Trib. Santa Maria C.V. ord. 10740 del 26 novembre 2006
Est. Piccirillo
Costituzione di parte civile degli enti territoriali e associazioni
ambientaliste in procedimento per associazione per
delinquere,
attività organizzata per il tarffico illecito di rifuti,
realizzazione e gestione di discariche abusive, truffa in danno di enti
pubblici, disastro innominato sub specie di disastro ambientale.
L'ordinanza tiene conto delle novità introdotte dal t.u.
dell'ambiente e supera le argomentazioni fondate sull'art. 18 della
legge istitutiva del ministero dell'ambiente, soffermandosi piuttosto
sulle norme fondative della responsabilità aquiliana e sulla
diagnosi differenziale tra interessi diffusi e interessi collettivi.
N. 7807/06 R.G.N.R.
N. 10740/06 R.G. GIP
TRIBUNALE DI SANTA MARIA CAPUA VETERE
Ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari
ORDINANZA RESA NEL CORSO DELL’UDIENZA PRELIMINARE
Il Giudice dr. Raffaele Piccirillo,
sciogliendo la riserva formulata nel corso dell’udienza
preliminare del 31 ottobre 2006 sulle richieste dei difensori degli
imputati dirette all’esclusione delle seguenti
parti civili
costituite:
1. Regione Campania;
2. Provincia di Caserta;
3. Comune di Villa Literno in persona del
Sindaco pro tempore;
4. Comune di San Tammaro in persona della
Commissione Straordinaria;
5. LIPU – Lega Italiana
Protezione Uccelli;
6. Associazione VAS – Verdi
Ambiente e Società;
7. ADICONSUM – Associazione
Italiana Difesa Consumatori e Ambiente;
8. Consorzio per la Tutela del Formaggio
Mozzarella di Bufala Campana;
9. Legambiente Campania onlus;
10. Associazione Italiana per il World
Wide Fund for Nature onlus;
11. Coldiretti Campania;
rilevato che le richieste di esclusione si fondano: sul difetto di
legitimatio ad causam di tutti gli enti diversi dal Ministero
dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, al
quale
soltanto l’art. 18 del della legge n. 349/86 riconoscerebbe
la
legittimazione a far valere in giudizio pretese risarcitorie connesse a
danno ambientale derivato da fatti illeciti; sull’assenza di
qualsiasi precisazione, negli atti di costituzione presentati dagli
enti sopra indicati, in ordine alla causa petendi;
udite le repliche del P.M. e delle parti civili interessate;
OSSERVA
1. Giova premettere che i poteri riconosciuti al Giudice
dell’Udienza Preliminare investito della richiesta di
esclusione
della parte civile ex art. 80 cit. non comprendono alcuna delibazione
di fondatezza dell’azione civile in sé
considerata, ma
unicamente una statuizione sull’ammissibilità
della sua
insinuazione nella sede penale. Questo fondamentale limite decisorio
è fissato dall’art. 88 c.p.p.
La norma esplicitamente esclude che la decisione reiettiva proietti
qualsivoglia effetto ‘sulla successiva decisione sul diritto
alle
restituzioni e al risarcimento del danno’ e non collega al
provvedimento di esclusione alcun effetto preclusivo della
riproposizione dell’azione nella sede propria, come sarebbe
coerente con un sistema che ammettesse in questa sede una pronuncia di
manifesta infondatezza dell’azione.
Esclusa qualsiasi valutazione sull’azione in senso
sostanziale,
il sindacato del Giudice deve concentrarsi - oltre che sulla
tempestività dell’atto di costituzione e sul
rispetto del
catalogo di requisiti formali dettato dall’art. 78 c.p.p.
-sulle
precondizioni processuali enucleabili dalla prospettazione delle parti,
e in particolare:
a) sull’astratta risarcibilità del danno
prospettato;
b) sulla legitimatio ad causam
c) sulla legitimatio ad processum,
d) sull’interesse ad agire.
2. Le richieste di esclusione degli enti territoriali sollevate per
difetto di legitimatio ad causam e generica indicazione del petitum e
della causa petendi devono essere rigettate.
La legittimazione sostanziale degli enti si desume innanzitutto dai
compiti istituzionali che tanto la Regione quanto le Province e i
Comuni hanno nella materia della gestione dei rifiuti che costituisce
materia principe del presente processo, alla quale si connettono tutte
le violazioni contestate.
