Cass. Sez. III n. 39513 del 19 ottobre 2022 (UP 29 set 2022)
Pres. Ramacci Est. Gai Ric. Palmieri
Acque.Acque meteoriche da dilavamento

In tema di tutela penale dall'inquinamento, le acque meteoriche da dilavamento sono costituite dalle sole acque piovane che, cadendo al suolo, non subiscono contaminazioni con sostanze o materiali inquinanti, poiché, altrimenti, esse vanno qualificate come reflui industriali ex art. 74, comma 1, lett. h), d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152


RITENUTO IN FATTO

1. Palmieri Silvano ricorre per l’annullamento della sentenza, in data 18 marzo 2021, del Tribunale di Cassino che lo aveva condannato, alla pena sospesa subordinata al ripristino e bonifica dello stato dei luoghi, di € 1.000,00 di ammenda, perché ritenuto responsabile di cui al reato di cui all’art. 137 commi 1 e 9, in relazione all’art. 113 comma 3 del d.lgs n. 152 del 2006. Fatto accertato il 27/10/2015.  

2. Deduce il ricorrente i seguenti motivi di ricorso.
-Violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod.proc.pen. in relazione all’insussistenza dell’elemento oggettivo del reato. Genericità del capo di imputazione che non contiene la disposizione di legge regionale violata. L’autorizzazione per lo scarico sarebbe necessaria solo per il deposito di veicoli “fuori uso”, circostanza non dimostrata in sentenza.
-Violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod.proc.pen. in relazione all’affermazione della responsabilità per fatto commesso da altri ovvero da Treglia Gianpaolo, socio della Palmieri&Treglia srl, società che gestisce un deposito giudiziario, che si occupa della gestione sociale, mentre il Palmieri si occupa del soccorso stradale.
- Violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. e) cod.proc.pen. in relazione alla carenza assoluta di motivazione per l’affermazione della responsabilità penale.
- Violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod.proc.pen. in relazione alla mancata applicazione dell’art. 131 bis cod.pen.
- Declaratoria di prescrizione del reato commesso nell’ottobre 2015.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. I primi tre motivi, che possono essere trattati congiuntamente tenuto conto che attengono a diversi profili dell’affermazione di responsabilità, sono inammissibili perché manifestamente infondati sulla base delle seguenti ragioni.
3.1 Quanto alla censura svolta nel primo motivo, osserva, il Collegio, che occorre muovere dalla contestazione elevata al ricorrente, ovvero la violazione dell’art. 137 commi 1 e 9 del d.lgs n. 152 del 2006 che, al comma 9, così recita «Chiunque non ottempera alla disciplina dettata dalle regioni ai sensi dell'articolo 113, comma 3, è punito con le sanzioni di cui all'articolo 137, comma 1».
Il d.Lgs n. 152 del 2006, all’art. 113 assegna le competenze sulle acque meteoriche e di dilavamento alle regioni prevedendo, in specifici casi, l’obbligo di autorizzazione per gli scarichi di acque meteoriche, la separazione e lo specifico trattamento delle acque di prima pioggia derivanti da superfici potenzialmente contaminate.
La condotta contestata al ricorrente, tenuto conto del luogo del commesso reato (Cassino) è, dunque, quella relativa alla mancata ottemperanza alla disciplina regionale adottata dalla Regione Lazio con la Delibera di Giunta Regionale n. 266 del 2 maggio 2006, Piano di Tutela delle Acque Regionali, approvato con Delibera del Consiglio regionale n. 42 del 27 settembre 2007, aggiornato al 23 novembre 2018, che detta disposizioni normative di base regionale che disciplinano la gestione delle acque di prima pioggia.
