TAR Campania (NA), Sez. II, n. 3014, del 7 giugno 2013
Urbanistica.Valutazione possibilità ripristino dello stato dei luoghi

La valutazione della possibilità o meno del ripristino dello stato dei luoghi deve essere compiuta, ad opera dell'ufficio tecnico comunale, in sede di esecuzione dell'ingiunzione, cioè quando il soggetto privato non ha ottemperato spontaneamente alla demolizione e l'organo competente emana l'ordine di esecuzione in danno delle ristrutturazioni realizzate in assenza od in totale difformità dal permesso di costruire o delle opere edili costruite in parziale difformità dallo stesso: è solo in tale fase, dunque, che può non ritenersi legittima l'ingiunzione a demolire sprovvista di qualsiasi valutazione, d'ufficio o su richiesta dell'interessato, sull'entità degli abusi commessi e la possibile sostituzione della demolizione con la sanzione pecuniaria, così come previsto dagli artt. 33, co. 2, e 34, co. 2, d.p.r. n. 380/2001. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 03014/2013 REG.PROV.COLL.

N. 02069/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2069 del 2012, integrato da motivi aggiunti, proposto da: 
CO.MA.SA. s.a.s., in persona del legale rappresentante p.t., sig. Giuseppe Salzano, rappresentata e difesa dall'avv. Riccardo Marone, presso il cui studio elettivamente domicilia in Napoli, via Cesario Console n. 3;

contro

Comune di Casalnuovo di Napoli, in persona del Sindaco p.t., dott. Antonio Peluso, , rappresentato e difeso dal prof. avv. Felice Laudadio, con il quale elettivamente domicilia in Napoli, via F. Caracciolo n. 15;

per l'annullamento

quanto al ricorso introduttivo: a) del provvedimento in data 2.2.2012 n. 9, successivamente notificato, con cui si ingiunge la demolizione delle opere ivi indicate e realizzate dalla società ricorrente in presunta difformità dal progetto assentito con decreto dirigenziale n. 4 del 25.1.2006; b) di ogni atto presupposto, connesso e conseguente ivi compresa, per quanto possa occorrere, la relazione tecnica prot. n. 1195 del13.8.2010;

quanto ai motivi aggiunti: a) del provvedimento in data 3.9.2012 n. 984/ PM, notificato in data 7.9.2012, con cui il Corpo di Polizia Municipale del Comune di Casalnuovo accerta la inottemperanza all'ordinanza di demolizione n. 9 del 2.2.2012; b) di ogni atto presupposto, connesso e conseguente, ivi compreso il verbale di sopralluogo in data 27.8.2012, nonché la nota del Servizio Antiabusivismo Edilizio del Comune di Casalnuovo in data 29.8.2012 n. 5188 che comunica l'esito del predetto verbale di sopralluogo.



Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Casalnuovo di Napoli;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Data per letta nell'udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2013 la relazione del dott. Francesco Guarracino e uditi l’avv. Giuseppe Russo, per delega dell’avv. Riccardo Marone, per la società ricorrente e l’avv. Felice Laudadio per il Comune di Casalnuovo di Napoli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

Con il ricorso in epigrafe la società CO.MA.SA. s.a.s. ha impugnato l'ordinanza n. 9 del 2 febbraio 2012, con la quale il Responsabile della Unità di Progetto del Comune di Casalnuovo di Napoli le ha ingiunto la demolizione di opere realizzate sulla particella n. 224 ex n. 29 del foglio 9 in asserita difformità rispetto al progetto per la costruzione e l'esercizio di un impianto di produzione di energia elettrica alimentato a biomassa assentito con decreto dirigenziale della Regione Campania n. 4 del 25 gennaio 2006 ai sensi dell'art. 12 del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387.

Sostenendo che la constatata difformità dello stato dei luoghi costituirebbe, in realtà, frutto di opere in variante al progetto originario assentite dalla stessa Regione con d.d. n. 314 del 23 ottobre 2008 (concernente la realizzazione di un deposito di stoccaggio e relativo serbatoio antincendio, ma che avrebbe riguardato anche due istanze di variante in corso d'opera presentate il 12 dicembre 2006 e il 15 giugno 2007) e osservando che un parallelo procedimento penale, avviato su comunicazione di notizia di reato ad opera del Comune, si era concluso con l'archiviazione dopo che un'approfondita consulenza tecnica disposta dal pubblico ministero avrebbe accertato la realizzazione di maggiori superfici per soli 3,17 mq, in punto di diritto la società ricorrente denuncia l'illegittimità dell'atto impugnato sotto quattro profili, affidati ad altrettanti motivi di censura:

