Corte di Giustizia
CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE ELEANOR SHARPSTON presentate il 19 maggio 2011

«Valutazione dell’impatto ambientale – Concetto di “atto legislativo nazionale specifico” – Accesso alla giustizia in materia ambientale – Portata del diritto a un ricorso giurisdizionale»

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

ELEANOR SHARPSTON

presentate il 19 maggio 2011 (1)

Cause riunite C‑128/09, C‑129/09, C‑130/09, C‑131/09, C‑134/09 e C‑135/09

Antoine Boxus e Willy Roua (Causa C‑128/09)

Guido Durlet e a. (Causa C‑129/09)

Paul Fastrez e Henriette Fastrez (Causa C‑130/09)

Philippe Daras e Bernard Croiselet (Causa C‑131/09)

Association des Riverains et Habitants des Communes Proches de l’Aéroport B.S.C.A. (Brussels South Charleroi Airport) ASBL - A.R.A.Ch e Bernard Page (Causa C‑134/09)

Association des Riverains et Habitants des Communes Proches de l’Aéroport B.S.C.A. (Brussels South Charleroi Airport) ASBL - A.R.A.Ch, Léon L’Hoir e Nadine Dartois (Causa C‑135/09)

Contro

Région wallonne

[domande di pronuncia pregiudiziale, proposte dal Conseil d’État, Belgio)]

«Valutazione dell’impatto ambientale – Concetto di “atto legislativo nazionale specifico” – Accesso alla giustizia in materia ambientale – Portata del diritto a un ricorso giurisdizionale»





1. Le decisioni riguardanti progetti con probabile impatto sull’ambiente possono essere adottate tramite una procedura amministrativa, nella quale la partecipazione pubblica (diretta) è garantita attraverso una valutazione di impatto ambientale («VIA») oppure tramite procedura legislativa, nella quale la partecipazione pubblica (indiretta) è assicurata tramite il competente organo legislativo rappresentativo.

2. In tale contesto, le presenti domande di pronuncia pregiudiziale, proposte dal Conseil d’État (Consiglio di Stato) belga, vertono sull’interpretazione della normativa dell’Unione europea riguardante l’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico e l’accesso alla giustizia relativamente al processo decisionale in materia ambientale, in particolare la direttiva 85/337/CE  (in prosieguo: la «direttiva VIA») (2) come modificata dalla direttiva 2003/35/CE (3).

3. La direttiva VIA non si applica ai progetti adottati nei dettagli mediante un atto legislativo nazionale specifico. Nei casi in esame, un progetto di decisione era stato adottato con procedura amministrativa e successivamente ratificato con decreto legislativo. Si pone pertanto il problema di stabilire se una simile sequenza di azioni rientri nell’ambito della direttiva VIA.

Diritto internazionale

4. Il 25 giugno 1998 la Comunità europea, gli Stati membri ed altri diciannove Stati hanno firmato la Convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale (in prosieguo: la «Convenzione di Aarhus»). Tale Convenzione è entrata in vigore il 30 ottobre 2001. Il 21 gennaio 2003 è stata ratificata dal Belgio ed è stata approvata per conto della Comunità europea con decisione del Consiglio 2005/370 (4).

5. L’art. 2 della Convenzione di Aarhus definisce una serie di termini. In particolare, in base a tale articolo, il termine «pubblica autorità» non comprende «gli organi o le istituzioni che agiscono nell’esercizio del potere giudiziario o legislativo».

6. L’art. 6 è rubricato «Partecipazione del pubblico alle decisioni relative ad attività specifiche». In sostanza, esso impone l’adozione di disposizioni per garantire una tempestiva ed efficace informazione e partecipazione del pubblico interessato dalle attività proposte in tutte le fasi rilevanti delle procedure di autorizzazione relative ad attività specificamente elencate nell’allegato I o ad altre attività che possano avere effetti significativi sull’ambiente. Tra le attività elencate nell’allegato I è compresa la «Costruzione di tronchi ferroviari per il traffico a lunga percorrenza e di aeroporti con piste di decollo e di atterraggio lunghe almeno 2 100 m.».

7. L’art. 9, intitolato «Accesso alla giustizia», così recita:

«1.   Nel quadro della propria legislazione nazionale, ciascuna Parte provvede affinché chiunque ritenga che la propria richiesta di informazioni formulata ai sensi dell’articolo 4 sia stata ignorata, immotivatamente respinta in tutto o in parte, non abbia ricevuto una risposta adeguata o comunque non sia stata trattata in modo conforme alle disposizioni di tale articolo, abbia accesso a una procedura di ricorso dinanzi a un organo giurisdizionale o a un altro organo indipendente e imparziale istituito dalla legge.

La Parte che preveda il ricorso dinanzi a un organo giurisdizionale dispone affinché l’interessato abbia anche accesso a una procedura stabilita dalla legge, rapida e gratuita o poco onerosa, ai fini del riesame della propria richiesta da parte dell’autorità pubblica o da parte di un organo indipendente e imparziale di natura non giurisdizionale.

Le decisioni definitive prese a norma del presente paragrafo sono vincolanti per l’autorità pubblica in possesso delle informazioni. Esse sono motivate per iscritto almeno quando l’accesso alle informazioni viene negato in forza del presente paragrafo.

2.     Nel quadro della propria legislazione nazionale, ciascuna Parte provvede affinché i membri del pubblico interessato

–        a)      che vantino un interesse sufficiente

o, in alternativa,

–        b)      che facciano valere la violazione di un diritto, nei casi in cui il diritto processuale amministrativo di detta Parte esiga tale presupposto,

abbiano accesso a una procedura di ricorso dinanzi a un organo giurisdizionale e/o ad un altro organo indipendente ed imparziale istituito dalla legge, per contestare la legittimità sostanziale o procedurale di decisioni, atti od omissioni soggetti alle disposizioni dell’articolo 6 e, nei casi previsti dal diritto nazionale e fatto salvo il paragrafo 3, ad altre pertinenti disposizioni della presente Convenzione.

Le nozioni di “interesse sufficiente” e di “violazione di un diritto” sono determinate secondo il diritto nazionale, coerentemente con l’obiettivo di offrire al pubblico interessato un ampio accesso alla giustizia nell’ambito della presente Convenzione. A tal fine si ritiene sufficiente, ai sensi della lettera a), l’interesse di qualsiasi organizzazione non governativa in possesso dei requisiti di cui all’articolo 2, paragrafo 5. Tali organizzazioni sono altresì considerate titolari di diritti suscettibili di violazione ai sensi della lettera b).

Le disposizioni del presente paragrafo non escludono la possibilità di esperire un ricorso preliminare dinanzi ad un’autorità amministrativa, né dispensano dall’obbligo di esaurire le vie di ricorso amministrativo prima di avviare un procedimento giudiziario, qualora tale obbligo sia previsto dal diritto nazionale.

3. In aggiunta, e ferme restando le procedure di ricorso di cui ai paragrafi 1 e 2, ciascuna Parte provvede affinché i membri del pubblico che soddisfino i criteri eventualmente previsti dal diritto nazionale possano promuovere procedimenti di natura amministrativa o giurisdizionale per impugnare gli atti o contestare le omissioni dei privati o delle pubbliche autorità compiuti in violazione del diritto ambientale nazionale.

4. Fatto salvo il paragrafo 1, le procedure di cui ai paragrafi 1, 2 e 3 devono offrire rimedi adeguati ed effettivi, ivi compresi, eventualmente, provvedimenti ingiuntivi, e devono essere obiettive, eque, rapide e non eccessivamente onerose. Le decisioni prese in virtù del presente articolo sono emanate o registrate per iscritto. Le decisioni degli organi giurisdizionali e, ove possibile, degli altri organi devono essere accessibili al pubblico.

5. Per accrescere l’efficacia delle disposizioni del presente articolo, ciascuna Parte provvede affinché il pubblico venga informato della possibilità di promuovere procedimenti di natura amministrativa o giurisdizionale e prende in considerazione l’introduzione di appositi meccanismi di assistenza diretti ad eliminare o ridurre gli ostacoli finanziari o gli altri ostacoli all’accesso alla giustizia».

Diritto dell’Unione europea

8. Prima della decisione 2005/370, era stata adottata una serie di provvedimenti legislativi per incorporare le disposizioni della Convenzione di Aarhus in quello che allora era il diritto comunitario, compresi gli emendamenti apportati alla direttiva VIA con la direttiva 2003/35.

La direttiva VIA

9. La direttiva VIA mira ad armonizzare la valutazione degli effetti sull’ambiente che possano verificarsi con la realizzazione di taluni progetti. Ai sensi del sesto ‘considerando’ «l’autorizzazione di progetti pubblici e privati che possono avere un impatto rilevante sull’ambiente va concessa solo previa valutazione delle loro probabili rilevanti ripercussioni sull’ambiente; (…) questa valutazione deve essere fatta in base alle opportune informazioni fornite dal committente e eventualmente completata dalle autorità e dal pubblico eventualmente interessato dal progetto».