Date queste premesse, risulta manifestamente infondato il primo motivo di ricorso in quanto, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, la contestazione non va riferita soltanto al capo di imputazione in senso stretto, ma anche a tutti quegli atti che, inseriti nel fascicolo processuale, pongono l'imputato in condizione di conoscere in modo ampio l'addebito, e ciò in quanto si verte in tema di esercizio del diritto di difesa che costituisce il metro di giudizio per la valutazione della genericità del capo di imputazione (Sez. 5, n. 10033 del 19/01/2017, Ionghà, Rv. 269455 – 01; Sez. 2, n. 2741 del 11/12/2015, Ferrante, Rv. 265825 – 01). L’indicazione della norma violata, ovvero la legge regionale Lazio sopra citata, era ricavabile dagli atti, tenuto conto del luogo del commesso reato, e l’omessa indicazione non ha leso l’esercizio dei diritti della difesa, prova ne è che il ricorrente richiama il contenuto delle fonti normative regionali nel ricorso.
3.2. In secondo luogo, per quanto rileva in relazione ai restanti motivi sull’affermazione della responsabilità penale, viene in rilievo l’art. 30 (ex art. 24) (Acque di prima pioggia, acque meteoriche e di lavaggio di aree esterne) prevede che:
«1. Sono considerate acque di prima pioggia le prime acque meteoriche di dilavamento relative ad ogni evento meteorico preceduto da almeno 48 ore di tempo asciutto, per un’altezza di 5 mm di precipitazione uniformemente distribuita sull’intera superficie scolante servita dalla rete di drenaggio. I coefficienti di afflusso alla rete si assumono pari ad 1 per le superfici coperte, lastricate od impermeabilizzate e a 0,3 per quelle semi-permeabili di qualsiasi tipo, escludendo dal computo le superfici a verde.
2. Gli apporti meteorici successivi alle portate di prima pioggia potranno essere scaricati direttamente nel corpo idrico salvo che il rischio di dilavamento di inquinanti connesso con le attività esercitate non si esaurisca con le acque di prima pioggia.
3. Ai sensi del comma 3 dell’articolo 113 del d.lgs. 152/2006 e della deliberazione della Giunta regionale 219/2011, le acque di lavaggio e di prima pioggia dei piazzali e aree esterne industriali dove avvengano lavorazioni, lavaggi, accumulo e trasferenza di materiali o semilavorati, di attrezzature o automezzi o vi siano depositi di materiali, materie prime, prodotti, ecc., devono essere convogliate e opportunamente trattate, prima dello scarico nel corpo ricettore, con sistemi di depurazione chimici, fisici, biologici o combinati, a seconda della tipologia delle sostanze presenti.
4. Detti scarichi devono essere autorizzati dall’autorità competente e le emissioni devono rispettare i limiti previsti dalle tabelle 3 e 4 dell’allegato 5 alla parte III del d.lgs. 152/2006.
5. Le lavorazioni o il deposito di materiali o semilavorati, di attrezzature o automezzi o depositi di materie prime, prodotti, ecc. devono avvenire in piazzali impermeabili e dotati di sistemi di raccolta delle acque.
6. Le lavorazioni o i depositi di materiali inerti o di materiali naturali, quali ad esempio: materiali da costruzione, mattonelle, ceramiche, manufatti di cemento, calce e gesso; vetro non contaminato, minerali e materiali da cava, terre, argille, ghiaie, sabbie, limi, legname di vario genere, possono essere stoccati su aree non impermeabilizzate e sono esclusi da quanto previsto nei commi precedenti.
7. L’esenzione all’autorizzazione allo scarico e all’opportuno trattamento dei reflui, per la suddetta tipologia di materiali, decade nel caso in cui l’impresa abbia realizzato comunque una pavimentazione impermeabile del piazzale e quindi convogliato i reflui.
8. Sono esentate dalle prescrizioni di cui ai commi precedenti le attività di distribuzione dei carburanti esistenti le cui aree esterne siano inferiori a 300 m2 e sia dimostrata da una relazione tecnica l’impossibilità di provvedere altrimenti».

Per quanto qui di rilievo, deve ancora richiamarsi la circolare della Direzione centrale del demanio, in data 8 marzo 2000, prot. n. 15362, che ha per oggetto i requisiti oggettivi delle depositerie giudiziarie, e precisa che l’area deve essere ricoperta di semplice ghiaia e non di asfalto. Ma se, invece, i veicoli depositati sono fuori uso, l’impermeabilizzazione del sito a protezione del suolo e delle acque sotterranee è obbligatoria. Del resto, ciò risulta dalla fonte normativa sopra richiamata.
In materia , la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente affermato che in tema di tutela penale dall'inquinamento, le acque meteoriche da dilavamento sono costituite dalle sole acque piovane che, cadendo al suolo, non subiscono contaminazioni con sostanze o materiali inquinanti, poiché, altrimenti, esse vanno qualificate come reflui industriali ex art. 74, comma 1, lett. h), d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Sez. 3, n. 6260 del 05/10/2018, Galletti, Rv. 274857 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 2832 del 02/10/2014, Mele, Rv. 263173 - 01).
Dunque, non è richiesta l’autorizzazione per lo scarico delle acque pluviali non contaminate per le aree adibite a solo deposito di veicoli, ma, invece, è necessaria la specifica autorizzazione di refluo industriale, per i piazzali di veicoli fuori uso, data la possibile contaminazione, con anche la previsione di una pavimentazione impermeabilizzante.
3.4. Tutto ciò premesso, dalla sentenza impugnata, con accertamento di fatto non qui rivisitabile, risulta che, ferma l’assenza di autorizzazione allo scarico, l’area in questione, adibita a deposito giudiziario di autoveicoli, era composta da terra e brecciosa senza alcuna impermeabilizzazione (cfr. pag. 3) e su questa erano depositate auto da riparare e auto proveniente dall’attività di soccorso stradale esercitata dal ricorrente potenzialmente in grado di inquinare con le acque meteoriche di dilavamento (cfr. pag. 6). Non solo il ricorrente non aveva l’autorizzazione allo scarico necessaria, tenuto conto di quanto depositato, ma neppure aveva impermeabilizzato l’area.
Quanto al profilo soggettivo è sufficiente richiamare il disposto dell’art. 2475 cod. civ., che prevede che, salva diversa disposizione dello statuto, l’amministrazione delle società a responsabilità limitata è affidata ai soci che la esercitano in modo disgiuntivo, da cui la corretta attribuzione del fatto al ricorrente, socio amministratore della società senza l’allegazione di diversa previsione contenuta nello statuto.
La motivazione appare del tutto congrua e corretta in diritto a fronte della quale il ricorrente da un lato contesta la circostanza fattuale che erano depositate “auto fuori uso” e ciò in contrasto con la stessa linea difensiva del ricorrente che sostiene di svolgere unicamente l’attività di soccorso.
4. È viceversa fondato il quarto motivo di ricorso. Il ricorrente aveva chiesto, in sede di conclusioni, l’applicazione della causa di non punibilità ex art. 131 bis cod.pen. e sulla richiesta il giudice non ha risposto.
La sentenza va, pertanto, annullata.
L’annullamento va disposto senza rinvio poiché nelle more il reato contravvenzionale si è prescritto.
Questa Corte ha già affermato che la particolare tenuità del fatto costituisce una causa di non punibilità atipica (Sez. 3, n. 21014 del 07/05/2015, Fregolent) per gli effetti negativi che produce per l'imputato (anzitutto la possibile rilevanza nei giudizi civili ed amministrativi ed, ancora, l'iscrizione del provvedimento nel casellario giudiziale) e la sua applicazione presuppone, tra l'altro, l'accertamento della responsabilità penale ossia l'accertamento dell'esistenza del reato e della sua attribuibilità all'imputato. E ciò spiega la ragione per la quale la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione prevale sull'esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all'art. 131-bis cod. pen., sia perché diverse sono le conseguenze che scaturiscono dai due istituti, sia perché il primo di essi estingue il reato, mentre il secondo lascia inalterato l'illecito penale nella sua materialità storica e giuridica (Sez. 3, n. 27055 del 26/05/2015, P.C. in proc. Sorbara, Rv. 263885).
Perciò, la questione del concorso tra le due cause di estinzione del reato e non punibilità può porsi solo quando le stesse siano entrambe contemporaneamente applicabili "in partenza", con la conseguenza che - quando, come nella specie, la Corte di cassazione rileva che è maturata la prescrizione del reato, la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione prevale sull’annullamento con rinvio al fine di verificare i presupposti per l’applicazione della causa di non punibilità.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso il 29/09/2022