Consiglio di Stato, comm. spec. n. 859 del 29 marzo 2018
Alimenti.Utilizzo dei sacchetti di plastica monouso in caso di acquisto di frutta e verdura
Fermo restando il primario interesse alla tutela della sicurezza ed igiene degli alimenti, è possibile per i consumatori utilizzare nei soli reparti di vendita a libero servizio (frutta e verdura) sacchetti monouso nuovi dagli stessi acquistati al di fuori degli esercizi commerciali, conformi alla normativa sui materiali a contatto con gli alimenti, senza che gli operatori del settore alimentare possano impedire tale facoltà né l’utilizzo di contenitori alternativi alle buste in plastica, comunque idonei a contenere alimenti quale frutta e verdura, autonomamente reperiti dal consumatore; non può inoltre escludersi, alla luce della normativa vigente, che per talune tipologie di prodotto uno specifico contenitore non sia neppure necessario
Numero 00859/2018 e data 29/03/2018 Spedizione
REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Adunanza della Commissione speciale del 21 marzo 2018
NUMERO AFFARE 00263/2018
OGGETTO:
Ministero della salute - Ufficio Legislativo.
quesiti in merito alle nuove disposizioni in materia di produzione e commercializzazione dei sacchetti per alimenti disponibili a libero servizio, introdotte dall'art. 226-ter del d.lgs. 3 aprile 2006, n.152.;
LA COMMISSIONE SPECIALE del 21 marzo 2018
Vista la relazione del 16 febbraio 2018 con la quale il Ministero della salute ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull'affare consultivo in oggetto;
Esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Giordano Lamberti;
PREMESSO E CONSIDERATO.
1. Premessa.
Nella relazione del 16 febbraio 2018, il Ministero della salute ha rivolto a questo Consiglio un quesito in merito alle nuove disposizioni in materia di produzione e commercializzazione dei sacchetti per alimenti disponibili a libero servizio, introdotte dall’art. 226-ter del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152.
Nella richiesta di parere il Ministero espone che:
- sono pervenute richieste di chiarimenti da privati cittadini, dalle Associazioni di categoria, dal Ministero dello sviluppo economico, dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare in ordine alla recente disciplina contenuta nell’articolo 226-ter del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, frutto dell’entrata in vigore dell’art. 9-bis del d. l. 20 giugno 2017 n. 91, convertito nella legge 3 agosto 2017, n. 123;
- il citato articolo 9-bis è stato introdotto quale disciplina volta alla riduzione dell’utilizzo di borse di plastica in materiale leggero, allo scopo di attuare la direttiva (UE) 2015/720;
- detta norma, tra l’altro, dispone che: “le borse di plastica in materiale ultraleggero non possono essere distribuite a titolo gratuito e a tal fine il prezzo di vendita per singola unità deve risultare dallo scontrino o fattura d’acquisto delle merci o dei prodotti imballati per il loro tramite”;
- i quesiti pervenuti al Ministero istante sono finalizzati, in particolare, a sapere se, e a quali condizioni, il consumatore possa utilizzare borse o contenitori di qualsiasi natura già in suo possesso, in particolare in riferimento agli shoppers, usualmente utilizzati negli esercizi commerciali a libero servizio direttamente dalla clientela per inserirvi gli alimenti da acquistare quali frutta e verdura, i quali, a seguito della nuova disposizione, non possono più essere ceduti a titolo gratuito;
- il Ministero dello sviluppo economico, con circolare del 7 dicembre 2017, ha fornito risposta a una richiesta di parere formulato da Federdistribuzione, ANCC COOP e ANCR Conad, in merito all’obbligo di commercializzazione delle borse in plasticaultraleggere, rilevando che gli shoppers in discorso, allo stato, vengono utilizzati negli esercizi commerciali a libero servizio direttamente dalla clientela per inserirvi gli alimenti da acquistare o forniti dagli addetti alla vendita di alimenti freschi e sfusi, con l’evidente finalità di preservarne l’integrità, la freschezza e la qualità. La stessa circolare ammette, inoltre, la possibilità per la clientela, nei reparti di vendita di alimenti organizzati a libero servizio, di utilizzare gli shoppers in discorso già in suo possesso, salvo diverso avviso del Ministero della salute;