10. L’art. 1, n. 2, della direttiva VIA definisce le seguenti nozioni:

–        «“progetto: la realizzazione di lavori di costruzione o di altri impianti od opere”, o “altri interventi sull’ambiente naturale o sul paesaggio, compresi quelli destinati allo sfruttamento delle risorse del suolo”;

–        “committente”: “il richiedente dell’autorizzazione relativa ad un progetto privato o la pubblica autorità che assume l’iniziativa di un progetto”;

–        “autorizzazione”: “decisione dell’autorità competente o delle autorità competenti, che conferisce al committente il diritto di realizzare il progetto stesso”;

–        “pubblico”: “una o più persone fisiche o giuridiche nonché, ai sensi della legislazione o prassi nazionale, le associazioni, le organizzazioni o i gruppi di tali persone”; e

–        “pubblico interessato”: “pubblico che subisce o può subire gli effetti delle procedure decisionali in materia ambientale di cui all’articolo 2, paragrafo 2, o che ha un interesse in tali procedure [(5)]…”».

11. A termini dell’art. 1, n. 5, la direttiva «non si applica ai progetti adottati nei dettagli mediante un atto legislativo nazionale specifico, inteso che gli obiettivi perseguiti dalla presente direttiva, incluso l’obiettivo della disponibilità delle informazioni, vengono raggiunti tramite la procedura legislativa».

12. Ai sensi dell’art. 4, n. 1, i progetti elencati nell’allegato I della direttiva VIA debbono formare oggetto di valutazione ai sensi degli articoli da 5 a 10 (6). Tra i suddetti progetti è compresa, al punto 7, lett. a), dell’allegato I, la «Costruzione di tronchi ferroviari per il traffico a grande distanza, nonché aeroporti con piste di decollo e di atterraggio lunghe almeno 2 100 m (7)».

13. Gli artt. 5-10 stabiliscono quindi una serie di obblighi sostanziali relativi alla realizzazione di una valutazione di impatto ambientale. In particolare, l’art. 5 specifica i requisiti riguardanti le informazioni che deve fornire il committente. L’art. 6 fissa regole volte a garantire che le autorità ambientali e il pubblico siano correttamente informati ed abbiano un’adeguata opportunità di partecipazione, il tutto in modo tempestivo ed efficace; ai sensi dell’art. 7, gli altri Stati membri vanno informati e consultati qualora un progetto possa avere un impatto importante sull’ambiente nel territorio di questi; infine, ai sensi dell’art. 8: «I risultati delle consultazioni e le informazioni raccolte in conformità degli articoli 5, 6 e 7 debbono essere presi in considerazione nel quadro della procedura di autorizzazione».

14. L’art. 10 bis, che corrisponde in massima parte all’art. 9, nn. 2, 4 e 5, della Convenzione di Aarhus, così recita:

«Gli Stati membri provvedono, in conformità del proprio ordinamento giuridico nazionale, affinché i membri del pubblico interessato:

a)      che vantino un interesse sufficiente o, in alternativa

b)      che facciano valere la violazione di un diritto, nei casi in cui il diritto processuale amministrativo di uno Stato membro esiga tale presupposto,

abbiano accesso a una procedura di ricorso dinanzi ad un organo giurisdizionale o ad un altro organo indipendente ed imparziale istituito dalla legge, per contestare la legittimità sostanziale o procedurale di decisioni, atti od omissioni soggetti alle disposizioni sulla partecipazione del pubblico stabilite dalla presente direttiva.

Gli Stati membri stabiliscono in quale fase possono essere contestati le decisioni, gli atti o le omissioni.

Gli Stati membri determinano ciò che costituisce interesse sufficiente e violazione di un diritto, compatibilmente con l’obiettivo di offrire al pubblico interessato un ampio accesso alla giustizia. A tal fine, l’interesse di qualsiasi organizzazione non governativa ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, è considerato sufficiente ai fini della lettera a) del presente articolo. Si considera inoltre che tali organizzazioni siano titolari di diritti suscettibili di essere lesi ai fini della lettera b) del presente articolo.

Le disposizioni del presente articolo non escludono la possibilità di avviare procedure di ricorso preliminare dinanzi all'autorità amministrativa e non incidono sul requisito dell’esaurimento delle procedure di ricorso amministrativo quale presupposto dell’esperimento di procedure di ricorso giurisdizionale, ove siffatto requisito sia prescritto dal diritto nazionale.

Una siffatta procedura è giusta, equa, tempestiva e non eccessivamente onerosa.

Per rendere più efficaci le disposizioni del presente articolo, gli Stati membri provvedono a mettere a disposizione del pubblico informazioni pratiche sull’accesso alle procedure di ricorso amministrativo e giurisdizionale».

15. Come emerge chiaramente, in particolare dai ‘considerando’ 6, 9, 11 e 12 della direttiva 2003/35, che ha introdotto l’art. 10 bis nella direttiva VIA, lo scopo di questo e di altri emendamenti era di allineare la direttiva VIA alla Convenzione di Aarhus, e in particolare di assicurare un’adeguata partecipazione del pubblico alle procedure decisionali nonché un diritto ad un controllo giurisdizionale di tutte le fasi di tali procedure.

Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

16. Il Conseil d’État è la suprema giurisdizione amministrativa in Belgio, competente a pronunciarsi sulla validità di provvedimenti amministrativi ma non legislativi. Le questioni proposte da tale organo giurisdizionale traggono origine da sei ricorsi diretti contro una serie di concessioni urbanistiche amministrative accordate tra il settembre 2003 e il settembre 2006, relative a progetti riguardanti lo sviluppo aeroportuale in Belgio.

17. Nell’accordare le concessioni, le autorità amministrative rilevanti hanno seguito una serie di tappe procedurali. In generale, tali tappe hanno compreso: i) un’iniziale richiesta proposta da un capo progetto; ii) un periodo di valutazione; iii) un periodo di consultazione condotto dal comune; iv) la formulazione di una serie di pareri; e v) l’attribuzione della concessione.

18. In ognuna delle cause i richiedenti sono residenti o associazioni locali che hanno promosso i ricorsi tra il gennaio 2004 e l’aprile 2006.

19. Il 17 luglio 2008, il Parlamento della regione Vallona (in prosieguo: il «Parlamento vallone») ha adottato il Décret wallon relatif à quelques permis pour lesquels il existe des motifs impérieux d’intérêt general (Decreto vallone relativo a talune concessioni per le quali esistono motivi imperativi di interesse generale; in prosieguo: il «decreto 17 luglio 2008»).

20. Il decreto 17 luglio 2008 contiene tre gruppi di disposizioni. In primo luogo, l’art. 1 elenca una serie di lavori riguardanti gli aeroporti Liegi‑Bierset e Bruxelles Sud Charleroi e alcuni altri collegamenti, per i quali sono stati accertati «motivi imperativi di interesse generale». In secondo luogo, negli artt. 2-4, vengono dettate procedure secondo le quali, per i progetti rientranti nel suddetto elenco, l’autorizzazione dev’essere accordata dal Governo vallone, conformemente alle leggi urbanistiche applicabili, e ratificata dal Parlamento vallone. Infine, gli artt. 5-17 confermano una serie di concessioni già accordate; gli artt. 6, 7, 9 e 14 sono rilevanti ai fini del presente procedimento.

21. L’art. 6 del decreto 17 luglio 2008 dispone:

«si conferma la seguente concessione per la quale sussistono i motivi imperativi di interesse generale:

–        per quanto riguarda gli atti e le opere di sistemazione delle infrastrutture e degli edifici d’accoglienza degli aeroporti regionali, atteso il decreto ministeriale 13 settembre 2006 che accorda una concessione urbanistica (…) per il prolungamento della pista dell’aeroporto di Liegi-Bierset» (8).

22. Gli stessi termini figurano, mutatis mutandis, tra l’altro:

–        nell’art. 7 (concessione urbanistica per la copertura del torrente Tintia e la modifica del rilievo del suolo nella parte nord orientale dell’aeroporto di Charleroi (9));

–        nell’art. 9 (autorizzazione ambientale per la realizzazione dell’aeroporto Bruxelles sud Charleroi (10)); e

–        nell’art. 14 (autorizzazione complessiva per la costruzione e la realizzazione del terzo e quarto binario su una linea ferroviaria di collegamento tra Bruxelles e Charleroi (11)).

23. Nel corso del procedimento dinanzi al Conseil d’État, la parte convenuta ha sostenuto che il decreto 17 luglio 2008, in quanto misura legislativa che aveva sostituito la concessione amministrativa e che era suscettibile di impugnazione solo dinanzi alla Cour Constitutionnelle (Corte costituzionale), aveva privato tanto il Conseil d’État della sua competenza quanto i ricorrenti del loro interesse all’annullamento delle concessioni amministrative. I ricorrenti hanno affermato che l’adozione del decreto non era compatibile con la Convenzione di Aarhus né con la direttiva VIA e avrebbe dovuto essere ignorata.

