Corte Costituzionale sentenza n. 251 del 28 ottobre 2013
Ambiente in genere.Illegittimità costituzionale dell’articolo 22 della legge della Regione Veneto 28 dicembre 2012, n. 50, nella parte in cui non prevede la verifica di assoggettabilità per i centri commerciali di medie dimensioni.
Posto che la disciplina della VIA rientra senza alcun dubbio nella tutela dell’ambiente di competenza esclusiva dello Stato, ne consegue l’articolo 22 della legge della Regione Veneto 28 dicembre 2012, n. 50 (Politiche per lo sviluppo del sistema commerciale nella Regione del Veneto), discostandosi da quanto previsto dal d.lgs. n. 152 del 2006, Allegato IV alla Parte II, punto 7, lettera b), è costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., nella parte in cui non include tra le strutture soggette a verifica di assoggettabilità (a VIA) i centri commerciali di medie dimensioni. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
SENTENZA N. 251
ANNO 2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Gaetano SILVESTRI; Giudici : Luigi MAZZELLA, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 17, 18, 19, 22 e 26 della legge della Regione Veneto 28 dicembre 2012, n. 50 (Politiche per lo sviluppo del sistema commerciale nella Regione del Veneto), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 1° marzo 2013, depositato il successivo 5 marzo e iscritto al n. 36 del registro ricorsi 2013.
Visto l’atto di costituzione della Regione Veneto;
udito nell’udienza pubblica dell’8 ottobre 2013 il Giudice relatore Marta Cartabia;
uditi l’avvocato dello Stato Maria Gabriella Mangia per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Luigi Manzi per la Regione Veneto.
Ritenuto in fatto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 1° marzo 2013, depositato il successivo 5 marzo e iscritto al n. 36 del registro ricorsi dell’anno 2013, ha impugnato gli articoli 17, 18, 19, 22 e 26 della legge della Regione Veneto 28 dicembre 2012, n. 50 (Politiche per lo sviluppo del sistema commerciale nella Regione del Veneto), relativi al commercio al dettaglio su area privata, per contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.
1.1.– Gli artt. 17, 18 e 19 della legge reg. Veneto n. 50 del 2012 presenterebbero tutti, secondo il ricorrente, un identico profilo d’illegittimità costituzionale in quanto prevedrebbero che le varianti conseguenti a procedura svolta presso lo sportello unico per le attività produttive (d’ora innanzi SUAP) e afferenti a strutture di vendita non debbano essere sottoposte a valutazione ambientale strategica (VAS), ciò che contrasterebbe con la disciplina statale relativa a quest’ultima e conseguentemente con la competenza legislativa statale in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
In particolare, l’art. 17 dispone che l’apertura, l’ampliamento o la riduzione di superficie, il mutamento del settore merceologico, il trasferimento di sede e il subingresso degli esercizi di vicinato non ubicati all’interno di grandi e medie strutture di vendita siano soggetti a segnalazione certificata d’inizio attività (SCIA), da presentarsi allo sportello unico per le attività produttive (SUAP).
L’art. 18, al primo comma, si riferisce alle medie strutture di vendita, con superficie non superiore a 1.500 metri quadrati, disponendo ugualmente che le aperture, gli ampliamenti, i trasferimenti di sede, i mutamenti di settore merceologico e i subingressi siano soggetti a SCIA da presentarsi al SUAP. I commi 2 e 3 dell’art. 18 riguardano invece medie strutture con superficie di vendita oltre i 1.500 metri quadrati. Il comma 2, in particolare, prevede che le aperture, gli ampliamenti, i trasferimenti di sede e le trasformazioni di tipologia siano soggetti ad autorizzazione rilasciata dal SUAP. Al comma 3 si prevede, invece, che le riduzioni di superficie, i mutamenti del settore merceologico e i subingressi relativi a tali strutture siano soggetti a SCIA, da presentarsi al SUAP.
L’art. 19, disciplinando le grandi strutture di vendita, prevede, al primo comma, che l’apertura, l’ampliamento, il trasferimento di sede, la trasformazione di tipologia siano soggette ad autorizzazione rilasciata dal SUAP al soggetto titolare dell’attività commerciale o, in caso di grande centro commerciale, al soggetto promotore, mentre il secondo comma dispone che le relative riduzioni di superficie, i mutamenti del settore merceologico, la modifica della ripartizione interna, nonché il subingresso siano soggetti a SCIA, da presentarsi al SUAP.