1) il Comune avrebbe esercitato un potere di vigilanza e di sanzione non di sua competenza, poiché, essendo la realizzazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili soggetta ad autorizzazione unica regionale con efficacia sostituiva di tutti i titoli abilitativi, anche edilizi, e di variante allo strumento urbanistico, spetterebbe alla stessa Regione, cui compete il rilascio del titolo abilitativo, esercitare poteri di controllo e repressivi nel caso di difformità delle opere rispetto a quanto assentito;

2) l'ordine di demolizione si fonderebbe sull'erroneo presupposto dell'esistenza di un solo titolo abilitativo cui fare riferimento (il d.d. n. 4/06), avendo il Comune omesso di considerare che l'indagine tecnica sulla rispondenza dello stato dei luoghi a quanto autorizzato dalla Regione Campania avrebbe dovuto tener conto anche del successivo provvedimento n. 314/08;

3) l'ordine di demolizione non sarebbe altro che l'ultimo di una serie di atti e provvedimenti ostativi posti in essere dal Comune per ostacolare la realizzazione e la messa in esercizio dell'impianto e, perciò, sarebbe viziato da evidente sviamento di potere;

4) anche ammettendo l'esistenza di parziali difformità tra le opere realizzate e i titoli abilitativi, non poteva legittimamente ordinarsi la demolizione di superfici maggiori di quelle assentite quando queste (come nel caso della centrale di produzione elettrica e della cabina Enel) non potrebbero essere eliminate senza arrecare pregiudizio alle parti regolarmente assentite (art. 34, co. 2, d.lgs. 380/01), né tanto meno la demolizione di superfici realizzate in misura inferiore a quella assentita (come nel caso del deposito di biomasse), poiché in quest'ultimo caso non si saprebbe cosa demolire.

Il Comune di Casalnuovo di Napoli si è costituito in giudizio per resistere al gravame, contrastando con successiva memoria difensiva le censure della ricorrente e producendo documenti.

Con istanza notificata il 9 ottobre 2012 la ricorrente ha chiesto la sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato; con ordinanza dell'8 novembre 2012, n. 1540, è stata fissata l’udienza pubblica per la trattazione del merito del ricorso, ai sensi dell’art.55, comma 10, c.p.a.

Con ricorso per motivi aggiunti notificato il 5 novembre e depositato il 4 dicembre 2012, la società ricorrente ha impugnato, per illegittimità derivata dalla ordinanza di demolizione, il provvedimento del 3 settembre 2012 n. 984/ PM, notificato il 7 settembre 2012, cui il Corpo di Polizia Municipale del Comune di Casalnuovo ha accertato l'inottemperanza all'ordinanza medesima.

La domanda cautelare proposta con i motivi aggiunti è stata successivamente rinunciata.

In vista della udienza di discussione sono stati prodotti documenti e depositate memorie a sostegno delle rispettive ragioni.

Alla pubblica udienza del 21 febbraio 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. – La prima questione sottoposta con il ricorso introduttivo all’attenzione del Collegio è quella della competenza dell'ente locale all'esercizio degli usuali poteri di controllo e repressione degli abusi edilizi nel caso in cui si tratti di verificare se un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili rispetti l'autorizzazione unica regionale rilasciata per la sua realizzazione, ai sensi dell'art. 12 d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, che, per legge, costituisce titolo a costruire e, ove necessario, variante allo strumento urbanistico.

Secondo la società ricorrente, infatti, una volta devoluta dalla legge alla Regione la competenza al rilascio del titolo abilitativo, anche edilizio, non potrebbe che spettare alla stessa amministrazione anche il controllo sulla sua esatta osservanza e la irrogazione delle eventuali sanzioni.

A sostegno di questa tesi invoca, tra l'altro, il tenore dell'art. 31 del d.lgs. 380/01, il quale attribuisce al dirigente o al responsabile del competente ufficio comunale il potere di ordinare la demolizione degli interventi eseguiti in assenza del permesso di costruire o in sua difformità, argomentando che, se non c'è alcun permesso di costruire di competenza comunale e rilasciato dal Comune, allora non c'è neppure la competenza del dirigente comunale ad ingiungere la rimozione o la demolizione dell'intervento.

Si tratta di una ricostruzione suggestiva, ma infondata.

