CEDU DEUXIÈME SECTION sent. 29 ottobre 2013
AFFAIRE VARVARA c. ITALIE

Urbanistica. CEDU e lottizzazione abusiva

Pronuncia in tema di confisca a seguito di lottizzazione abusiva in area sottoposta a vincolo paesaggistico.

 

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TRADUZIONE DELLA PARTE IN DIRITTO

(si ringrazia l'Avv, A. Dello RUSSO)

 

IN DIRITTO



I. VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 7 DELLA CONVENZIONE

44. Il ricorrente denuncia l’illegalità della confisca che ha colpito i suoi beni perché questa sanzione sarebbe stata inflitta in assenza di un giudizio di condanna. Si presume la violazione dell’articolo 7 della Convenzione, che dispone:

«1. Nessuno può essere condannato per un’azione o una omissione che al momento in cui fu commessa non costituisse reato secondo il diritto interno o secondo il diritto internazionale. Non può del pari essere inflitta alcuna pena superiore a quella che era applicabile al momento in cui il reato è stato commesso.

2. Il presente articolo non ostacolerà il rinvio a giudizio e la condanna di una per­sona colpevole d’una azione o d’una omissione che, al momento in cui fu com­messa, era criminale secondo i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili.»

A. Sull’ammissibilità

45. La Corte constata che questo reclamo non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione. Risulta peraltro che non si riscontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene allora dichiararlo ammissibile.

B. Nel merito

1. Argomentazioni del ricorrente

46. Il ricorrente si lamenta di essere stato oggetto di una sanzione penale che è stata applicata nonostante l’assenza di condanna. Egli osserva che nel diritto italiano l’azione penale non può essere perseguita quando un’infrazione penale è prescritta.

Nella fattispecie, secondo il ricorrente, la prescrizione era maturata già nell’agosto 2001. Tuttavia, l’azione legale è proseguita fino al 2008 al solo fine di poter infliggere una pena.

Il ricorrente sottolinea inoltre la disuguaglianza tra le seguenti situazioni.

Normalmente il giudice deve prosciogliere l’accusato ogni volta che c’è insufficienza di prove o in presenza di prove contraddittorie (articolo 530 CPP) o quando l’accusato non può essere ritenuto responsabile al di là di ogni ragionevole dubbio (articolo 533 CPP).

Tuttavia, se l’infrazione è prescritta, il giudice può assolvere nel merito solo se è evidente che l’accusato non ha commesso i fatti o i fatti non sussistono o che i fatti non costituiscono reato o che non rientrano nell’ambito del diritto penale (articolo 129, 2° CPP).

C’è dunque l’inversione dell’onere della prova, nella misura in cui il ricorrente ha dovuto dimostrare l’evidenza della sua innocenza, e questa situazione non è compatibile con le garanzie del processo equo e con la Convenzione.

47. Peraltro, il ricorrente ricorda che il progetto di lottizzazione è stato autorizzato dal Comune di Cassano delle Murge; che ha costruito conformemente ai permessi di costruzione che gli sono stati rilasciati; che ha ricevuto l’assicurazione che il suo progetto era conforme alle disposizioni applicabili. Secondo lui, la condotta delle autorità, che hanno prima autorizzato e persino incoraggiato il progetto di costruzione e che, in seguito, hanno radicalmente cambiato atteggiamento dopo aver permesso il completamento dei lavori, è fortemente criticabile. Infine, il ricorrente precisa che se i suoi vicini hanno deciso di non proseguire col piano di lottizzazione, ciò non ha alcun rapporto con la conformità o meno del piano stesso col diritto nazionale.

2. Argomentazioni del Governo.

48. Il Governo osserva che a seguito dell’accertamento di violazione contenuto nella sentenza Sud Fondi (Sud Fondi srl e altri c. Italia, n. 75909/01, 20 gennaio 2009), la Corte Costituzionale (sentenza n. 239 del 24 luglio 2009) ha affermato che la legge nazionale deve essere interpretata conformemente alla Convenzione e che, secondo i principi stabiliti nella sentenza Sud Fondi, «la confisca non può derivare automaticamente da una lottizzazione abusiva, a prescindere dalla responsabilità dei fatti». Inoltre, la legge n. 102 del 3 agosto 2009 ha introdotto la revoca della confisca e dei criteri di risarcimento per coloro che hanno subito una confisca non giustificata rispetto alla Convenzione.

