TAR Sicilia (PA) Sez. II n.1472 del 14 giugno 2016
Urbanistica.Titolo abilitativo e verifica della sussistenza del consenso degli altri comproprietari
 
E' legittimo che l’amministrazione in sede di rilascio della concessione edilizia in sanatoria possa richiedere che sussista il consenso degli altri comproprietari dell’area interessata dall’intervento edilizio e, quindi, opporre il diniego di concessione in sanatoria per il mancato assenso di questi ultimi

N. 01472/2016 REG.PROV.COLL.

N. 00044/2008 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 44 del 2008, proposto da STRAZZERI Francesca, rappresentata e difesa dall'avv. Nunzio Pinelli, con domicilio eletto in Palermo, piazza Virgilio, 4, presso lo studio del predetto difensore;

contro

- il Comune di Palermo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Ezio Tomasello, con domicilio eletto in Palermo, piazza Marina, 39, presso gli uffici dell’Avvocatura comunale;

per l'annullamento

- del provvedimento dirigenziale n. 8191 del 28 settembre 2007 di diniego della concessione edilizia in sanatoria chiesta il 28 marzo 1995 ai sensi dell’art. 39 della legge 724/1994 per la tettoia con struttura metallica retrostante l’edificio sito in via Umberto Solarino, 24;

- degli atti connessi, presupposti e conseguenziali;

 

e per la dichiarazione

- “dell’obbligo del Comune di Palermo di rilasciare alla ricorrente l’attestato di concessione assentita per silentium ovvero formale concessione in sanatoria”.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti l'atto di formale costituzione in giudizio, il controricorso e i relativi allegati del Comune di Palermo;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore la dott.ssa Anna Pignataro;

Uditi, nell'udienza pubblica del giorno 28 aprile 2016, per le parti i difensori, presenti così come specificato nel verbale d’udienza;

 

FATTO

Con il ricorso in epigrafe ritualmente notificato il 21 dicembre 2007 e depositato il giorno 8 gennaio 2008, la signora Francesca Strazzeri, in qualità erede del coniuge defunto Gaspare Galante, proprietario di un’unità immobiliare nel complesso condominiale di via Solarino 24, impugna il provvedimento di cui epigrafe con il quale il Comune di Palermo ha negato la concessione edilizia in sanatoria chiesta il 28 marzo 1995 ai sensi dell’art. 39 della legge 724/1994 per la tettoia con struttura metallica retrostante l’edificio di che trattasi.

Il provvedimento è così motivato: “con sentenza n.946/2002 il Tribunale di Palermo ha dichiarato che le opere sono state realizzate su area di proprietà comune ad altri condomini”; ne deduce l’illegittimità per “Violazione dell’art. 10 bis della l. n. 241/1990, dell’art. 11 bis della l.r. n. 10 del 1991e delle regole del giusto procedimento”, a causa dell’omessa comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento e della lesione del principio del giusto procedimento atteso che la partecipazione all’istruttoria le avrebbe permesso di evidenziare che la richiamata sentenza del giudice di prime cure era stata “sospesa dall’anno 2002 dalla Corte di Appello di Palermo in data 16/7/2002”.

L’atto sarebbe altresì viziato per il motivo di “Eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento e dell’ingiustizia manifesta, violazione e falsa applicazione dell’art. 39 della l. n.724 del 1994 e del difetto di motivazione” in quanto sarebbe stato adottato sostanzialmente per tutelare diritti di terzi (il Condominio), nonostante che l’art. 39 della legge 724 del 1994 espressamente preveda che la concessione in sanatoria sia rilasciata con salvezza dei diritti dei terzi.

In ogni caso, la richiedente sarebbe comproprietaria dell’area di sedime sulla quale insiste l’opera abusiva e sulla istanza di condono si sarebbe già formato il silenzio assenso in data 30 dicembre 1998 che non risulterebbe essere stato ritirato in autotutela.

Chiede, quindi, l’annullamento del diniego e la dichiarazione dell’obbligo del Comune di certificare l’avvenuta formazione per silentium del titolo edilizio ovvero di rilasciare la formale concessione edilizia in sanatoria.

Il Comune, con controricorso, ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità del gravame a causa dell’omessa notifica ad alcuno dei controinteressati, indicati negli altri condomini e della carenza di interesse a ricorrere, non potendo parte ricorrente trarre alcuna utilità effettiva dall’eventuale accoglimento; quanto alla vicenda fattuale ha precisato che la Corte di Appello di Palermo, con sentenza depositata il 13 dicembre 2007, ha confermato integralmente la sentenza n. 964 dei 15 gennaio-19 febbraio 2002 con la quale il Tribunale di Palermo aveva accertato e dichiarato la proprietà condominiale, tra l’altro, anche dell’“area prospicente il retroprospetto” in quanto inclusa tra “le aree oggetto di arbitraria appropriazione da parte del convenuto (n.d.r. il dante causa della ricorrente, il defunto Gaspare Galante), ascrivibili alle categorie previste dall’art. 117 c.c. e aventi funzione pertinenziale nei confronti dell’edificio comunale”; il Comune ha dato, altresì, atto che avverso tale ultima sentenza pende il giudizio presso la Corte di Cassazione.

