare le disuguaglianze che si producono con la pianificazione urbanistica e, come tale, è esercitata discrezionalmente dall’amministrazione comunale.

Sul punto, è esaustivo il richiamo a quanto già osservato dalla Sezione in tema (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, 15 marzo 2021, n. 662; id., 21 gennaio 2019, n. 119; id., 3 ottobre 2022, n. 2169): “L’art. 11 della legge regionale 15 marzo 2005 n. 12 disciplina gli istituti della perequazione, della compensazione e della incentivazione urbanistica. La prima ha la finalità di eliminare le diseguaglianze che la pianificazione tradizionale produce fra proprietari di aree aventi caratteristiche simili. Tali diseguaglianze si creano in quanto, come noto, nell’ambito della pianificazione, accanto alle aree destinate ad ospitare la “città privata”, e cioè quella parte dell’edificato di pertinenza privata destinata ad ospitare edifici funzionali al soddisfacimento degli interessi della proprietà, si colloca la c.d. “città pubblica” cui vanno ascritte le aree destinate ad ospitare servizi pubblici. Queste ultime, nel modello di pianificazione tradizionale, sono private di ogni capacità edificatoria ed hanno, quindi, un valore di mercato molto basso se non nullo (a differenza delle aree che appartengono invece alla città privata le quali, proprio perché dotate di capacità edificatoria, hanno in genere valori di mercato molto alti). Al fine di ovviare a tale sperequazione, i Comuni italiani, in sede di pianificazione, adottano diverse soluzioni, perlopiù basate sull’attribuzione di un indice di edificabilità virtuale alle aree destinate alla città pubblica, non utilizzabile su tali aree ma trasferibile sui suoli suscettibili di sfruttamento edificatorio. Si assicura, in tal modo, la valorizzazione delle aree della città pubblica, atteso che esse assumono in tal modo un valore commerciabile generato appunto dal valore dei diritti edificatori che esse esprimono. I modelli di perequazione previsti dalla legislazione lombarda sono due, disciplinati rispettivamente dal primo e dal secondo comma del citato articolo 11. Il primo modello si identifica nella cosiddetta perequazione di comparto, in quanto incidente su aree limitate del territorio comunale inserite in un medesimo comparto. Stabilisce il primo comma dell’art. 11 che ‘sulla base dei criteri definiti dal documento di piano, i piani attuativi e gli atti di programmazione negoziata con valenza territoriale possono ripartire tra tutti i proprietari degli immobili interessati dagli interventi i diritti edificatori e gli oneri derivanti dalla dotazione di aree per opere di urbanizzazione mediante l'attribuzione di un identico indice di edificabilità territoriale, confermate le volumetrie degli edifici esistenti, se mantenuti. Ai fini della realizzazione della volumetria complessiva derivante dall'indice di edificabilità attribuito, i predetti piani ed atti di programmazione individuano gli eventuali edifici esistenti, le aree ove è concentrata l'edificazione e le aree da cedersi gratuitamente al comune o da asservirsi, per la realizzazione di servizi ed infrastrutture, nonché per le compensazioni urbanistiche in permuta con aree di cui al comma 3’. In base a questo modello, alle aree inserite in uno stesso comparto viene attribuito un identico indice edificatorio (reale), a prescindere dal fatto che le stesse siano in concreto destinate allo sfruttamento ovvero alla cessione alla mano pubblica. Il piano attuativo individua poi i suoli ove concentrare l’edificazione e quelli destinati ad ospitare le opere di urbanizzazione. Anche queste ultime aree esprimono dunque capacità edificatoria; di conseguenza, i loro proprietari conseguono, comunque, un beneficio economico che rende indifferente, sotto il profilo economico appunto, la scelta dei siti ove verrà concentrata, in concreto, l’edificazione. Il secondo comma dell’art. 11 disciplina invece la perequazione c.d. ‘estesa’ in quanto riferita all’intero territorio comunale. Stabilisce tale norma che ‘sulla base dei criteri di cui al comma 1, nel piano delle regole i comuni, a fini di perequazione urbanistica, possono attribuire a tutte le aree del territorio comunale, ad eccezione delle aree destinate all'agricoltura e di quelle non soggette a trasformazione urbanistica, un identico indice di edificabilità territoriale, inferiore a quello minimo fondiario, differenziato per parti del territorio comunale, disciplinandone altresì il rapporto con la volumetria degli edifici esistenti, in relazione ai vari tipi di intervento previsti. In caso di avvalimento di tale facoltà, nel piano delle regole è inoltre regolamentata la cessione gratuita al comune delle aree destinate nel piano stesso alla realizzazione di opere di urbanizzazione, ovvero di servizi ed attrezzature pubbliche o di interesse pubblico o generale, da effettuarsi all'atto della utilizzazione dei diritti edificatori, così come determinati in applicazione di detto criterio perequativo’. La norma prevede, quindi, l’individuazione di due indici: un indice territoriale che, con riferimento alle aree omogenee aventi caratteristiche similari collocate in specifiche parti del territorio comunale, deve essere identico; ed un indice minimo fondiario, di valore più elevato rispetto all’indice territoriale, che costituisce un valore soglia al di sotto del quale lo sfruttamento edificatorio dell’area non può avvenire. In questo modo i titolari delle aree suscettibili di sfruttamento sono costretti ad acquisire diritti edificatori dai proprietari delle aree destinate alla città pubblica, e a trasferire, dunque, a questi, parte del valore economico dei propri fondi. Ora, poiché, come detto, l’istituto della perequazione ha quale propria finalità quella di evitare ingiusti trattamenti differenziati, esso presuppone che le situazioni di fatto su cui va ad incidere presentino caratteristiche analoghe. Per questa ragione, i commi primo e secondo dell’articolo 11 della l.r. n. 12 del 2005 prevedono che la perequazione operi solo per gli ambiti soggetti a trasformazione (cfr., TAR per la Lombardia – sede di Milano, sez. II, 17 settembre 2009 n. 4671). Solamente quando le caratteristiche ontologiche dei suoli siano simili e tali da renderli tutti destinati all’edificazione, si rende necessario evitare che i diversi proprietari ricevano trattamenti differenziati. Non è invece possibile perequare aree che abbiano caratteristiche ontologiche diverse, giacché in tal caso si creerebbero surrettizie forme di diseguaglianza. Inoltre, la legge esclude, come detto, che possano essere oggetto di perequazione i suoli agricoli e quelli inseriti in ambiti non soggetti a trasformazione (esplicito in tal senso è, come visto, l’art. 11, comma 2, della l.r. n. 12 del 2005)”.

6.2.2. Dall’altro lato, l’istituto della compensazione – di cui all’art. 11, comma 3, L.R. n. 12/2005 – presuppone l’esistenza di un vincolo espropriativo e consiste in una procedura alternativa all’esproprio. A differenza della perequazione, la cessione compensativa si caratterizza per l’individuazione da parte del pianificatore di aree, destinate alla costruzione della città pubblica, rispetto ai quali l’amministrazione non può rinunciare a priori al vincolo ed alla facoltà imperativa ed unilaterale di acquisizione coattiva delle aree. In queste aree, il Comune appone il vincolo pre-espropriativo ed entro il termine di cinque anni deve fare ricorso all’espropriazione, con la possibilità di ristorare il proprietario mediante attribuzione di “crediti compensativi” o aree in permuta in luogo dell’usuale indennizzo pecuniario (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 3 luglio 2020, n. 1279; id., 17 settembre 2009, n. 4671). Ancora più esplicitamente, la Sezione ha chiarito che “l’istituto della compensazione, a differenza di quello della perequazione, non ha quale precipua finalità quella di mitigare le disuguaglianze che si producono con la pianificazione urbanistica: esso semplicemente mira ad individuare una forma di remunerazione alternativa a quella pecuniaria per i proprietari dei suoli destinati all’espropriazione, consistente nell’attribuzione di diritti edificatori che potranno essere trasferiti, anche mediante cessione onerosa […], ai proprietari delle aree destinate all’edificazione” (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 3 luglio 2020, n. 1279; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 29 giugno 2020, n. 1234; altresì, 21 gennaio 2019, n. 119; 30 giugno 2017, n. 1468; 2 marzo 2015, n. 596; 11 giugno 2014, n. 1542).

6.2.3. Nel caso di specie, non è anzitutto chiaro se la disciplina applicata dal Comune all’area sottintenda un vincolo espropriativo. Ciò sembra in effetti ricavabile dall’espressa previsione di una «indennità di esproprio» parametrata in diritti edificatori.

Tuttavia, va tenuto presente che risultano estranei allo schema ablatorio-espropriativo, con le connesse garanzie costituzionali, i vincoli che importano una destinazione realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, i quali non comportino l’espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica (cfr. Corte costituzionale, sentenza 20 maggio 1999, n. 179; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 3 luglio 2020, n. 1279; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 13 febbraio 2020, n. 305; 6 maggio 2019, n. 1021; 3 dicembre 2018, n. 2724).

Nel caso di specie, la disciplina dell’area (art. 11 delle Nt del Pds) non chiarisce se gli interventi di ricomposizione a verde dell’area dovranno essere realizzati esclusivamente dal Comune, e in che tempi, oppure se possono essere ricondotti pure all’iniziativa privata. Inoltre, non sono chiariti i tempi della cessione delle aree private, che dovranno comunque tenere conto della validità quinquennale del vincolo preordinato all’esproprio.