1.2.– Il ricorrente lamenta che, in base ai tre articoli sopra menzionati, il SUAP possa concedere le autorizzazioni previste dalla disciplina regionale, omettendo la procedura di valutazione ambientale strategica (VAS).
Più specificamente, secondo il Presidente del Consiglio tali articoli disporrebbero che la VAS non venga svolta nei casi di varianti urbanistiche conseguenti a procedure SUAP. Secondo la doglianza, ai sensi della normativa statale, una variante urbanistica conseguente alla procedura di SUAP relativa a strutture di vendita dovrebbe essere sottoposta alle procedure di approvazione previste per tutte le altre varianti urbanistiche, e dunque, eventualmente, a valutazioni di compatibilità ambientale; non potrebbe godere, invece, delle semplificazioni previste per altre tipologie di progetti presentati al SUAP.
2.– Il ricorrente censura inoltre l’art. 22 della legge reg. n. 50 del 2012. Tale articolo dispone che le grandi strutture di vendita, aventi superficie di vendita superiore agli 8.000 metri quadrati, siano assoggettate alla valutazione d’impatto ambientale (VIA), mentre le strutture aventi superficie di vendita compresa tra i 2.501 e gli 8.000 metri quadrati sono assoggettate alla procedura di verifica o screening.
2.1.– La norma regionale censurata sarebbe manifestamente difforme da quanto stabilito dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), Allegato IV alla Parte II, punto 7, lettera b), il quale richiede che sia sottoposta alla verifica di assoggettabilità ambientale la costruzione di tutti i centri commerciali. La norma censurata, al contrario, limiterebbe l’applicazione della normativa sulla VIA alle sole grandi strutture aventi le caratteristiche sopra descritte. In tal modo, la disciplina regionale escluderebbe indistintamente dall’applicazione della verifica di assoggettabilità a VIA o screening i centri commerciali dalla superficie di vendita superiore a 150 e fino a 1.500 metri quadrati, nei Comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti, e superiori a 250 e fino a 2.500 metri quadrati nei Comuni con popolazione oltre i 10.000 abitanti.
Pertanto, la disposizione regionale restringerebbe illegittimamente il campo di applicazione della disciplina della VIA, come definito dal legislatore statale nell’esercizio della sua competenza esclusiva in materia ambientale, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
3.– Viene infine censurato l’art. 26 della legge reg. n. 50 del 2012, il quale, dopo aver individuato, al comma 1, le strutture di vendita a rilevanza regionale, al comma 2 dispone che gli interventi su tali strutture siano soggetti a un accordo di programma ai sensi dell’art. 34 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), anche in variante urbanistica e ai piani territoriali e d’area.
Tale norma consentirebbe all’accordo di programma di apportare varianti anche ai piani paesaggistici, in violazione degli artt. 135 e 143 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137). Infatti, gli artt. 135 e 143 del predetto codice prevedono che le modifiche e le deroghe alla pianificazione paesaggistica vigente possano essere introdotte esclusivamente attraverso una nuova pianificazione paesistica conforme ai contenuti regolatori stabiliti dal codice, previa intesa con lo Stato. La norma censurata, consentendo una variante al di fuori di tale procedura, sarebbe in conflitto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che assegna alla competenza esclusiva statale la materia della tutela del paesaggio.
4.– La Regione Veneto si è costituita con atto depositato il 15 aprile 2013, deducendo l’inammissibilità e l’infondatezza delle questioni prospettate.
5.– In particolare, relativamente alle censure degli artt. 17, 18 e 19 della legge reg. Veneto n. 50 del 2012, la parte resistente argomenta sostenendo che si tratti di un fraintendimento della nuova disciplina regionale in materia di commercio, prima ancora che delle specifiche disposizioni censurate.
Infatti, gli artt. da 17 a 19 non avrebbero alcun contenuto urbanistico né potrebbero attivare delle procedure di SUAP a contenuto urbanistico. Le disposizioni censurate attribuirebbero invece la titolarità al rilascio delle autorizzazioni commerciali ai Comuni territorialmente competenti, con espressa indicazione agli interessati di rivolgersi ai loro SUAP, in coerenza con la necessità di rendere puntualmente identificabile la struttura comunale preposta a svolgere tale funzione e al fine di razionalizzare l’impiego delle strutture comunali.