- il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, con circolare 4 gennaio 2018, prot. n. 130, ha evidenziato che qualunque pratica volta a ridurre l’utilizzo di nuove borse di plastica risulta essere indubbiamente virtuosa sotto il profilo degli impatti ambientali. Tuttavia, ritiene che sul punto la competenza a valutarne la legittimità e la conformità alle normative igienico-alimentari richiamate nel citato comma 3 dell’articolo 226-ter spetti al Ministero della salute;
- il Segretario generale del Ministero della salute si è già espresso nel senso di consentire l’utilizzo di sacchetti di plastica monouso, già in possesso della clientela, che però rispondano ai criteri previsti dalla normativa sui materiali destinati a venire a contatto con gli alimenti. In particolare, tali sacchetti dovranno risultare non utilizzati in precedenza e rispondenti a criteri igienici che gli esercizi commerciali potranno definire in apposita segnaletica e verificare, stante la responsabilità di garantire l’igiene e la sicurezza delle attrezzature presenti nell’esercizio e degli alimenti venduti alla clientela;
Ciò premesso, il Ministero della salute indirizza a questo Consiglio i seguenti quesiti:
a) se sia possibile per i consumatori utilizzare nei soli reparti di vendita a libero servizio (frutta e verdura) sacchetti monouso nuovi dagli stessi acquistati al di fuori degli esercizi commerciali, conformi alla normativa sui materiali a contatto con gli alimenti;
b) in caso di risposta positiva, se gli operatori del settore alimentare siano obbligati e a quali condizioni a consentirne l’uso nei propri esercizi commerciali.
2. Inquadramento delle questioni oggetto della richiesta di parere.
La risposta ai quesiti proposti implica la valutazione ed il contemperamento di due interessi tra loro in potenziale conflitto, e precisamente: a) l’interesse ambientale alla riduzione dell’utilizzo delle borse in plastica, di cui è espressione il già citato articolo 9-bis del d. l. 20 giugno 2017 n. 91, che nella sua più ampia attuazione giustificherebbe ogni misura atta ad incentivarne il riciclo e ad impedirne la diffusione; b) l’interesse alla tutela della sicurezza e dell’igiene degli alimenti venduti sfusi negli esercizi commerciali, che comporta la necessaria conformità alle specifiche norme di settore degli involucri utilizzati all’interno degli esercizi commerciali per il confezionamento dei freschi e della frutta e verdura; conformità che, giova sin da ora anticipare, deve essere garantita dall’esercizio commerciale stesso.
Per tentarne la ricomposizione, in via preliminare, è utile ricordare le norme principali che disciplinano i due diversi ambiti innanzi delineati.
Quanto al profilo sub a), giova richiamare il quadro normativo all’interno del quale si colloca l’articolo 226-ter del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, come introdotto dall’art. 9-bis del d. l. 20 giugno 2017. n. 91, che si pone come misura attuativa della direttiva (UE) 2015/720.
Il paragrafo 1-bis dell’articolo 4 della direttiva 2015/720 stabilisce che gli Stati membri adottano le misure necessarie per conseguire sul loro territorio una riduzione sostenuta dell’utilizzo di borse di plastica in materiale leggero, che possono comprendere, tra l’altro, restrizioni alla commercializzazione (purché dette restrizioni siano proporzionate e non discriminatorie). Il successivo paragrafo 1-ter consente agli Stati membri di adottare misure, tra cui strumenti economici e obiettivi di riduzione nazionali, in ordine a qualsiasi tipo di borse di plastica, indipendentemente dal loro spessore.