49. Il governo osserva, poi, che nel diritto italiano la confisca controversa è sempre considerata dalle giurisdizioni come una sanzione amministrativa. Ecco perché il fatto di infliggere questa sanzione nel caso specifico è compatibile con l’articolo 7 della Convenzione. A differenza del caso Sud Fondi, nella fattispecie il ricorrente non è stato assolto nel merito ma ha beneficiato di un non luogo a procedere per prescrizione. Secondo lui, il ricorrente avrebbe potuto rinunciare all’applicazione della prescrizione e chiedere al giudice di decidere ai termini dell’articolo 129 § 2 del codice di procedura penale. In ogni caso, riferendosi alla giurisprudenza della Corte di Cassazione (sentenza n. 5857 del 16 febbraio 2011), il Governo fa osservare che nella fattispecie la prescrizione non era stata acquisita prima dell’inizio dell’azione penale, ciò depone a favore della legittimità della sanzione inflitta. Le opera realizzate contrastavano obiettivamente con le disposizioni di legge; l’infrazione di urbanizzazione abusiva è riscontrabile perché il piano di lottizzazione era abusivo. Secondo il Governo, il ricorrente conosceva l’esistenza delle restrizioni paesaggistiche. I vicini del ricorrente si sarebbero dissociati dal progetto per non essere implicati in una speculazione edilizia. L’articolo 7 della Convenzione non è stato violato perché le disposizioni applicabili erano accessibili e prevedibili. Comportandosi nel modo si è comportato il ricorrente sapeva di esporsi al rischio di subire la confisca dei beni. Questa sanzione era dunque una conseguenza prevedibile.

50. Nel caso in cui la Corte dovesse riscontrare una violazione della Convenzione, il Governo chiede che siano tenute presenti queste argomentazioni ai fini di una equa soddisfazione.

GIUDIZIO DELLA CORTE

A) Applicabilità dell’articolo 7 della Convenzione.

51. La Corte ricorda che, nel caso Sud Fondi (Sud Fondi srl e altri c. Italia, citata), Ella ha affermato che la confisca controversa è da considerarsi a una pena. Pertanto, trova applicazione l’articolo 7 della Convenzione.

B) Principi applicabili.

52. La garanzia che consacra l’articolo 7, elemento essenziale della preminenza del diritto, occupa un posto fondamentale nel sistema di garanzie della Convenzione, come attesta il fatto che l’articolo 15 non autorizza alcuna deroga in tempi di guerra o di altro pericolo pubblico. Come consegue dal suo oggetto e dal suo scopo, bisogna interpretarlo e applicarlo in modo da assicurare un’effettiva protezione contro le persecuzioni, le condanne e le sanzioni arbitrarie (sentenze S.W. c. Regno Unito, 22 novembre 1995, § 34, serie A n. 335-B e C.R. c. Regno Unito del 22 novembre 1995, serie A nn. 335-B e 335-C, § 32).

53. L’articolo 7 § 1 consacra notoriamente il principio di legalità dei delitti e delle pene (nullum crimen, nulla poena sine lege). Se vieta, in particolare, estendere il campo di applicazione delle infrazioni esistenti a dei fatti che, anteriormente, non costituivano infrazione, impone inoltre di non applicare il diritto penale estensivamente a scapito dell’imputato, per esempio per analogia (vedere, tra gli altri, Coëme e altri c. Belgio, nn. 32492/96, 32547/96, 32548/96, 33209/96 e 33210/96, §145, CEDH 2000-VII).

54. Ne consegue che il diritto deve definire chiaramente le infrazioni e le pene che le reprimono (Achour c. Francia [GC], n. 67335/01, § 41, CEDH 2006-IV). Questa condizione è soddisfatta quando l’individuo giudicabile può sapere dal testo della disposizione pertinente e, se necessario, con l'interpretazione che viene data dai tribunali, quali atti e omissioni comporti la sua responsabilità penale.