E' nel vero, al contrario, il Comune a sostenere che il d.lgs. n. 387/03 assegna alla Regione la sola competenza al rilascio del provvedimento di autorizzazione, all'esito di una conferenza di servizi alla quale deve partecipare anche un rappresentante della amministrazione comunale, senza che alcuna norma faccia eccezione alla previsione di carattere generale, contenuta nell'art. 27, comma 1, d.p.r. 380/01, che affida al dirigente o al responsabile del competente ufficio comunale la vigilanza sull'attività urbanistico - edilizia sul territorio comunale, che secondo l'amministrazione resistente è una funzione caratterizzante del ruolo del Comune quale ente esponenziale degli interessi facenti capo alla popolazione residente su un dato territorio.

Convincono di ciò le seguenti considerazioni.

In base all'art. 12 d.lgs. 387/03, l'autorizzazione unica è rilasciata dalla Regione, o dalla Provincia a ciò delegata, all'esito di una conferenza di servizi nella quale confluiscono tutti gli apporti amministrativi necessari per la costruzione e l'esercizio dell'impianto, delle opere connesse e delle infrastrutture indispensabili.

Si tratta di un procedimento su istanza di parte, semplificato e accelerato, che si svolge attraverso la concentrazione in un unico contesto di procedimenti e competenze decisionali di una pluralità di amministrazioni, secondo le modalità di cui agli artt. 14 ss. della legge n. 241/90.

Esso è finalizzato al rilascio, da parte dell'amministrazione procedente, di un titolo che è idoneo a sostituire autorizzazioni, concessioni, nulla osta ed atti di assenso i più vari, di competenza sia di autorità civili sia di autorità militari (cfr. l'elenco indicativo contenuto nell'allegato 1 delle linee guida ex D.M. 10 settembre 2010), ma non incide sulla competenza stessa delle amministrazioni partecipanti (come attesta, in via generale, l'art. 14 ter, comma 6, della l. 241/90) al di là di ciò che più strettamente riguarda la determinazione conclusiva della conferenza.

Sarebbe d'altronde impensabile che, trasmodandosi rispetto alla esigenza di razionalizzazione e di semplificazione delle procedure di autorizzazione posta a base dell'art. 12 del d.lgs. 387/03, i poteri di vigilanza, verifica, controllo e repressione spettanti a vario titolo alle autorità competenti interessate dalla partecipazione al procedimento unico venissero per ciò solo meno, per essere trasferiti e concentrati in capo ad enti (Regione o Provincia) tra l'altro sforniti della organizzazione necessaria.

A conferma di ciò, va infine osservato che il d.lgs. 3 marzo 2011 n. 28, che recepisce la direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso di energia da fonti rinnovabili (la quale ha abrogato, a decorrere dal 1° gennaio 2012, l'intera direttiva 2001/77/CE di cui il d.lgs. 387/03 era attuazione) e che analogamente prevede un regime di autorizzazione unica (art. 5), fa ora espressamente salvo in materia di vigilanza e repressione degli abusi il riparto ordinario di competenze: difatti l'art. 42, nel disciplinare controlli e sanzioni in materia di erogazione di incentivi, al secondo comma stabilisce che «restano ferme le competenze in tema di controlli e verifiche spettanti alle amministrazioni statali, regionali, agli enti locali nonché ai gestori di rete» e, poiché i relativi esiti possono assumere rilievo ai fini degli incentivi, prevede al quarto comma che «le amministrazioni e gli enti pubblici, deputati ai controlli relativi al rispetto delle autorizzazioni rilasciate per la costruzione e l'esercizio degli impianti da fonti rinnovabili, fermo restando il potere sanzionatorio loro spettante, trasmettono al GSE l'esito degli accertamenti effettuati, nel caso in cui le violazioni riscontrate siano rilevanti ai fini dell'erogazione degli incentivi», attestando in tal modo definitivamente che il rilascio della autorizzazione unica non impatta sulle competenze in materia di controlli, verifiche e sanzioni.

2. – Infondato è anche il secondo motivo di ricorso.

L'unico titolo abilitativo rilasciato alla ricorrente per la realizzazione dell'impianto di produzione di energia è costituito dal d.d. n. 4 del 25 gennaio 2006, poiché nessuna variante al progetto originario dell'impianto è stata assentita con il successivo d.d. n. 314 del 23 ottobre 2008.

Quest'ultimo, infatti, riguarda unicamente la realizzazione di un deposito di stoccaggio e del relativo serbatoio antincendio.