Il testo della norma nazionale è, invece, il seguente: “1. Al fine di conseguire, in attuazione della direttiva (UE) 2015/720, una riduzione sostenuta dell’utilizzo di borse di plastica, è avviata la progressiva riduzione della commercializzazione delle borse di plastica in materiale ultraleggero diverse da quelle aventi entrambe le seguenti caratteristiche, attestate da certificazioni rilasciate da organismi accreditati:a) biodegradabilità e compostabilità secondo la norma armonizzata UNI EN 13432:2002; b) contenuto minimo di materia prima rinnovabile secondo le percentuali di cui al comma 2, lettere a), b) e c) determinato sulla base dello standard di cui al comma 4. 2. La progressiva riduzione delle borse di plastica in materiale ultraleggero è realizzata secondo le seguenti modalità: dal 1° gennaio 2018, possono essere commercializzate esclusivamente le borse biodegradabili e compostabili e con un contenuto minimo di materia prima rinnovabile non inferiore al 40 per cento; dal 1° gennaio 2020, possono essere commercializzate esclusivamente le borse biodegradabili e compostabili e con un contenuto minimo di materia prima rinnovabile non inferiore al 5O per cento; dal 1° gennaio 2021, possono essere commercializzate esclusivamente le borse biodegradabili e compostabili e con un contenuto minimo di materia prima rinnovabile non inferiore al 60 per cento. 3. Nell’applicazione delle misure di cui ai commi 1 e 2 sono fatti comunque salvi gli obblighi di conformità alla normativa sull’utilizzo dei materiali destinati al contatto con gli alimenti adottata in attuazione dei regolamenti (UE) n. 10/2011, (CE) n. 1935/2004 e (CE) n 2023/1006, nonché il divieto di utilizzare la plastica per le borse destinate al contatto alimentare. 4. Gli organismi accreditati certificano la presenza del contenuto minimo di materia prima rinnovabile determinando la percentuale del carbonio di origine biologica presente nelle borse di plastica rispetto al carbonio totale ivi presente ed utilizzando a tal fine lo standard internazionale vigente in materia di determinazione dei contenuti di carbonio a base biologica nella plastica ovvero lo standard Uni Cen/Ts 16640. 5. Le borse di plastica in materiale ultraleggero però non possono essere distribuite a titolo gratuito e a tal fine il prezzo di vendita per singola unità deve risultare dallo scontrino o fattura d’acquisto delle merci o dei prodotti imballati per il loro tramite”.
Per quel che rileva in questa sede, deve focalizzarsi l’analisi sul comma 5 dell’articolo citato, che introduce il divieto di fornitura a titolo gratuito delle borse di plastica ultraleggere, prevedendo che il relativo prezzo di vendita per singola unità deve risultare dallo scontrino o fattura d’acquisto delle merci o dei prodotti imballati per il loro tramite.
È, inoltre, utile sin da ora evidenziare che, consapevole del potenziale riflesso sul differente ambito della sicurezza alimentare, il comma 3 della medesima disposizione fa comunque salvi gli obblighi derivanti dalla normativa sull’utilizzo dei materiali destinati al contatto con gli alimenti (c.d. MOCA), adottata in attuazione dei regolamenti (UE) 10/2011 (con specifico riferimento alle materie plastiche), (CE) 1935/04 (relativo alla disciplina generale) e (CE) 2023/06 (relativo alle buone pratiche di fabbricazione); nonché il divieto di utilizzare la plastica riciclata per le borse destinate al contatto alimentare, previsto dall’art. 13 del D.M. 21 marzo 1973.
Quanto all’aspetto legato all’irrinunciabile tutela della sicurezza dei prodotti alimentari destinati ad essere immessi in commercio, giova inoltre brevemente rammentare quanto segue.
L’art. 17, comma I del regolamento (CE) 178/2002 affida agli operatori del settore alimentare il compito di garantire che nelle imprese da essi controllate gli alimenti soddisfino le disposizioni della legislazione alimentare inerenti alle loro attività in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione e verificare che tali disposizioni siano soddisfatte.
In base all’art. 1 del regolamento (CE) 852/2004 è necessario garantire la sicurezza degli alimenti lungo tutta la catena alimentare, a cominciare dalla produzione primaria. L’art. 4 prevede che gli operatori del settore alimentare che eseguono qualsivoglia fase della produzione, della trasformazione e della distribuzione di alimenti rispettino i requisiti generali in materia d’igiene di cui all’allegato II e ogni requisito specifico previsto dal regolamento (CE) 853/2004. A tal fine, il capitolo IX, relativo ai requisiti applicabili ai prodotti alimentari, prevede, tra l’altro, che “in tutte le fasi di produzione, trasformazione e distribuzione gli alimenti devono essere protetti da qualsiasi forma di contaminazione atta a renderli inadatti al consumo umano, nocivi per la salute o contaminati in modo tale da non poter essere ragionevolmente consumati in tali condizioni”.
Inoltre, per quel che rileva in questa sede, il capitolo X sui requisiti applicabili al confezionamento e all’imballaggio dispone che “i materiali di cui sono composti il confezionamento e l’imballaggio non devono costituire una fonte di contaminazione; i materiali di confezionamento devono essere immagazzinati in modo tale da non essere esposti a un rischio di contaminazione”.
