Cass. Sez. III n. 27670 del 28 luglio 2025 (UP 2 lug 2025)
Pres. Ramacci Rel. Scarcella Ric. Vinaccia
Acque.Autorizzazione allo scarico e necessità di provvedimento espresso

L'art. 124, comma 8, d.lv. 152\2006 non consente di mantenere provvisoriamente uno scarico in una situazione nella quale il titolare è consapevole del fatto che gli enti competenti non abbiano ancora assunto il necessario provvedimento espresso (non essendo applicabile in tale materia il principio del silenzio – assenso. L’art. 20 della legge n. 241 del 1990 esclude il silenzio assenso per i procedimenti in materia ambientale, l’autorizzazione agli scarichi deve formare oggetto di provvedimento necessariamente espresso, non altrimenti surrogabile mediante modelli di semplificazione amministrativa quali l’acquisizione tacita dell’assenso

RITENUTO IN FATTO 

1. Con sentenza del 16 settembre 2024, il tribunale di Latina dichiarava Ferdinando Vinaccia colpevole dei reati di cui all’art. 137, comma 1, D. lgs. n. 152 del 2006 (capo a), all’art. 137, comma 9, D. lgs. n. 152 del 2006 (capo b) nonché all’art. 256, comma 2, D. lgs. n. 152 del 2006 (capo c), contestati come commessi secondo le modalità esecutive e spazio – temporali meglio descritte in rubrica, e condannato alla pena di euro 5.000,00 di ammenda, ritenuta la continuazione tra gli stessi, con il riconoscimento dei doppi benefici di legge.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto appello, convertito in ricorso per cassazione, Ferdinando Vinaccia a mezzo del difensore di fiducia, articolando quattro motivi, di seguito sommariamente enunciati ex art. 173, disp. att. cod. proc. pen. nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Deduce, con il primo motivo, l’errata valutazione del fatto contestato nella ricostruzione degli eventi.
In sintesi, si contesta il giudizio del tribunale che ha ritenuto responsabile l'imputato per avere effettuato attività di scarico non autorizzato di acque reflue industriali risultanti dal lavaggio degli agrumi commercializzati dalla ditta, su canale confinante, e per aver scaricato anche le acque di prima pioggia risultanti dalla percolazione attraverso un cumulo di rifiuti organici depositati in modo incontrollato, il tutto in assenza delle necessarie autorizzazioni. Secondo la difesa, sarebbe erronea e fuorviata la qualificazione giuridica del fatto, in quanto l'accaduto si è sostanziato in realtà nel mancato ottenimento da parte del ricorrente di autorizzazioni dal medesimo tempestivamente richieste presso gli enti pubblici competenti, più volte sollecitato. L'ipotesi di reato attiene infatti ad una richiesta di autorizzazione unica ambientale presentata dalla ditta unipersonale denominata “La Costiera di Vignaccia Ferdinando” nel mese di giugno 2016. A tale istanza, gestita a livello amministrativo dalla provincia di competenza per il tramite del Comune di appartenenza, ossia il Comune di Fondi, veniva allegata l'autorizzazione allo scarico delle acque reflue rilasciata in favore della società ricorrente in data 20 maggio 2013. Successivamente, l'11 novembre 2016 lo sportello unico delle attività produttive (SUAP) trasmetteva, ad integrazione della documentazione allegata alla richiesta AUA, il nulla osta acustico.
Successivamente, il 20 marzo 2017, ancor prima della naturale scadenza dell'autorizzazione allo scarico delle acque reflue, l'azienda aveva inoltrato motivate istanze di proroga della stessa autorizzazione, evidenziando come il programmato ampliamento dell'impianto produttivo in fase di istruttoria presso l’ente comunale prevedesse, tra l'altro, una modifica dell'impianto di depurazione esistente in vista dell'aumento del numero di utenti finali che sarebbero passati da 19 ad un numero variabile compreso tra le 50 e le 300 unità. Tale istanza era rimasta tuttavia senza alcun esito, tant'è che la provincia di Latina aveva omesso qualsivoglia risposta, tanto da far presagire un silenzio accoglimento. Nelle more, l'11 settembre 2019, la polizia giudiziaria aveva eseguito un accesso presso l'azienda del ricorrente riscontrando in quella sede l'assenza di autorizzazione per la gestione degli scarichi e impartendo conseguentemente le prescrizioni di legge.
