TAR Campania (NA), Sez. III, n. 2197, del 17 aprile 2015
Urbanistica.Soppalco di notevoli dimensioni non può essere realizzato in assenza di permesso di costruire

L’area soppalcata con putrelle di ferro è maggiore di mq. 40 circa rispetto al progetto allegato alla comunicazione che è di mq. 62,00 circa (complessivamente la superficie attuale soppalcata è di mq. 102,00 circa). Come di recente statuito dal giudice di appello, la realizzazione di un soppalco avente superficie di 20 mq. e posto a mt. 1,98 dal soffitto, amplia in maniera significativa la superficie calpestabile dell'immobile e creando un'ulteriore superficie calpestabile ed autonomi spazi, rientra nel novero degli interventi di ristrutturazione edilizia, di cui all'art. 10 comma 1 lett. c), d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, dal momento che determina una modifica della superficie utile con conseguente aggravio del carico urbanistico e, pertanto, necessita del permesso di costruire. Applicando alla fattispecie in esame gli indicati principi si deve quindi osservare che il soppalco realizzato dai ricorrenti sia per le dimensioni che per la tipologia, non poteva essere realizzato in assenza di permesso di costruire. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 02197/2015 REG.PROV.COLL.

N. 04259/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4259 del 2012, proposto da: 
FIENGO GIOVANNI e BUONGIOVANNI CARMELA, rappresentati e difesi dagli Avv. ti Roberto Ferrari e Piero Ferrara ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv. Luigi Tremante in Napoli, alla Via Toledo, n. 256 (“Palazzo Berio”); 

contro

COMUNE DI PORTICI, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Irene Coppola ed, agli effetti del presente giudizio, domiciliato presso la Segreteria del T.A.R. Campania, in Napoli, alla P. zza Municipio, n. 64; 

per l’annullamento, previa sospensione

1) dell’ordinanza n. 313 del 4.6.2012, prot. n. 15813, notificata in data 15.6.2012, con cui il Comune di Portici - V Settore ordinava al ricorrenti “di provvedere, entro il termine di 90 giorni a decorrere dalla data di notifica della presente ordinanza, alla demolizione delle opere abusivamente realizzate e al ripristino dello stato dei luoghi presso l’unità immobiliare sita in Portici (NA) alla Via Salute n. 5 p. 1°”;

2) della comunicazione di avvio del procedimento prot. n. 2387/UT del 30.3.2012;

3) della relazione tecnica dell’U.T.C. prot. n. 2192/UT del 23.3.2012;

4) del verbale di sequestro preventivo, con apposizione di sigilli, del Comando di Polizia Municipale del Comune di Portici;

5) per quanto di ragione, del P.R.G. e del Regolamento edilizio del Comune di Portici;

6) di ogni altro atto connesso presupposto e/o consequenziale.

 

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’intimato Comune;

Visti gli atti tutti della causa;

Uditi - Relatore alla Camera di Consiglio del 19 marzo 2015 il dr. Vincenzo Cernese - i difensori delle parti come da verbale di udienza;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

 