Rileva, inoltre, il già citato d. m. Sanità 21 marzo 1973 (recante “Disciplina igienica degli imballaggi, recipienti, utensili, destinati a venire in contatto con le sostanze alimentari o con sostanze d'uso personale”) che vieta l’impiego, per la preparazione di oggetti in materia plastica destinati a venire in contatto con alimenti, di materie plastiche di scarto e di oggetti di materiale plastico già utilizzati.
RISPOSTA AI QUESITI
a) Se sia possibile per i consumatori utilizzare nei soli reparti di vendita a libero servizio (frutta e verdura) sacchetti monouso nuovi dagli stessi acquistati al di fuori degli esercizi commerciali, conformi alla normativa sui materiali a contatto con gli alimenti;
b) in caso di risposta positiva al quesito precedente, se gli operatori del settore alimentare siano obbligati e a quali condizioni a consentire l’uso di sacchetti monouso nuovi acquistati al di fuori del proprio esercizio commerciale.
Tenuto conto delle considerazioni svolte in premessa, prima di rispondere ai quesiti proposti è opportuno precisare che: la risposta agli stessi deve essere rispettosa dello scopo che il legislatore si è prefisso, attraverso l’introduzione della misura che prevede la necessaria onerosità delleborse di plastica in materiale ultraleggero; non solo, la risposta da dare ai due quesiti, che risultano tra loro connessi, deve essere altresì coerente con lo strumento che il legislatore ha voluto utilizzare per il raggiungimento di tale scopo; infine, non possono non trascurarsi le già accennate implicazioni in tema di sicurezza dei prodotti e la connessa imprescindibile responsabilità dell’esercizio commerciale.
Quanto al primo aspetto, giova evidenziare che la disposizione che ha dato luogo ai quesiti è chiaramente volta alla limitazione della diffusione delle borse in plastica, quali agenti, come noto, gravemente inquinanti dell’ambiente. Nel più ampio contesto normativo volto a combattere l’inquinamento derivante dai prodotti plastici, si inserisce anche la previsione della necessaria commercializzazione a pagamento delle buste di plastica in materiale ultraleggero, che dunque non possono essere cedute a titolo gratuito al consumatore finale, nemmeno se fungono da imballaggio della merce sfusa venduta all’interno dell’esercizio commerciale, come frutta e verdura.
La necessaria onerosità della borsa risponde alla finalità di sensibilizzare il consumatore relativamente all’utilizzo della borsa in materiale plastico, in quanto prodotto inquinante, inducendolo a farne un uso oculato e parsimonioso, potendo oltretutto la stessa essere riutilizzata in ambito domestico per le finalità più varie.
In altri termini, il legislatore, per perseguire lo scopo di limitare la diffusione indiscriminata delle borse in discorso, piuttosto che introdurre una norma di divieto assoluto di utilizzazione, ha affiancato, ad una regolamentazione di chiara impronta pubblicistica circa le caratteristiche che le borse devono avere, uno strumento che rimette alla logica del mercato il disincentivo dell’utilizzazione esagerata delle borse in plastica, prevedendo che le stesse devono avere un prezzo, elevandole a bene (necessariamente) commerciabile (essendone esclusa la cessione a titolo gratuito). Con tale tecnica, come già osservato, si intende sollecitare la presa di coscienza del consumatore circa il fatto che i sacchetti in plastica, anche quelli superleggeri strumentali all’acquisto di frutta e verdura, non costituiscono un risorsa illimitata, inducendolo dunque, auspicabilmente, a farne un uso attento anche dopo l’utilizzo principale, così da scongiurarne lo spreco irragionevole; ciò, al fine ultimo di combattere la dispersione nell’ambiente del materiale plastico, al quale tutta la normativa è ispirata.
Ne consegue, che la risposta da dare ai due quesiti proposti non può prescindere dal fatto che il legislatore ha elevato le borse in plastica ultraleggere utilizzate per la frutta e verdura all’interno degli esercizi commerciali a prodotto che “deve” essere compravenduto. In questa ottica, la borsa, per legge, è un bene avente un valore autonomo ed indipendente da quello della merce che è destinata a contenere. Ciò è confermato dal fatto che la norma (cfr. comma 5, cit.), oltre a prevederne l’onerosità, ha stabilito che “il prezzo di vendita per singola unità deve risultare dallo scontrino”, in modo da risultare separato da quello della merce, così da distinguere il valore dei due beni (contenitore e contenuto).