24. Nel frattempo, sono stati promossi ulteriori procedimenti dinanzi alla Cour Constitutionnelle (in alcuni casi, dai ricorrenti nei procedimenti promossi dinanzi al Conseil d’État) contro la validità dello stesso decreto 17 luglio 2008.

25. Di conseguenza, il Conseil d’État ha sospeso i procedimenti dinanzi ad esso pendenti ed ha proposto talune questioni pregiudiziali sia alla Cour Constitutionnelle sia alla Corte di giustizia.

26. Nelle questioni proposte dinanzi alla Cour Constitutionnelle esso, in sostanza, intende stabilire se il Parlamento vallone fosse legittimato: a) a ratificare le concessioni amministrative senza esaminare le domande nel merito o la regolarità della procedura e, b), se così facendo esso fosse legittimato a precludere un pieno controllo giurisdizionale di tali concessioni da parte del Conseil d’État anche nel caso in cui tale controllo fosse stato richiesto prima dell’adozione del decreto 17 luglio 2008.

27. Le questioni proposte alla Corte sono le seguenti:

«A.      Se l’art. 1, n. 5, della [direttiva VIA] possa essere interpretato nel senso di escludere dal suo ambito di applicazione una normativa – quale [il decreto 17 luglio 2008] – che si limiti ad affermare che “ricorrono i motivi imperativi di interesse generale” per il rilascio delle concessioni urbanistiche, delle concessioni ambientali e delle concessioni uniche relative ad atti ed opere da essa elencati e che “confermi” concessioni per le quali viene detto che “ricorrono i motivi imperativi di interesse generale”.

B.1.      Se gli artt. 1, 5, 6, 7, 8 e 10 bis della [direttiva VIA], come modificata, ostino a un sistema giuridico in cui il diritto di realizzare un progetto, sottoposto ad una valutazione dell’impatto ambientale, sia conferito da un atto legislativo contro il quale non sia esperibile alcun ricorso dinanzi ad un organo giurisdizionale o ad un altro organo indipendente ed imparziale istituito dalla legge che consenta di contestare, quanto al merito e alla procedura seguita, la decisione attributiva del diritto di realizzare il progetto.

B.2.      Se l’art. 9 della Convenzione di Aarhus debba essere interpretato nel senso di obbligare gli Stati membri a prevedere la possibilità di proporre un ricorso dinanzi ad un organo giurisdizionale o ad un altro organo indipendente ed imparziale istituito dalla legge per poter contestare la legittimità di decisioni, atti o omissioni soggetti alle disposizioni dell’art. 6, per qualsiasi questione di merito o di procedura, inerente a norme sostanziali o procedurali, di autorizzazione dei progetti soggetti ad una valutazione dell’impatto.

B.3.      Se, alla luce della Convenzione di Aarhus, l’art. 10 bis della [direttiva VIA], come modificata, debba essere interpretato nel senso di obbligare gli Stati membri a prevedere la possibilità di accesso a una procedura di ricorso dinanzi ad un organo giurisdizionale o ad un altro organo indipendente ed imparziale istituito dalla legge per poter contestare la legittimità delle decisioni, degli atti o delle omissioni per qualsiasi questione di merito o di procedura del sistema sostanziale o procedurale di autorizzazione dei progetti soggetti a valutazione dell’impatto» (12).

28. In definitiva, il Conseil d’État ha deciso che, una volta ottenute le soluzioni alle sue questioni sia da parte della Cour Constitutionnelle sia da parte della Corte di giustizia, sarebbe stata redatta una relazione supplementare, su cui invitare le parti a presentare osservazioni finali.

29. La Cour Constitutionnelle, da parte sua, ha esaminato le cause promosse direttamente dinanzi ad essa unitamente alle questioni rinviate dal Conseil d’État, proponendo essa stessa alla Corte di giustizia una serie di questioni relative all’interpretazione della Convenzione di Aarhus e della direttiva VIA (13). Dal momento che tale domanda di pronuncia pregiudiziale è stata ricevuta poco più di un anno dopo quelle proposte nel presente procedimento, e poiché l’oggetto di tali questioni è in parte identico, la Corte ha deciso di procedere in primo luogo con i presenti rinvii pregiudiziali.

30. Nei procedimenti in esame, osservazioni scritte sono state presentate dai ricorrenti nelle cause da C‑128/09 a C‑131/09, dai governi del Belgio, della Grecia e dell’Italia, nonché dalla Commissione. I ricorrenti nelle cause C‑128/09 e C‑130/09, uno dei ricorrenti nelle cause C‑134/09 e C‑135/09, i governi del Belgio e della Grecia e la Commissione hanno presentato osservazioni orali all’udienza svoltasi l’8 giugno 2010.

Sulla ricevibilità

31. Il governo belga eccepisce l’irricevibilità delle domande pregiudiziali. In primo luogo, esso sostiene che i) gli elementi di fatto e diritto esposti nelle ordinanze di rinvio non sono sufficienti a porre le parti che vogliano presentare osservazioni in condizioni di farlo e ii) che il Conseil d’État omette di spiegare perché sia necessaria un’interpretazione del diritto dell’Unione. In secondo luogo, sulla base dei criteri della sentenza CILFIT (14), esso asserisce che i) le diposizioni di cui trattasi sono chiare e non necessitano di interpretazione, ii) le questioni sono irrilevanti e iii) la giurisprudenza della Corte ha già deciso le questioni proposte.

La prima osservazione riguardo alla ricevibilità

Il carattere sufficiente degli elementi di fatto e di diritto contenuti nelle ordinanze

32. Secondo il governo belga le ordinanze di rinvio non forniscono alle parti interessate tutte le informazioni necessarie a presentare osservazioni utili. Non viene data una spiegazione esaustiva del regime istituito dal decreto 17 luglio 2008, la cui comprensione è necessaria al fine di risolvere la prima questione; in particolare, non viene specificato che la direttiva VIA si applica alle procedure amministrative precedenti la ratifica legislativa. Né viene spiegato quali siano il ruolo e la competenza della Cour Constitutionnelle rispetto a quelli del Conseil d’État, cosa che occorrerebbe capire per risolvere le rimanenti questioni. Invero, le questioni sono formulate in una maniera tale da essere di fatto fuorvianti su entrambi gli aspetti. Infine, anziché fornire il proprio punto di vista sui suddetti argomenti, il Conseil d’État si limita a indicare le posizioni sostenute dei ricorrenti nei procedimenti dinanzi ad esso pendenti.

33. Secondo una giurisprudenza consolidata, le informazioni fornite nelle decisioni di rinvio devono non solo consentire alla Corte di fornire risposte utili, ma altresì dare ai governi degli Stati membri, nonché alle altre parti interessate la possibilità di presentare osservazioni ai sensi dell’art. 23 dello Statuto CE della Corte di giustizia (15). Sempre per giurisprudenza costante, la Corte non si pronuncia sull’interpretazione delle disposizioni nazionali, né giudica se l’interpretazione che ne dà il giudice del rinvio sia corretta, ma prende in considerazione il contesto fattuale e normativo come definito dal giudice del rinvio (16). È tenendo conto di tali considerazioni che andrebbe valutata l’argomentazione del governo belga.

34. Per quanto riguarda il primo dei suddetti argomenti, a mio avviso, dalle decisioni di rinvio emerge chiaramente che, in ordine al decreto 17 luglio 2008, i dubbi del Conseil d’État sono circoscritti alla ratifica delle concessioni amministrative esistenti, e di conseguenza gli altri aspetti del decreto non sono di particolare importanza. Né occorreva specificare che la direttiva VIA si applicava alle procedure amministrative, poiché questo emerge dalla stessa lettera della direttiva.

35. Per quanto riguarda il secondo argomento, è vero che comprendere i ruoli e le competenze rispettivi del Conseil d’État e della Cour Constitutionnelle è utile per ponderare le questioni procedurali nazionali sollevate nelle decisioni di rinvio. Tuttavia, a mio avviso, non è necessaria una comprensione particolarmente approfondita o dettagliata, e gli elementi essenziali – in particolare, il rischio che il Conseil d’État possa essere privato di competenza riguardo a ricorsi già dinanzi ad esso pendenti da un’iniziativa forse puramente formale da parte del Parlamento vallone – emergono chiaramente dalle decisioni di rinvio (17).

36. Ritengo inoltre che le questioni non siano formulate in modo da indurre la Corte o uno Stato membro a concentrarsi sulle questioni sbagliate, benché il governo belga abbia ragione ad affermare che in tali questioni viene dipinto un quadro della legislazione belga che esso non condivide. La questione centrale di diritto dell’Unione è evidentemente quello dell’efficacia, sul diritto di accesso alla giustizia garantito dalla Convenzione di Aarhus e dalla direttiva VIA, della ratifica con strumenti legislativi di concessioni precedentemente accordate con procedura amministrativa. Due Stati membri hanno presentato osservazioni al riguardo, senza incontrare particolari ostacoli dovuti ad una carenza di informazioni nelle decisioni di rinvio o alla formulazione delle questioni (18).