FATTO

Con ricorso notificato il 28.9.2012 e depositato il 15.10.2012 Fiengo Giovanni e Buongiovanni Carmela - proprietari di un appartamento sito in Portici (NA) alla Via Salute, n. 5, segnatamente, situato al primo piano del fabbricato nel quale avevano realizzato un soppalco previa presentazione di una Denuncia d’Inizio di Attività (D.I.A.) - impugnavano, innanzi a questo Tribunale, (oltre alla relazione tecnica dell’U.T.C., prot. n. 2192 del 23.3.2012, al verbale di sequestro preventivo, con apposizione di sigilli, del Comando di Polizia Municipale del Comune di Portici e, per quanto di ragione, al P.R.G. del Comune di Portici) l’ordinanza dirigenziale n. 313 del 4.6.2012, prot. n. 15813, in epigrafe, notificata in data 15.6.2012, con cui il Comune di Portici, a seguito di intervento eseguito dalla Polizia Municipale il 23.3.2012 nella loro proprietà, in occasione del quale si accertava che le opere realizzate erano difformi rispetto alla comunicazione dei lavori ai sensi dell’art. 6, comma 4, del D.P.R. 380//2001 presentata al Comune il 15.3.2012 con protocollo n. 7305/1912/UT, letto il punto 1 dell’art. 25 del Regolamento Urbanistico Edilizio del Comune di Portici (NA) del 27.3.2012 e richiamato l’art.33 del T.U. dell’Edilizia, approvato con D.P.R. n. 380/2001, come modificato dal D.L. vo n. 301/2002, intimava di “provvedere, entro il termine di 90 giorni a decorrere dalla data di notifica della presente ordinanza, alla demolizione delle opere abusivamente realizzate e al ripristino dello stato dei luoghi presso l’unità immobiliare sita in Portici (NA), alla Via Salute, n. 5, p°1”, contestualmente disponendo il sequestro preventivo con apposizione dei sigilli dell’unità immobiliare, convalidato dal G.i.p. presso il Tribunale penale di Napoli.

Dopo aver premesso che con ordinanza collegiale del 2.5.2012 era disposto dal Tribunale del riesame il dissequestro del manufatto e la restituzione all’avente diritto, in quanto, mancando il rapporto fra le dimensioni del soppalco e quelle del locale, non risultava possibile accertare la ritenuta illiceità della condotta, gli interessati, a sostegno del gravame, deducevano le seguenti censure:

1) In via preliminare. Puntualizzazione in ordine alla natura delle opere in contestazione. Intervento di risanamento conservativo. Attività libera soggetta al regime della denuncia di inizio di attività. Conseguenze. Illegittimità dell’ordinanza di demolizione per violazione di legge (art. 33 T.U.E. D.P.R. n. 380/2001). Errata qualificazione delle opere in contestazione e delle norme di legge asseritamente violate. Conseguenze. Carenza dei presupposti per l’adozione dell’ordinanza di demolizione. Attività non soggetta al regime del permesso di costruire. Illegittimità del provvedimento impugnato per violazione del P.R.G. e del Regolamento Edilizio Comunale. Conferma dell’opera rispetto agli strumenti urbanistici locali. Eccesso di potere per contraddittorietà ed illogicità.

Al riguardo i ricorrenti, con molteplici profili di censura, lamentavano che:

- la realizzazione di un soppalco ad uso deposito regolarmente comunicata all’Amministrazione, mediante deposito della D.I.A., trattandosi di attività interna all’abitazione, non comportante alcun aumento di volumetria o modifiche di sagome e prospetti, rientrerebbe nel genus dell’attività ”libera” soggetta al regime della mera D.I.A. e non subordinata al rilascio di alcun titolo edilizio abilitante, per modo che, con un macroscopico errore di valutazione il Comune non avendo, correttamente qualificato l’attività svolta dai ricorrenti, contesterebbe la violazione dell’art. 33 del T.U. edilizia, ovvero la realizzazione di opere di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire, così come la disciplina normativa applicabile al caso concreto, con la conseguente insussistenza dei presupposti di fatto per disporre la sanzione demolitoria, sul punto richiamandosi quella giurisprudenza per la quale la realizzazione di un soppalco di modeste dimensioni ad uso deposito non sarebbe riconducibile alla categoria della ristrutturazione edilizia e, quindi, non necessiterebbe di permesso di costruire, ma di semplice D.I.A.;

- trattandosi di intervento di risanamento conservativo, interno all’abitazione, la realizzazione di un soppalco sarebbe espressamente prevista e consentita dal Piano Regolatore Generale che, all’art. 4 parte III, autorizzerebbe tutti gli interventi conservativi dell’organismo edilizio, onde assicurarne la funzionalità, mediante un insieme sistematico di opere, che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso ne consentirebbero destinazioni d’uso compatibili con esso e l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti necessari all’uso dell’edificio, come nel caso di un soppalco da destinare a deposito, avente natura di opera interna priva di autonomia funzionale, inidonea a determinare modifica alla sagoma e dei prospetti e perciò soggetta al regime della denuncia di inizio di attività, con la conseguente sproporzione della sanzione demolitoria adottata in relazione ad un simile abuso, in quanto eccessiva in riferimento ad opere edilizie abusive non necessitanti di titolo concessorio;