Alla luce delle considerazioni che precedono, deve assumersi che l’utilizzo e la circolazione delle borse oggetto del presente parere – in quanto beni autonomamente commerciabili – non possono essere sottratte alla logica del mercato. Per tale ragione, non sembra consentito escludere la facoltà del loro acquisto all’esterno dell’esercizio commerciale nel quale saranno poi utilizzate, in quanto, per l’appunto, considerate di per sé un prodotto autonomamente acquistabile, avente un valore indipendente da quello delle merci che sono destinate a contenere.
In questa prospettiva, è dunque coerente con lo strumento scelto dal legislatore la possibilità per i consumatori di utilizzare sacchetti dagli stessi reperiti al di fuori degli esercizi commerciali nei quali sono destinati ad essere utilizzati. Secondo la medesima prospettiva, di conseguenza, non pare possibile che gli operatori del settore alimentare possano impedire tale facoltà (salve le precisazione che seguiranno circa il necessario controllo dei sacchetti per verificarne l’idoneità e la conformità normativa).
A tale conclusione si giunge anche ponendo l’attenzione sul fatto che la necessaria onerosità della busta in plastica, quanto meno indirettamente, vuole anche incentivare l’utilizzo di materiali alternativi alla plastica, meno inquinanti, quale in primo luogo la carta. Ne deriva, che deve certamente ammettersi la possibilità di utilizzare – in luogo delle borse ultraleggere messe a disposizioni, a pagamento, nell’esercizio commerciale – contenitori alternativi alle buste in plastica, comunque idonei a contenere alimenti quale frutta e verdura, autonomamente reperiti dal consumatore; non potendosi inoltre escludere, alla luce della normativa vigente, che per talune tipologie di prodotto uno specifico contenitore non sia neppure necessario. Una diversa interpretazione tradirebbe lo spirito stesso della norma, che è quello di limitare l’uso di borse in plastica. In analogia con tale conclusione, di conseguenza, al fine di scongiurare differenziazioni che, allo stato, non trovano giustificazione in alcuna norma, deve concludersi che l’esercizio commerciale deve permettere anche l’uso di borse in plastica leggere autonomamente introdotte dal consumatore nel punto vendita.
Come anticipato, la corretta risposta ai quesiti implica la necessità di coniugare le conclusioni appena esposte con l’esigenza di tutela della sicurezza ed igiene degli alimenti, al cui presidio è in primo luogo chiamata l’impresa di distribuzione, la cui responsabilità permane, indipendente dalla risposta ai quesiti in esame.
Al riguardo, deve infatti sottolinearsi che non ogni involucro risulta idoneo all’imballaggio degli alimenti. Invero, il legislatore detta regole relative ai materiali che possono venire a contatto diretto con alimenti o bevande, allo scopo di garantire che detti materiali siano adeguati e non rendano insicuri gli alimenti. Per quel che rileva in questa sede, attualmente, la disciplina essenziale è contenuta nel regolamento (CE) 1935/2004 che stabilisce i requisiti generali e specifici per materiali e oggetti destinati ad entrare in contatto con gli alimenti. Il criterio generale è che i materiali o gli oggetti destinati a venire a contatto, direttamente o indirettamente, con i prodotti alimentari devono essere sufficientemente inerti da escludere il trasferimento di sostanze ai prodotti alimentari in quantità tali da mettere in pericolo la salute umana o da comportare una modifica inaccettabile della composizione dei prodotti alimentari o un deterioramento delle loro caratteristiche.
Più nello specifico, in riferimento ai materiali plastici, ai fini del presente parere, deve ribadirsi il necessario rispetto: del regolamento (UE) 1895/2005 sulla restrizione dell’uso di alcuni derivati epossidici in materiali e oggetti destinati a entrare in contatto con prodotti alimentari; del regolamento (CE) 282/2008 sugli oggetti in plastica riciclata destinati al contatto con gli alimenti; del regolamento (CE) 450/2009 sui materiali attivi destinati al contatto con gli alimenti.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il corretto contemperamento dei due interessi sottesi alle questioni all’attenzione della Commissione, porta a ritenere che, laddove il consumatore non intenda acquistare il sacchetto ultraleggero commercializzato dall’esercizio commerciale per l’acquisto di frutta e verdura sfusa, possa utilizzare sacchetti in plastica autonomamente reperiti solo se comunque idonei a preservare l’integrità della merce e rispondenti alla caratteristiche di legge. In tal caso, richiamando le considerazioni già svolte, non sembra possibile per l’esercizio commerciale vietare tale facoltà.