Secondo la difesa, solo a seguito di tale accertamento il ricorrente aveva appreso dell'assenza delle predette autorizzazioni amministrative, avendo delegato all’uopo un proprio tecnico, il quale si mobilitava, su richiesta dello stesso ricorrente, per comprendere le ragioni del mancato rilascio. Il 24 aprile 2019, il ricorrente aveva inviato tramite il proprio tecnico una richiesta di appuntamento volto a sollecitare l'esame istruttorio dell'istanza di rilascio dell'autorizzazione. Solo a seguito di tale ultimo sollecito il ricorrente otteneva la trasmissione il 31 dicembre 2019 ad opera del Comune di Fondi di un preavviso di diniego predisposto dalla provincia di Latina il 4 ottobre 2019, nel quale veniva richiamata una precedente comunicazione del 22 febbraio 2017 che non sarebbe mai stata notificata al ricorrente e di cui l'imputato non avrebbe mai avuto notizia. La nota del 22 febbraio 2017, peraltro antecedente rispetto alla richiesta di proroga formulata dal ricorrente il 20 marzo 2017, era rimasta senza alcun riscontro.
Successivamente, il 9 gennaio 2020 il ricorrente a mezzo del proprio tecnico riscontrava il preavviso di diniego di cui sopra, originato presumibilmente da una inadempienza dell'ufficio dello sportello unico delle attività produttive del Comune di Fondi, che aveva omesso di notificare la corrispondenza della provincia di Latina del 22 febbraio 2017, avviando immediatamente le procedure di ottemperanza per adeguare gli impianti di depurazione delle acque reflue, trasmettendo una CILA corredata da relativa documentazione progettuale anch'essa depositata nel corso del giudizio di primo grado. In data 12 ottobre 2020 il settore ambiente del Comune di Fondi prendeva atto dell'immediata ottemperanza della ditta del ricorrente dandone immediata comunicazione alla provincia di Latina. Al termine dei lavori di adeguamento degli impianti, il Comune rilasciava l'autorizzazione allo scarico per il trattamento delle acque reflue domestiche per subirrigazione, autorizzazione che era peraltro subordinata a condizioni. Successivamente, con una nota dell'8 settembre 2020 l'azienda del ricorrente trasmetteva alla provincia di Latina l'autorizzazione allo scarico per subirrigazione ad integrazione della documentazione, nota che rimaneva priva di riscontro, tant'è che nessuno degli enti coinvolti aveva mai più comunicato nulla al ricorrente. Nonostante il mancato riscontro, il 12 novembre 2020 il ricorrente aveva inviato al comando dei carabinieri una nota, da lui sottoscritta unitamente al proprio tecnico, in cui aveva ripercorso cronologicamente i predetti accadimenti ed attraverso cui chiedeva al Comando di intercedere presso gli enti interessati al fine di consentire all'azienda di poter ricevere delle chiare e tempestive indicazioni in merito alle modalità e ai tempi per la definizione dell'iter per l'ottenimento dell'autorizzazione unica ambientale. In risposta, il 18 dicembre 2020 i carabinieri eseguivano nuovo accesso presso i locali dell'azienda e, riscontrata la mancata ottemperanza alla prescrizione dell'11 settembre 2019, emettevano il verbale summenzionato. Si osserva, tuttavia, come a tale data l'azienda del ricorrente non solo aveva ottenuto l'autorizzazione il 3 settembre 2020 allo scarico delle acque di tipo domestico, ma era in attesa del rilascio dell'autorizzazione relativa alle acque reflue industriali, prima pioggia e di lavaggio dei piazzali, poi effettivamente rilasciata l'11 ottobre 2021. Non sarebbe condivisibile l'assunto del giudice di merito secondo cui il ricorrente avrebbe dovuto, nelle more dell'accoglimento delle proprie tempestive istanze di autorizzazione, sospendere l'attività produttiva, ciò in quanto, ove tale suggerimento fosse stato seguito, l'azienda non esisterebbe più. Non vi sarebbe inoltre alcuna prova del disegno criminoso o di una condotta colposa posta in essere dall'imputato il quale, con gli strumenti a sua disposizione, avrebbe fatto tutto quanto in suo potere per ottenere le autorizzazioni necessarie, sollecitando più volte gli