- l’opera in contestazione risulterebbe realizzata nel pieno rispetto delle prescrizioni contenute nel regolamento edilizio comunale, in quanto, contrariamente a quanto sostenuto dal Comune, in ordine ad una non meglio precisata violazione dell’art. 25 punto 1° del regolamento edilizio, il soppalco sarebbe stato realizzato osservando le distanze tra il pavimento e l’area soppalcata, e tra il calpestio del soppalco ed il soffitto, ovvero senza alcun aumento della superficie complessiva, dovendosi l’intervento in siffatta guisa realizzato non nella ristrutturazione edilizia, bensì nel risanamento conservativo;

- l’intimato Comune intenderebbe sanzionare una mera difformità rispetto a quanto comunicato nella D.I.A. con la sanzione estrema, maggiormente afflittiva per il privato, dell’abbattimento e della riduzione in pristino dello stato dei luoghi, affermando con manifesta contraddizione, da un lato, che l’abuso commesso consisterebbe nell’aver realizzato un soppalco di dimensioni superiori a quelle comunicate nella denuncia di inizio di attività, e dall’altro, che lo stesso abuso debba essere considerato, ai fini della sanzione applicabile, come un intervento edilizio in assenza di permesso di costruire.

2) Carenza di istruttoria. Violazione di legge (art. 3, L. n. 241/1990, in relazione all’art. 33 T.U.E.). Difetto di motivazione. Contraddittorietà. Mancata ponderazione e comparazione degli interessi coinvolti nel procedimento.

Al riguardo parti ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 3, L. n. 241 del 1990 per difetto di motivazione, atteso che il relativo obbligo - normalmente attenuato nei casi di atti dovuti ed a contenuto vincolato - si riespanderebbe nei casi in cui la sola descrizione degli abusi accertati non rifletterebbe di per sé l’illecito contestato, occorrendo, in siffatte evenienze, in aggiunta ad una descrizione delle opere accertate, una qualificazione giuridica dell’intervento abusivo, onde consentirne la sussunzione in una delle diverse e fra loro alternative, fattispecie incriminatrici

3) Violazione dell’art. 37, D.P.R. n. 380/2001. Insussistenza dei presupposti della sanzione dell’abbattimento. Opere realizzate in difformità di quanto comunicato nella denuncia di inizio di attività, applicabilità della mera sanzione pecuniaria. A pena di violare il rubricato art. 37, per quanto fosse incisiva la difformità dell’opera realizzata rispetto a quanto comunicato, l’amministrazione intimata non avrebbe potuto in ogni caso imporre l’abbattimento del soppalco e la messa in pristino dei luoghi, dovendo in ogni caso optare per la mera sanzione pecuniaria. La carente attività istruttoria svolta dal Comune e, segnatamente, la mancata valutazione in concreto delle opere realizzate dai ricorrenti e della loro conformità rispetto agli strumenti urbanistici locali, si sarebbe altresì tradotta nell’adozione di una sanzione del tutto sproporzionata, ossia l’abbattimento delle opere sul falso presupposto della realizzazione di opere in assenza di permesso di costruire, e, quindi, di opere in violazione del rubricato art. 33 del TU. dell’Edilizia.

4) Violazione dell’art. 36 D.P.R. n. 380/2001. Ordinanza di demolizione emanata in pendenza dei termini per chiedere il permesso di costruire in sanatoria. Premesso che, allo stato attuale, (anche ammessa la necessità di un titolo abilitativo ai fini della realizzazione delle opere de quo) i ricorrenti potrebbero presentare l’istanza di permesso di costruire in sanatoria ex art. 36, D.P.R. 380/01 ed, in ogni caso, non potrebbe procedersi alla demolizione dell’opera abusiva prima della comunicazione all’interessato dell’esito della domanda di condono o della predetta istanza.

