Pres. Lupo Est. Franco Ric. Ambrosini
Aria. Costruzione impianto in assenza di autorizzazione
Il reato di cui all'art. 279, comma primo, parte prima, del D.Lgs. n. 152 del 2006 non si esaurisce con il comportamento del legale rappresentante della società al momento nel quale è iniziata la costruzione dell'impianto senza la preventiva autorizzazione, ma, trattandosi di reato permanente, è integrato anche da coloro che successivamente assumono la qualità di legali rappresentanti, atteso che anche su questi grava l'obbligo di chiedere l'autorizzazione, o di cessare l'attività in assenza della stessa
Svolgimento del processo
Il giudice del tribunale di Lucca, con
sentenza del 3 febbraio 2004, dichiarò Giorgi Domenico Ilio e Ambrosini
Nobili
Bruno, il primo presidente del Cda ed il secondo amministratore
delegato della
MI.GRA Srl, colpevoli del reato di cui all’art. 24, comma 1, d.p.r. 24
maggio
1988, n. 203, per avere con più condotte omissive iniziato la
costruzione di un
nuovo impianto per la frantumazione di inerti con emissioni in
atmosfera senza
la preventiva autorizzazione di cui all’art. 6 d.p.r. 24 maggio 1988,
n. 203, e
li condannò alla pena di mesi uno e giorni venti di arresto ed € 500,00
di
ammenda ciascuno, con la sostituzione della pena detentiva con quella
pecuniaria di € 1.900,00.
La corte d’appello di Firenze, con la
sentenza in epigrafe, assolse il Giorgi perché il fatto non costituisce
reato,
ritenendo che potesse presumersi che il medesimo, che era stato
presidente del
consiglio di amministrazione dal 10 febbraio 2000 al 6 novembre 2001,
avesse in
buona fede ritenuto che la richiesta di autorizzazione fosse stata
presentata
dai precedenti amministratori prima dell’ottenimento della concessione
edilizia. Confermò invece la sentenza di primo grado in ordine alla
condanna
dell’Ambrosini.
L’Ambrosini propone ricorso per cassazione
deducendo:
1) violazione degli artt. 6 e 24 d.p.r. 24
maggio 1988, n. 203. Osserva che nel 1997 era stata ottenuta la
concessione
edilizia, alla cui domanda doveva essere allegata quella per la
autorizzazione
in questione, e che la regione Toscana aveva addirittura concesso
contributi
europei per la costruzione dell’impianto. La domanda in esame, quindi,
doveva
essere presentata dal presidente del consiglio di amministrazione che
aveva
chiesto la concessione edilizia, e cioè da Coiai Mario, il quale aveva
iniziato
la costruzione dell’impianto senza autorizzazione. Inoltre, così come
la corte
d’appello ha ritenuto che il Giorgi non sapesse della mancata
autorizzazione,
allo stesso modo doveva ritenere che anche l’Ambrosini potesse non
saperlo, e
comunque non è provato che lo sapesse, non avendo egli dato inizio ai
lavori,
ed essendovi invece elementi che gli facevano ritenere che tutto fosse
regolare.
2) violazione degli artt. 6 e 24 d.p.r. 24
maggio 1988, n. 203 e mancanza o manifesta illogicità della motivazione
in
ordine al precedente giudicato penale. Risulta che il giudice per le
indagini
preliminari aveva emesso decreto penale di condanna, oltre che nei
confronti
suoi e del Giorgi che lo avevano opposto, anche nei confronti di
Chelini
Augusto, quale rappresentante della ditta appaltatrice, e di Poli
Andrea, quale
direttore dei lavori, che invece non hanno proposto opposizione. Ora la
sentenza impugnata, per affermare la sua responsabilità, ha
contraddittoriamente
ritenuto che non potesse ravvisarsi una responsabilità della ditta
appaltatrice
e del direttore dei lavori, senza considerare che egli non aveva la
disponibilità della costruzione e non aveva iniziato l’esecuzione dei
lavori,
ma era solo colui che a lavori iniziati aveva conferito l’appalto. In
ogni caso
egli non aveva la disponibilità né la capacità di seguire la
realizzazione
dell’impianto e quindi l’unica via era quella di cederla in appalto e
di
nominare un direttore dei lavori, compiendo quindi tutto quanto poteva
per
osservare la norma violata. Il giudice avrebbe dovuto pertanto ritenere
anche
per lui la presenza di un errore scusabile derivante dal fatto positivo
dalla
pubblica amministrazione che aveva dato alla società tutte quelle
autorizzazioni che lasciavano presupporre che tutto fosse regolare. Si
tratta
in ogni caso di reato formale che non ha provocato danno, poiché il 16
luglio
2002 l’autorizzazione è stata richiesta ed il 10 ottobre 2002 è stata
rilasciata.
In data 2 maggio 2007 il ricorrente ha
depositato memoria difensiva, con la quale ribadisce i motivi di
ricorso,
osservando che in ogni caso il reato è prescritto perché la permanenza
è
cessata con il rilascio della autorizzazione in data 11 ottobre 2002.