La circostanza che la domanda di rilascio dell’autorizzazione commerciale debba essere presentata al SUAP non avrebbe alcuna relazione con la tipologia di procedimento amministrativo che così prende avvio. L’unico procedimento coinvolto sarebbe quello relativo al rilascio di autorizzazione commerciale, disciplinato dai medesimi articoli censurati.
Il SUAP, ex art. 1, lettera m), del d.P.R. 7 settembre 2010, n. 160 (Regolamento per la semplificazione ed il riordino della disciplina sullo sportello unico per le attività produttive, ai sensi dell’articolo 38, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133), sarebbe l’unico punto di accesso per il richiedente, in relazione a tutte le vicende amministrative riguardanti la sua attività produttiva. A tale sportello il privato indirizzerebbe la domanda di rilascio di autorizzazione commerciale, senza che da ciò scaturisca alcun procedimento volto al rilascio di permessi di costruire in deroga o variante alla pianificazione urbanistica. Il fatto di rivolgersi a quel punto di accesso non implicherebbe l’avvio di un procedimento a contenuto edilizio, e, se del caso, di variante urbanistica. Domande aventi altro contenuto, come quello edilizio, rimarrebbero soggette a specifica disciplina.
A ulteriore conferma di quanto sostenuto, il resistente evidenzia che il rilascio dell’autorizzazione commerciale avrebbe a presupposto insuperabile il requisito della conformità urbanistica, di cui all’art. 21 della legge reg. censurata, il quale richiederebbe che sia le grandi che le medie strutture di vendita siano conformi allo strumento urbanistico generale.
6.– Relativamente alla censura dell’art. 22 della legge reg. impugnata, il resistente argomenta tanto per l’inammissibilità quanto per l’infondatezza.
6.1.– L’inammissibilità deriverebbe dalla mancanza di motivazioni da cui sarebbe affetto il ricorso sul punto. Il Presidente del Consiglio avrebbe, infatti, dovuto motivare sulle ragioni per le quali con la normativa impugnata sarebbero stati oltrepassati i limiti di flessibilità consentiti dalla normativa statale in materia di VIA. La disciplina statale, infatti, ammetterebbe margini di discrezionalità per le Regioni, da individuare nell’art. 6 del d.lgs. n. 152 del 2006. Sebbene tale articolo, al comma 7, sottoponga a screening e poi eventualmente a VIA, fra l’altro, i progetti elencati nell’Allegato IV alla Parte II, punto 7, lettera b), tuttavia, al successivo comma 9, consente alle Regioni di determinare, per specifiche categorie progettuali o in particolari situazioni ambientali e territoriali, criteri o condizioni di esclusione dalla verifica di assoggettabilità. Il ricorrente avrebbe pertanto omesso di spiegare per quale ragione quest’ipotesi non si applichi al caso in oggetto.
6.2.– Il legislatore regionale, del resto, avrebbe esercitato correttamente la discrezionalità consentitagli all’art. 6, comma 9, del d.lgs. n. 152 del 2006. Il resistente sostiene che l’Allegato IV alla Parte II, punto 7, lettera b), del d.lgs. n. 152 del 2006, accosti progetti di sviluppo e di riassetto di aree urbane di diversa dimensione con la costruzione di centri commerciali di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59). Questo condurrebbe a ritenere che qualsiasi struttura qualificabile come centro commerciale sia da sottoporre necessariamente a screening, a prescindere dalla dimensione dell’insediamento, con il paradossale esito di obbligare alla procedura di screening anche accostamenti di esercizi commerciali di dimensioni molto contenute, laddove grandi strutture di vendita, di estensioni molto significative, non qualificabili come centri commerciali ai sensi della disciplina statale, non sarebbero soggette allo screening.