Dette competenze sono stabilite dal fondamentale D. Lgs.vo 22/97, dal
vigente D. Lgs.vo 152/06 e da una serie di altri testi normativi che
coinvolgono gli enti territoriali in funzioni fondamentali di
controllo, vigilanza, autorizzazione, gestione diretta del ciclo dei
rifiuti; nonché in delicati e onerosi compiti di risanamento
e
bonifica ambientale.
I fatti contestati nel processo consistono del resto: nel sistematico
abuso da parte degli imputati delle iscrizioni e autorizzazioni
ottenute dalle autorità regionali per il recupero e la
trasformazione di rifuti in compost; nell’elusione o nella
fraudolenta vanificazione dei controlli degli uffici provinciali sul
rispetto delle procedure di trasformazione; nella causazione di
pregiudizi ambientali che direttamente interpellano i compiti di
caratterizzazione, bonifica e risanamento degli enti territoriali.
Nel capo D) si contesta poi un’attività
truffaldina che
avrebbe pregiudicato gli interessi patrimoniali dei comuni costituiti e
della Provincia di Caserta.
Ricorrono insomma tra le imputazioni, richiamate o incorporate negli
atti di costituzione, e gli interessi pubblici curati dalle
amministrazioni locali costituite nessi talmente diretti ed evidenti,
da far ritenere senz’altro sufficiente la prospettazione
della
causa petendi mediante richiamo delle contestazioni.
La S.C. ha del resto più volte affermato che
‘l’impegno argomentativo necessario
all’illustrazione
delle ragioni che giustificano la domanda dipende dalla natura delle
imputazioi e dal rapporto tra i fatti lamentati e la pretesa azionata.
Ne consegue che quando tale rapporto sia immediato è
suffciente,
per l’adempimento del precetto normativo, il mero richiamo al
fatto descritto nel capo di imputazione o al titolo di reato ivi
indicato’ (Cass., I, 12.1.- 7.3.01, De Vivo; Cass., VI,
23.11.02
n. 39695, Gori).
La censura relativa alla mancata specificazione del danno risentito va
respinta sulla base degli artt. 78 e 523 c.p.p.
La prima norma, nell’elencare i requisiti di
inammissibilità della domanda risarcitoria proposta nel
processo
penale, non contempla la specificazione del quantum debeatur.
La seconda rimanda alla fase dello svolgimento della discusione finale
la determinazione dell’ammontare dei danni richiesti.
3. Sono più complesse le questioni sollevate dai Difensori
degli
imputati in ordine alla legittimazione delle associazioni ambientaliste
e di consumatori comparse nel giudizio.
Secondo un’impostazione tradizionale della giurisprudenza
esse
involgerebbero, quale passaggio essenziale del ragionamento, una presa
di posizione sulla corretta esegesi dell’art. 18 della legge
n.
349/86 e dell’art. 4 della legge 3.8.99 n. 265.
La prima disposizione assegnava, al comma terzo, allo Stato e agli enti
territoriali minori la legittimazione a promuovere, anche in sede
penale, l’azione risarcitoria.
Al comma quinto la stessa norma riconosceva invece alle associazioni
riconosciute ai sensi dell’art. 13 della stessa legge (quelle
cioè rivestite di carattere nazionale o presenti in almeno
cinque Regioni e individuate con apposito decreto del ministro
dell’Ambiente) un potere d’intervento nei giudizi
per danno
ambientale e un potere di ricorso in sede giurisdizionale
amministrativa per l’annullamento degli atti illegittimi.
La norma veniva da una parte della giurisprudenza coordinata con
l’art. 212 d. att. c.p.p. (‘quando le leggi o
decreti
consentono la costituzione di parte civile o l’intervento nel
processo penale al di fuori delle ipotesi indicate nell’art.
74
del codice, è consentito solo l’intervento nei
limiti e
alle condizioni previsti dagli artt. 91, 92, 93 e 94 del codice) e con
gli artt. 91 e ss. c.p.p. per inferirne che:
- le associazioni ambientaliste hanno
solo la
facoltà di intervenire nel giudizio di danno, identica per
fictio juris a quella della persona offesa, ai sensi
dell’art. 91
e ss. c.p.p. ;
- esse hanno cioè
facoltà limitate ad
una funzione di ausilio del P.M., attraverso la presentazione di
memorie e l’indicazione di elementi di prova (Cass., III,
23.6.94, Galletti n. 7275).
Questa posizione limitativa trovava ulteriori supporti esegetici di
carattere sistematico:
- nella Relazione Ministeriale al
progetto definitivo
del codice di procedura penale, ove si illustrava come le norme degli
artt. 91 e ss. c.p.p. avessero inteso assegnare alle associazioni senza
scopo di lucro riconosciute prima della commissione del fatto
‘una loro sfera di azione processuale che…tende a
realizzare, mediante forme di adesione
all’attività del
P.M. ovvero di controllo su di essa, una sporta di contributo
all’esercizio e al proseguimento dell’azione
penale’;
- nell’art. 109 bis del D.L.
18.6.86 n. 282,
quasi coevo rispetto alla legge istitutiva del Ministero
dell’Ambiente, che in tema di misure urgenti per la
prevenzione e
repressione delle sofisticazioni alimentari espressamente attribuisce
alle associazioni dei consumatori e dei produttori la
facoltà di
‘costituirsi parte civile, indipendentemente dalle prove di
un
danno immediato e diretto, nei procedimenti penali per le infrazioni al
presente decreto’.
Il confronto dell’art. 18 con questi referenti normativi
segnalava che la differenziazione tra i poteri di tutela riconosciuti
allo Stato e agli enti territoriali corrispondeva ad una precisa e
consapevole scelta legislativa.
A fronte di questa scelta apparivano arbitrarie talune letture
atecniche del concetto di intervento che avevano condotto una parte
della giurisprudenza a comprendere nella nozione anche una
legittimazione delle associazioni alla costituzione di parte civile
(Cass., III, 17.3.92, Ginatta; Cass., VI, 14.10.88, Zorzi; Cass., III,
1.3.88, Hampe Wilfred).
Coordinando l’art. 18 citato con l’art. 4 co. 3
della legge
3.8.99 n. 265, poi trasfuso nell’art. 9 co. 3 del D. Lgs.vo
n.
267/00 (testo unico sull’ordinamento degli enti locali) , si
affermava poi che – oltre al potere di intervento ad
adiuvandum
– spettava alle associazioni ambientaliste riconosciute una
legittimazione straordinaria per proporre le azioni risarcitorie
spettanti al Comune e alla Provincia.
La norma radicava, secondo la lettura unanime data da giurisprudenza e
dottrina, un caso evidente di ‘sostituzione
processuale’:
un caso nel quale cioè, sul presupposto
dell’inerzia
dell’ente territoriale titolare della posizione soggettiva
passiva, la pretesa risarcitoria poteva essere azionata iure alieno
dall’ente associativo cui spettava la liquidazione delle sole
spese processuali (Cass., III, 3.12.2002, Veronese n. 43238).
Il discorso e le posizioni giurisprudenziali illustrate non risentono
sensibilmente dell’abrogazione della gran parte
dell’art.
18 della legge 349/86, operata dall’art. 318 del D. Lgs.vo n.
152/06.
La norma è stata soppiantata dall’art. 311 del D.
Lgs.vo 3
aprile 2006 n. 152 che, trascurando gli enti territoriali minori, ha
però conservato allo Stato per il tramite del Ministro
dell’ambiente e della tutela del territorio la legittimazione
all’azione risarcitoria (1° comma).
Nello stesso tempo il Decreto Legislativo – sia pure dopo
un’intricata vicenda – ha evitato di abrogare sia
l’art. 13 che il comma quinto dell’art. 18 della
legge n.
349/86.
Permane quindi quel quadro normativo di differenziazione di poteri sul
quale si è già espressa la giurisprudenza con le
posizioni sopra sunteggiate.
4. L’esegesi delle due norme sopra indicate, così
come
quella del nuovo art. 311 D. Lgs.vo 152/06 non è in grado di
esaurire i termini della questione.
Non può trascurarsi infatti il carattere complesso e
polimorfo
del bene ambiente e delle lesioni che questo può subire.
La tutela di questo bene giuridico non trova la sua fonte genetica
nell’art. 18 della legge n. 349/86, ma direttamente nella
Costituzione, attraverso il combinato disposto degli artt. 2, 3, 9, 41,
42 e il loro collegamento con la norma fondativa della tutela aquiliana
(art. 2043 c.c.).
In questo senso si sono più volte espresse tanto la Corte
Costituzionale, quanto la Corte di Cassazione Civile e Penale (ex
plurimis, v. Cass., III sezione civile, n. 5650 del 19.6.96; Cass., III
sezione penale, n. 33887 del 7.4 – 9.10.06).
E’ proprio la complessità del bene giuridico a
comportare
la possibilità che la sua lesione involga interessi
individuali,
collettivi e/o pubblici facenti capo a soggetti diversi.