Motivi
della
decisione
Preliminarmente va osservato che il reato non
è ancora prescritto perché, anche considerando come data di cessazione
della
permanenza (e quindi di inizio del decorso della prescrizione) quella
del 16
luglio 2002 nella quale fu richiesta l’autorizzazione (Sez. III, 12
febbraio
2004, Armenio, m. 228879), invece di quella del 10 ottobre 2002 il cui
l’autorizzazione fu rilasciata, deve tenersi presente che il corso
della
prescrizione è stato sospeso per un periodo di 8 mesi e 13 giorni (dal
20
maggio 2003 al 3 febbraio 2004) per astensione dalle udienze. Ne
consegue che
la prescrizione si maturerà solo il 29 settembre 2007.
Nel merito, entrambi i motivi di ricorso sono
infondati.
Deve ricordarsi che, secondo la
giurisprudenza di questa Suprema Corte, il reato di cui all’art. 24,
comma
primo, d.p.r. n. 203 del 1988 (ora sostituito dall’art. 279, comma
primo, parte
prima, del D.Lgs. n. 152 del 2006) non si esaurisce con il
comportamento del
legale rappresentante della società al momento nel quale è iniziata la
costruzione dell’impianto senza la preventiva autorizzazione, ma,
trattandosi
di reato permanente, è integrato anche da coloro che successivamente
assumono
la qualità di legali rappresentanti, atteso che anche su questi grava
l’obbligo
di chiedere l’autorizzazione, o di cessare l’attività in assenza della
stessa
(Sez. III, 27 aprile 2006, n. 24057, Giovannini, m. 234478).
Non vi è dubbio che l’Ambrosini, nella
qualità di amministratore delegato della società, fosse stato fin
dall’inizio
legale rappresentante della società stessa e comunque che gravava anche
su lui
l’obbligo di chiedere l’autorizzazione in questione o altrimenti di non
iniziare o di far interrompere la costruzione dell’impianto. Del resto
i
giudici del merito hanno anche accertato che il ricorrente si era
attivamente
occupato per la sua qualità della costruzione del nuovo impianto tanto
che era
stato lui a stipulare il contratto di appalto per la realizzazione
dell’opera
con la spa Loro & Parisini. Con congrua ed adeguata motivazione
i giudici
del merito hanno poi ritenuto che il rilascio della concessione
edilizia e la
concessione di contributi europei da parte della regione Toscana fosse
irrilevante, in quanto tali circostanze non erano idonee a far
ravvisare una
buona fede incolpevole in capo all’Ambrosini ed in quanto era comunque
ravvisabile la colpa dell’amministratore delegato per non aver vigilato
sulla
effettiva presentazione della domanda per la autorizzazione de qua né
prima né
dopo la richiesta ed il rilascio della concessione edilizia e l’inizio
della
costruzione.
Il fatto che la richiesta di concessione
edilizia fosse stata firmata dall’allora presidente del consiglio di
amministrazione ing. Coiai non esclude ovviamente la responsabilità del
ricorrente il quale aveva un autonomo obbligo di attivarsi perché
fossero
rispettate le prescrizioni di legge, e ciò anche senza voler
considerare che si
tratta di una deduzione nuova, che non era stata proposta con i motivi
di
appello, e che non può quindi essere avanzata per la prima volta in
sede di
legittimità.
E’ poi irrilevante che il coimputato Giorgi,
presidente del consiglio di amministrazione solo dal 10 febbraio 2000
al 6
novembre 2001, sia stato assolto dalla corte d’appello che ha ritenuto
possibile che egli avesse omesso i dovuti controlli per avere ritenuto
in buona
fede che l’autorizzazione fosse stata chiesta dagli amministratori
dell’epoca
prima del rilascio della concessione edilizia. Le valutazioni di merito
compiute in proposito dalla corte d’appello riguardano la sola
posizione del
Giorgi e valgono esclusivamente per lui, e non possono evidentemente
estendersi
anche all’Ambrosini che, già all’epoca dell’inizio della costruzione
del nuovo
impianto e successivamente, era l’amministratore delegato della società
ed in
tale veste aveva anche sottoscritto il contratto di appalto. Del tutto
logicamente quindi la corte d’appello ha ritenuto che nei confronti
dell’Ambrosini non potesse essere invocata la buona fede e che fosse
invece
colposa la mancata vigilanza da parte sua sulla richiesta ed il
rilascio della
autorizzazione in esame.
Analoghe
considerazioni valgono in ordine alla invocata circostanza che sia
Chelini
Augusto, legale rappresentante della società appaltatrice dei lavori di
costruzione, sia Poli Andrea, direttore dei lavori, non hanno proposto
opposizione al decreto penale di condanna emesso anche nei loro
confronti per
la vicenda in esame. Ed invero, anche volendo ipotizzare che la mancata
opposizione possa essere equiparata ad una ammissione di
responsabilità, ciò
non potrebbe in nessun caso escludere la concorrente responsabilità
dall’Ambrosini sul quale in primo luogo gravava l’obbligo di chiedere
l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera prima della realizzazione
del
nuovo impianto. Del tutto correttamente i giudici del merito hanno
precisato
che il fatto e fosse stato stipulato un contratto di appalto con
Il ricorso deve pertanto essere rigettato con
conseguente condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.