organi competenti ed arrivando addirittura a richiedere l'intercessione dei carabinieri. Difettando, pertanto, gli elementi tipici dei reati contestati, tenuto conto del fatto che il ricorrente si sarebbe adoperato e speso anche durante il periodo pandemico per ottenere le autorizzazioni necessarie allo scarico delle acque, in conformità alle prescrizioni di legge e dell'organo accertatore, i reati non sarebbero configurabili. Il Giudice avrebbe poi errato nella valutazione di quanto riferito dal teste di polizia giudiziaria Onorati nel corso dell'udienza del 25 settembre 2023, il quale aveva riferito di non aver verificato l'esistenza di un impianto di depurazione, di non aver eseguito un prelievo di campioni e di non aver verificato se il lavaggio degli agrumi fosse preceduto da altre e diverse operazioni. Vengono, poi, illustrate una serie di lacune su ciascun capo di imputazione alle pagine 7 ed 8 dell'atto d'appello. In particolare, sul capo a), si sostiene che non sarebbe stato possibile ravvisare la violazione poiché, alla data del 18 dicembre 2020, l'azienda del ricorrente era in possesso delle autorizzazioni allo scarico delle acque di tipo domestico, ed era in attesa della più ampia autorizzazione relativa alle acque reflue industriali, di prima pioggia e di lavaggio dei piazzali, poi effettivamente rilasciata l'11 ottobre 2021 in conformità a quanto esistente al 18 dicembre 2020, difettando pertanto l'elemento oggettivo del reato.
Quanto poi al reato di cui al capo b), il giudice non avrebbe valutato il fatto che nessuna campionatura dei rifiuti sarebbe stata effettuata dagli operanti, essendosi limitati gli stessi ad un'indagine oggettiva e descrittiva dei luoghi, sicché nessuna violazione sarebbe avvenuta, trattandosi di collocazione temporanea dei cassoni, mancando l'accertamento dell'inquinamento da acque meteoriche con conseguente carenza di prova dell’elemento oggettivo del reato. Quanto infine al capo c), il giudice non avrebbe valutato che nessuna prova sarebbe stata raggiunta sul deposito incontrollato dei rifiuti posto che il teste accertatore nulla aveva riferito sull’obiettiva trascuratezza ed inerzia della gestione dei rifiuti, limitandosi a descrivere in maniera aprioristica che i rifiuti erano all'interno di cassoni. Si trattava, quindi, di rifiuti gestiti e raccolti in completa regimentazione, in quanto posizionati in un'apposita area in attesa di essere trasportati per lo smaltimento.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, la contraddittorietà della pena e la manifesta illogicità in ordine al trattamento sanzionatorio.
In sintesi, si duole la difesa per avere il giudice fondato il proprio convincimento con riferimento alla pena inflitta sull'esistenza di un unico precedente imputabile al medesimo e risalente al lontano 2009. La pena applicata dal giudice peraltro sarebbe di gran lunga superiore al minimo edittale che ben avrebbe potuto essere riconosciuto considerata la condotta dell'imputato. Il giudice avrebbe completamente omesso di valutare o apprezzare tutti i tentativi posti in essere del ricorrente volti ad ottemperare a quanto a lui impartito.
2.3. Deduce, con il terzo motivo, l’eccessività della pena inflitta in considerazione del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e dell’attenuante comune di cui all’art. 62, n. 6, cod. pen., tenuto conto dell’eccessività del trattamento sanzionatorio.
In sintesi, si sostiene come non corretta è la mancata concessione delle attenuanti comuni e generiche richieste e non applicate; le stesse sarebbero state negate sulla base di un unico precedente penale commesso nel lontano 2009.
2.4. Deduce, con il quarto motivo, l’omessa valutazione del fatto ai sensi dell’art. 131-bis, cod. pen.
In sintesi, si sostiene che ben avrebbe potuto e dovuto il primo giudice, tenuto conto delle modalità della condotta e dell'entità del pericolo nonché dell'assenza conclamata di danno, e considerata la condotta del ricorrente susseguente al reato, escludere la punibilità ai sensi dell'articolo 131-bis cod. pen.