L’idea della complessità del bene e delle sue
potenziali
lesioni e la concreta possibilità che un fatto illecito
lesivo
dell’ambiente produca plurimi profili di danno in capo a
soggetti
diversi è resa icasticamente dalla S.C. con un esempio
particolarmente vicino ai casi al nostro esame:
‘E’ evidente, ad esempio, che quando il danno
ambientale
consista nella contaminazione del terreno, solo l’ente
territoriale potrà pretendere un risarcimento rapportato
alle
operazioni di decontaminazione e di ripristino che istituzionalmente
competono all’ente territoriale medesimo; solo i privati
proprietari dei terreni contaminati potranno pretendere il risarcimento
dei danni subiti per il mancato godimento delle risorse naturali del
terreno; mentre i danni alla salute conseguenti alla contaminazione
potranno essere richiesti solo dalle persone fisiche concretamente
danneggiate nella loro integrità fisica o
psichica’
(Cass., III, n. 577 del 7.4 – 9.10.06).
Il problema allora si sposta dall’analisi generale delle
norme
legittimanti a quello delle singole posizioni giuridiche che si
assumono lese.
Diventa cioè dirimente stabilire se le associazioni in
questione
abbiano articolato le loro prospettazioni di danno in termini tali da
far emergere un interesse che, per essere sufficientemente
soggettivizzato e differenziato, meriti di essere etichettato come
interesse collettivo.
Giova alla piena comprensione di questi concetti il richiamo della
sistemazione teorica elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza
amministrativa le quali distinguono:
- gli interessi diffusi, che sono in
genere comuni a
tutti gli individui di una formazione sociale o addirittura della
comunità nazionale o internazionale e che, essendo
insuscettibili di appropriazione individuale (i cc.dd. interessi
adespoti), sono anche inadeguati alla gestione processuale;
- gli interessi collettivi che
rappresentano un
momento di soggettivizzazione o corporativizzazione e sono suscettibili
di tutela giurisdizionale perché trovano una
titolarità
in enti esponenziali capaci di agire, che si distinguono tanto dalla
comunità generale quanto dai singoli associati
nell’organizzazione collettiva.
La tutela risarcitoria degli interessi collettivi è stata
affermata dalla fondamentale sentenza delle S.U. Cass. Civ. n. 500 del
22.7.99, Comune di Fiesole c. Vitali che ha disancorato
l’art.
2043 c.c. dalla classe dei diritti soggettivi, affermando che anche la
lesione di un interesse legittimo può essere fonte di
responsabilità aquiliana ‘giacché il
danno ingiusto
risarcibile ai sensi dell’art. 2043 c.p. è quello
che si
risolve nella lesione di un interesse rilevante per
l’ordinamento, a prescindere dalla sua qualificazione
formale, e
in particolare senza che assuma rilievo la qualificazione dello stesso
in termini di diritto soggettivo’.
5. Per affrontare le questioni in esame diviene dirimente stabilire se
gli interessi rappresentati dalle parti civili e le relative lesioni
siano qualificabili come interessi collettivi differenziati
anziché come meri interessi diffusi.
La diagnosi differenziale può giovarsi delle linee guida
dettate
dalla giurisprudenza amministrativa e penale che si soffermano: sul
collegamento territoriale tra l’ambito operativo
dell’associazione e l’area interessata dalla
lesione; sul
collegamento con scopi statutari di tutela che l’ente
dimostri di
avere concretamente perseguito e che i fatti criminosi abbiano
frustrato; sulla lesione dell’immagine dell’ente
associativo e sulla demoralizzazione dei suoi membri che può
conseguire al reato ambientale; sulla vanificazione degli sforzi
economici già profusi dall’associazione per la
salvaguardia o il recupero di aree poi devastate dal crimine.
Alcune pronunce di merito e di legittimità esemplificano
vividamente ipotesi nelle quali la lesione dell’interesse
merita
tutela risarcitoria per essere sufficientemente differenziata:
‘si ipotizzi il caso di un’associazione
il cui scopo
è in sintonia con primari valori costituzionali sia presente
sul
territorio e sia impegnata in opere di sensibilizzazione e
denuncia…se detta associazione vede ogni suo sforzo
vanificato
da quelle condotte contro le quali statutariamente si batte,
finirà sempre più con l’assumere, agli
occhi di
tanti, una connotazione meramente simbolica, di bandiera, di sterile
testimonianza, se non con il divenire oggetto di velata irrisione per
l’utopismo dei suoi fini’ (GIP Venezia, 19.9.01).
‘la legittimazione a costituirsi parte civile del
‘comitato
per la difesa dell’agro nolano’ non deriva dal solo
fatto
che tale ente non riconosciuto abbia posto la tutela ambientale del
proprio territorio come scopo del sodalizio, né deriva dal
solo
fatto che l’ente abbia la propria sede nel territorio
interessato
dai fatti oggetto della richiesta di rinvio a giudizio, ma deriva dalla
concreta attività che detto comitato ha svolto per la tutela
della specifica situazione ambientale che ha portato prima alla genesi
e allo sviluppo delle indagini preliminari e poi alla richiesta di
rinvio a giudizio...’ (GIP Nola, 23.9.04).
Riflette pienamente questa impostazione, seppure con formulazione
negativa, Cass., III, n. 9727 del 28.10.93 secondo la quale
‘non
sono legittimati a costituirsi parte civile gli enti e le associazioni,
ancorché abbiano ottenuto il riconoscimento governativo ex
art.
13 della legge n. 349/1986, quando l’interesse perseguito sia
quello ambientale genericamente inteso o comunque un interesse che, per
essere caratterizzato da un mero collegamento ideologico con
l’interesse pubblico, resta un interesse diffuso, come tale
non
proprio del sodalizio e perciò anche non
risarcibile’.
6. Alla stregua dei principi sopra riportati devono ritenersi
ammissibili le costituzioni di parte civile di LIPU, Legambiente
Campania, WWF, V.A.S. Verdi Ambiente e Società, Coldiretti
Campania.
Nei loro statuti, allegati alle domande risarcitorie, si leggono
infatti scopi statutari di protezione, difesa del bene ambientale,
diffusione della cultura ambientale; scopi che, per quanto riguarda
Legambiente Campania e Coldiretti Campania appaiono direttamente
collegati all’ambito territoriale ove hanno avuto luogo i
fatti
illeciti contestati nel processo (vedi in particolare gli artt. 2 dei
rispettivi atti costitutivi).
La stessa esigenza di caratterizzazione territoriale è
soddisfatta dalle domande risarcitorie di LIPU, WWF e V.A.S., laddove
questi fanno esplicito riferimento al poliennale attivismo e alle
significative risorse umane e finanziarie impiegate per la salvaguardia
dell’ecosistema nella provincia di Caserta (vedi in
particolare
il paragrafo 2 dell’atto di costituzione del WWF; pag. 6
dell’omologo atto della LIPU; pag. 3 dell’atto
V.A.S.).
Un nesso non puramente ideologico con gli interessi lesi dai reati
contestati può vantare anche il Consorzio per la Tutela del
Formaggio Mozzarella di Bufala Campana.
Dagli atti statutari e dalla documentazione allegata dal Consorzio si
ricavano infatti: scopi di difesa e tutela del formaggio denominato
‘mozzarella di bufala’, di promozione commerciale
del
prodotto, di vigilanza sulla relativa produzione e commercio; una
funzione anche istituzionale di definizione dei programmi di
miglioramento qualitativo delle produzioni in termini di sicurezza
igienico sanitaria, oltre che di collaborazione con il Ministero delle
Politiche Agricole nella vigilanza e salvaguardia dei narchi D.O.P. e
IGP; il concreto perseguimento di questi scopi con convegni e campagne
di sensibilizzazione.
La prospettazione della causa petendi ben illustra poi come -
trattandosi di prodotto tipico della regione Campania e, specificamente
radicato nei comuni della Provincia di Caserta - i reati, nella cui
descrizione il P.M. espressamente contempla l’inquinamento
dei
suoli e il pregiudizio per la catena alimentare, implicano quanto meno
un danno d’immagine e una frustrazione dei fini statutari
dell’ente.
I ripetuti riferimenti delle imputazioni alla vocazione agroalimentare
dei suoli interessati dai fenomeni di illecito sversamento di rifuti
rendono pure evidente il collegamento delle lesioni con gli scopi
statutari perseguiti dall’ADICONSUM e dalla sua delegazione
campana.
L’associazione ha del resto allegato una serie di atti
giudiziari
dai quali risulta l’assiduo monitoraggio territoriale e
l’attivismo dell’ente nelle principali vicende
processuali
che ineriscono reati che compromettono la salute dei consumatori
campani.
P.Q.M.
Rigetta le richieste di esclusione delle parti civili.
Santa Maria Capua Vetere, 23 novembre 2006
Il Giudice
dr. Raffaele Piccirillo
Ambiente in genere. Costituzione di parte civile in processo per associazione a
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