6.3.– La disposizione regionale sarebbe propriamente finalizzata a estendere la portata delle verifiche a tutela dell’ambiente, includendovi le grandi strutture di vendita non qualificabili come centri commerciali. La normativa censurata riguarderebbe infatti le iniziative estranee alla disciplina statale in materia di VIA, che si rivolgerebbe soltanto ai centri commerciali. In tal modo, si rimedierebbe a una carenza della legislazione statale, che avrebbe distinto nettamente, all’art. 4 del d.lgs. n. 114 del 1998, le due tipologie commerciali, sottoponendo a controllo ambientale una grande struttura soltanto se e quando essa sia inserita in una più ampia struttura qualificabile come centro commerciale, senza prevedere alcunché per singole grandi strutture, di dimensioni anche superiori a quelle di un normale centro commerciale. La Regione Veneto, a fronte di una disciplina statale illogica, avrebbe superato tale ingiustificata differenziazione di regime, estendendo il controllo anche alle grandi strutture di vendita non inserite in un vero e proprio centro commerciale. Infatti, mentre la legislazione statale prevede una procedura di screening per i soli centri commerciali, la normativa regionale la prevedrebbe più generalmente per le strutture di vendita aventi superficie tra i 2.501 e gli 8.000 metri quadrati, sottoponendo direttamente a VIA le strutture oltre quest’ultima soglia.
7.– Relativamente alla censura dell’art. 26 della legge reg. Veneto n. 50 del 2012, la parte resistente evidenzia che tale articolo non ammetterebbe deroghe ai piani paesaggistici, ma a quelli territoriali, a differenza di quanto sostenuto dal Presidente del Consiglio.
7.1.– Nonostante l’avvocatura regionale metta in luce che il d.lgs. n. 42 del 2004, agli artt. 135 e 143, disciplina i piani paesaggistici, includendo con tale espressione anche quelli incorporati nei piani territoriali, qualificandoli quali «piani urbanistico-territoriali con specifica valenza paesaggistica», secondo la resistente andrebbe rimarcata la distinzione sia formale che sostanziale dei piani a duplice valenza urbanistico-territoriale e al contempo paesaggistica, da quelli meramente territoriali. Lo confermerebbero sia la diversità di contenuto, sia il differente procedimento di formazione, come evidenziato anche dalla giurisprudenza amministrativa: l’art. 135 del d.lgs. n. 42 del 2004 prescriverebbe uno specifico procedimento, coinvolgente il Ministero per i beni e le attività culturali e la Regione, per l’elaborazione dei soli piani paesaggistici.
Permarrebbe, dunque, una chiara distinzione tra piani paesaggistici e piani territoriali. Nel Veneto, al momento del ricorso, non esisterebbe alcun piano paesaggistico. Pertanto, non potrebbe, nemmeno astrattamente, verificarsi un conflitto tra la disciplina legislativa regionale censurata e quella statale, e dunque il legislatore regionale non avrebbe introdotto, illegittimamente, alcuna deroga. Né una tale ipotesi potrebbe verificarsi in futuro, in quanto i piani territoriali di cui all’art. 26 censurato rimarrebbero comunque distinguibili dai piani paesaggistici e da quelli urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici.
Conclusivamente, non si darebbe alcun conflitto tra la legislazione regionale e quella statale evocata a parametro.
8.– Con memoria depositata nella cancelleria il 17 settembre 2013, la difesa regionale ha ulteriormente dedotto, in particolare con riferimento alla censura dell’art. 22 della legge reg. Veneto n. 50 del 2012.
8.1.– Più precisamente, la Regione Veneto sostiene che l’impugnazione, sul punto, riguardi un aspetto che non è oggetto di disciplina, ovvero le medie strutture di vendita, aventi una superficie di vendita compresa tra i 151 e i 1.500 o i 251 e i 2.500 metri quadri. L’omessa presa in considerazione – accanto alle grandi strutture – delle medie strutture di vendita equivarrebbe, nella lettura del ricorrente, a sottrarle al controllo già disposto dalla legislazione statale.
8.2.– La resistente sostiene che la Regione Veneto abbia inteso disciplinare le grandi strutture di vendita, colmando una lacuna nella legislazione statale, la quale, disponendo soltanto con riferimento ai centri commerciali, assoggetterebbe a controllo soltanto una parte delle grandi strutture, ignorando quelle autonome, ospitate in distinti edifici ubicati nel territorio regionale.