Si costituiva in giudizio l’intimato Comune chiedendo il rigetto del ricorso, sì come infondato.

Alla pubblica udienza del 19 marzo 2015 il ricorso era ritenuto in decisione.

DIRITTO

Rileva preliminarmente il Collegio che va disattesa l’istanza di rinvio presentata dai ricorrenti nell’imminenza della discussione di pubblica udienza, essendo da escludere che la definizione di un giudizio ormai maturo per la decisione possa essere procrastinata in contrasto con le esigenze di speditezza dei processi, per la cui realizzazione il giudice e le parti sono chiamati a cooperare, in base all’art. 2, co. 2, c.p.a.

Infatti l’istanza di sanatoria - menzionata nella memoria di merito depositata dai ricorrenti in data 11.2.2015 e prodotta in giudizio – risulta presentata tardivamente in data 5.2.2015, in prossimità dell’udienza di discussione del 19 marzo 2015, a fronte dei termini previsti dall’art. 36 del DPR n. 380/2001.

Inoltre, relativamente al sopravvenuto annullamento, in sede di autotutela, dell’autorizzazione antisismica n. 1136 AS/14 del 6.5.2014 e delle modifiche normative intervenute con il decreto sblocca Italia (nella parte in cui, ampliando la nozione di manutenzione straordinaria consente di effettuare interventi privi di rilevanza sui volumi e sui prospetti, senza necessità di permesso di costruire), deve rilevarsi, quanto all’autorizzazione antisismica annullata con atto in autotutela, che il procedimento giurisdizionale all’uopo instaurato avverso tale atto non può rivestire alcun rilievo sulla legittimità del provvedimento in questa sede impugnato, in relazione al quale, analogamente, si rivela, altresì, ininfluente, ai fini della legittimità dell’impugnato provvedimento, la normativa sopravvenuta invocata dai ricorrenti, sia perché non si può ricondurre il contestato intervento - per le ragioni che si andranno ad esporre - fra gli interventi di manutenzione straordinaria, sia perché la legittimità dell’atto impugnato oggetto del presente giudizio va valutata in base ai presupposti di fatto e di diritto esistenti al momento della sua emanazione.

Ciò premesso, nel merito il ricorso è infondato.

Con un primo profilo di censura del primo articolato motivo è dedotta la violazione dell’art. 33 del D.P.R. n. 380/2001, a cagione dell’errata qualificazione delle opere in contestazione e delle norme di legge asseritamente violate, non sussistendo i presupposti per disporre la demolizione, in quanto la realizzazione di un soppalco di modeste dimensioni ad uso deposito, all’interno dell’abitazione, non comportante alcun aumento di volumetria o modifiche di sagome e prospetti, implicherebbe un’attività “libera” soggetta al regime della D.I.A., in alcun modo riconducibile - come erroneamente addotto dal Comune - alla categoria della ristrutturazione edilizia, ai sensi del rubricato art. 33, D.P.R. n. 380/2001, subordinata al rilascio di un permesso di costruire e la cui mancanza sarebbe sanzionata con la demolizione; inoltre (come dedotto nell’ultimo profilo di censura) il Comune, mentre, da un lato contesterebbe una mera difformità rispetto a quanto comunicato nella D.I.A. (che, cioè, l’abuso commesso consisterebbe nell’aver realizzato un soppalco di dimensioni superiori a quelle comunicate nella denuncia di inizio di attività), dall’altro, con manifesta contraddittorietà, reprimerebbe il predetto abuso con la sanzione estrema della demolizione e della riduzione in pristino dello stato dei luoghi, qualificandolo, ai fini della sanzione applicabile, come un intervento edilizio in assenza di permesso di costruire.

La prospettazione di parti ricorrenti non merita condivisione.