55. La nozione de «legge» («law») utilizzata nell’articolo 7 corrisponde a quella di «diritto» che compare in altri articoli della Convenzione; essa ingloba il diritto di origine sia legislativo che giurisprudenziale e implica delle condizioni qualitative, in particolare quelle di accessibilità e prevedibilità (Cantoni c. Francia, 15 novembre 1996, § 29, Raccolta delle sentenze e decisioni 1996-V ; S.W., già citato, § 35 ; Kokkinakis c. Grecia, 25 maggio 1993, §§ 40-42, serie A n. 260-A). È anche chiaro che nella formula di una disposizione di legge possa esserci, in qualche ordinamento giuridico di sorta, compreso il diritto penale, inevitabilmente un elemento di interpretazione giudiziaria. Bisognerà sempre chiarire i punti dubbi e adattarsi al mutare delle circostanze. D’altronde è assodato nella tradizione giuridica degli Stati aderenti alla Convenzione che la giurisprudenza, come fonte di diritto, contribuisce necessariamente alla graduale evoluzione del diritto penale. Non si può interpretare l’articolo 7 della Convenzione come qualcosa che vieti il graduale chiarimento delle norme sulla responsabilità penale mediante l’interpretazione giudiziaria da caso a caso, a condizione che il risultato sia coerente con l'essenza del reato e ragionevolmente prevedibile (Streletz, Kessler e Krenz c. Germania [GC], nn. 34044/96, 35532/97 e 44801/98, § 50, CEDH 2001-II).

56. La portata della nozione di prevedibilità dipende in larga misura dal contenuto del testo in questione, dall’ambito che copre come dal numero e dalla qualità dei suoi destinatari. La prevedibilità di una legge non impedisce che la persona interessata sia spinta a ricorrere a delle consulenze per valutare, a un livello ragionevole nelle circostanze del caso di specie, le conseguenze di una determinata azione. Questo è particolarmente vero per gli esperti, abituati a dover dare prova di grande prudenza nell’esercizio del loro mestiere. Così ci si può aspettare da loro che mettano una cura particolare nella valutazione dei rischi connessi (Pessino c. Francia, n. 40403/02, § 33, 10 ottobre 2006).

57. Il compito della Corte è quello di garantire che, quando un imputato ha commesso l’atto che ha dato origine al perseguimento e la condanna, c'era una disposizione legale che rendesse l’atto punibile e che la pena imposta non superi i limiti fissati per questa disposizione (Murphy c. Regno Unito, n. 4681/70, decisione della Commissione, 3 e 4 ottobre 1972, Raccolta di decisioni 43; Coëme e altri, già citato, § 145).

C) L’applicazione di questi principi nel caso in questione

58. La Corte ricorda che nel caso Sud Fondi (Sud Fondi srl e altri c. Italia già citato, §§ 112 e 114), Ella aveva concluso che l’applicazione della confisca a dispetto della decisione di proscioglimento dei richiedenti non aveva base legale ed era arbitraria e violava l’articolo 7 della Convenzione. L’assoluzione era stata pronunciata perché i ricorrenti avevano commesso un errore inevitabile e scusabile nell’interpretazione della legge.

59. Nella fattispecie, il ricorrente ha beneficiato di un non luogo a procedere perché l’infrazione di lottizzazione abusiva era prescritta ed è stata oggetto di una sanzione penale, cioè la confisca delle opere costruite e dei terreni interessanti dal piano di lottizzazione in contestazione. La Corte deve valutare se l’applicazione di tale sanzione è compatibile con l’articolo 7 della Convenzione.