3. In data 16 giugno 2025, il Procuratore generale presso questa Corte ha depositato la propria requisitoria scritta, con richiesta di accogliere il ricorso e annullare con rinvio la sentenza.
Secondo il PG, il primo motivo è inammissibile perché oltre ad essere svolto interamente in fatto, prospetta una tesi del tutto alternativa rispetto a quella sostenuta in sentenza. Gli accertamenti compiuti dalla polizia giudiziaria, in tempi diversi, hanno dimostrato, al di là di ogni ragionevole dubbio, la responsabilità dell’odierno ricorrente per le infrazioni poste in essere alla normativa ambientale.
Anche il motivo che riguarda le attenuanti generiche è inammissibile perché la sentenza motiva sufficientemente al riguardo e le nega alla stregua della condotta complessivamente tenuta dal ricorrente.
Fondato è, invece, il motivo di ricorso riguardante l’art.131-bis cod. pen., perché la motivazione della sentenza è assolutamente carente sul punto e non sembra ricorrano ragioni ostative al riguardo.

CONSIDERATO IN DIRITTO 

1. Il ricorso, trattato cartolarmente in assenza di richieste di discussione orale, è complessivamente infondato.
2. Il primo motivo, ai limiti dell’inammissibilità in quanto svolto secondo la tipica struttura dell’impugnazione di merito, trattandosi infatti di appello convertito in ricorso per cassazione attesa l’inappellabilità della sentenza di condanna alla sola pena dell’ammenda, è complessivamente infondato.
2.1. Ed invero, il Tribunale dà ampiamente conto nella propria motivazione delle ragioni per le quali tutte le ipotesi di reato erano senz’altro configurabili.
È emerso infatti che in occasione del sopralluogo dell’11 settembre 2019 la polizia giudiziaria aveva accertato che l’azienda del ricorrente, al momento del controllo, era in possesso solo di un’autorizzazione rilasciata nel 2013, scaduta nel 2017. Di tale autorizzazione era stato chiesto il rinnovo, senza aver avuto alcun riscontro. Con nota della provincia di Latina del 15 ottobre 2019 era stato peraltro attestato che l’azienda non disponeva di validi titoli per gli scarichi delle acque domestiche, industriali e di prima pioggia. Le prescrizioni impartire dall’organo di vigilanza non erano state ottemperate dalla ditta del ricorrente, come accertato il 18 dicembre 2020.
2.2. La difesa ha contestato di aver fatto tutto quanto era nelle sue possibilità per ottenere il rinnovo dell’autorizzazione, essendo imputabile il mancato rilascio agli errori ed alle omissioni degli enti preposti.
Tale argomentazione, si noti, è stata oggetto di attenzione da parte del giudice di merito il quale, nella sentenza impugnata, si prende carico di confutare la doglianza difensiva, evidenziando come la circostanza di aver richiesto e non ancora ottenuto la proroga dell’autorizzazione non gli consentiva di continuare nell’esercizio dell’attività, posto che, nell’attesa dell’eventuale proroga, l’imputato avrebbe dovuto interrompere l’attività di scarico delle acque reflue.
È ben vero che al momento del secondo controllo egli era in possesso dell’autorizzazione allo scarico delle acque di tipo domestico, ma è altrettanto indubbio che non fosse in possesso dell’autorizzazione allo scarico delle acque reflue industriali, di prima pioggia e di lavaggio dei piazzali, rilasciata dalla Provincia solo in data 3 agosto 2021. Per tale ragione, precisa il giudice di merito, egli avrebbe dovuto astenersi dall’effettuare gli scarichi non autorizzati, non avendo il successivo rilascio dell’autorizzazione privato di rilevanza penale l’attività pregressa consapevolmente svolta in difetto del titolo autorizzatorio.
2.3. Trattasi di argomentazione che merita censura, prevedendo infatti il comma 8 dell’art. 124, D. lgs. n. 152 del 2006, espressamente che “Lo scarico può essere provvisoriamente mantenuto in funzione nel rispetto delle prescrizioni contenute nella precedente autorizzazione, fino all'adozione di un nuovo provvedimento, se la domanda di rinnovo è stata tempestivamente presentata”.