Al riguardo, è sufficiente porre mente al fatto che:

– l'invocato d.d. n. 314/2008, come risulta dal preambolo, è stato adottato in definizione del procedimento inizialmente avviato su istanza del 30 gennaio 2006 dell'odierna ricorrente, acquisita al protocollo regionale al n. 2006.0107196 del 3 febbraio 2006 (copia della quale è agli atti di causa), con cui la società aveva chiesto il rilascio di una ulteriore autorizzazione finalizzata alla realizzazione di un deposito di stoccaggio di biomasse a servizio della centrale di cogenerazione già autorizzata, con un progetto che prevedeva la costruzione di tettoie chiuse per tre lati per una superficie di circa 2600 mq e un'area scoperta pavimentata per circa 3500 mq;

– su tale procedimento, come pure è riportato in preambolo, si è quindi innestata un’istanza di integrazione progettuale (nota del 28 marzo 2008, acquisita al protocollo regionale al n. 2008.0291788 del 3 aprile 2008) volta alla realizzazione di un serbatoio antincendio per accumulo acqua a servizio dell'impianto a biomasse precedentemente autorizzato;

– né dal d.d. n. 314/2008, né da altro documento presente o menzionato agli atti del giudizio, risulta che la conferenza di servizi e comunque le singole amministrazioni interessate siano state invitate ad esprimersi su richieste di variante all'originario progetto della centrale medesima assentito nel 2006, fatto salvo che per i profili oggetto delle predette istanze;

– il d.d. n. 314/2008, conseguentemente, si limita testualmente a decretare che la CO.MA.SA. s..r.l. è autorizzata «alla realizzazione di: a) un deposito di stoccaggio di biomasse, quale opera connessa all'impianto per la produzione di energia già autorizzato con Decreto Dirigenziale n° 4 del 25/01/2006 […]: b) un serbatoio antincendio per accumulo acqua a servizio dell'impianto a biomasse autorizzato con D.D. n° 4 del 25/01/2006, pubblicato sul B.U.R.C. n° 9 del 20/02/2006, come da prescrizione del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco, in seguito riportata».

Non può quindi fondatamente sostenersi che il suddetto decreto dirigenziale n. 314 del 2008, avente espressamente ad oggetto l'autorizzazione alla realizzazione del deposito di stoccaggio di biomasse e del relativo serbatoio antincendio di accumulo acque a servizio dell'impianto, abbia in alcun modo inteso assentire anche la realizzazione di opere che, rispetto al progetto di impianto come in origine autorizzato nel 2006, fossero diverse o variate anche per altri profili.

Invero, a fronte della chiara delimitazione dell'oggetto del procedimento e del suo atto conclusivo e della inequivoca determinazione amministrativa consegnata al dispositivo del provvedimento finale, non potrebbe bastare a dimostrare il contrario la mera circostanza che la semplice planimetria di insieme allegata al d.d. n. 314/2008 differisca da quella allegata al d.d. n. 4/2006 anche in relazione ad elementi progettuali diversi dalle nuove strutture assentite.

In particolare, sia nel provvedimento finale, sia negli atti endoprocedimentali, non vi è riscontro alla tesi della ricorrente che vorrebbe leggere nel d.d. n. 314/2008 un provvedimento di assenso a due istanze di variante in corso d'opera (una prima in data 12 dicembre 2006, prot. regionale n. 2006.01032521, ed un'altra del 15 giugno 2007, prot. regionale n. 2007.0542300), che, entrambe non prodotte agli atti di causa, avrebbero avuto ad oggetto, l'una, l'ampliamento della superficie della centrale (circa 78 mq) e l'allocazione al suo esterno della cabina di trasformazione, l'altra, invece, un ulteriore incremento volumetrico della centrale (da 78 mq a 84 mq) e della stessa cabina elettrica (da 36 mq a 84 mq), insieme al suo diverso posizionamento e alla realizzazione di uno sporto coperto con tettoria per l'ingresso alla centrale (36 mq).

Tanto meno a conferire al d.d. n. 314/08 il contenuto e l'efficacia di una autorizzazione in variante di tal genere può valere il decreto regionale n. 314/08, adottato all'esito di un procedimento avente tutt'altro oggetto che quello di interpretare in via autentica il contenuto volitivo delle due precedenti autorizzazioni uniche.

Che, d'altronde, anche in un momento successivo al rilascio della seconda autorizzazione unica la società CO.MA.SA. si sia trovata a discostarsi, nella realizzazione delle opere assentite, da quanto era stato previsto nei progetti è attestato finanche da atti di sua provenienza (cfr. nota prot. regionale n. 2010.0045582 del 19 gennaio 2010).