Al riguardo l’impugnata ordinanza di demolizione per opere abusivamente realizzate e di ripristino dello stato dei luoghi, avente come destinatari Fiengo Giovanni e Buongiovanni Carmela, in qualità di proprietari dell’unità immobiliare ed attuali ricorrenti, consegue ad intervento eseguito dalla Polizia Municipale il 23.3.2012 nella proprietà dei ricorrenti, in occasione del quale si accertava che le opere realizzate erano difformi rispetto alla comunicazione dei lavori ai sensi dell’art. 6, comma 4, del D.P.R. 380//2001 dalla D.I.A. presentata al Comune il 15.3.2012 con protocollo n. 7305/1912/UT in quanto: “l’area soppalcata con putrelles di ferro è maggiore di mq. 40 circa rispetto al progetto allegato alla menzionata comunicazione che è di mq. 62,00 circa (complessivamente la superficie attuale soppalcata è di mq. 102,00 circa).

L’altezza del pavimento dell’unità immobiliare all’intradosso del soppalco è di mt. 2,40 circa e dal calpestio del soppalco è di mt. 2,00 circa” e mutua il suo fondamento normativo con il richiamo all’art. 33 del Testo Unico dell’edilizia approvato con D.P.R. n. 380/2001, come modificato dal D.L. vo n. 301/2002.

I ricorrenti asseriscono che la contestata attività edilizia rientrerebbe nel genus dell’attività ”libera”, soggetta al regime della mera D.I.A. e non subordinata al rilascio di alcun titolo edilizio abilitante, per modo che il Comune, erroneamente avrebbe qualificato l’attività da loro svolta quale opera di ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 33 del D.P.R: 380/2001, in assenza di permesso di costruire, sanzionata con la demolizione e la riduzione in pristino dello stato dei luoghi, all’uopo richiamando quella giurisprudenza per la quale la realizzazione di un soppalco di modeste dimensioni ad uso deposito non sarebbe riconducibile alla categoria della ristrutturazione edilizia e, quindi, non necessiterebbe di permesso di costruire, ma di semplice D.I.A.

Tuttavia - contrariamente a quanto erroneamente dedotto dai ricorrenti - v’è da considerare, in primo luogo, che, nella fattispecie, la sanzione della demolizione è stata disposta non (soltanto) per la mera difformità delle opere realizzate rispetto a quelle denunciate, ma in quanto, risultando l’area soppalcata con putrelles di ferro “maggiore di mq. 40 circa rispetto al progetto allegato alla menzionata comunicazione che è di mq. 62,00” e l’altezza del pavimento dell’unità immobiliare all’intradosso del soppalco “di mt. 2,40 circa e dal calpestio del soppalco di mt. 2,00 circa” il soppalco realizzato è senz’altro riconducibile ad un’opera di ristrutturazione edilizia che, ai sensi dell’art. 33 T.U. edilizia non era più realizzabile previa presentazione di una D.I.A., ma per la quale necessitava il rilascio di un permesso di costruire, la cui mancanza è sanzionata con la demolizione.

In secondo luogo deve rilevarsi che il soppalco non si configura quale autonoma categoria edilizia per modo che, quanto alla individuazione del regime edilizio-urbanistico ad esso riferibile, non ci si può che rifare al principio generale per il quale il rilascio del permesso di costruire è necessario in presenza di ogni trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio.

In tale situazione la individuazione del titolo autorizzativo necessario per la realizzazione di un soppalco, ossia di quella superficie praticabile aggiuntiva (rispetto ai piani dell’edificio) ottenuta attraverso l’interposizione di uno o più solai orizzontali in uno spazio chiuso, è questione che non può risolversi una tantum ed in astratto, ma va concretamente valutata, caso per caso.