Nella specie, è emerso che l’azienda del ricorrente aveva presentato in data 20 marzo 2017, istanza di proroga dell’autorizzazione. Risulta, inoltre, che la Provincia di Latina aveva emesso un preavviso di diniego in data 4 ottobre 2019, che richiamava una precedente nota in data 22 febbraio 2017, di cui il ricorrente asseriva di non aver mai avuto notizia, quest’ultima antecedente alla richiesta di proroga.
Tale circostanza, si noti, incide sulla configurabilità del reato, quantomeno sotto il profilo dell’elemento soggettivo, posto che, nel caso di specie, il ricorrente presentando la richiesta di proroga prima della scadenza e non avendo ricevuto la notifica della nota del 22 febbraio 2017, era comunque legittimato a proseguire nell’attività, in quanto ignaro del preavviso di diniego, ed autorizzato ex art. 124, comma 8, D. lgs. n. 152 del 2006, a proseguire nell’attività di scarico “fino all’adozione di un nuovo provvedimento”. Solo in data 11 settembre 2019, in occasione dell’accesso del personale dell’Arma dei carabinieri presso l’Azienda del ricorrente, veniva riscontrata l’assenza dell’autorizzazione, con imposizione di prescrizioni, attivandosi per ottemperarvi. Era poi seguito un carteggio con gli enti competenti, cui aveva fatto seguito anche un’istanza rivolta al comando carabinieri per sollecitare un intervento risolutorio della questione, istanza che aveva provocato un nuovo accesso del 18 dicembre 2020, in occasione del quale era stato riscontrato che l’azienda del ricorrente era in attesa del rilascio dell’autorizzazione relativa allo scarico delle acque reflue industriali, di prima pioggia e di lavaggio dei piazzali, poi effettivamente rilasciata in data 11 ottobre 2021.
2.4. Orbene, a differenza di quanto riscontrato in sede di primo accesso, in cui ben poteva ritenersi incolpevole il comportamento del ricorrente perché non a conoscenza della nota di preavviso di diniego non notificatagli, non altrettanto può dirsi quanto alla condotta successiva alla data del 31 dicembre 2019, data in cui questi aveva avuto contezza della nota del comune di Fondi del preavviso di diniego predisposto dalla provincia di Latina in data 4 ottobre 2019, in cui veniva richiamata la nota del 22 febbraio 2017.
Essendo venuto a conoscenza di tale preavviso, in assenza di provvedimento espresso, e in costanza della non ottemperanza alle prescrizioni impartite dall’organo di vigilanza in data 11 settembre 2019, il ricorrente avrebbe dovuto astenersi dal proseguire nell’attività di scarico, non trovando applicazione il richiamato art. 124, comma 8, non potendo provvisoriamente essere mantenuto lo scarico in una situazione nella quale, peraltro, il ricorrente era ben consapevole del fatto che gli enti competenti non avevano ancora assunto il necessario provvedimento espresso (non essendo applicabile in tale materia il principio del silenzio – assenso: Sez. 3, n. 16001 del 12/02/2003, Frerè, Rv. 224722 – 01, emergendo ciò anche da una lettura dell’art. 20 della legge n. 241 del 1990, nella parte in cui si esclude il silenzio assenso per i procedimenti in materia ambientale, che l’autorizzazione agli scarichi deve formare oggetto di provvedimento necessariamente espresso, non altrimenti surrogabile mediante modelli di semplificazione amministrativa quali l’acquisizione tacita dell’assenso; cfr. Cons. St., sez. 5, n. 11033 del 16 dicembre 2022). Nessun affidamento avrebbe potuto essere riposto nella situazione di fatto, tant’è che era stato lo stesso ricorrente a scrivere il 12 novembre 2020 al comando dei Carabinieri sollecitando un intervento presso gli enti interessati.
Se, dunque, il reato in questione poteva essere ritenuto non configurabile, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, a seguito del primo accesso, non altrettanto poteva affermarsi quantomeno a far data dal 31 dicembre 2019 fino alla data dell’accertamento oggetto di contestazione, individuata nella rubrica nell’11 settembre 2020.