60. In primo luogo, la Corte constata che ai termini della disposizione applicabile (paragrafo 30 qui sopra), la confisca delle opere abusive come anche dei terreni lottizzati abusivamente è autorizzata quando le giurisdizioni penali hanno stabilito con una «decisione definitiva» che la lottizzazione è abusiva. Questo testo non precisa che questa «decisione definitiva» deve essere una sentenza di condanna. Le giurisdizioni nazionali hanno interpretato questa disposizione nel senso che era possibile applicare la sanzione senza condanna a partire dal momento in cui esse hanno considerato che si trattasse di una sanzione amministrativa. La Corte nota a questo proposito che esiste un principio nel diritto nazionale (vedere diritto interno capitoli A. e D.) secondo il quale non si può punire un accusato in assenza di una condanna. In particolare, quando l’infrazione si estingue a causa della prescrizione, non si può infliggere una pena (paragrafo 41 qui sopra). Inoltre, l’interpretazione della disposizione applicabile da parte delle giurisdizioni nazionali è data a scapito dell’imputato.

61. In secondo luogo, la Corte non vede come la punizione di un imputato il cui processo non ha portato a una condanna possa conciliarsi con l’articolo 7 della Convenzione, disposizione che chiarisce il principio di legalità nel diritto penale.

62. Dato che nessuno può essere riconosciuto colpevole di una infrazione non prevista dalla legge, e che nessuno può subire una pena non prevista dalla legge, un primo risultato è, naturalmente, il divieto di giudici nazionali di interpretare estensivamente la legge a scapito dell'imputato, altrimenti costui potrebbe essere punito per un comportamento che non è previsto come infrazione.

63. Un’altra conseguenza di importanza fondamentale scaturisce dal principio di legalità nel diritto penale: il divieto di punire una persona se l’infrazione è stata commessa da un’altra.

64. La Corte ha avuto finora l’opportunità di prendere in esame tale questione attraverso l’articolo 6 § 2 della Convenzione.

65. Nel caso A.P., M.P. et T.P. c. Svizzera, 29 agosto 1997, Raccolta delle sentenze e delle decisioni 1997-V), degli eredi erano stati puniti per degli atti delittuosi commessi dal defunto. La Corte ha stimato che la sanzione penale inflitta agli eredi per una frode fiscale imputata al defunto non si conciliava con una regola fondamentale del diritto penale, secondo la quale la responsabilità penale non sopravvive all’autore dell’atto delittuoso (ibid., § 48). Questo è ciò che il diritto svizzero riconosceva esplicitamente, e la Corte ha affermato che questa regola è richiesta anche per la presunzione d’innocenza consacrata dall’articolo 6 § 2 della Convenzione. Ereditare la colpevolezza del defunto non è compatibile con le norme della giustizia penale in una società retta dalla preminenza del diritto. Questo principio è stato riaffermato nel caso Lagardère (Lagardère c. Francia, n.18851/07, 12 aprile 2012, § 77), in cui la Corte ha rammentato che la regola secondo la quale la responsabilità penale non sopravvive all’autore dell’atto delittuoso è richiesta non solo per la presunzione d’innocenza consacrata nell’articolo 6 § 2 della Convenzione, ma inoltre che ereditare la colpevolezza del defunto non è compatibile con le norme della giustizia penale in una società retta dalla preminenza del diritto.

66. Data la connessione tra gli articoli 6 § 2 e 7 § 1 della Convenzione (Guzzardi c. Italia, 6 novembre 1980, § 100, serie A n. 39), la Corte ritiene che la norma appena ricordata è valida anche ai sensi dell’articolo 7 della Convenzione, che impone di escludere che nel diritto penale si possa rispondere delle altrui azioni. Infatti, se è vero che ogni persona deve poter stabilire in ogni momento ciò che è permesso e ciò che è vietato tenendo conto di leggi precise e chiare, non si può concepire allora un sistema che punisca coloro che non sono responsabili, per via della colpa di un terzo.

67. Non si può concepire un sistema in cui una persona dichiarata innocente o, in ogni caso, senza alcun grado di responsabilità penale registrato in una condanna incorra in una sanzione. È una terza conseguenza del principio di legalità nel diritto penale: il divieto di infliggere una pena senza accertamento di responsabilità, anch’esso derivante dall’articolo 7 della Convenzione.