È nei confronti di tali insediamenti che sarebbe intervenuta la disciplina regionale con l’art. 22, il quale, anziché interferire con la disciplina statale e ridurne la portata applicativa escludendo dai controlli le medie strutture, avrebbe al contrario esteso le verifiche di compatibilità ambientale delle grandi strutture integrandole nel quadro della generale regolamentazione del commercio. Tale intervento sarebbe del resto in linea con la giurisprudenza costituzionale, la quale avrebbe già confermato come la tutela dell’ambiente rappresenti un valore il cui livello di tutela minimo è stabilito dalla legislazione statale, ma che la legislazione regionale può elevare.
8.3.– La Giunta regionale del Veneto avrebbe, del resto, con la deliberazione 3 maggio 2013, n. 575 (Adeguamento alla sopravvenuta normativa nazionale e regionale delle disposizioni applicative concernenti le procedure di valutazione di impatto ambientale di cui alla Dgr n. 1539 del 27 settembre 2011 e sua contestuale revoca), confermato tale portata applicativa dell’art. 22 censurato. Infatti, con tale atto si sarebbe dato corso al riordino e all’aggiornamento delle misure regionali applicative della legislazione ambientale, precisando, all’Allegato A, che le medie strutture di vendita in forma di centro commerciale sono sottoposte alla procedura di verifica di assoggettabilità ai sensi dell’Allegato IV alla Parte II, punto 7, lettera b), del d.lgs. n. 152 del 2006, e che le disposizioni di cui all’art. 22 si applicano alle grandi strutture di vendita a prescindere dall’articolazione in forma di esercizio singolo, centro o parco commerciale.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 1° marzo 2013, depositato il successivo 5 marzo e iscritto al n. 36 del registro ricorsi dell’anno 2013, ha impugnato gli articoli 17, 18, 19, 22 e 26 della legge della Regione Veneto 28 dicembre 2012, n. 50 (Politiche per lo sviluppo del sistema commerciale nella Regione del Veneto), relativi al commercio al dettaglio su area privata, per contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.
2.– Gli artt. 17, 18 e 19 della legge reg. n. 50 del 2012 dispongono che l’apertura, i mutamenti di superficie, di settore, la trasformazione, il trasferimento di sede e il subingresso rispettivamente degli esercizi di vicinato (art. 17) e delle strutture di vendita di dimensioni medie (art. 18) e grandi (art. 19), siano soggetti a segnalazione certificata d’inizio attività (d’ora innanzi SCIA) o ad autorizzazione, da presentare o richiedere allo sportello unico per le attività produttive (SUAP). Secondo il ricorrente, tali previsioni violerebbero l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto, prevedendo che l’interessato possa rivolgere al SUAP le richieste di autorizzazione o le segnalazioni d’inizio attività, eluderebbero la disciplina statale in materia di valutazione ambientale strategica (VAS), necessaria, in particolare, per le strutture commerciali di medie e grandi dimensioni.
2.1.– Le questioni relative agli artt. 17, 18 e 19 non sono fondate.
In conformità alla normativa statale (artt. 1 e 2 del d.P.R. 7 settembre 2010, n. 160 – Regolamento per la semplificazione ed il riordino della disciplina sullo sportello unico per le attività produttive, ai sensi dell’articolo 38, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133), che individua nel SUAP l’«unico soggetto pubblico di riferimento territoriale per tutti i procedimenti che abbiano ad oggetto l’esercizio di attività produttive», le disposizioni regionali impugnate si limitano a distinguere i casi in cui un’attività commerciale può essere avviata o modificata sulla base di una SCIA, da quelli in cui è invece necessaria un’autorizzazione. La distinzione tiene conto delle dimensioni dell’esercizio di vendita e della tipologia della variazione da effettuare (apertura, ampliamento, riduzione, subingresso, e così via). Comune alle due ipotesi è l’individuazione nel SUAP del punto di contatto tra il richiedente e la pubblica amministrazione. A tale soggetto il titolare dell’esercizio commerciale è tenuto a indirizzare o la segnalazione d’inizio attività o la domanda di autorizzazione, a seconda dei casi indicati, appunto, negli artt. 17, 18 e 19 della legge reg. Veneto n. 50 del 2012.