Nel merito, si sostiene che:

1. sull’istanza di condono di che trattasi non si sarebbe formato alcun silenzio assenso poiché la stessa era carente della documentazione prevista dalla legge per consentire la valutazione della sanabilità dell’opera abusiva (dati tecnici sulla consistenza dell’opera e certificato di idoneità sismica) nonché della prova dell’avvenuto accatastamento e del versamento degli oneri concessori;

2. per giurisprudenza pacifica la concessione in sanatoria per l’opera in comproprietà non può essere rilasciata quando vi sia l’espressa opposizione degli altri condomini, così come avvenuto nel caso concreto (vedi allegato n.2 al controricorso);

3. la lunga vicenda giudiziaria pendente innanzi al giudice ordinario tra il Comune, il sig. Gaspare Galante e gli altri condomini di via Solarino, rende ben edotta parte ricorrente delle ragioni del diniego e il relativo esito vincola la decisione di diniego della sanatoria, discendendone l’infondatezza dei motivi di difetto di motivazione e di violazione del diritto di partecipazione procedimentale.

All’udienza pubblica del 28 aprile 2016, su conforme richiesta delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Il Collegio ritiene di potere prescindere dalle eccezioni preliminari sollevate dal Comune resistente in quanto il ricorso, nel merito, non è fondato.

Quanto al vizio dedotto con il secondo motivo, la cui natura sostanziale ne rende opportuno l’esame prioritario, si osserva che la questione posta concerne la possibilità, da parte dell’amministrazione comunale, di negare la concessione in sanatoria, chiesta ai sensi dell’art. 39 della l. n.724 del 1994, per il mancato assenso di altri condomini, interessando l’abuso parti comuni dell’edificio.

Sul punto, la giurisprudenza, che in passato era prevalentemente orientata nel senso che il parametro valutativo dell’attività amministrativa in materia edilizia è quello dell’accertamento della conformità dell’opera alla disciplina pubblicistica che ne regola la realizzazione, salvi i diritti dei terzi e senza che la mancata considerazione di tali diritti possa in qualche modo incidere sulla legittimità dell’atto, più recentemente (cfr. C.d.S., Sez. V, 15.3.2001 n. 1507) ha avuto occasione di precisare che la necessaria distinzione tra gli aspetti civilistici e quelli pubblicistici dell’attività edificatoria non impedisce di rilevare la presenza di significativi punti di contatto tra i due diversi profili.

In proposito è stato chiarito che non è seriamente contestabile che nel procedimento di rilascio della concessione edilizia l’amministrazione abbia il potere e il dovere di verificare l’esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull’immobile interessato dal progetto di trasformazione urbanistica, trattandosi di una attività istruttoria che non è diretta, in via principale, a risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in ordine all’assetto proprietario dell’immobile bensì finalizzata, più semplicemente, ad accertare il requisito della legittimazione del richiedente.

Conseguentemente, in caso di opere che incidono sul diritto di altri comproprietari, è legittimo esigere il consenso degli stessi (che può essere manifestato anche per fatti concludenti) e che perciò qualora vi sia un conclamato dissidio fra i comproprietari in ordine all’intervento progettato in base al mero riscontro della conformità agli strumenti urbanistici, e maggior ragione nell’ipotesi di sanatoria edilizia di opere abusive quindi già realizzate, la scelta dell’amministrazione di assentire/sanare comunque le opere evidenzia un grave difetto istruttorio e motivazionale, perché non dà conto della effettiva corrispondenza tra la richiesta di concessione e la titolarità del prescritto diritto di godimento (cfr. in termini, anche C.d.S., Sez. V, 20.9.2001 n. 4972; T.A.R. Toscana 23.11.2001 n. 1651; T.A.R. Emilia Romana-Parma, 21.3.2002 n. 183).

In altre parole, è legittimo che l’amministrazione in sede di rilascio della concessione edilizia in sanatoria possa richiedere che sussista il consenso degli altri comproprietari dell’area interessata dall’intervento edilizio e, quindi, opporre il diniego di concessione in sanatoria per il mancato assenso di questi ultimi (Consiglio di Stato, sezione V, 21 ottobre 2003, n. 6529).