68. Anche questo principio è stato ribadito dalla Corte ai sensi dell’articolo 6 § 2 della Convenzione. Nel caso Geerings (Geerings c. Pays-Bas, n. 30810/03, § 47, 1° marzo 2007), i tribunali nazionali avevano confiscato i beni dell’imputato perché avevano ritenuto che costui avesse tratto profitto dal crimine in questione anche se il ricorrente non era mai stato trovato in possesso di beni di cui non era stato capace di spiegare l’origine. La Corte aveva ritenuto che la confisca dei «benefici ottenuti illegalmente» fosse una misura inappropriata tanto più che l’imputato non era mai stato dichiarato colpevole del crimine e che non si era mai potuto stabilire che costui avesse tratto profitto da questo crimine. La Corte aveva ritenuto che questa situazione non poteva essere compatibile con la presunzione d’innocenza e si era pronunciato per la violazione dell’articolo 6 § 2 della Convenzione.

69. La connessione dell’articolo 5 § 1 a) con gli articoli 6 § 2 e 7 § 1 mostra che ai fini della Convenzione non ci può essere «condanna» senza l’accertamento legale di una infrazione – penale o, all’occorrenza, disciplinare (Engel e altri c. Paesi Bassi, 8 giugno 1976, § 68, serie A n. 22; Guzzardi c. Italia, 6 novembre 1980, § 100, serie A n. 39). Allo stesso modo, non ci può essere pena senza l’accertamento di una responsabilità personale.

70. Certo, gli Stati contraenti sono liberi in linea di principio di reprimere penalmente un atto compiuto al di fuori dell’esercizio normale di uno dei diritti tutelati dalla Convenzione e, pertanto, di definire gli elementi di tale reato. Possono segnatamente, sempre in linea di principio e a determinate condizioni, rendere punibile un fatto materiale od oggettivo considerato in se stesso, che derivi o no da un’intenzione delittuosa o da una negligenza; le loro rispettive legislazioni ne offrono degli esempi (Salabiaku c. Francia, 7 ottobre 1988, serie A n. 141, § 27). Lo stesso principio è stato affermato nel caso Janosevic c. Svezia (n. 34619/97, 23 luglio 2002, § 68) in cui la Corte ha aggiunto che «l’assenza di elementi soggettivi non priva necessariamente un’infrazione del suo carattere penale; infatti, le legislazioni degli Stati contraenti offrono degli esempi di infrazioni penali fondati unicamente su degli elementi oggettivi». L’articolo 7 della Convenzione non richiede espressamente un «nesso psicologico» o «intellettuale» o «morale» tra l’elemento materiale dell’infrazione e la persona che ne è considerata l’autrice. La Corte d’altronde ha recentemente deciso per la non-violazione dell’articolo 7 in un caso in cui un’ammenda penale era stata inflitta a una parte ricorrente che aveva commesso un’infrazione accertata senza intenzione o colpa da parte sua (Valico S.r.l. c. Italia (dec.), n. 70074/01, CEDH 2006-III). L’accertamento di responsabilità era sufficiente per giustificare l’applicazione della sanzione.

71. La logica della «pena» e della «punizione», e la nozione di «guilty» (colpevole, nella versione inglese) e la corrispondente nozione di «personne coupable» (persona colpevole, nella versione francese), parteggiano per un’interpretazione dell’articolo 7 che esige, per punire, una dichiarazione di responsabilità da parte delle giurisdizioni nazionali, che possa imputare l’infrazione e infliggere la pena al suo autore. In mancanza di ciò, la punizione non avrebbe senso (Sud Fondi e altri, precitato, § 116). Sarebbe infatti incoerente esigere, da una parte, una base legale accessibile e prevedibile e permettere, dall’altra, una punizione quando, come nella fattispecie, l’imputato non è stato condannato.

72. Nel presente caso la sanzione penale inflitta al ricorrente, mentre l’infrazione penale è estinta e la sua responsabilità non è stata registrata in un giudizio di condanna, non si concilia con i principi di legalità penale che la Corte deve spiegare e che sono parte integrante del principio di legalità che l’articolo 7 della Convenzione ordina di osservare. Pertanto, la sanzione controversa non è prevista dalla legge ai sensi dell’articolo 7 della Convenzione ed è arbitraria.