In proposito la dottrina e la giurisprudenza sono da tempo concordi nel ritenere che per la costruzione di aree soppalcate occorre sostanzialmente o il permesso di costruire o in alternativa la DIA onerosa, rilevandosi, in ordine al titolo abilitativo richiesto per la realizzazione di soppalchi interni alle abitazioni che: << occorre distinguere i casi nei quali, in relazione alla tipologia ed alla dimensione dell’intervento, può essere sufficiente una denuncia di inizio di attività, dai casi nei quali occorre una vera e propria concessione edilizia, oggi permesso di costruire; deve infatti ritenersi sufficiente una d.i.a. nel caso in cui il soppalco sia di modeste dimensione al servizio della preesistente unità immobiliare, mentre, viceversa, deve ritenersi necessario il permesso di costruire quando il soppalco sia di dimensioni non modeste e comporti una sostanziale ristrutturazione dell’immobile preesistente, ai sensi dell’art. 3 comma 1 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, comportando un incremento delle superfici dell’immobile e quindi anche un ulteriore possibile carico urbanistico >> (T.A.R. Campania, sez. IV, 10 dicembre 2007, n. 15871 e 27 giugno 2005, n. 8681).

Come anche più di recente statuito dal giudice di appello (cfr. Cons. St., sez. IV, 3/9/2014, n. 4468), “un soppalco realizzato, avente superficie di 20 mq. e posto a mt. 1,98 dal soffitto, amplia in maniera significativa la superficie calpestabile dell'immobile destinato ad attività commerciale e, creando un'ulteriore superficie calpestabile ed autonomi spazi, rientra nel novero degli interventi di ristrutturazione edilizia, di cui all'art. 10 comma 1 lett. c), d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, dal momento che determina una modifica della superficie utile dell'appartamento con conseguente aggravio del carico urbanistico e, pertanto, necessita del permesso di costruire”.

Applicando alla fattispecie in esame gli indicati principi si deve quindi osservare che il soppalco realizzato dai ricorrenti sia per le dimensioni che per la tipologia, non poteva essere realizzato in assenza di permesso di costruire.

Ne deriva, altresì, che, nella specie, alcuna contraddizione è ravvisabile nella circostanza che, da un lato, l’Amministrazione affermerebbe che l’abuso consisterebbe nell’aver realizzato un soppalco di dimensioni superiori a quelle comunicate nella denuncia di inizio di attività, e dall’altro, riterrebbe che lo stesso abuso debba essere considerato, ai fini della sanzione applicabile, come un intervento edilizio di ristrutturazione in assenza di permesso di costruire; come sopra rilevato, la sanzione irrogata si giustifica proprio per la consistenza della superficie soppalcata, maggiore di mq. 40 circa rispetto al progetto allegato alla menzionata comunicazione che è di mq. 62,00 circa (complessivamente la superficie attuale soppalcata è di mq. 102,00 circa).

D’altronde l’intervento effettivamente realizzato - contrariamente a quanto dedotto in ulteriore profilo di censura - giammai potrebbe ricondursi ad opera di risanamento conservativo previsto dall’art. 20 del Piano Regolatore Generale e concernente << gli interventi edilizi rivolti a conservare l’organismo e ad assicurare la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, ne consentano destinazioni d’uso con essi compatibili >>, in quanto, nel caso di specie, si è di fronte ad un’opera in grado di apportare una sensibile trasformazione delle preesistenti superfici, comportando un mutamento stabile e significativo del carico urbanistico ed edilizio del territorio e nella figura giuridica di costruzione per la quale occorre la concessione edilizia - permesso di costruire rientrano tutti quei manufatti che comportano una trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio comunale, modificano lo stato dei luoghi in quanto essi, difettando obiettivamente del carattere di assoluta precarietà, sono destinati a perdurare nel tempo.

Relativamente alla dedotta violazione dell’art. 25 punto 1° del Regolamento Edilizio Comunale, per la circostanza di essere stato il soppalco realizzato - ad avviso dei ricorrenti - osservando le distanze tra il pavimento e l’area soppalcata, e tra il calpestio del soppalco ed il soffitto, ovvero senza alcun aumento della superficie complessiva, dovendosi, l’intervento in siffatta guisa realizzato riportarsi non nella categoria della ristrutturazione edilizia, ma, ancora una volta al risanamento conservativo il Collegio condivide quella giurisprudenza la quale rileva che vari regolamenti urbanistici ed edilizi comunali prevedono che, nel momento in cui uno degli spazi ottenuti, al di sopra o al di sotto del soppalco stesso, presenti altezza interna di piano uguale o maggiore - come nella specie - di mt. 2,00, tale spazio verrà computato come superficie utile, aggiungendosi a quella preesistente, con la conseguenza che, in quest’ultimo caso, se normalmente per il soppalco ad uso deposito venga richiesta la presentazione di una SCIA, occorrerà un permesso di costruire o una DIA onerosa (Cfr. T.A.R. Campania, sez. VI, 22.2.2012, n. 908 confermativo dell’orientamento della Cassazione).