37. Infine, a mio avviso, il fatto che il Conseil d’État riferisca gli argomenti delle parti su questioni diverse anziché il proprio parere non vizia in alcun modo le decisioni di rinvio. Questi argomenti spiegano adeguatamente perché possa essere necessaria una decisione sul diritto dell’Unione prima che il Conseil d’État si pronunci a riguardo.

Il carattere sufficiente della spiegazione riguardo alla necessità di un’interpretazione di diritto dell’Unione

38. Nell’affermare che il Conseil d’État non ha spiegato a sufficienza la necessità di un’interpretazione del diritto dell’Unione, il governo belga si basa essenzialmente sulla giurisprudenza di tale organo giurisdizionale, citata nelle decisioni di rinvio. Nella sentenza 11 agosto 2008, n. 185.645 (Deneye) il Conseil d’État ha dichiarato che l’adozione del decreto 17 luglio 2008 lo privava della competenza a pronunciarsi sulla validità delle misure con esso ratificate; tuttavia, qualora il decreto (o il suo articolo rilevante) venisse annullato dalla Cour Constitutionnelle, tale decisione di incompetenza potrebbe essere revocata su domanda delle parti. Nel presente caso, secondo il governo belga, il Conseil d’État avrebbe dovuto seguire la stessa procedura ed attendere l’esito dei procedimenti pendenti dinanzi alla Cour Constitutionnelle, soprattutto avendo esso stesso proposto a tale organo alcuni quesiti pregiudiziali sulle questioni giurisdizionali sollevate. Di conseguenza, le questioni pregiudiziali proposte sono ipotetiche nella fase attuale. Il Conseil d’État non ha dato alcuna spiegazione riguardo al perché, in queste circostanze, esso abbia bisogno di una pronuncia sull’interpretazione del diritto dell’Unione prima di una decisione della Cour Constitutionnelle.

39. Posso concordare sul fatto che la situazione procedurale dinanzi ai giudici nazionali, come in precedenza descritta (19), è intricata, e che sarebbe stato auspicabile un approccio più sistematico e forse più in armonia con le norme procedurali nazionali. Posso anche ammettere che vi sarebbe stato un guadagno in termini di efficienza procedurale complessiva se, dinanzi alla Corte, le questioni pregiudiziali proposte dalla Cour Constitutionnelle fossero state riunite o trattate congiuntamente alle questioni di cui al presente procedimento. Tuttavia, a mio parere, nulla di tutto questo influisce in alcun modo sulla ricevibilità delle questioni proposte nei presenti procedimenti.

40. È vero che, nell’ambito della cooperazione tra giudici nazionali e la Corte, un giudice che proponga una questione pregiudiziale è tenuto a indicare i motivi che lo inducono ad interrogarsi sull’interpretazione del diritto dell’Unione e a ritenere necessario sottoporre una siffatta questione (20). Tuttavia, a mio parere, egli non deve spingersi oltre l’indicazione di tali motivi in una maniera comprensibile. Né egli deve appropriarsi possibili argomenti delle parti o degli Stati membri riguardo alla correttezza del suo approccio alla luce del diritto processuale nazionale.

41. Purché vi siano ragioni immediatamente evidenti per richiedere una pronuncia pregiudiziale, non spetta alla Corte esaminare tali motivi e avventurarsi nel campo del diritto nazionale. Conformemente alla giurisprudenza della Corte, spetta unicamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di pronunciare la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte (21). Inoltre, tenuto conto della ripartizione delle funzioni tra i giudici nazionali e la Corte, non spetta a quest’ultima verificare se il provvedimento di rinvio sia stato adottato in modo conforme alle norme nazionali di organizzazione giudiziaria e di procedura (22).

42. Nel presente caso, i motivi per domandare una pronuncia pregiudiziale sono abbondantemente chiari. Il Conseil d’État è investito di ricorsi contro concessioni amministrative, che esso è competente ad esaminare. Prima di potersi pronunciare, esso deve sapere se, in base alle disposizioni rilevanti della Convenzione di Aarhus e della direttiva VIA, il fatto che tali concessioni siano state ratificate tramite un provvedimento legislativo lo abbia privato di tale competenza. Si può dubitare del fatto che la sua precedente giurisprudenza, in base alla quale esso ha declinato la propria competenza in simili circostanze, fosse corretta. Una siffatta questione, a mio avviso, è tutt’altro che ipotetica. Il Conseil d’État è pertanto legittimato e, in quanto giudice contro le cui decisioni non può proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, si può dire tenuto a chiedere alla Corte una pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE.

La seconda osservazione riguardo alla ricevibilità

La rilevanza delle questioni pregiudiziali

43. Secondo il governo belga le questioni sono irrilevanti ai fini dell’esito dei procedimenti pendenti dinanzi al Conseil d’État.

44. Per quanto riguarda le questioni sub A) e B 1), detto governo sostiene che le decisioni di rinvio si basano sul presupposto – erroneo – che il decreto sia stato adottato dal Parlamento vallone seguendo una procedura in un’unica fase senza alcuna valutazione di impatto ambientale o altre garanzie. Una decisione assunta su tale fondamento sarebbe irrilevante per la situazione effettiva, consistente in una procedura in due fasi cui si applica la direttiva VIA.

45. Tale obiezione, a mio parere, è alquanto priva di fondamento. L’articolazione della procedura in due fasi emerge chiaramente dalle decisioni di rinvio, così come la necessità di un chiarimento se, ed eventualmente entro quali limiti, il diritto dell’Unione possa consentire di vanificare un ricorso in giudizio contro una concessione amministrativa, in quanto tale concessione è stata successivamente ratificata da provvedimenti legislativi.

46. Il governo belga sostiene che le questioni sub B 2) e B 3) sono irrilevanti in quanto non riguardano il decreto 17 luglio 2008, bensì le norme costituzionali e giurisdizionali che ripartiscono la competenza tra il Conseil d’État e la Cour Constitutionnelle. Inoltre, per quanto riguarda la questione sub B 3), l’art. 9 della Convenzione di Aarhus, che è più completo rispetto all’art. 10 bis della direttiva VIA, è applicabile in Belgio, e l’interpretazione della Corte non può estendere la portata del secondo rispetto al primo.

47. A mio avviso, le suddette obiezioni sono, di per se stesse, irrilevanti. È evidente che il Conseil d’État chiede una pronuncia sulle implicazioni dell’art. 9 della Convenzione di Aarhus e dell’art. 10 bis della direttiva VIA sulla situazione processuale dei ricorsi dinanzi ad esso pendenti. Tale pronuncia gli permetterebbe di trarre conclusioni riguardo al modo in cui procedere con tali ricorsi. Pertanto, le questioni sono rilevanti ai fini dell’esito dei procedimenti pendenti dinanzi al Conseil d’État.

L’«acte clair»

48. Secondo il governo belga, il testo della Convenzione di Aarhus e quello della direttiva VIA sono chiari e le disposizioni controverse non necessitano di un’interpretazione della Corte. La dottrina dell’«acte clair» avrebbe pertanto dovuto precludere al Conseil d’État la proposizione di un rinvio pregiudiziale.

49. A mio avviso, il presente procedimento ha ampiamente dimostrato che le disposizioni non sono del tutto chiare riguardo alla loro applicazione alle circostanze di cui alla causa principale. Tuttavia, indipendentemente dal fatto che esse siano o meno chiare, il riferimento alla dottrina dell’«acte clair» è irrilevante. Un giudice nazionale può invocare tale principio per giustificare il proprio rifiuto di proporre un rinvio pregiudiziale, sostenendo che la soluzione ad una particolare questione è già sufficientemente chiara (23). Il principio non può essere utilizzato dalla Corte per giustificare un rifiuto a risolvere questioni proposte in via pregiudiziale. Quando un giudice di ultima istanza ritiene che le disposizioni rilevanti del diritto dell’Unione siano poco chiare, non soltanto può, ma è tenuto a proporre un rinvio pregiudiziale. Di conseguenza, in via di principio, la Corte è tenuta a statuire (24). Tuttavia, qualora la soluzione non consenta alcun ragionevole dubbio, la Corte può pronunciare la propria decisione con ordinanza motivata conformemente all’art. 104, n. 3, secondo comma, del suo regolamento di procedura. Nel presente procedimento, invece, la Corte ha deciso che le questioni proposte meritino l’attenzione della Grande sezione.

La giurisprudenza esistente

50. Secondo il governo belga, le soluzioni alle questioni sub A) e B 1) possono essere dedotte dalla sentenza WWF e a. (25).