73. Quindi, c’è stata violazione dell’articolo 7 della Convenzione.

 

II. VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 2 DELLA CONVENZIONE

74. Il ricorrente sostiene che la confisca che gli è stata inflitta a dispetto della decisione di non luogo a procedere abbia ignorato il principio di presunzione d’innocenza, come previsto dall’articolo 6 § 2 della Convenzione, così formulato: «2. Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata».

75. Il Governo si oppone a questo argomento.

76. La Corte rileva che questa denuncia è legata a quella esaminata qui sopra e deve essere allo stesso modo dichiarata ricevibile.

77. Ella nota poi che questa denuncia è strettamente legata ai fatti che l’hanno portata a pronunciarsi per una violazione dell’articolo 7 della Convenzione. In queste condizioni, la Corte ritiene che non vi è alcuna necessità di esaminare separatamente la denuncia di violazione di questa disposizione.



III. VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1

78. Il ricorrente lamenta l'illegittimità e il carattere sproporzionato della confisca che ha colpito i suoi beni. Denuncia la violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, che dispone così nella parte pertinente: «Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale. Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l‘uso dei beni in modo conforme all‘interesse generale (...).»

79. Il Governo si oppone a questo argomento.

A. Sulla ricevibilità

80. La Corte constata che questa denuncia non è manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione. La Corte rileva d’altronde che non si riscontra nessun motivo di inammissibilità. Ritiene dunque di dichiararla ammissibile.

B. Sul merito

1. Argomento delle parti

81. Il ricorrente ribadisce sostanzialmente le argomentazioni sollevate nel contesto dell'articolo 7 e chiede alla Corte di constatare una violazione di questa disposizione. Si rileva inoltre che la sanzione contestata è sproporzionata, in quanto il 90% dei terreni confiscati non è edificato.

82. Il Governo contesta questo argomento. Secondo Lui, le condizioni di legalità e di proporzionalità sono rispettati, in quanto lo scopo deterrente della confisca la rende proporzionata anche se riguarda tutto il territorio circostante e non solo gli edifici. Il Governo chiede alla Corte di prendere in considerazione questi argomenti ai fini di una equa soddisfazione se dovesse trovare una violazione della Convenzione.

GIUDIZIO DELLA CORTE.

a) Sull’applicabilità dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.

83. Come già affermato nel caso Sud Fondi (precitato, §§ 125, 129), la confisca dei terreni e degli edifici controversi dei quali i ricorrenti erano proprietari ha costituito un’ingerenza nel godimento del loro diritto al rispetto dei beni. Si deve concludere che l’articolo 1 del Protocollo n. 1 si applica. La questione è se questa situazione è coperta dalla prima o dalla seconda norma di questa disposizione.

L’articolo 1 del Protocollo n. 1 comprende tre norme distinte: la prima, che si esprime nella prima frase del primo comma, è di carattere generale ed enuncia il principio del rispetto per la proprietà; la seconda contenuta nella seconda frase lo stesso comma, concerne la privazione della proprietà e la sottopone a certe condizioni; la terza, contenuta nel secondo comma, riconosce che gli Stati contraenti hanno il diritto, tra l'altro, di controllare l'uso dei beni in modo conforme all'interesse generale. Non si tratta per questo di regole sprovviste di legame tra di loro. La seconda e la terza regola riguardano casi particolari di interferenza con il diritto di proprietà, quindi, devono essere interpretate alla luce del principio enunciato nel primo (vedere, tra gli altri, James e altri c. Regno Unito, 21 febbraio 1986, § 37, serie A n. 98, e Iatridis c. Grecia [GC], n. 31107/96, § 55, CEDH 1999-II).

Nel caso Sud Fondi (precitata, §§ 128-129), la Corte ha affermato:

«128. La Corte nota che il caso presente si differenzia dal caso Agosi c. Regno Unito (sentenza del 24 ottobre 1986, serie A n.108), in cui la confisca è stata ordinata rispetto ai beni che costituivano l’oggetto dell’infrazione (objectum sceleris), in seguito alla condanna degli imputati, perché nella fattispecie la confisca è stata ordinata in seguito a un proscioglimento. Per la stessa ragione, il caso presente si distingue da C.M. c. Francia ([dec.], n. 28078/95, CEDH 2001-VII) o da Air Canada c. Regno Unito (sentenza del 5 maggio 1995, serie A n. 316-A), in cui la confisca, ordinata dopo la condanna degli accusati, aveva colpito dei beni che erano l’instrumentum sceleris e che erano in possesso di terzi. Si trattava dei proventi di un’attività criminale (productum sceleris), la Corte ricorda di aver esaminato un caso in cui la confisca era seguita alla condanna del ricorrente (vedere Phillips c. Regno Unito, n. 41087/98, §§ 9-18, ECHR 2001-VII) come anche dei casi nei quali la confisca era stata ordinata indipendentemente dall’esistenza di una qualsiasi procedura penale, perché si presumeva che il patrimonio dei ricorrenti fosse di origine illecita (vedere Riela e altri c. Italia (dec.), n. 52439/99, 4 settembre 2001; Arcuri e altri c. Italia (dec.), n. 52024/99, 5 luglio 2001; Raimondo c. Italia, 22 febbraio 1994, serie A n. 281-A, § 29) o fosse utilizzato per attività illecite (Butler c. Regno Unito (dec.) n. 41661/98, 27 giugno 2002). Nel primo caso succitato, la Corte ha affermato che la confisca costituiva una pena ai sensi del secondo paragrafo dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 (Phillips, sentenza precitata, § 51, e, mutatis mutandis, Welch c. Regno Unito, 9 febbraio 1995, serie A n. 307-A, § 35), mentre negli altri casi ha ritenuto che si trattasse della regolamentazione dell’uso dei beni.

129. Nel caso di specie, la Corte stima che non è necessario determinare se la confisca rientra nella prima o nella seconda categoria, perché in ogni caso si applica il secondo paragrafo dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 (Frizen c. Russia, n. 58254/00, § 31, 24 marzo 2005).»

Come nel caso Sud Fondi (precitata, § 129), la Corte ritiene che non è necessario determinare se la confisca rientri nella prima o nella seconda categoria, perché in ogni caso si applica il secondo paragrafo dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.

b) Sull’osservazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.

84. La Corte ricorda che l’articolo 1 del Protocollo n. 1 esige, prima di tutto e soprattutto, che un’ingerenza dell’autorità pubblica nel godimento del diritto al rispetto dei beni sia legale: la seconda frase del primo comma di questo articolo autorizza una privazione della proprietà solo «nelle condizioni previste dalla legge»; il secondo comma riconosce agli Stati il diritto di regolamentare l’uso dei beni facendo entrare in vigore delle «leggi». In più, la preminenza del diritto, uno dei principi fondamentali di una società democratica, è inerente all’insieme degli articoli della Convenzione (Iatridis c. Grecia [GC], n. 31107/96, § 58, CEDH 1999-II; Amuur c. France, 25 giugno1996, § 50, Raccolta 1996-III). Ne segue che la necessità di capire se sia stato mantenuto un giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo (Sporrong e Lönnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, § 69, serie A n. 52; ex re della Grecia e altri c. Grecia [GC], n. 25701/94, § 89, CEDH 2000-XII) si può far sentire solo quando si accerta che l’ingerenza controversa abbia rispettato il principio della legalità e non sia arbitrario.

85. La Corte ha rilevato che il reato in relazione al quale la confisca è stata inflitta al ricorrente non era prevista dalla legge ai sensi dell’articolo 7 della Convenzione ed era arbitraria (paragrafi 72-73 qui sopra). Questa conclusione induce ad affermare che l’ingerenza nel diritto al rispetto dei beni del ricorrente era contraria al principio di legalità ed era arbitraria e che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1. Questa conclusione dispensa la Corte dal ricercare se c’è stata rottura del giusto equilibrio.