Infondata è anche la seconda censura con cui è dedotta la violazione dell’art. 3, l. n. 241 del 1990, attesa la doverosità della motivazione e della ponderazione e comparazione degli interessi coinvolti nel procedimento allorquando la normativa urbanistica ed edilizia di settore contemplerebbe forme di reazione differenziate, calibrando la risposta sanzionatoria, per tipologia ed entità, in relazione alla gravità dell’abuso perpetrato (cui si riconnetterebbe evidentemente una diversa gravità anche del danno arrecato agli interessi urbanistici tutelati), non potendo evidentemente siffatta operazione avvenire ex post, tanto più nel corso del giudizio; nel caso di specie, trattandosi di una mera difformità rispetto alla comunicazione depositata dai ricorrenti che (come sancito dal Tribunale del riesame ai fini del dissequestro), non avrebbe minimamente inciso sul carico urbanistico, il provvedimento impugnato mancherebbe in ogni caso di qualsivoglia riferimento alle ragioni per le quali l’amministrazione intenderebbe tutelare l’interesse pubblico con la sproporzionata sanzione dell’abbattimento dell’opera e non già mediante una mera sanzione pecuniaria, attesa la conformità del soppalco in questione al dettato normativo dell’art. 25 del regolamento edilizio comunale.

La prospettazione dei ricorrenti non è condivisibile.

Invero, ricondotto correttamente l’intervento fra quelli di ristrutturazione previsti dall’art. 33 del D.P.R. n. 380/2001, per i quali era necessario il rilascio del permesso di costruire ed esclusa la possibilità di farsi luogo all’applicazione della disciplina prevista dall’art. 25 del Regolamento Edilizio Comunale, a fronte della doverosità della sanzione demolitoria, l’interesse pubblico alla reintegrazione dell’ordine urbanistico può ritenersi sussistente in re ipsa, all’uopo richiamandosi pacifica e condivisa giurisprudenza secondo cui: << L’ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive è sufficientemente motivata con riferimento all’oggettivo riscontro dell’abusività delle opere ed alla sicura assoggettabilità di queste al regime concessorio >> (T.A.R. Campania, sez. II, 30.1.2015, n. 601), ed ancora: << L’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia è atto vincolato e non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di questo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione >> (T.A.R. Campania, sez. VI, 15.1.2015, n. 224); << I provvedimenti repressivi di abusi edilizi (nella cui logica ben può ricondursi l’annullamento di una D.I.A.) non devono essere preceduti dall’avviso di inizio del relativo procedimento, trattandosi di provvedimenti tipici e vincolati emessi all’esito di una mero accertamento tecnico della consistenza delle opere realizzate e del carattere abusivo delle medesime che, in quanto tali, non richiedono neppure una specifica motivazione. Pertanto, in caso di adozione di misure sanzionatorie conseguenti alla violazione di disposizioni in materia di denuncia di inizio di attività - trattandosi di provvedimenti vincolati e basati su presupposti verificabili in modo immediato - non sussistono le esigenze di garanzia e trasparenza cui sovviene il principio di partecipazione del privato al procedimento amministrativo >> (T.A.R. Campania, sez. V, 15.1.2015, n. 225); ed, infine: << Il provvedimento di demolizione di una costruzione abusiva, al pari di tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato, che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né, ancora, alcuna motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare e non potendo l’interessato dolersi del fatto che l’Amministrazione non abbia emanato in data antecedente i dovuti atti repressivi >> (C. di S., sez. VI, 5.1.2015, n. 13 e T.A.R. Campania, sez. III, 10.1.2015, n. 100).