Infine, per contestare in fatto la correttezza degli accertamenti del Comune, la ricorrente ha invocato le conclusioni della consulenza tecnica sullo stato dei luoghi e la rispondenza delle opere ai titoli abilitativi, disposta dal Pubblico Ministero nel corso nelle indagini penali condotte su denuncia del Comune e concluse con decreto di archiviazione del 9 febbraio 2012.

L'elaborato peritale, tuttavia, non è stato prodotto, neppure in stralcio, agli atti del presente giudizio e la richiesta di archiviazione formulata dal Pubblico Ministero ed accolta dal GIP si basa su un giudizio di irrilevanza ai fini penali delle difformità che sono risultate, comunque, riscontrate («le difformità rilevate nel complesso impianto industriale della COMASA …. non consentono di ritenere la violazione sostanziale di norme penali: le difformità medesime, infatti, non possono qualificarsi come sostanziali se valutate nell'ambito della complessiva struttura») che costituisce un apprezzamento basato su valutazioni di natura giuspenalistica (la violazione sostanziale di norme penali) piuttosto che fattuale, le quali pertanto non sono probanti nel senso divisato dall'odierna ricorrente (vale a dire, dell’insussistenza in punto di fatto di opere non assentite o realizzate in difformità dei titoli abilitativi).

3. – Quanto al terzo motivo di ricorso, la natura doverosa e vincolata degli interventi repressivi degli illeciti edilizi impedisce in radice la possibilità di prospettare, rispetto alla loro adozione, la sussistenza di vizi di eccesso di potere, i quali riguardano solo l’esercizio di potestà discrezionali.

Peraltro può aggiungersi che, alla luce della riscontrata infondatezza dei predetti motivi di gravame, resta comunque smentita la tesi della società ricorrente, che nella mancanza nella motivazione del provvedimento impugnato di riferimenti al d.d. n. 314/08 individua il primo e principale sintomo di una volontà sviata dell’amministrazione.

4. – Ad essere infondato è anche il quarto ed ultimo motivo di ricorso.

Con tale mezzo, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 34, comma 2, d.p.r. 380/01, dolendosi del fatto che l’amministrazione non abbia valutato, nell’adottare l’ordinanza di demolizione, che l’eliminazione delle maggiori superfici realizzate non potrebbe avvenire senza arrecare pregiudizio alle parti regolarmente assentite, né considerato che non si saprebbe cosa demolire nel caso in cui (come per il deposito di biomasse) le superfici realizzate sarebbero inferiori a quelle assentite.

La doglianza non può essere accolta, dato che, come correttamente rileva il Comune resistente, la valutazione della possibilità o meno del ripristino dello stato dei luoghi deve essere compiuta, ad opera dell'ufficio tecnico comunale, in sede di esecuzione dell'ingiunzione, cioè quando il soggetto privato non ha ottemperato spontaneamente alla demolizione e l'organo competente emana l'ordine (questa volta non indirizzato all'autore dell'abuso, ma agli uffici e relativi dipendenti dell'amministrazione competenti e/o preposti in materia di sanzioni edilizie) di esecuzione in danno delle ristrutturazioni realizzate in assenza od in totale difformità dal permesso di costruire o delle opere edili costruite in parziale difformità dallo stesso: è solo in tale fase, dunque, che può non ritenersi legittima l'ingiunzione a demolire sprovvista di qualsiasi valutazione, d'ufficio o su richiesta dell'interessato, sull'entità degli abusi commessi e la possibile sostituzione della demolizione con la sanzione pecuniaria, così come previsto dagli artt. 33, co. 2, e 34, co. 2, d.p.r. n. 380/2001 (cfr., ex ceteris, TAR Lazio Roma, sez. I, 4 aprile 2012, n. 3105; TAR Campania Napoli, sez. IV, 12 dicembre 2012, n. 5108).

5. – Per le suddette ragioni il ricorso introduttivo va respinto.

Ne segue il rigetto anche del ricorso, proposto nella forma dei motivi aggiunti, con cui è stato altresì impugnato l’atto di accertamento della inottemperanza all’ordinanza di demolizione, poiché contro lo stesso sono state articolate le medesime censure, fatte valere come causa di invalidità derivata.

6. – La novità di talune delle questioni affrontate giustifica la compensazione integrale delle spese di lite tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe (n. 2069/12), integrato da motivi aggiunti, lo respinge. ---

Spese compensate. ---

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 21 febbraio 2013 con l'intervento dei magistrati:

Carlo D'Alessandro, Presidente

Francesco Guarracino, Consigliere, Estensore

Vincenzo Blanda, Primo Referendario

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 07/06/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)