Ancora, la disciplina non ha una connotazione esplicitamente “espulsiva”, non essendo previsto un obbligo di demolizione delle edificazioni esistenti né il divieto di mantenimento (e manutenzione) dell’esistente, ma solo l’incompatibilità di nuove realizzazioni edilizie.

In altre parole, nella fattispecie la disciplina non chiarisce se il privato sia tenuto ad addivenire all’acquisizione coattiva del bene a favore del Comune e in quali tempi, oppure se possa decidere di rimanere proprietario dell’area. In assenza di diversa previsione e nell’ambiguità delle espressioni usate, l’art. 11 delle Nt deve essere interpretato in tale ultimo senso, come già anticipato nell’ordinanza cautelare n. 641/2021 del Tar.

6.2.4. Tuttavia non può essere ignorata la previsione contenuta nell’art. 11 delle Nt del Pds che introduce, in luogo dell’indennità di esproprio, misure compensative consistenti in cessione di diritti edificatori, già dimezzatisi per il decorso di 36 mesi dall’approvazione del piano.

Tale previsione rende poco chiara la destinazione impressa all’area, impedisce di fatto la cessione dell’area al Comune e comporta comunque il rischio che, in caso di ritenuta presenza del vincolo espropriativo e di reiterazione dello stesso, le società ricorrenti vengano private del bene in assenza di equo indennizzo.

Da questo punto di vista, la censura delle ricorrenti è quindi fondata, considerato che i meccanismi compensativi previsti nelle norme di attuazione sono tali da vanificare la possibilità di cessione al Comune con previsione di un “serio ristoro”.

6.2.5. Poiché la censura concerne in realtà l’intero meccanismo compensativo e non esclusivamente la misura dell’indennizzo – comunque non adeguato, soprattutto con riferimento all’assenza di meccanismi che impongano l’acquisto dei diritti edificatori spettanti agli espropriati da parte di terzi e a fronte del dimezzamento dei diritti riconosciuti dopo 36 mesi – è infondata l’eccezione di inammissibilità per difetto di giurisdizione sollevata dalla difesa comunale.

Il meccanismo della compensazione, per le modalità con cui esso opera, non può che essere valutato complessivamente dall’amministrazione nella spendita del suo potere che è ad un tempo pianificatorio ed espropriativo e, in quanto tale, è soggetto alla giurisdizione del giudice amministrativo.

6.2.6. A quanto sopra consegue l’annullamento del Pgt del Comune di Carugate nella parte in cui disciplina l’area di proprietà delle società ricorrenti.

Quale effetto conformativo della presente pronuncia, il Comune sarà tenuto alla ripianificazione ex novo dell’area, esplicitando tra l’altro – qualora la stessa sia nuovamente destinata a verde, destinazione in astratto ammissibile – se sulla stessa sia apposto un vincolo preordinato all’esproprio, con le doverose conseguenze anche in termini di adeguatezza delle misure di compensazione previste, o invece dando un contenuto conformativo alla disciplina dell’area.

7. L’accoglimento del quarto motivo preclude l’esame del quinto motivo, svolto in via subordinata per la “denegata ipotesi in cui dovesse ritenersi che il Pgt non introduca una misura espropriativa compensativa”.

8. Passando infine alla domanda risarcitoria, la stessa deve essere respinta.

Ciò in quanto il danno lamentato dalle ricorrenti non è causalmente collegato, da un lato, ai provvedimenti dell’amministrazione, bensì alla mancata presentazione di un piano attuativo nella vigenza del precedente Pgt.

Per altro verso, nemmeno l’asserita diminuzione di valore del bene è da ricollegare causalmente a una destinazione urbanistica illegittimamente apposta, in quanto – come chiarito sopra – resta fermo il potere dell’amministrazione di ripianificare l’area delle ricorrenti e la destinazione a verde è astrattamente ammissibile nella zona, senza alcun diritto quesito delle ricorrenti al mantenimento delle pregresse potenzialità edificatorie.

9. In considerazione dell’accoglimento della domanda di annullamento, le spese di giudizio devono seguire la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così dispone:

- accoglie la domanda di annullamento nei sensi e nei limiti indicati in motivazione e, per l’effetto, annulla la delibera consiliare n. 52 del 9.10.2020, recante controdeduzione alle osservazioni ed approvazione del nuovo Pgt di Carugate, nella sola parte in cui disciplina l’area delle ricorrenti;

- respinge la domanda di risarcimento del danno;

- condanna il Comune di Carugate alla refusione, in favore delle società ricorrenti, delle spese di lite, che si liquidano in euro 2.000,00 (duemila/00), oltre Iva, Cpa e spese generali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 4 giugno 2024 con l'intervento dei magistrati:

Maria Ada Russo, Presidente

Giovanni Zucchini, Consigliere

Laura Patelli, Primo Referendario, Estensore