51. Tuttavia, riguardo al riferimento alla dottrina dell’atto chiaro, tale affermazione è irrilevante quanto alla ricevibilità delle domande di rinvio pregiudiziale. Sebbene un giudice nazionale, anche un giudice contro le cui decisioni non possa proporsi ricorso, possa non esseretenuto a proporre un rinvio qualora sia possibile dedurre la soluzione dalla giurisprudenza esistente, nulla gli impedisce di farlo. In una simile ipotesi, la Corte può pronunciarsi con ordinanza motivata in base all’art. 104, n. 3, primo comma, del suo regolamento di procedura. Come ho sottolineato, la Corte ha invece deciso che le questioni proposte nel presente procedimento meritino l’attenzione della Grande Sezione. Inoltre, come emergerà chiaramente dall’esame che farò delle stesse questioni, ritengo che le soluzioni non possano essere dedotte dalla sentenza WWF e a.

Conclusione sulla ricevibilità

52. Ritengo pertanto che nulla osti alla ricevibilità delle questioni proposte dal Conseil d’État.

Nel merito

Questione sub A)

53. Ai sensi dell’art. 1, n. 5, la direttiva VIA non si applica ai «progetti adottati nei dettagli mediante un atto legislativo nazionale specifico, inteso che gli obiettivi perseguiti dalla presente direttiva, incluso l'obiettivo della disponibilità delle informazioni, vengono raggiunti tramite la procedura legislativa». Il Conseil d’État chiede di chiarire il significato di tale disposizione in una situazione in cui un’autorizzazione sia stata dapprima accordata da un’autorità amministrativa e quindi ratificata con un decreto della competente autorità legislativa la quale si limiti a dichiarare che «sussistono i motivi imperativi di interesse generale».

54. Tale questione racchiude due questioni secondarie implicite. In primo luogo, nel caso in cui un decreto sia adottato dal legislatore, in quanto provvedimento legislativo, ciò di per sé significa che esso automaticamente rientra nell’ambito dell’esclusione di cui all’art. 1, n. 5? In secondo luogo, e per contro, un giudice nazionale è limitato all’esame dei termini utilizzati in tale provvedimento per stabilire l’applicabilità dell’esclusione di cui all’art. 1, n. 5, oppure può guardare al di là della lettera e valutare il modo in cui la procedura legislativa stessa è stata condotta?

La ratio sottostante all’art. 1, n. 5

55. La direttiva VIA, come modificata per tener conto della Convenzione di Aarhus, è diretta a migliorare i processi decisionali delle autorità amministrative (26). L’elemento della partecipazione pubblica che essa introduce nel processo è importante ai fini del raggiungimento di tale obiettivo. In altri termini, la direttiva VIA promuove la partecipazione pubblica diretta nei processi decisionali amministrativi che riguardano l’ambiente in uno Stato membro.

56. Tuttavia, laddove una decisione viene raggiunta tramite una procedura legislativa, tale pubblica partecipazione è già presente. Lo stesso legislatore è composto da rappresentanti del pubblico democraticamente eletti. Quando un processo decisionale si svolge all’interno di un organismo di questo tipo, esso beneficia di una partecipazione pubblica indiretta ma comunque rappresentativa.

57. Ciò premesso, mi accingo ora ad esaminare più in dettaglio l’art. 1, n. 5.

La lettera dell’art. 1, n. 5

58. L’art. 1, n. 5, così recita: «La presente direttiva non si applica ai progetti adottati nei dettagli mediante un atto legislativo nazionale specifico, inteso che gli obiettivi perseguiti dalla presente direttiva, incluso l'obiettivo della disponibilità delle informazioni, vengono raggiunti tramite la procedura legislativa».

59. Il punto cruciale della questione è l’ambiguità insita nel nesso tra l’esclusione dei progetti adottati nei dettagli mediante un atto legislativo nazionale specifico e il raggiungimento degli obiettivi della direttiva tramite la procedura legislativa. Questa ambiguità dà origine a due possibili interpretazioni.

60. In base ad una prima interpretazione, esisterebbe una presunzione secondo cui la procedura legislativa garantirebbe automaticamente il raggiungimento degli obiettivi della direttiva VIA. Di conseguenza, qualora un progetto venga adottato nei dettagli mediante un atto legislativo nazionale specifico, un giudice nazionale dovrebbe considerare che tale atto automaticamente risponde ai suddetti obiettivi.

61. In base alla seconda interpretazione, la disposizione dovrebbe essere letta nel senso che esprime una condizione preliminare: la direttiva VIA non si applica ai progetti adottati nei dettagli mediante un atto legislativo nazionale specifico, purché gli obiettivi della direttiva siano raggiunti tramite la procedura legislativa. Tale interpretazione significherebbe che il legislatore è tenuto a raggiungere gli obiettivi della direttiva VIA (inclusa la disponibilità di informazioni) nel corso del suo processo decisionale, prima che il progetto possa essere escluso dall’applicazione della direttiva in base all’art. 1, n. 5. Questo farebbe sorgere l’ulteriore questione di cosa il legislatore sia tenuto a fare per garantire il raggiungimento dei suddetti obiettivi.

62. Entrambe le interpretazioni suscitano perplessità. La prima potrebbe ampliare indebitamente la portata dell’esclusione legislativa da una direttiva che mira a garantire il miglioramento del processo decisionale in materia ambientale. La conseguenza potrebbe essere che, anche laddove un progetto amministrativo fosse coperto da un leggerissimo manto legislativo, l’esclusione si applicherebbe comunque. La seconda interpretazione potrebbe implicare un certo grado di attivismo giudiziario che potrebbe indurre in confusione riguardo ai precisi doveri incombenti gravanti sul legislatore in questioni ambientali. Nella sua forma più estrema, essa potrebbe rendere l’esclusione stessa virtualmente priva di significato imponendo al legislatore di soddisfare integralmente gli stessi requisiti procedurali richiesti ad un’autorità amministrativa.

Le sentenze WWF e a. e Linster

63. La Corte ha già avuto due volte l’occasione di esaminare il significato dell’art. 1, n. 5, della direttiva VIA.

64. Nella sentenza WWF e a. (27) la Corte ha dichiarato che, ai sensi dell’art. 1, n. 5, «i progetti contemplati dalla direttiva sono dispensati dalla procedura di valutazione a due condizioni. La prima condizione è che il progetto sia adottato nei dettagli mediante un atto legislativo specifico; la seconda è che gli obiettivi della direttiva, incluso quello della disponibilità delle informazioni, vengano raggiunti tramite la procedura legislativa» (28).

65. Rispetto al primo criterio, la Corte ha quindi precisato che «se il diritto di realizzare il progetto è conferito al committente da un atto legislativo anziché da una decisione delle autorità competenti, tale atto deve essere specifico e presentare le medesime caratteristiche dell’autorizzazione di cui all’art. 1, n. 2, della direttiva(29)». A tal fine, l’atto legislativo «deve adottare il progetto nei dettagli, vale a dire in modo sufficientemente preciso e definitivo, sì da comprendere, come un’autorizzazione, tutti gli elementi del progetto rilevanti ai fini della valutazione d’impatto ambientale, che il legislatore deve aver preso in considerazione» (30).

66. La Corte ha chiarito il contenuto del secondo requisito (ossia che «gli obiettivi della direttiva, incluso quello della disponibilità delle informazioni, vengano raggiunti tramite la procedura legislativa») in modo più indiretto, dichiarando quanto segue: «Solo rispettando [i requisiti specificati per la prima condizione] la procedura legislativa può assicurare il conseguimento degli obiettivi oggetto della seconda condizione» (in tal modo, essa ha in certo senso unificato le due condizioni). La Corte ha però indicato molto chiaramente cosa non sarebbe accettabile: «se l’atto legislativo specifico recante adozione, e pertanto autorizzazione, di un determinato progetto non comprendesse gli elementi dello stesso che possono essere rilevanti ai fini della valutazione d’impatto ambientale, gli obiettivi della direttiva ne sarebbero compromessi, dato che un progetto, pur suscettibile di notevoli ripercussioni sull’ambiente, potrebbe venire autorizzato senza previa valutazione del suo impatto ambientale» (31).

67. Nella sentenza Linster (32) la Corte ha in primo luogo confermato che «le nozioni di “atto legislativo nazionale specifico” e di “progetto”, di cui all’art. 1, n. 5, della direttiva, devono costituire oggetto di autonoma interpretazione» (33); e che «l’art. 1, n. 5, della direttiva dev’essere interpretato tenendo conto degli obiettivi della direttiva medesima e prendendo in considerazione la circostanza che, trattandosi di una disposizione che limita la sfera di applicazione della direttiva, dev’essere interpretato restrittivamente» (34). Quindi, essa ha messo in rilievo la giustificazione dell’eccezione di cui all’art. 1, n. 5: «quando gli obiettivi della direttiva, ivi compreso quello della disponibilità di informazioni, siano raggiunti per mezzo di una procedura legislativa, è esclusa l’applicazione della direttiva al progetto di cui trattasi» (35) (vale a dire, secondo quanto da me compreso, perché in tal caso non è necessario applicare la direttiva).