Pertanto, nella fattispecie, il Comune ha correttamente valutato la tipologia dell’opera, dalla cui abusività (non potendo in alcun modo ritenersi “legittimata” dalla D.I.A. presentata il 15.3.2012 con protocollo n. 7305/1912/UT) scaturisce con carattere vincolato l’ordine di demolizione, che in ragione di tale sua natura, non esige una specifica motivazione o la comparazione dei contrapposti interessi.

Con la terza censura è dedotta la violazione dell’art. 37, D.P.R. n. 380/2001, stante l’insussistenza dei presupposti della sanzione dell’abbattimento, trattandosi di opera realizzata in difformità di quanto comunicato nella denuncia di inizio di attività, in relazione alla quale il rubricato art. 37 prevederebbe l’applicabilità della mera sanzione pecuniaria.

L’ordine di idee dei ricorrenti non è condivisibile.

Invero, escluso che nella fattispecie si sia trattato di sanzionare la realizzazione dell’opera effettivamente realizzata per una mera difformità alla D.I.A. presentata e correttamente ricondotto l’intervento da reprimere a quelli di ristrutturazione edilizia ex art. 33, D.P.R. n. 380 del 2001, alcun spazio può esservi per l’applicazione della sanzione pecuniaria, atteso che per interventi siffatti è necessario il rilascio del permesso di costruire, in mancanza del quale l’unica sanzione irrogabile è la demolizione con la riduzione in pristino dello stato dei luoghi.

Con l’ultima censura si deduce la violazione dell’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001 atteso che illegittimamente l’impugnata ordinanza di demolizione sarebbe stata emanata in pendenza dei termini per chiedere il permesso di costruire in sanatoria ed (anche ammessa la necessità di un titolo abilitativo ai fini della realizzazione delle opere de quo), allo stato attuale, parti ricorrenti potrebbero presentare l’istanza di permesso di costruire in sanatoria ex art. 36, D.P.R. 380/01.

Anche tale censura è infondata.

Al riguardo secondo giurisprudenza condivisa dal Collegio la presentazione della domanda di permesso in sanatoria, ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, nessun effetto dispiega sui provvedimenti repressivi dell’abuso edilizio in precedenza adottati, né tantomeno sul giudizio instaurato per la loro impugnazione; ciò in quanto, decorso il termine di sessanta giorni, la legge espressamente vi riconnette la formazione del provvedimento di rigetto, che è onere della parte impugnare, senza poter addurre che dalla mera presentazione dell’istanza discenda la paralisi degli effetti del provvedimento sanzionatorio (la cui esecuzione resta solo temporaneamente sospesa, sino alla scadenza del termine suddetto).

Nella fattispecie - come rappresentato dai ricorrenti nella memoria di merito depositata in giudizio l’11.2.2015 - l’istanza di permesso di costruire in sanatoria è stata presentata successivamente all’adozione dell’impugnata ordinanza, peraltro, tardivamente nell’imminenza dell’udienza di trattazione della causa, e,come tale, si presenta del tutto irrilevante ai fini del presente giudizio, nel quale, infine, nessuna prova concludente è stata allegata in ordine all’asserita conformità urbanistica delle opere abusive denunciate.

Il ricorso va dunque respinto.

Le spese giudiziali, come di regola, seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Terza Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe (n. 4259/2012 R.G.) proposto da Fiengo Giovanni e Buongiovanni Carmela, così dispone;

a) lo respinge;

b) condanna parti ricorrenti al pagamento delle spese giudiziali complessivamente quantificate in euro 1.500,00 (millecinquecento/00) oltre oneri di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 19 marzo 2015 con l'intervento dei magistrati:

Fabio Donadono, Presidente FF

Vincenzo Cernese, Consigliere, Estensore

Giuseppe Esposito, Primo Referendario

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 17/04/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)