Quest’ultimo assunto non si pone in contrasto con il quadro normativo ricordato in premessa, dal quale si evince la pacifica sussistenza della responsabilità dell’impresa rispetto all’integrità e sicurezza dei prodotti che sono venduti all’interno dell’esercizio commerciale. Al riguardo, in questa sede ci si limita a ricordare che l’operatore del settore alimentare deve sempre e comunque garantire che gli alimenti soddisfino le disposizioni della legislazione alimentare inerenti alle loro attività in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione, nonché verificare che tali disposizioni siano soddisfatte, dovendosi riconoscere la responsabilità del distributore di alimenti a prescindere dalla sua partecipazione o meno al confezionamento (art. 17 del regolamento 178/2002).
Pertanto, a scanso di equivoci, deve precisarsi che, quanto meno in astratto, la responsabilità dell’impresa di distribuzione non possa venire automaticamente meno nel caso in cui un danno o un pregiudizio sia stato cagionato dalla condotta del consumatore o, per quanto rileva in questa sede, per il tramite dell’inidoneità di un involucro dallo stesso introdotto nell’esercizio commerciale.
Infatti, deve ribadirsi che, proprio in ragione dell’irrinunciabile esigenza di preservare l’integrità degli alimenti posti in vendita, sull’esercizio commerciale, in base alle norme già citate, grava comunque un obbligo di controllo su tutti i fattori potenzialmente pregiudizievoli per la sicurezza dei prodotti compravenduti all’interno del punto vendita, tra cui, evidentemente, anche sugli eventuali sacchetti che il consumatore intende utilizzare. Al riguardo, giova ricordare che il più importante obbligo del titolare dell’impresa alimentare, la cui inosservanza può essere fonte anche di responsabilità penale, consiste nell’analisi di pericoli e punti critici di controllo, così come previsto dall’art. 5 regolamento 852/2004 il cui 1° comma stabilisce, per l’appunto, che “Gli operatori del settore alimentare predispongono, attuano e mantengono una o più procedure permanenti, basate sui principi del sistema HACCP”. L’omessa osservanza durante tutta la catena alimentare delle regole cautelari, a cominciare dall’adozione del “piano di autocontrollo”, passando poi per l’integrale rispetto delle indicazioni ivi contenute, costituisce dunque un profilo di colpa degli operatori del settore alimentare.
Ne consegue che ciascun esercizio commerciale sarà dunque tenuto, secondo le modalità dallo stesso ritenute più appropriate, alla verifica dell’idoneità e della conformità a legge dei sacchetti utilizzati dal consumatore, siano essi messi a disposizione dell’esercizio commerciale stesso, siano essi introdotti nei locali autonomamente dal consumatore.
Alla luce delle considerazioni che precedono, deve concludersi che il necessario ed imprescindibile rispetto della normativa in tema di igiene e sicurezza alimentare comporta che l’esercizio commerciale, in quanto soggetto che deve garantire l’integrità dei prodotti ceduti dallo stesso, possa vietare l’utilizzo di contenitori autonomamente reperiti dal consumatore solo se non conformi alla normativa di volta in volta applicabile per ciascuna tipologia di merce, o comunque in concreto non idonei a venire in contatto con gli alimenti.
Infine, a monte dei quesiti proposti, la Commissione non può esimersi dall’osservare che le restrizioni relative alle borse ultraleggere non paiono imposte dalla direttiva citata. Invero, il paragrafo 1-bis dell’articolo 4 della direttiva 2015/720 si rivolge alle sole borse di plastica in materiale leggero; mentre, il successivo paragrafo 1-ter consente (non obbliga) agli Stati membri di adottare misure, tra cui strumenti economici e obiettivi di riduzione nazionali, in ordine a qualsiasi tipo di borse di plastica, indipendentemente dal loro spessore.
P.Q.M.
Nei sensi esposti nella motivazione è il parere della Commissione speciale.
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Giordano Lamberti Gianpiero Paolo Cirillo