68. La Corte ha poi spiegato (in maniera alquanto più ampia che non nella sentenza WWF e a.) il rapporto esistente tra gli obiettivi fondamentali della direttiva VIA e il livello di informazione di cui il legislatore deve disporre:

«L’obiettivo essenziale della direttiva, come si evince dall’art. 2, n. 1, della medesima, consiste nel garantire che, prima della concessione di un’autorizzazione, i progetti per i quali sia previsto un impatto ambientale rilevante, segnatamente per la loro natura, le loro dimensioni o la loro ubicazione, formino oggetto di una valutazione del loro impatto.

A termini del sesto ‘considerando’ della direttiva, la “valutazione deve essere fatta in base alle opportune informazioni fornite dal committente e eventualmente completata dalle autorità e dal pubblico eventualmente interessato al progetto”.

Pertanto, gli obiettivi della direttiva possono ritenersi raggiunti per mezzo di una procedura legislativa solamente quando il legislatore disponga di informazioni equivalenti a quelle che verrebbero sottoposte all’autorità competente nell’ambito di una procedura ordinaria di autorizzazione del progetto» (36).

69. La Corte ha completato la propria analisi ricordando che, ai sensi dell’art. 1, n. 5 della direttiva VIA, l’atto legislativo di cui trattasi dev’essere «un atto specifico che adotti il progetto in dettaglio. Da tale atto deve infatti risultare comprovato, in base al suo stesso tenore, il conseguimento degli obiettivi della direttiva col riguardo al progetto in questione». Inoltre, «non può essere considerata come recante adozione dettagliata d’un progetto ai sensi dell’art. 1, n. 5, della direttiva una legge che (…) non comprenda gli elementi necessari per la valutazione d’impatto ambientale del progetto», spettando al giudice stabilire le circostanze nel caso specifico (37).

70. A questo punto facciamo una pausa per operare una prima valutazione.

71. Nelle sentenze WWF e a. e Linster la Corte ha dettato due condizioni che vanno entrambe soddisfatte affinché un atto legislativo sia coperto dall’esclusione di cui all’art. 1, n. 5, ed esuli così dall’ambito della direttiva VIA. In primo luogo, occorre che il progetto sia adottato nei dettagli mediante un atto legislativo specifico che stabilisca, in modo sufficientemente preciso e definitivo, tutti gli elementi del progetto rilevanti ai fini della valutazione d’impatto ambientale. In secondo luogo, per soddisfare gli obiettivi di tutela ambientale della direttiva VIA, il legislatore deve disporre – ed è tenuto a prendere in considerazione nel corso del processo legislativo – di informazioni equivalenti a quelle che verrebbero sottoposte all’autorità competente nell’ambito di una procedura ordinaria di autorizzazione del progetto, in modo da poter effettuare la necessaria valutazione di impatto ambientale. Queste due condizioni verranno in prosieguo definite congiuntamente come «il doppio criterio di efficacia legislativa».

72. Appare evidente che tale doppio criterio favorisce un’interpretazione dell’art. 1, n. 5, nel senso che esso contiene una condizione preliminare in base alla quale gli obiettivi della direttiva VIA debbono essere raggiunti tramite procedura legislativa e non presumendo che siano stati raggiunti in tal modo. La Corte ha specificato che tale condizione mira a stabilire se la partecipazione pubblica, che la direttiva VIA è diretta a realizzare, venga di fatto raggiunta tramite la procedura legislativa.

Applicazione della giurisprudenza esistente al caso in esame

73. Le sentenze WWF e a. e Linster forniscono uno schema per la valutazione che i giudici nazionali sono tenuti a compiere. In via di principio, inoltre, detto schema può essere applicato per analogia ai presenti casi (dopo l’adozione di progetti amministrativi da parte del legislatore anziché prima dell’autorizzazione dei progetti), nonostante le modifiche apportate alla direttiva VIA con la direttiva 2003/35 (la quale ha rafforzato le disposizioni sulla partecipazione pubblica in particolare aggiungendo il requisito del controllo giurisdizionale nell’art. 10 bis, senza però mutare gli obiettivi della direttiva VIA).

74. Prendendo alla lettera le affermazioni contenute nelle sentenze WWF e a. e Linster, è relativamente semplice risolvere la prima questione proposta dal Conseil d’État. Il decreto 17 luglio 2008 non adotta «il progetto nei dettagli, vale a dire in modo sufficientemente preciso e definitivo, sì da comprendere, come un’autorizzazione, tutti gli elementi del progetto rilevanti ai fini della valutazione d’impatto ambientale, che il legislatore deve aver preso in considerazione» (38). Esso «non comprend[e] gli elementi necessari per la valutazione d’impatto ambientale del progetto», né «[risulta] comprovato, in base al suo stesso tenore, il conseguimento degli obiettivi della direttiva col riguardo al progetto in questione» (39). Al contrario, le disposizioni rilevanti del decreto 17 luglio 2008 si limitano a indicare che esse confermano la concessione amministrativa già accordata per una serie di progetti per i quali sono stati accertati «motivi imperativi di interesse generale».

75. Fin qui, tutto bene – ma l’applicazione dell’art. 1, n. 5, della direttiva VIA a mio avviso non può dipendere semplicemente dal fatto che gli autori del provvedimento legislativo in questione siano stati sufficientemente abili e ben informati da garantire che il provvedimento sia formulato in modo perfettamente conforme ai suddetti principi. Se questa fosse l’unico elemento importante, un progetto che non sia stato adeguatamente discusso dal legislatore potrebbe comunque essere redatto nei termini appropriati per soddisfare le condizioni richieste. Al contrario, un progetto che sia stato invece discusso nei dettagli potrebbe non soddisfare il criterio per l’esclusione dalla direttiva VIA in base all’art. 1, n. 5, semplicemente perché la tradizione della tecnica legislativa esistente in quello Stato membro non è favorevole ad un «sovraccarico», con una simile mole di dettagli, del provvedimento legislativo conseguente.

76. Inoltre, secondo quanto ho capito, la discussione di un progetto in una procedura legislativa sarà spesso (se non invariabilmente) preceduta da un maggiore o minor livello di attività amministrativa che prepari il terreno al dibattito successivo. Se questo è vero, sembra probabile che il fascicolo sottoposto al legislatore per la decisione non debba necessariamente contenere esattamente le stesse informazioni, con gli stessi dettagli, che sarebbero state esaminate nel corso di un procedimento puramente amministrativo. Parimenti, tale fascicolo potrebbe – o meno – contenere «informazioni equivalenti a quelle che verrebbero sottoposte all’autorità competente nell’ambito di una procedura ordinaria [cioè, amministrativa] di autorizzazione del progetto» (la seconda parte del doppio criterio).

77. I presenti rinvii pregiudiziali offrono alla Grande Sezione l’opportunità di riesaminare e chiarire le affermazioni contenute nelle sentenze WWF e a. e Linster.

78. Prenderò come punto di partenza le utili osservazioni dell’avvocato generale Léger relative alla sentenza Linster: «Facendo una riserva nel caso in cui un progetto d’opera venga adottato mediante un atto legislativo, il legislatore comunitario non ha inteso sancire un criterio formale che consenta agli Stati membri di sottrarre tale progetto alla valutazione del suo impatto ambientale, all’informazione e alla consultazione della popolazione interessata unicamente in ragione nella natura nell’atto di cui trattasi e dell’autorità che lo ha adottato. Sono esclusi dal campo di applicazione della direttiva soltanto gli atti legislativi che offrano garanzie identiche a quelle che sarebbero state pretese agli effetti della direttiva (40)».

79. Concordo con tali affermazioni. La direttiva VIA non riguarda questioni formali. Essa mira a garantire valutazioni di impatto ambientale effettive per tutti i più importanti progetti; e, nella versione modificata, è diretta ad assicurare una partecipazione pubblica adeguata nel processo decisionale. Qualora il processo legislativo funzioni in modo normale e corretto, esso fornisce – attraverso l’operare della democrazia rappresentativa – le stesse garanzie che sarebbero state richieste in base alla direttiva VIA.

80. È evidente che il procedimento di esame compiuto dal legislatore potrebbe essere effettivamente diverso da quello indicato agli artt. 5‑10 della direttiva VIA. I giudici nazionali non sono tenuti a garantire che il legislatore segua esattamente la stessa procedura che sarebbe imposta ad un organo amministrativo che valutasse lo stesso progetto. Essi sono invece tenuti ad esaminare se la procedura legislativa abbia funzionato in maniera corretta e adeguata.

81. Per adempiere effettivamente a tale compito, il giudice nazionale deve guardare al di là della lettera del decreto.

82. La Corte ha già dichiarato che qualora un atto legislativo lasci ad un procedimento separato il completamento di alcuni aspetti importanti della valutazione di un progetto dopo che sia stata ottenuta l’approvazione formale (sentenza WWF e a.) o lasci aperti alcuni aspetti rilevanti del progetto, come la scelta finale del percorso di un’autostrada (sentenza Linster), esso non rientra nell’ambito dell’esclusione prevista dall’art. 1, n. 5. A mio avviso, la ratio sottostante ad entrambe le decisioni risiede nel fatto che, in casi di questo tipo, non si può ragionevolmente affermare che il legislatore abbia preso in considerazione tutti gli elementi necessari per valutare il possibile impatto ambientale del progetto. Dato che la procedura legislativa non ha funzionato in modo adeguato, il provvedimento che ne deriva non risponde alla ratio sottostante all’esclusione. Per contro, laddove la procedura legislativa funziona adeguatamente, l’applicazione dell’esclusione legislativa deve essere consentita per rispettare le intenzioni degli autori della Convenzione di Aarhus e di coloro che hanno attuato tale Convenzione nel diritto dell’Unione attraverso la direttiva VIA, come modificata.

83. Se, come ho suggerito, è necessario adottare un criterio di tipo funzionale per evitare il formalismo attribuendo al contempo un significato effettivo e coerente alla clausola di esclusione contenuta nell’art. 1, n. 5, allora la domanda è: come decidere se la procedura legislativa ha funzionato adeguatamente?

84. A mio avviso, per stabilire se ciò è avvenuto in un caso specifico, il giudice nazionale dovrà esaminare i seguenti aspetti:

a)      input: l’informazione sottoposta al legislatore è sufficientemente dettagliata e informativa da consentirgli di valutare il possibile impatto ambientale del progetto proposto?

b)      procedura: il procedimento appropriato è stato rispettato e i tempi di preparazione e di discussione sono stati sufficienti per concludere plausibilmente che i rappresentanti eletti del popolo sono stati adeguatamente in grado di esaminare e discutere il progetto proposto?

c)      output: il provvedimento legislativo conseguente (letto, eventualmente, in combinato disposto con il materiale di supporto a cui esso fa espresso riferimento) chiarisce cosa si autorizzi e quali limiti o vincoli vadano imposti?

85. Una procedura legislativa di questo tipo potrebbe (come nel caso di specie) coinvolgere il legislatore che si basa sul lavoro precedentemente realizzato da un organo amministrativo.

86. In tal caso, il giudice nazionale dovrà allora stabilire se, in sostanza, il progetto sia stato già approvato (nel corso della procedura amministrativa) prima di giungere dinanzi al legislatore; o se sia stato invece esaminato e approvato in un secondo tempo, tramite la procedura legislativa stessa. Ribadisco che il giudice nazionale deve guardare alla sostanza e non alla forma di quanto avvenuto in ciascun caso particolare.

87. In sintesi, a patto che il legislatore disponga del materiale necessario e svolga correttamente ed effettivamente la sua funzione democratica, la procedura legislativa raggiungerà gli obiettivi della direttiva VIA, come modificata. Pertanto, permettere che la procedura legislativa benefici dell’esclusione di cui all’art. 1, n. 5, ed esuli dall’ambito della direttiva VIA non crea alcuna lacuna nella tutela.

88. Per contro, una procedura legislativa che si limiti ad avallare formalmente un precedente procedimento amministrativo, che di fatto abbia già adottato le decisioni rilevanti, non offrirà le stesse garanzie di quelle richieste dalla direttiva VIA. Di conseguenza, essa non beneficerà dell’esclusione di cui all’art. 1, n. 5.

89. A mio avviso, un simile approccio combina il rispetto della finalità della Convenzione di Aarhus e della direttiva VIA, come modificata, con il rispetto delle intenzioni dei redattori facendo rientrare, in entrambi gli strumenti, una clausola di esclusione applicabile alle decisioni ambientali adottate dal legislatore anziché da un organo amministrativo.

Le questioni sub B1), B2) e B3)

90. Nella questione sub B 1), il Conseil d’État chiede se gli art. 1, 5, 6, 7, 8 e 10 bis della direttiva VIA ostino ad un regime normativo in cui il diritto di attuare un progetto subordinato ad una valutazione di impatto ambientale sia conferito tramite un atto legislativo contro il quale non sia esperibile alcuna procedura di controllo giurisdizionale per contestare la legittimità sostanziale o procedurale della decisione rilevante. Tuttavia, alla luce della lettera e del tenore delle disposizioni citate, ritengo che il giudice nazionale in realtà voglia sapere se, tenuto conto dell’art. 1 (in particolare dell’art. 1, n. 5), l’art. 10 bis della direttiva VIA esiga che una procedura di controllo giurisdizionale sia disponibile per verificare la conformità sostanziale e processuale con gli artt. 5, 6, 7 e 8 di un atto legislativo che attribuisca il diritto di attuare un progetto subordinato ad una valutazione di impatto ambientale.

91. Con le questioni sub B 2) e B 3) si chiede, in sostanza, se l’art. 9 della Convenzione di Aarhus e/o l’art. 10 bis della direttiva VIA impongano ad uno Stato membro di offrire la possibilità di un controllo giurisdizionale sulla legittimità di decisioni, atto o omissioni relativi a norme sostanziali o procedurali che disciplinano l’autorizzazione di progetti subordinati ad una valutazione di impatto ambientale.

92. Pertanto, mentre con la questione sub A) si vuole accertare se la direttiva VIA si applichi ad una procedura come quella in esame, le tre questioni sub B) riguardano più in particolare la disponibilità di un controllo giurisdizionale su una procedura di questo tipo e vertono, implicitamente, sulle difficoltà che potrebbero insorgere nel caso in cui giudici diversi abbiano normalmente competenza a controllare la legittimità di parti diverse di tale procedura.

93. A prima vista, è possibile risolvere tali questioni in modo molto semplice.

94. In primo luogo, per quanto riguarda la questione sub B 1), è chiaro che la direttiva VIA non si applica ai «progetti adottati nei dettagli mediante un atto legislativo nazionale specifico». Di conseguenza, nessuna delle disposizioni sostanziali della direttiva può imporre alcun tipo di controllo giurisdizionale di concessioni adottate tramite atti che rientrano in tale definizione. La questione se un atto specifico rientri o meno in tale definizione costituisce oggetto del quesito sub A), e ho risolto tale problema in quel contesto. Se un atto non rientra in tale definizione, le norme riguardanti la disponibilità del controllo giurisdizionale sono indicate nell’art. 10 bis.

95. La soluzione alle questioni sub B 2) e B 3), che non fanno riferimento ad atti legislativi, è persino più semplice. Essa emerge dalla lettera dell’art. 9 della Convenzione di Aarhus e dell’art. 10 bis della direttiva VIA e proprio tali disposizioni effettivamente impongono agli Stati membri di prevedere la possibilità di un controllo giurisdizionale della legittimità delle decisioni, atti o omissioni rientranti nell’ambito di tali strumenti, relativamente alle norme sostanziali o procedurali che disciplinano le autorizzazioni di progetti subordinati ad una valutazione di impatto ambientale.

96. Occorre tuttavia sottolineare, come messo in rilievo dal governo belga e dalla Commissione, che la lettera di tali disposizioni concede agli Stati membri un margine non trascurabile per raggiungere gli obiettivi indicati. Diverse materie sono lasciate alla determinazione conformemente al diritto nazionale, tra cui il contenuto di taluni concetti, la fase in cui il controllo dovrebbe essere disponibile e la natura dell’organismo competente ad effettuare il controllo.

97. Tuttavia, anche se lette congiuntamente alla mia analisi della questione sub A), queste semplici soluzioni non risolvono il problema sottostante sollevato dal Conseil d’État. Le norme di dettaglio sulle competenze rispettive del Conseil d’État e della Cour Constitutionnelle non sono state esposte compiutamente alla Corte (anche se il governo belga ha fornito significative informazioni). Tuttavia, in sostanza, sembra che il Conseil d’État non sia competente a controllare atti legislativi come il decreto 17 luglio 2008 mentre la Cour Constitutionnelle, pur essendo dotata di tale competenza, può non essere necessariamente competente a controllare la conformità di tale provvedimento con la Convenzione di Aarhus o con la direttiva VIA, come invece avviene riguardo alla conformità con norme o principi costituzionali. Se questo è vero, o se sussiste una situazione analoga, esiste forse un vuoto di competenza che sarebbe incompatibile con l’uno o l’altro dei suddetti strumenti?

98. In particolare, se un organo giurisdizionale come il Conseil d’État non è competente ad esaminare un provvedimento come il decreto 17 luglio 2008 al fine di stabilire se tale provvedimento sia valido alla luce della Convenzione di Aarhus o della direttiva VIA, esso dev’essere dotato di tale competenza per stabilire se il provvedimento rientra nell’esclusione per gli atti legislativi, considerato che la sostanza dell’esame è di fatto la stessa in entrambi i casi? E, ove così non fosse, deve sussistere la competenza di un organo giurisdizionale diverso, come la Cour Constitutionnelle, per valutare la compatibilità del provvedimento con la Convenzione di Aarhus o con la direttiva VIA?

99. Qui occorre tenere a mente due punti di principio. In primo luogo, a meno che non sussistano norme giurisdizionali imposte dal diritto dell’Unione – e questo evidentemente non è il caso – non spetta alla Corte indicare quale di queste norme andrebbe applicata negli Stati membri. In secondo luogo, al fine di garantire che gli obiettivi di accesso alla giustizia siano raggiunti, dev’essere possibile almeno per un organo giurisdizionale conoscere di un ricorso contro uno specifico atto legislativo nazionale per il fatto che esso non rientra nell’ambito dell’esclusione di cui all’art. 2 della Convenzione di Aarhus o all’art. 1, n. 5, della direttiva VIA.

100. Alla luce di quanto precede, appare chiaro che, nel caso in cui la Cour Constitutionnelle, secondo le norme giurisdizionali del Belgio, sia competente a stabilire se il decreto 17 luglio 2008 rientri nella definizione di «atto nazionale legislativo specifico», ai sensi dell’art. 1, n. 5, della direttiva VIA come interpretato dalla Corte, e nel caso in cui essa sola abbia tale competenza, non esiste alcun vuoto di competenza e gli obiettivi indicati all’art. 10 bis di tale direttiva (e all’art. 9 della Convenzione di Aarhus) sono adeguatamente raggiunti – purché, in circostanze come quelle del presente caso, il giudice dinanzi al quale siano state impugnate le sottostanti concessioni amministrative sia in grado di ottenere una pronuncia della Cour Constitutionnelle sul punto. Dalla decisione di rinvio emerge che una procedura di pronuncia pregiudiziale di questo tipo è disponibile.

101. Tuttavia, se la competenza della Cour Constitutionnelle fosse limitata, per esempio, alla verifica della conformità con principi costituzionali e non si estendesse a considerare se un particolare atto legislativo rientri nella definizione di cui all’art. 1, n. 5, della direttiva VIA, occorrerebbe che il Conseil d’État fosse in grado di esaminare la questione, eventualmente senza tener conto del decreto 17 luglio 2008, per decidere sulla legittimità sostanziale o procedurale delle stesse concessioni amministrative (41).

Conclusione

102. Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di risolvere le questioni proposte dal Conseil d’État nel modo seguente:

A.      L’art. 1, n. 5, della direttiva del Consiglio 27 giugno 1985, 85/337/CEE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, quale modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 26 maggio 2003, 2003/35/CE, che prevede la partecipazione del pubblico nell’elaborazione di taluni piani e programmi in materia ambientale e modifica le direttive del Consiglio 85/337/CEE e 96/61/CE relativamente alla partecipazione del pubblico e all’accesso alla giustizia, esclude dall’ambito di tale direttiva solo gli atti legislativi in cui l’organo legislativo abbia sostanzialmente adempiuto agli obiettivi della direttiva.

Nel caso in cui dinanzi ad un giudice nazionale vengano promossi ricorsi contro le autorizzazioni amministrative concesse per progetti soggetti alla direttiva 85/337, e tali autorizzazioni siano poi state ratificate con atto legislativo, è necessario considerare non solo la lettera dell’atto di cui trattasi, ma anche il merito della procedura legislativa – in particolare, le informazioni a disposizione del legislatore e l’esame cui tali informazioni sono state sottoposte – al fine di stabilire se tali obiettivi siano stati raggiunti. Nel caso in cui non siano stati raggiunti, il giudice nazionale non dovrebbe tener conto dell’atto legislativo e la legittimità delle autorizzazioni amministrative andrebbe esaminata in quanto tale.

B.      Nell’ambito di tale procedimento, l’art. 10 bis della direttiva VIA e l’art. 9 della Convenzione di Aarhus impongono al giudice interessato di essere in grado di accertare, d’ufficio oppure facendo rinvio ad un altro organo giurisdizionale che abbia la necessaria competenza, se l’atto legislativo esuli dall’ambito di tali strumenti sulla base del fatto che la procedura legislativa ha raggiunto gli obiettivi di cui trattasi.


1 – Lingua originale: l’inglese.


2– Direttiva del Consiglio 27 giugno 1985, 85/337/CEE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati (GU L 175, pag. 40).


3– Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 26 maggio 2003, 2003/35/CE, che prevede la partecipazione del pubblico nell’elaborazione di taluni piani e programmi in materia ambientale e modifica le direttive del Consiglio 85/337/CEE e 96/61/CE relativamente alla partecipazione del pubblico e all’accesso alla giustizia (GU L 156, pag. 17).


4– Decisione del Consiglio 17 febbraio 2005, 2005/370/CE, relativa alla conclusione, a nome della Comunità europea, della Convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale (GU L 124, pag. 1). Il testo della Convenzione di Aarhus è ripreso alle pagg. 4 e segg. di detta edizione della Gazzetta ufficiale.


5 – Ai sensi dell’art. 2, n. 2, gli Stati membri possono integrare le valutazioni dell’impatto ambientale in procedure esistenti o stabilire nuove procedure.


6 – In casi eccezionali e a condizioni strettamente definite, gli Stati membri possono derogare a tale requisito conformemente all’art. 2, n. 3, della direttiva VIA. Nel presente procedimento non è stato fatto ricorso a questa procedura eccezionale.


7 – È pacifico che i progetti che costituiscono oggetto delle presenti cause rientrano nell’ambito dell’allegato I.


8 – Questo è l’oggetto delle cause C‑128/09 e C‑129/09.


9– Questo è l’oggetto della causa C‑134/09.


10– Questo è l’oggetto della causa C‑135/09.


11 – Questo è l’oggetto delle cause C‑130/09 e C‑131/09.


12 –      Identiche questioni sono state proposte alla Corte negli altri tre rinvii pregiudiziali nelle cause relative agli artt. 15, 16 e 17 del decreto 17 luglio 2008, che sono state riunite dalla Corte e sospese fino alla pronuncia nel presente procedimento (cause riunite C‑177/09, C‑178/09 e C‑179/09, Poumon Vert de la Hulpe e a., GU 2009, C 180, pagg. 30-32).


13 – Causa C‑182/10, Solvay e a. (GU 2010, C 179, pag. 18).


14– Sentenza 6 ottobre 1982, causa 283/81, CIFLIT (Racc. pag. 3415).


15– V., per esempio, sentenza 3 maggio 2007, causa C‑303/05, Advocaten voor de Wereld (Racc. pag. I‑3633, punto 20).


16– V., ad esempio, sentenza 21 ottobre 2010, causa C‑467/08, PADAWAN (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 22).


17 – Ammetto che una comprensione del contesto rilevante possa essere stata parzialmente ostacolata da un fattore diverso, non imputabile alle stesse decisioni di rinvio: nelle traduzioni di tali decisioni inviate dalla Corte agli Stati membri nelle loro lingue sono state omesse le sezioni dedicate ai quesiti pregiudiziali proposti dalla Cour Constitutionnelle. Tuttavia, gli omissis sono stati chiaramente indicati come tali nelle traduzioni e agli Stati membri sono state inviate copie complete dell’originale in lingua francese. Mi sembra inoltre che, anche senza questi passaggi, le decisioni di rinvio contenessero informazioni sufficienti.


18 – Va inoltre riconosciuto che il governo italiano, pur avendo definito la prima questione come «formulata in modo enigmatico» ha comunque ritenuto di essere in grado di presentare osservazioni.


19– Paragrafi 23-29.


20 – V., per esempio, ordinanza 2 marzo 1999, causa C‑422/98, Colonia Versicherung (Racc. pag. I‑1279, punto 6).


21– V., ad esempio, sentenza 1° luglio 2010, causa C‑393/08, Sbarigia (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 19).


22 – V., ad esempio, sentenze 16 settembre 1999, causa C‑435/97, WWF e a. (Racc. pag. I‑5613, punto 33); e 23 novembre 2006, causa C‑238/05, Asnef-Equifax e Administración del Estado (Racc. pag. I‑11125, punto 14).


23– Sentenza CILFIT, cit. alla nota 14, punto 16.


24– V. ad esempio, sentenza 19 aprile 2007, causa C‑295/05, Asemfo (Racc. pag. I‑2999, punto 30).


25– Citata alla nota 22; v. punti 55-63 della sentenza.


26 – V. i preamboli della direttiva 2003/35 e della stessa Convenzione di Aarhus.


27– Citata alla nota 22.


28– Punto 57 della sentenza.


29 Punto 58 della sentenza.


30– Punto 59 della sentenza; il corsivo è mio.


31– Punto 60; il corsivo è mio.


32– Sentenza 19 settembre 2000, causa C‑287/98 (Racc. pag. I‑6917).


33 – Punto 44.


34 – Punto 49.


35 – Punto 51.


36–      Punti 52-54.


37– Punti 56-58.


38– Sentenza WWF e a., cit. alla nota 22, punto 59.


39– Sentenza Linster, cit. alla nota 31, punti 56 e 57.


40– Paragrafo 114 delle sue conclusioni.


41 – Per una situazione processuale analoga, anche se non identica, v., ad esempio, sentenze 9 marzo 1978, causa 106/77, Simmenthal (Racc. pag. 629), o 19 giugno 1990, causa C‑213/89, Factortame e a. (Racc. pag. I‑2433).