Le disposizioni censurate, adottate nell’esercizio della competenza residuale in materia di commercio (ex multis, sentenze n. 18 del 2012, n. 150 del 2011 e n. 288 del 2010), non si occupano in alcun modo dei profili edilizi, urbanistici o ambientali dei procedimenti relativi agli esercizi commerciali, i quali rimangono soggetti a specifica disciplina.
In particolare, per quanto riguarda la VAS cui fanno riferimento le censure, essa è regolata dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), il cui art. 11 attribuisce all’autorità procedente il compito di avviare la stessa contestualmente al processo di formazione dei piani e dei programmi aventi un impatto significativo sull’ambiente e sul patrimonio culturale. Spetterà, dunque, all’autorità amministrativa effettuare la VAS, nei casi previsti dal legislatore statale (art. 6 del d.lgs. n. 152 del 2006), tenendo peraltro conto che essa si configura come fase interna ai procedimenti di formazione dei piani e dei programmi (Consiglio di Stato, sezione IV, 12 gennaio 2011, n. 133) e, dunque, non attiene alle modalità di presentazione al SUAP di richieste relative al singolo esercizio commerciale.
In conclusione, le disposizioni regionali impugnate non danno adito ad alcuna interpretazione che abiliti l’amministrazione procedente ad omettere la VAS, o le altre valutazioni ambientali, laddove richieste e, pertanto, non si dà alcun conflitto tra gli artt. 17, 18 e 19 censurati e l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
3.– L’art. 22 della legge reg. Veneto n. 50 del 2012 riguarda l’assoggettabilità delle strutture di vendita a verifiche di compatibilità ambientale. La disciplina regionale dispone che le grandi strutture aventi superficie di vendita superiore a 8.000 metri quadrati sono assoggettate alla valutazione di impatto ambientale (VIA), mentre le grandi strutture aventi superficie di vendita compresa tra 2.501 e 8.000 metri quadrati sono assoggettate alla procedura di verifica o screening. Secondo il ricorrente, tale disposizione viola l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., relativamente alla tutela ambientale, in quanto confligge con il d.lgs. n. 152 del 2006, Allegato IV alla Parte II, punto 7, lettera b), il quale sottopone a verifica di assoggettabilità a VIA o screening la costruzione di tutti i centri commerciali, compresi quelli di medie dimensioni, aventi cioè superficie di vendita superiore a 150 e fino a 2.500 metri quadrati, nei Comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti, e superiore a 250 e fino a 2.500 metri quadrati nei Comuni con popolazione oltre i 10.000 abitanti. Il legislatore regionale avrebbe, dunque, ristretto illegittimamente il campo di applicazione della disciplina della VIA, limitandolo alle sole grandi strutture aventi superficie di vendita oltre i 2.500 metri quadrati.
3.1.– Preliminarmente, va rigettata l’eccezione d’inammissibilità della Regione Veneto, la quale sostiene che il ricorrente avrebbe dovuto motivare sulle ragioni per le quali la Regione avrebbe ecceduto dai propri limiti competenziali, dal momento che il medesimo d.lgs. n. 152 del 2006, all’art. 6, comma 7, ammetterebbe margini di discrezionalità per le Regioni, consentendo loro di determinare, per specifiche categorie o situazioni, criteri o condizioni di esclusione dalla verifica di assoggettabilità.
L’eccezione di inammissibilità non può essere accolta, in quanto il Presidente del Consiglio, seppur succintamente, ha offerto alla Corte un corredo motivazionale idoneo a identificare la ragione della censura nella prospettata elusione parziale della disciplina relativa alla valutazione di assoggettabilità, con riferimento ai centri commerciali di media grandezza, individuando «con sufficiente chiarezza le ragioni della doglianza, precisando le norme statali interposte con le quali le disposizioni regionali si porrebbero in contrasto ed evocando specifici parametri costituzionali» (sentenza n. 28 del 2013).
3.2.– Nel merito, la questione avente ad oggetto l’art. 22 è fondata, nei termini di seguito precisati.