2.5. Quanto, poi, ai reati sub b) e sub c) della rubrica, anzitutto, non ha rilievo la circostanza che non vi fosse l'accertamento dell'inquinamento da acque meteoriche, posto che il reato è configurabile anche in difetto di tale prova, trattandosi di reato di pericolo: la norma intende prevenire il rischio di una concreta offesa all'ambiente da parte dell'esercente un'attività non autorizzata che scarichi in un corpo recettore. Sotto il profilo soggettivo, inoltre, la sentenza puntualizza come il ricorrente fosse assolutamente consapevole del tenore delle prescrizioni assegnategli dell’organo di vigilanza, che, in quanto chiare ed immediate, non potevano lasciar residuare alcun dubbio in merito al contenuto degli obblighi a lui facenti capo.
2.6. Quanto infine al capo c), la doglianza difensiva, non ci confronta con la motivazione della sentenza impugnata, che evidenzia in maniera puntuale come il ricorrente aveva depositato in modo incontrollato rifiuti di varia natura all’interno di cassoni aperti, ove convogliavano acque piovane, provocando un percolato inquinante, in assenza di idonea pavimentazione permeabilizzata.
Non si trattava, quindi, come asserito labialmente dalla difesa, di rifiuti gestiti e raccolti in completa regimentazione, in quanto posizionati in un'apposita area in attesa di essere trasportati per lo smaltimento, ma di rifiuti che, a contatto con le acque piovane, provocavano un percolato inquinante, con conseguente sversamento sul terreno non permeabilizzato.
3. Il secondo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza.
3.1. Il giudice ha determinato la pena base di 3.000,00 euro di ammenda, individuando il reato più grave sub c), tenuto conto del quantitativo dei rifiuti depositati e del pregiudizio ambientale provocato dalla percolazione delle acque piovane attraverso il cumulo di rifiuti.
La motivazione soddisfa, dunque, i criteri dettati dall’art. 133, cod. pen., peraltro dovendosi tener conto della giurisprudenza costante di questa Corte in materia di “medio edittale”, secondo cui in tema di determinazione della pena, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all'art. 133 cod. pen. (tra le tante: Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283 - 01).
3.2. E, alla luce della pena edittale pecuniaria prevista dall’art. 256 citato (l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro, trattandosi di rifiuti non pericolosi), la determinazione della pena in appena 3.000,00 euro, era, all’evidenza, ben al di sotto della media edittale, rendendo quindi del tutto idonea ed adeguata la motivazione sul punto.
4. Il terzo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza.
4.1. Il giudice ha valorizzato l’esistenza di un precedente penale a suo carico risalente al 2008.
Il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, dunque, è stato adeguatamente giustificato, peraltro, in assenza di un’espressa richiesta difensiva, essendosi la stessa limitata ad associarsi alle conclusioni del PM che aveva chiesto l’assoluzione per insussistenza del fatto.
4.2. La giurisprudenza di questa Corte è del resto orientata nel senso di affermare che in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione, nella specie l’esistenza del precedente penale (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269 - 01).
4.3. In ogni caso, merita di essere ribadito che il riconoscimento o il diniego delle circostanze attenuanti generiche costituiscono l'esplicazione di un potere discrezionale del giudice del merito, il quale è obbligato a motivare al riguardo solo quando in relazione ad esse vi sia stata un'espressa istanza con l'indicazione delle ragioni atte a giustificare la particolare benevolenza del giudice (v., ad es.: Sez. 2, n. 4597 del 06/12/1972, dep. 1973, Colombo, Rv. 124315 - 01).
5. Anche il quarto ed ultimo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza.
5.1. Ed invero, l’applicazione della causa speciale di non punibilità di cui all’art. 131-bis, cod. pen., non è automatica, ma presuppone comunque l’assolvimento da parte di chi la invoca di un onere di indicazione degli elementi a sostegno della sua applicabilità.
5.2. Questa Corte ha infatti ripetutamente affermato che in tema di particolare tenuità del fatto, il disposto di cui all'art. 131-bis cod. pen. individua un limite negativo alla punibilità del fatto medesimo la prova della cui ricorrenza è demandata all'imputato, tenuto ad allegare la sussistenza dei relativi presupposti mediante l'indicazione di elementi specifici (da ultimo: Sez. 3, n. 13657 del 16/02/2024, Strongone, Rv. 286101 - 02).
5.3. Nella specie, si rileva, tale onere non è stato assolto, essendosi la difesa in sede di giudizio di merito limitata ad associarsi alle conclusioni del PM che aveva chiesto l’assoluzione per insussistenza del fatto.
6. Al rigetto del ricorso segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 02/07/2025