Né giova l’argomento difensivo della pendenza innanzi alla Corte di Cassazione del giudizio avente a oggetto l’assetto proprietario anche dell’area sulla quale insiste l’opera abusiva di che trattasi, atteso che non è stato provato in atti che la sentenza di appello sia stata sospesa.

Parimenti non è stata provata da parte ricorrente l’avvenuta formazione del titolo edilizio per silenzio assenso mediante il deposito della domanda di condono e della documentazione richiesta a suo corredo, neanche a fronte della specifica controdeduzione sul punto da parte del Comune resistente che ha dichiarato che la domanda presentata il 28/3/1995 dal proprietario dell’immobile Gaspare Galante era carente della documentazione prevista dalla legge per consentire la valutazione della sanabilità dell’opera abusiva (dati tecnici sulla consistenza dell’opera e certificato di idoneità sismica) nonché della certificazione dell’avvenuto accatastamento e del versamento degli oneri concessori.

Orbene per consolidata giurisprudenza amministrativa dalla quale il Collegio non ravvisa motivi per discostarsi, in materia di condono edilizio la formazione del silenzio assenso postula che l'istanza sia assistita da tutti i presupposti di accoglibilità, non determinandosi ope legis la regolarizzazione dell'abuso, in applicazione dell'istituto del silenzio assenso, ogni qualvolta manchino i presupposti di fatto e di diritto previsti dalla norma, ovvero ancora quando l'oblazione non sia stata versata o non corrisponda a quanto effettivamente dovuto, oppure quando la documentazione allegata all'istanza non risulti completa affinché possano essere utilmente esercitati i poteri di verifica dell'Amministrazione comunale, differenziandosi il tacito accoglimento della domanda di condono dalla decisione esplicita solo per l'aspetto formale (cfr. Cons. Stato, V, 13 gennaio 2014 n. 63; Cons. Stato, sez. IV, 30 giugno 2010, n. 4174).

Il regime del silenzio assenso, infatti, persegue la finalità di snellimento della procedura ma non modifica le condizioni sostanziali per conseguire la sanatoria: pertanto, ove l'opera non sia effettivamente sanabile diventa irrilevante il termine di legge posto per la formazione del silenzio assenso.

Residua l’esame del primo motivo di gravame, con il quale la ricorrente lamenta l’omessa comunicazione del preavviso di rigetto.

In disparte la circostanza di fatto evidenziata dal Comune resistente della preesistenza del contenzioso tra le parti oggi in lite – ancora pendente innanzi al giudice ordinario - inerente la proprietà delle aree condominiali, che non poteva non rendere edotta l’odierna ricorrente delle ragioni del diniego, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza, dal quale il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi nel caso di specie, sebbene l'istituto del " preavviso di rigetto ", previsto dall'art. 10 bis, l. 7 agosto 1990, n. 241, introdotto dalla l. n. 15 del 2005, abbia portata generale e trovi, quindi, applicazione in tutti i procedimenti a istanza di parte, tuttavia l'omissione di tale preavviso non determina l'annullabilità del provvedimento qualora trovi applicazione il disposto dell'art. 21 octies della l. n. 241/1990, a tenore del quale "non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello concretamente adottato" (v. Cons. Stato, sez. IV, 12 ottobre 2010 , n. 7440; T.A.R. Piemonte, Torino, sez. I, 14 gennaio 2011 , n. 16; 14 giugno 2006, n. 2487;T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, sez. II, 6 novembre 2006 , n. 2875).

Ciò significa che la violazione dell'art. 10 bis della L. n. 241 cit., non produce ex se l'illegittimità del provvedimento finale, dovendo la disposizione sul preavviso di rigetto essere interpretata alla luce del successivo art. 21 octies, comma 2 della medesima legge che impone al giudice di valutare il contenuto sostanziale del provvedimento e di non annullare l'atto nel caso in cui le violazioni formali non abbiano inciso sulla legittimità sostanziale del medesimo.

L'art. 21 octies cit., espressamente invocato dal Comune resistente, rende, quindi, irrilevante la violazione delle norme sul procedimento o sulla forma dell'atto per il fatto che il contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, così come dimostrato dal Comune resistente.

Il ricorso, pertanto, va rigettato.

Le spese vanno poste, come di norma, a carico della parte soccombente, nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese legali nei confronti del Comune di Palermo, in persona del Sindaco pro tempore, liquidate in complessivi € 1.000,00 (euro mille/00), oltre accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 28 aprile 2016 con l'intervento dei magistrati:

 

Cosimo Di Paola, Presidente

Anna Pignataro, Primo Referendario, Estensore

Sebastiano Zafarana, Referendario

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 14/06/2016

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)