Il legislatore regionale prevede esplicitamente la VIA o la verifica di assoggettabilità a VIA per le «grandi strutture di vendita», aventi superficie superiore ai 2.500 metri quadrati, laddove il legislatore statale richiede che le medesime procedure di VIA o di verifica di assoggettabilità riguardino tutti i «centri commerciali» (d.lgs. n. 152 del 2006, Allegato IV alla Parte II, punto 7, lettera b). Orbene, ai sensi della normativa statale, i centri commerciali sono definiti come strutture di vendita di medie e grandi dimensioni, nelle quali più esercizi commerciali sono inseriti in una struttura a destinazione specifica e usufruiscono di infrastrutture comuni e spazi di servizio gestiti unitariamente (art. 4, comma 1, lettera g, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 – Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59). Pertanto, la disposizione regionale impugnata si riferisce a una categoria di esercizi commerciali, quella delle grandi strutture di vendita, diversa da quella utilizzata dal legislatore statale. Per alcuni aspetti essa è più ampia, perché al suo interno annovera anche le grandi strutture che non possono essere definite centri commerciali, in quanto non ricomprendono una pluralità di esercizi; per altri aspetti, però, essa è più restrittiva, perché non include i centri commerciali di medie dimensioni.
Posto che la disciplina della VIA rientra senza alcun dubbio nella tutela dell’ambiente di competenza esclusiva dello Stato (sentenze n. 221 del 2010 e n. 234 del 2009), ne consegue che la disposizione regionale impugnata, discostandosi da quanto previsto dal d.lgs. n. 152 del 2006, Allegato IV alla Parte II, punto 7, lettera b), è costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., nella parte in cui non include tra le strutture soggette a verifica di assoggettabilità (a VIA) i centri commerciali di medie dimensioni.
4.– L’art. 26 della medesima legge reg. n. 50 del 2012 dispone che gli interventi sulle strutture di vendita a rilevanza regionale siano soggetti a un accordo di programma ai sensi dell’art. 34 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), anche in variante urbanistica e ai piani territoriali e d’area. In questo modo, la norma regionale, ad avviso del ricorrente, consentirebbe di effettuare varianti anche ai piani paesaggistici, in violazione degli artt. 135 e 143 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), i quali, al contrario, dispongono che le modifiche e le deroghe alla pianificazione paesaggistica vigente possano essere introdotte esclusivamente attraverso una nuova pianificazione paesistica, conforme ai contenuti regolatori stabiliti dal codice dei beni culturali e del paesaggio e previa intesa con lo Stato. Secondo il ricorrente, la norma censurata, consentendo di derogare a tale procedura, confliggerebbe, per la precisione, con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., relativamente alla competenza legislativa statale in materia di paesaggio.
4.1.– La questione non è fondata, nei termini di seguito precisati.
Occorre anzitutto osservare che la disposizione non menziona affatto i piani paesaggistici, ma solo i piani territoriali e d’area. Il tenore letterale della previsione normativa sottoposta a giudizio, dunque, non si presta all’interpretazione prospettata dal ricorrente, secondo la quale essa permetterebbe di apportare varianti ai piani paesaggistici al di fuori delle procedure previste dalla legislazione statale. L’art. 26 della legge reg. Veneto n. 50 del 2012 si limita a stabilire che gli accordi di programma che riguardano gli interventi sulle strutture di vendita di interesse regionale possano determinare varianti ai piani territoriali o d’area.
D’altra parte, l’impugnato art. 26 richiede il rispetto del regolamento regionale, il quale, proprio in attuazione della norma qui in esame, esplicitamente esige che gli accordi di programma in variante ai piani territoriali e d’area debbano comunque conformarsi alle norme in materia paesaggistica (art. 9, comma 5, del regolamento regionale 21 giugno 2013, n. 1 – Indirizzi per lo sviluppo del sistema commerciale – articolo 4 della legge regionale 28 dicembre 2012, n. 50). Ne consegue che il riferimento ai piani territoriali contenuto nella disposizione impugnata deve essere interpretato in senso stretto, ad esclusione dei profili paesaggistici eventualmente in essi contenuti.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 22 della legge della Regione Veneto 28 dicembre 2012, n. 50 (Politiche per lo sviluppo del sistema commerciale nella Regione del Veneto) nella parte in cui non prevede la verifica di assoggettabilità per i centri commerciali di medie dimensioni;
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 17, 18 e 19 della legge reg. Veneto n. 50 del 2012, promossa, in relazione all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 26 della legge reg. Veneto n. 50 del 2012, promossa, in relazione all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 ottobre 2013.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 28 ottobre 2013.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI