Presidente: Papadia U. Estensore: Amoroso G. Relatore: Amoroso G. Imputato: Rapotan e altri. P.M. Fraticelli M. (Parz. Diff.)
(Annulla senza rinvio, Trib. Pavia, 20 Settembre 2005)
SANITÀ PUBBLICA - IN GENERE - Inquinamento atmosferico - Prescrizioni dell'autorizzazione che impongano adempimenti prodromici alla messa in esercizio dell'impianto - Inosservanza - Configurabilità del reato - Sussistenza - Perfezionamento ed esaurimento della condotta illecita - Coincidenza con l'attivazione dell'impianto - Fattispecie in materia di sequestro preventivo.
In tema di inquinamento atmosferico, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 24 comma quarto, d.P.R. 24 maggio 1988 n. 203, fra le "prescrizioni" la cui inosservanza dà luogo a sanzione penale, possono ricomprendersi anche quelle che impongano adempimenti prodromici alla messa in esercizio del nuovo impianto, in funzione di una preventiva verifica delle condizioni ambientali esistenti nel luogo in cui l'impianto stesso dovrà essere attivato. In tal caso, però, il reato si perfeziona e si esaurisce all'atto in cui l'attivazione ha effettivamente luogo. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha escluso che potesse trovare giustificazione, sotto il profilo della rappresentata esigenza di impedire la prosecuzione del reato e l'aggravamento delle relative conseguenze, il sequestro preventivo di una centrale elettrica le cui emissioni non risultavano superiori ai limiti consentiti ma la cui attivazione non era stata preceduta, contrariamente a quanto disposto nei provvedimenti autorizzativi, dalla rilevazione, per un certo tempo, della qualità dell'aria nella zona interessata).
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati: Camera di consiglio
Dott. PAPADIA Umberto - Presidente - del 20/01/2006
Dott. POSTIGLIONE Amedeo - Consigliere - SENTENZA
Dott. MANCINI Franco - Consigliere - N. 105
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere - N. 39851/2005
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GELU Rapotan;
avverso l'ordinanza del 20 (rectius 21) settembre 2005 del tribunale di
Pavia;
Udita la relazione fatta in Camera di consiglio dal Consigliere Dott.
Giovanni Amoroso;
Udito il P.M., in persona del S. Procuratore Generale Dott. FRATICELLI
Mario, che ha concluso per l'accoglimento del primo motivo di ricorso
(irrituale costituzione del P.M. all'udienza camerale per il riesame) e
annullamento con rinvio dell'impugnata ordinanza;
Uditi l'avv. Prof. Grosso Carlo Federico, l'avv. Prof. Dell'Anno Paolo
e l'avv. Raffaelli che hanno concluso per l'accoglimento dei ricorsi e
l'annullamento senza rinvio dell'impugnata ordinanza. la Corte osserva:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con decreto emesso in data 30 luglio 2005 il Giudice per le indagini
preliminari del Tribunale di Voghera, su richiesta del Pubblico
Ministero, ha disposto il sequestro preventivo delle turbine e degli
altri impianti comportanti emissioni atmosferiche della centrale
termoelettrica a ciclo combinato di proprietà della
società Voghera Energia s.p.a. e sita in Torremenapace
(Voghera) in riferimento all'ipotizzato reato, a carico dell'ing.
Rapotan Gelu, direttore della centrale, in concorso con altre persone,
previsto e punito dal D.P.R. 24 maggio 1988 n. 203 (Attuazione delle
direttive CEE numeri 80/779, 82/884, 84/360 e 85/203, art. 24, comma 4,
concernenti norme in materia di qualità dell'aria,
relativamente a specifici agenti inquinanti, e di inquinamento prodotto
dagli impianti industriali) che prevede il fatto di chi, nell'esercizio
di un nuovo impianto, non osserva le prescrizioni dell'autorizzazione o
quelle imposte dalla autorità competente nell'ambito dei
poteri ad essa spettanti.
Con ordinanza del 20 (rectius 21) settembre 2005 il tribunale di Pavia
ha respinto il ricorso per riesame proposto ex art. 324 c.p.p. dal
Rapotan, quale indagato e legale rappresentante della
società. 2. Dal fascicolo del procedimento emerge quanto
segue. L'8 gennaio 2002 il Ministro dell'Ambiente, di concerto con il
Ministro per i beni culturali, ha espresso una pronuncia di
compatibilità ambientale del progetto di realizzazione della
centrale di cui si tratta tenendo conto dei dati sulla
qualità dell'aria disponibili in quel momento
nonché delle simulazioni mediante modelli matematici della
situazione che si sarebbe creata a seguito dell'avvio della centrale e
di altri due impianti in territori limitrofi; ha peraltro previsto la
necessità di "una accurata campagna di monitoraggio delle
emissioni e della qualità dell'aria, che dovrà
esser condotta a partire dalle condizioni attuali, e proseguita per
almeno un anno dopo la definitiva entrata in servizio della centrale".
Il 25 marzo 2002 il del Ministero delle attività produttive
ha autorizzato, con decreto n. 5 del 2002, la costruzione e l'esercizio
della centrale impartendo una serie di prescrizioni tra le quali,
all'art. 2, punto 7, l'installazione "con almeno un anticipo di dodici
mesi rispetto alla data di entrata in esercizio dell'impianto ... (di)
almeno due stazioni di rilevamento degli NOx ... nei punti tecnici di
massima ricaduta, che dovranno essere spostate in seguito alla messa in
esercizio dell'impianto nei punti effettivi di massima ricaduta".
L'installazione delle due centraline di rilevamento è stata
effettuata rispettivamente il 5 marzo 2004 e il 20 agosto 2004,
centraline che però sono rimaste non funzionanti fino ad
aprile 2005.
Il "primo fuoco" - ossia l'iniziale avvio della centrale -
c'è stato il 5 ottobre 2004. La messa a regime di cui al
D.P.R. n. 203 del 1988, art. 8, è avvenuta il 1 luglio 2005
ed è stata comunicata - come prescritto da tale disposizione
- in data 13 luglio 2005 alla regione ed al sindaco del comune
interessato.
Il decreto autorizzatorio prevedeva poi una successiva fase di sei mesi
per il collaudo, ma nelle more è stato disposto il sequestro
preventivo con il menzionato decreto del 30 luglio 2005 del g.i.p. di
Voghera.
3. Ha osservato il tribunale del riesame - quanto al fumus commissi
delicti - che non può condividersi la tesi della difesa
dell'indagato secondo cui la norma incriminatrice non sarebbe
pertinente al caso concreto in quanto essa riguarderebbe esclusivamente
la fase dell'attività di esercizio dell'impianto, mentre la
contestata condotta omissiva sarebbe riferita a prescrizioni da attuare
prima dell'avvio dell'impianto stesso. Deve invece ritenersi che
l'esercizio dell'attività produttiva non è stato
conforme alle prescrizioni dell'autorizzazione, sicché vi
è il fumus che il reato si sia realizzato, così
come previsto dal D.P.R. n. 203 del 1988, art. 24, comma 4, non avendo
la società Voghera Energia provveduto agli incombenti
preliminari necessari. Nè poteva ritenersi che il decreto di
autorizzazione del Ministero delle attività produttive fosse
illegittimo con riguardo al monitoraggio cd. "in bianco; decreto che,
con riferimento all'adempimento imposto al punto 7, risulta chiaro e
puntuale e pertanto ha una funzione integrativa della disposizione che
il legislatore ha voluto formulare come norma penale "in bianco". In
particolare il fatto che il decreto di valutazione di impatto
ambientale non abbia previsto la durata del monitoraggio prima
dell'avvio dell'impianto non ha alcuna rilevanza, ben potendo tale
durata essere definita, come è avvenuto effettivamente, nel
provvedimento autorizzativo del Ministero delle attività
produttive. Del resto la previsione di un anno di monitoraggio non
può essere indice di alcun atto di vizio di
illegittimità dell'atto anche perché risulta
collegata alla necessità che la campionatura avvenga con
riferimento alle diverse condizioni climatiche che si presentano nel
corso delle stagioni. Ha poi ritenuto il Tribunale di disattendere le
osservazioni della Difesa dell'indagato in ordine a una pretesa
inesigibilità del comportamento assunto come doveroso da
parte della Pubblica Accusa.
Nè era ipotizzabile alcuna violazione del principio di
offensività perché, secondo la tesi della Difesa
dell'indagato, la centrale avrebbe sempre funzionato nel rispetto dei
limiti delle emissioni consentite e senza significative ricadute
sull'ambiente; la norma incriminatrice prevede infatti una fattispecie
di pericolo e non di danno, inoltre il bene-ambiente non è
protetto in via diretta bensì in via mediata con
l'attribuzione all'autorità amministrativa poteri di
controllo e con l'imposizione di prescrizioni tali da garantire il
controllo medesimo.
Sul piano fattuale - osserva poi il tribunale - risulta dagli atti di
indagine, e non è stato del resto contestato dall'indagato,
che il monitoraggio non è stato effettuato così
come previsto, poiché le due centraline sono state
posizionate solo pochi mesi prima dell'avvio della centrale e comunque
non hanno offerto dati convalidabili. Sicché si deve, in
sintesi, ritenere esistente il fumus del reato ipotizzato per
ciò che riguarda l'assenza del monitoraggio ante operam.
4. Per ciò che attiene al periculum il Tribunale concorda
parzialmente con la Difesa dell'indagato in merito alle censure svolte
rispetto all'affermazione contenuta nel decreto oggetto di riesame,
laddove il Giudice per le indagini preliminari ha sostenuto che non
sarebbe dato sapere, allo stato, "quanto la centrale inquini" per
l'assenza del prescritto monitoraggio ante operam. Infatti le emissioni
della centrale in funzione possono essere rilevate (e risultano essere
state effettivamente rilevate) anche indipendentemente dal precedente
monitoraggio e tali dati possono costituire importanti presupposti per
la valutazione dell'inquinamento che può essere prodotto
dall'impianto. Tuttavia - prosegue il tribunale - i dati ottenibili
durante l'esercizio della centrale non sono sufficienti per il
raffronto cui mira il decreto di valutazione di impatto ambientale e il
decreto del Ministero delle attività produttive. La misura
cautelare reale applicata impedisce comunque che il reato venga portato
a conseguenze ulteriori, in quanto non consente che la centrale sia
attiva in assenza dei presupposti previsti dal provvedimento
autorizzativo e, segnatamente, dell'attivazione del monitoraggio
durante l'anno precedente l'avvio dell'attività. Il
sequestro assolve quindi alla funzione che gli è propria di
impedire l'ulteriore compimento del reato, di natura permanente o,
comunque, la protrazione delle conseguenze del reato, qualora si voglia
ritenere il medesimo istantaneo con effetti permanenti.
Nè è violato il principio di
proporzionalità delle misure cautelari; principio che deve
ritenersi rispettato poiché il sequestro degli impianti
della centrale atti a produrre emissioni in atmosfera risulta essere
l'unica misura possibile per garantire che il reato ipotizzato non
venga portato a conseguenze ulteriori. 5. Avverso questa ordinanza
hanno presentato ricorso per cassazione il Rapotan e la
società Voghera s.p.a..
Il ricorso del primo (datato 3 ottobre 2005) è articolato in
quattro motivi con cui si denuncia: a) la violazione dell'art. 324
c.p.p. in ragione della partecipazione all'udienza camerale del P.M.
che ha chiesto l'applicazione della misura (stante
l'inapplicabilità, in via analogica, dell'art. 309 c.p.p.,
comma 8 bis) con conseguente nullità assoluta ex art. 179
c.p.p.; b) la violazione dell'art. 321 c.p.p. mancando
l'offensività della condotta contestata in ragione del
mancato superamento dei limiti di emissione nell'atmosfera e quindi in
mancanza di inquinamento dell'aria; c) la violazione del D.P.R. 203 del
1988, art. 24, comma 4, in quanto, trattandosi di un reato istantaneo e
non essendo possibile alcun adempimento postumo, non è
neppure ipotizzabile una protrazione dell'attività criminosa
sicché non c'è il periculum; d) la violazione
degli artt. 275 e 321 c.p.p. non essendo stato rispettato il principio
di proporzionalità della misura cautelare reale.
Le doglianze dell'indagato sono integrate dal successivo ricorso del 5
ottobre 2005 articolato in otto motivi, che ripropongono le quattro
censure suddette ed inoltre denunciano: a) la violazione del D.P.R. n.
203 del 1988 cit., art. 24 perché le "prescrizioni", ivi
previste, sono solo quelle che attengono all'esercizio dell'impianto,
non anche quelle che precedono lo stesso; quindi non c'è il
fumus del reato; b) violazione dell'art. 24 cit. in ragione
dell'illegittimità delle prescrizioni contenute nel decreto
ministeriale autorizzatorio che deve essere disapplicato in parte qua
dal giudice penale; c) violazione dell'art. 24 cit. perché
il decreto del Ministero delle attività produttive va
disapplicato anche in quanto non è delegabile a privati il
monitoraggio; d) violazione dell'art. 23 Cost. essendo stata
illegittimamente prescritta una prestazione obbligatoria non prevista
dalla legge). Anche la società ha proposto ricorso
articolato in quattro motivi che ripercorrono le censure dell'indagato;
in sintesi: a) si tratta di un reato commissivo consumato
sicché non c'è periculum; b) è stato
violato il principio di proporzionalità ed adeguatezza della
misura cautelare reale; c) irritualmente il P.M. che aveva chiesto la
misura ha partecipato all'udienza camerale; d) non c'è
offensività nella contestata condotta omissiva mancando un
fatto di inquinamento atmosferico.
Inoltre sono stati proposti nuovi motivi per il Rapotan con atto del 3
gennaio 2006.
Si deduce che l'entrata in esercizio dell'impianto non vuoi dire prima
accensione dello stesso (5 ottobre 2004) e che la "messa in esercizio"
è nozione diversa dall'"entrata in esercizio", distinzione
che emerge dal D.P.R. 203 del 1988, art. 8. Non rileva
l'inidoneità dei dati (fino ad aprile 2005) e d'altra parte
la prescrizione del previo monitoraggio in bianco per un anno risponde
solo ad una prassi, ma non ha base normativa. Si richiama poi una
normativa in corso di emanazione: il D.L. approvato dal Consiglio dei
Ministri il 22 dicembre 2005, art. 23, comma 5, recante
l'interpretazione autentica dell'art. 8 cit.: l'"entrata in esercizio"
si ha solo sei mesi dopo il collaudo. In conclusione alla data del
sequestro (30 luglio 2005) la centrale non era "entrata in esercizio" e
quindi il termine annuale previsto per la previa installazione delle
centraline di rilevamento non era ancora scaduto. Inoltre si ribadisce
la manca il periculum trattandosi di una condotta omissiva esaurita.
Infine è stata presentata una memoria integrativa del 4
gennaio 2006. Si invoca in particolare lo jus superveniens: il D.L. 30
dicembre 2005 n. 273, art. 23, comma 5, in corso di conversione in
legge. Da ciò si desumerebbe che l'installazione delle due
centraline (5 marzo 2004 e 20 agosto 2004) è stata
effettuata ben prima di dodici mesi dall'"entrata in esercizio". La
sequenza sarebbe la seguente: la "messa a regime" è avvenuta
il 1 luglio 2005; è seguita la comunicazione del 13 luglio
2005 D.P.R. n. 203 del 1988 cit., ex art. 8; segue il periodo di sei
mesi per il collaudo di cui al decreto del Ministero delle
attività produttive fino al 13 gennaio 2006; si innesta poi
la proroga di sessanta giorni prevista dal D.L. n. 273 del 2005 cit.
fino al 13 marzo 2006, termine non ancora scaduto. Parimenti si insiste
comunque sulla mancanza del periculum.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi, che possono essere trattati congiuntamente
perché oggettivamente connessi e recanti motivi in massima
parte sovrapponibili, pongono essenzialmente tre questioni: una - di
carattere processuale e quindi preliminare rispetto al merito -
attinente alla ritualità del procedimento camerale (infra
sub 2), l'altra al fumus del commesso reato (infra sub 3 ss.), ed
infine un'altra ancora attinente al periculum (infra sub 4 ss.) posto a
fondamento del sequestro preventivo. Una possibile quarta questione -
riguardante la proporzionalità ed adeguatezza della misura -
risulterà invece assorbita.
2. Tutti i ricorsi - ma in vero non anche i nuovi motivi per Rapotan
del 3 gennaio 2006 - hanno posto la questione della
ritualità del procedimento camerale; e ciò hanno
fatto in astratto rilevando che l'art. 309 c.p.p., comma 8 bis,
introdotto dal D.L. 23 ottobre 1996 n. 553, art. 1, conv. in L. 23
dicembre 1996 n. 652, che prevede che il pubblico ministero che ha
richiesto l'applicazione della misura coercitiva può
partecipare all'udienza camerale in luogo del pubblico ministero presso
il tribunale del luogo nel quale ha sede la corte di appello o la
sezione distaccata della corte di appello nella cui circoscrizione
è compreso l'ufficio del giudice che ha emesso l'ordinanza,
non trova alcun corrispondente nell'art. 324 c.p.p. talché
bisogna inferirne che, ove all'udienza camerale partecipi il P.M.
presso l'autorità giudiziaria che abbia emesso la misura
cautelare reale, richiesta appunto da quel P.M., si determina una
violazione della legge processuale sub specie di nullità
assolta ex art. 179 c.p.p., dovendo ritenersi prevista la sola
partecipazione del P.M. presso l'autorità giudiziaria
investita del riesame e non contemplata invece (e quindi interdetta)
quella del P.M. che abbia richiesto la misura cautelare reale. In
diritto deve osservarsi che effettivamente questa Corte (Cass., sez.
5^, 22 dicembre 1998 - 2 marzo 1999, n. 7114) ha affermato che,
poiché il p.m. "ripete" la sua competenza dal giudice presso
il quale esercita le sue funzioni, in difetto di una espressa
disposizione in senso contrario, l'organo dell'accusa può
esercitare le sue funzioni consultive solo nei procedimenti incardinati
presso il "suo" giudice; il principio trova applicazione sia per la
partecipazione del p.m. all'udienza, sia per l'esercizio del diritto di
impugnazione ed anche nei procedimenti incidentali, relativi a misure
cautelari, personali o reali;
pertanto, qualora il legislatore adoperi genericamente l'espressione
"p.m.", la stessa deve ritenersi relativa solo al rappresentante
dell'ufficio presso il giudice procedente, con la conseguenza che,
quando il riesame o l'appello hanno ad oggetto provvedimenti di organi
giudiziari diversi da quelli esistenti presso il tribunale della
libertà, è il p.m. costituito presso tale organo
ad essere legittimato a ricevere l'avviso per l'udienza camerale, a
partecipare al procedimento ed a proporre l'eventuale impugnazione
(conf. Cass., sez. 3^, 25 novembre 1999 - 11 gennaio 2000, n. 3747).
2.1. Tuttavia nella specie la dedotta nullità non sussiste
mancandone il presupposto di fatto.
In proposito - con riferimento alla procedura camerale innanzi al
tribunale di Pavia - va stigmatizzata la mancata completa esposizione
dei fatti nei ricorsi in esame che tacciono in ordine ad una
circostanza decisiva: all'udienza camerale del 21 settembre 2005
preliminarmente il collegio - come risulta dal verbale - ha provveduto
ad immettere nelle funzioni di Sostituto Procuratore della Repubblica
presso il Tribunale di Pavia il dott. Walter Cotugno, Sostituto
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Voghera;
ciò in forza del provvedimento di applicazione del
Procuratore Generale presso la Corte d'appello di Milano del 20
settembre 2005.
Quindi - al di là dell'identità della persona
fisica del magistrato che ha svolto le funzioni di P.M. (circostanza di
per sè irrilevante, e comunque non dedotta come rilevante
dai ricorrenti) - deve ritenersi che all'udienza camerale suddetta ha
partecipato non già il P.M. (di Voghera) che aveva richiesto
la misura cautelare, bensì il P.M. (di Pavia) presso
l'autorità giudiziaria chiamata a decidere sul ricorso per
il riesame. Nè nei ricorsi per cassazione si ipotizza alcuna
illegittimità del provvedimento di applicazione del
Procuratore Generale del quale anzi nulla si dice. Del resto
all'udienza camerale suddetta il collegio della difesa - come risulta
dal verbale - nulla ha eccepito in proposito, mentre ha contrastato la
partecipazione di altri che vantavano la qualità di parti
offese e che, con apposita ordinanza del tribunale, sono stati
estromessi dall'udienza.
Pertanto manca in radice il presupposto di fatto dell'eccepita
nullità degli atti posti in essere all'udienza camerale per
irrituale costituzione del P.M. talché il motivo di
impugnazione è del tutto infondato, dovendo al contrario
affermarsi che legittimamente partecipa all'udienza camerale il
magistrato del pubblico ministero che abbia chiesto la misura cautelare
reale ove egli sia applicato al pubblico ministero presso il tribunale
del riesame ed in tale veste intervenga all'udienza medesima. 3. La
sussistenza del fumus commissi delicti (id est la sussistenza dei gravi
indizi) del commesso reato è contestata dalla difesa dei
ricorrenti sotto plurimi profili e con varie argomentazioni che si
vengono ora ad esaminare distintamente.
In questa parte i ricorsi sono infondati.
3.1. La condotta contestata all'indagato consiste - come già
sopra riferito in narrativa - nel non aver ottemperato alle
prescrizioni poste dal provvedimento di autorizzazione (D.M. 25 marzo
2002 del Ministro delle attività produttive) all'esercizio
dell'impianto di produzione di energia elettrica della centrale di
Torremenapace emanato in forza del D.P.R. n. 203 del 1988, art. 17
sulle centrali termoelettriche secondo le prescrizioni di cui al D.P.R.
11 febbraio 1998 n. 53, recante la disciplina regolamentare del
procedimento autorizzatorio della costruzione e dell'esercizio di
impianti di produzione di energia elettrica che utilizzano fonti
convenzionali. In particolare la condotta omissiva consiste nel mancato
previo posizionamento di due stazioni di rilevamento degli ossidi di
azoto con un anticipo di un anno prima dell'"entrata in esercizio"
dell'impianto di produzione di energia elettrica al fine di consentire
il monitoraggio della qualità dell'aria in assenza di
emissioni da parte della centrale.
Un primo punto controverso consiste nell'identificazione dei termini
esatti della prescrizione posta dal citato decreto ministeriale. Ed in
vero il prescritto previo posizionamento di due centraline di
rilevamento dell'inquinamento atmosferico derivante dall'immissione
degli ossidi di azoto si ricollega al D.M. 8 gennaio 2002 con cui il
Ministro dell'ambiente, valutando l'impatto ambientale nella nuova
centrale elettrica, ha prescritto un monitoraggio delle emissioni e
della qualità dell'aria che doveva essere condotto partendo
dalle "condizioni attuali" (quindi un monitoraggio in bianco con
emissioni- zero da parte della centrale) e doveva esser proseguito per
almeno un anno anche dopo la "definitiva entrata in servizio" della
centrale (con il monitoraggio quindi delle emissioni effettive della
centrale). Solo di quest'ultimo monitoraggio era indicata la durata
minima (di almeno un anno); invece del previo monitoraggio in bianco
non era indicata alcuna durata, però ne era
inequivocabilmente prescritta l'effettuazione. A fronte di questa
prescrizione il Ministro per le attività produttive ha
posto, nel menzionato provvedimento autorizzatorio, una prescrizione
più precisa e dettagliata: occorreva - come già
sopra indicato - l'installazione "con almeno un anticipo di dodici mesi
rispetto alla data di entrata in esercizio dell'impianto ... di almeno
due stazioni di rilevamento degli NOx ... nei punti tecnici di massima
ricaduta, che dovranno essere spostate in seguito alla messa in
esercizio dell'impianto nei punti effettivi di massima ricaduta".
Quindi la previa tempestiva installazione delle centraline (che
è ciò che interessa nella vicenda processuale in
esame) doveva essere effettuata con un anticipo di almeno un anno per
consentire un monitoraggio in bianco di pari durata (un anno); ossia la
stessa durata del successivo monitoraggio delle emissioni della
centrale che il D.M. 8 gennaio 2002 prescriveva a partire della
"definitiva entrata in servizio" della centrale stessa. Inoltre il
decreto ministeriale 25 marzo 2002 prevedeva anche il posizionamento
delle centraline: all'inizio le stesse dovevano essere collocate "nei
punti tecnici di massima ricaduta"; localizzazione questa che si
contrapponeva a quella dei "punti effettivi di massima ricaduta" dove
avrebbero dovuto essere ricollocate le centraline dopo la "messa in
esercizio" dell'impianto. Questa contrapposizione ("punti tecnici" di
massima ricaduta versus "punti effettivi") rispecchia null'altro che la
duplicità del monitoraggio effettuato dalle centraline,
prima "in bianco" e poi effettivo; esattamente come richiedeva il D.M.
8 gennaio 2002 di valutazione dell'impatto ambientale. Inizialmente le
centraline avrebbero monitorato soltanto la qualità
dell'aria e ciò avrebbero dovuto fare laddove si prevedeva -
secondo le relative conoscenze tecniche e le possibili simulazioni
matematiche delle previste emissioni della centrale - la massima
ricaduta delle emissione di ossidi di azoto da parte della centrale.
Successivamente alla "messa in esercizio" dell'impianto il
posizionamento di queste centraline avrebbe dovuto essere aggiustato
tenendo conto dell'effettiva ricaduta dell'emissione degli ossidi di
azoto spostando le centraline laddove il livello di tali emissioni
sarebbe risultato in concreto il più elevato.
Questa seconda fase del monitoraggio nella specie non interessa
perché ciò che è stato contestato
all'indagato è esclusivamente la mancata previa
predisposizione delle centraline per il monitoraggio in bianco, ossia
della mera qualità dell'aria senza emissioni da parte della
centrale.
Può subito aggiungersi che risulta dall'impugnata ordinanza
- e non è in realtà contestato dalla difesa
dell'indagato - che le due centraline in questione non siano state
installate un anno prima della prima accensione delle turbine della
centrale, ma soltanto pochi mesi prima e che per di più
inizialmente non fossero neppure funzionanti.
Emerge quindi che assolutamente determinante al fine di ritenere
integrata, o meno, la contestata condotta omissiva, ovviamente sempre
sotto il profilo della sussistenza dei gravi indizi, è la
scansione temporale: il D.M. 25 marzo 2002 considerava un anno prima la
data di "entrata in esercizio" dell'impianto per l'installazione delle
centraline; e poi considerava la "messa in esercizio" dell'impianto
come momento rilevante per il necessario riposizionamento delle
centraline già installate.
3.2. Si pone quindi il quesito di che cosa debba intendersi per
"entrata in esercizio" dell'impianto; quesito in ordine al quale le
difese dei ricorrenti hanno ampiamente argomentato. Orbene deve innanzi
tutto considerarsi che il cit. D.P.R. n. 203 del 1988 non contiene
alcun riferimento ad un'ipotetica nozione tecnica di "entrata in
esercizio" dell'impianto, di cui tale testo normativo non fa mai
menzione. Per contro l'art. 8 del medesimo parla di "messa in
esercizio" dell'impianto e "messa a regime" dell'impianto. L'art. 8,
comma 1, prescrive che l'impresa, almeno quindici giorni prima di dare
inizio alla "messa in esercizio" degli impianti, ne da comunicazione
alla regione e al sindaco del comune o dei comuni interessati.
L'attività di "dare inizio" alla "messa in esercizio"
dell'impianto consiste - secondo l'interpretazione letterale della
norma coonestata dalla sua ratio che è quella di porre
immediatamente gli enti interessati al corrente di una possibile fonte
di inquinamento atmosferico - nel primo funzionamento dell'impianto,
anche se solo in una iniziale fase sperimentale. L'art. 8, successivo
comma 2, prevede poi che entro quindici giorni dalla data fissata per
la "messa a regime" degli impianti, l'impresa comunica alla regione e
ai comuni interessati i dati relativi alle emissioni effettuate da tale
data per un periodo continuativo di dieci giorni. La "messa a regime"
rappresenta quindi un momento successivo e coincide con quello in cui
l'impianto comincia a funzionare secondo i tempi del normale ciclo di
produzione. Un'ulteriore considerazione deve poi svolgersi. Il D.M. 25
marzo 2002, che adopera due nozioni - l'"entrata in esercizio"
dell'impianto e la sua "messa in esercizio" - delle quali solo la
seconda è nota al D.P.R. n. 203 del 1988 e quindi
costituisce una nozione tecnica, pone comunque una sequenza temporale:
prima vanno installate le centraline di rilevamento per il monitoraggio
in bianco (per un anno prima dell'"entrata in esercizio") e poi il
monitoraggio delle emissioni effettive (dopo la "messa in esercizio"
dell'impianto). Questa sequenza temporale comporta che - nell'accezione
atecnica del D.M. 25 marzo 2002 - l'"entrata in esercizio"
dell'impianto non può rappresentare un momento successivo
alla "messa in esercizio" e, consistendo quest'ultima nell'iniziale
avvio di funzionamento, anche solo sperimentale, dell'impianto,
consegue che il decreto ministeriale utilizza il termine (atecnico) di
"entrata in esercizio" null'altro che come sinonimo del termine
(tecnico) di "messa in esercizio". È l'iniziale avvio di
funzionamento della centrale (il cd. "primo fuoco") che segna il
termine dilatorio del periodo di un anno in cui le due centraline
devono poter effettuare il monitoraggio in bianco e segna anche il
termine iniziale a partire dal quale le centraline devono essere
ricollocate nei punti effettivi di massima ricaduta delle emissioni di
ossidi di azoto.
3.3. Invece la tesi della difesa dell'indagato secondo cui l'"entrata
in esercizio" dell'impianto è successiva non solo alla
"messa in esercizio" (art. 8, comma 1), ma anche alla "messa a regime"
dell'impianto (ex art. 8, comma 2), e sarebbe da individuare in un
momento successivo al collaudo dell'impianto, è destituita
di fondamento.
In disparte la considerazione che il cit. D.M. 25 marzo 2002, art. 2,
punto 7, non contiene alcun riferimento al collaudo dell'impianto,
è sufficiente rilevare che differendo il termine suddetto ad
un momento successivo all'"entrata a regime" dell'impianto, ai sensi
dell'art. 8 cit., comma 2, è ben possibile che il periodo di
un anno possa essere interamente successivo alla prima accensione delle
turbine dell'impianto e quindi all'iniziale funzionamento, in ipotesi
anche solo sperimentale, dell'impianto stesso. Ciò significa
che il monitoraggio in bianco sarebbe meramente eventuale e
dipenderebbe dai tempi, più o meno brevi, della "messa a
regime" e del successivo collaudo dell'impianto. Il che è
certamente da escludere perché il D.M. 8 gennaio 2002 di
valutazione dell'impatto ambientale richiede inequivocabilmente anche
il monitoraggio della qualità dell'aria a partire dalle
"condizioni attuali" (ossia senza emissioni della centrale) e
perché, in piena sintonia con quest'ultimo, anche il D.M. 25
marzo 2002 richiede il previo monitoraggio degli ossidi di azoto
inizialmente nei "punti tecnici di massima ricaduta", ossia
lì dove si prevede il massimo livello di emissioni che
ancora non ci sono.
Inoltre - ulteriore palese incongruenza - se si sposta l'"entrata in
esercizio" dell'impianto ad un momento successivo al collaudo previsto
dal decreto di autorizzazione, oltre che successivo alla "messa a
regime", si potrebbe anche verificare che l'intero periodo di un anno
(a ritroso) da tale momento sia tutto successivo alla "messa in
esercizio" dell'impianto; il che certamente non è possibile
che sia perché il D.M. 23 marzo 2002 prevede che "in seguito
alla messa in esercizio" dell'impianto le centraline di rilevamento
debbano essere "spostate" nei punti di effettiva massima ricaduta delle
emissioni. Ma per essere "spostate", le centraline devono
già essere state in precedenza collocate nei (diversi) punti
"tecnici" di massima ricaduta. Quindi la "messa in esercizio"
dell'impianto - intesa ex art. 8, comma 1, cit. - come iniziale
accensione delle turbine della centrale deve essere necessariamente
successiva alla prima collocazione delle centraline per il monitoraggio
in bianco.
3.4. La difesa dell'indagato ha poi invocato lo jus superveniens
costituito D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, art. 23, comma 5,
("Definizione e proroga di termini, nonché conseguenti
disposizioni urgenti") che prevede che i termini, non ancora scaduti
alla data di entrata in vigore del medesimo decreto, previsti per
l'adeguamento alle prescrizioni contenute nei decreti autorizzativi di
impianti che generano emissioni in atmosfera sono prorogati di sessanta
giorni, decorrenti: a) dalla "messa in esercizio dell'impianto", intesa
come data di avvio delle prime prove di funzionamento del medesimo; b)
dalla "entrata in esercizio dell'impianto", intesa come data successiva
al completamento del collaudo, a partire dalla quale l'impianto, nel
suo complesso, risulta in funzione nelle condizioni operative
definitive, ossia quando, decorsi sei mesi dalla comunicazione di cui
al D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203, art. 8, comma 2, si prevede il
passaggio del rilevamento delle emissioni da base giornaliera a base
oraria.
Tale normativa nella specie non rileva perché essa si
applica solo ai termini non ancora scaduti, che vengono prorogati;
nella specie invece il termine di un anno a ritroso rispetto alla data
del primo iniziale funzionamento dell'impianto (dal 5 ottobre 2003 al 4
ottobre 2004) era definitivamente decorso; ne' era di fatto prorogabile
perché con il "primo fuoco" era irrimediabilmente
compromessa la possibilità di avere un monitoraggio della
qualità dell'aria in assenza delle emissioni della centrale
per un anno.
Nè la disposizione citata può valere comunque
quale norma di interpretazione autentica, come infondatamente ha
sostenuto la difesa dell'indagato. La funzione di interpretazione
autentica non può che essere riferita alla medesima fonte
della norma interpretata. Un legge di interpretazione autentica
può essere tale in riferimento ad una precedente norma di
legge. Un provvedimento amministrativo può avere il
contenuto di interpretazione autentica di un precedente provvedimento
amministrativo. Si riconosce la funzione di interpretazione autentica
altresì all'autonomia privata, talché anche un
contratto può interpretare autenticamente un precedente
contratto. Ma non può mancare la medesimezza della fonte e
quindi in particolare un legge non può fornire
l'interpretazione autentica di un atto amministrativo, ma semmai
può dettarne una nuova disciplina con efficacia retroattiva.
Nella specie pertanto il termine "entrata in esercizio", che appare
nelle prescrizioni poste dal provvedimento amministrativo costituito
dal decreto autorizzatorio (D.M. 25 marzo 2002) e che non trova
riscontro in alcuna nozione tecnica del D.P.R. n. 203 del 1988, non
è suscettibile di interpretazione autentica ad opera di una
norma di legge; e quindi il riferimento contenuto nell'art. 23 cit.,
comma 5, sta invece a significare che, laddove nei decreti
autorizzatori la dizione "entrata in esercizio dell'impianto" sia stata
utilizzata, a qualche effetto, come data successiva al completamento
del collaudo, allora sì il termine fissato con riferimento a
tale nozione è da intendersi prorogato di sessanta giorni,
ove non già scaduto. Ma se - come nella specie - il sintagma
"entrata in esercizio" viene utilizzata nel decreto autorizzatorio come
sinonimo di "messa in esercizio", non si ricade nell'ipotesi dell'art.
23, comma 5: non c'è la proroga di sessanta giorni e neppure
c'è alcuna (non ipotizzabile) interpretazione autentica di
tale sintagma.
4. Ulteriori censure sono mosse nei ricorsi all'ordinanza impugnata
sotto il profilo della mancanza del periculum, id est della mancanza -
come prescrive l'art. 321 c.p.p. - del pericolo che la libera
disponibilità di una cosa pertinente al reato possa
aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la
commissione di altri reati, essendo questa la prospettiva
dell'ordinanza impugnata che non ipotizza la confiscabilità
dell'impianto.
Queste censure sono nel loro complesso fondate, anche se non
è condivisibile la più radicale deduzione di
mancanza di offensività della condotta omissiva contestata
all'indagato in ragione del mancato superamento dei limiti di
emissione. È sufficiente in proposito rilevare che nella
specie si tratta di un reato formale (violazione, prima
dell'attivazione dell'impianto, di una specifica prescrizione posta
dall'autorizzazione); sicché non rileva affatto la
circostanza che poi in concreto, una volta attivato l'impianto, non ci
sia stato in ipotesi alcun inquinamento atmosferico. 4.1. Il punto
centrale della problematica sollevata nei ricorsi è quella
della possibilità, o meno, che vi sia una protrazione o un
aggravamento delle conseguenze del reato; possibilità che
è necessario che sussista perché possa predicarsi
la legittimità del sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p.,
comma 1. Orbene, occorre innanzi tutto precisare che il D.P.R. n. 203
del 1988 cit., art. 24, comma 4, nel far riferimento alle
"prescrizioni" del provvedimento autorizzatorio, non contiene alcuna
specificazione e quindi il contenuto della stessa può essere
il più ampio, sempre che il provvedimento non risulti per
altro verso affetto da eccesso di potere, come sarebbe se la
prescrizione non fosse in alcun modo ricollegabile a quelle esigenze di
precauzione e di controllo sottese all'investitura del potere
autorizzatorio in capo all'amministrazione pubblica.
È quindi destituito di fondamento il rilievo, svolto in
particolare dalla difesa dell'indagato, secondo cui le "prescrizioni"
dell'art. 24, comma 4, sarebbero solo quelle che attengono a condotte
da porre in essere contestualmente all'esercizio dell'impianto e non
anche a quelle che in ipotesi lo debbano precedere. Questa asserita
limitazione oggettiva è priva di alcun ancoraggio normativo
e quindi è del tutto arbitraria. Ben poteva il Ministro per
le attività produttive porre delle prescrizioni attinenti a
comportamenti da tenere prima dell'attivazione dell'impianto e non
già nel corso del suo esercizio.
Certo non è del tutto evidente perché
l'Autorità amministrativa preposta alla tutela
dell'ambiente, nella valutazione dell'impatto ambientale della centrale
elettrica, si sia limitata a prescrivere (con il cit. D.M. 8 gennaio
2002) anche un monitoraggio preventivo della qualità
dell'aria senza emissioni, ma senza specificarne la durata, che invece
è determinata (per un anno) per la sua prosecuzione, come
monitoraggio delle emissioni, dopo la "definitiva entrata in servizio"
della centrale; mentre l'Autorità preposta alla
regolamentazione dell'attività produttiva abbia richiesto
(con il cit. D.M. 25 marzo 2002) la preventiva installazione delle
centraline di rilevamento con l'anticipo di un anno per il monitoraggio
in bianco, senza però più fissare la durata del
monitoraggio (non più in bianco, ma) delle emissioni della
centrale, dopo la "messa in esercizio" dell'impianto. Ossia il previsto
- e simmetrico - limite della durata minima di un anno gioca un ruolo
diverso nei due decreti ministeriali: nel primo (quello di valutazione
dell'impatto ambientale) assicura un prolungato rilevamento delle
emissioni della centrale (la cui ratio è di tutta evidenza:
occorre conoscere con sufficiente accuratezza quanto "inquini" la
centrale), coniugato comunque con un previo monitoraggio in bianco che
in ogni caso deve esserci (evidentemente per fornire un termine di
raffronto e comparazione); nel secondo decreto (quello di
autorizzazione dell'attività produttiva) il limite temporale
di un anno assicura la possibilità di un prolungato
rilevamento della qualità dell'aria senza emissioni della
centrale, la cui ratio è meno evidente, se si considera che
non è prevista (per quanto risulta dall'ordinanza impugnata)
la durata del monitoraggio delle emissioni della centrale dopo lo
spostamento delle centraline, nei punti effettivi di massima ricaduta,
a seguito della "messa in esercizio" dell'impianto. Sembra che nel D.M.
25 marzo 2002 l'accuratezza nella rilevazione del mero dato di
raffronto (la qualità dell'aria ad emissioni zero) faccia
aggio su quella nella rilevazione delle effettive emissioni della
centrale. Ma questa ambiguità della causale della
prescrizione della previa installazione delle centraline per il
monitoraggio in bianco con l'anticipo di un anno rispetto alla "entrata
in esercizio" dell'impianto non ridonda in vizio (di eccesso di potere)
dell'atto e quindi rimane la prescrizione nel suo contenuto letterale,
come obbligazione strumentale dell'autorizzazione assentita.
Può quindi concludersi sul punto che tra le possibili
prescrizioni poteva ben esserci - come in effetti c'è stata
all'art. 2, punto 7, del provvedimento autorizzatorio - anche quella
della previa installazione di due centraline di monitoraggio delle
emissioni degli ossidi di azoto con l'anticipo di un anno prima della
"messa in esercizio" dell'impianto; il che implica appunto la
possibilità del previo monitoraggio in bianco per un anno
senza che per ciò ci sia alcuna delega di funzioni
amministrative a soggetti privati. 4.2. Nè siffatta
prescrizione viola - come infondatamente sostiene la difesa
dell'indagato - l'art. 23 Cost. secondo cui nessuna prestazione
personale o patrimoniale può essere imposta se non in base
alla legge. È di tutta evidenza che la società
Voghera non era affatto "obbligata" ad attivare l'impianto di
produzione di energia elettrica; la predisposizione delle due
centraline di rilevamento non era altro che un onere per svolgere
un'attività sottoposta a controllo, ma pur sempre libera. Il
parametro costituzionale è quindi malamente invocato.
Pertanto ne' sotto il profilo del contenuto, ne' sotto quello di
un'improbabile contrasto con l'art. 23 Cost. la prescrizione della
previa installazione delle due centraline di rilevamento poteva dirsi
illegittima e quindi è fuori luogo il riferimento, contenuto
nelle difese dei ricorrenti, alla disapplicazione dell'atto
amministrativo da parte del giudice penale.
Può aggiungersi che l'impugnata ordinanza non manca in
proposito di svolgere due ulteriori rilievi che valgono a contestare
questo convincimento: la società Voghera non ha affatto
impugnato il decreto autorizzatorio per dolersi
dell'illegittimità della prescrizione così posta;
il decreto comunque è stato impugnato da altri
controinteressati (Comuni di Silvano Pietra e di Corana) e la pronuncia
resa dal Consiglio di Stato in grado d'appello contiene un preciso
riferimento di avallo della prescrizione di un monitoraggio ante operam
e successivamente alla messa in funzionamento dell'impianto.
4.3. Ciò posto in ordine alla legittimità, in
parte qua, del provvedimento autorizzatorio, occorre ora distinguere in
generale nell'ambito delle possibili prescrizioni del provvedimento
autorizzatorio, alle quali fa riferimento, senza alcuna ulteriore
specificazione, il quarto comma dell'art. 24 cit., ossia la
disposizione incriminatrice.
Tali prescrizioni possono riguardare l'attività autorizzata
nello stesso momento in cui essa è posta in essere e quindi
possono consistere in un comportamento dovuto, oggetto di
un'obbligazione strumentale derivata dal provvedimento amministrativo,
la quale si protrae per tutto il tempo il cui l'attività
autorizzata è svolta secondo un criterio di
contestualità. L'eventuale inadempimento della prescrizione
si accompagna all'espletamento dell'attività autorizzata
che, per tutta la durata del suo svolgimento, risulta difettosa;
talché il reato, consistente nella violazione della
prescrizione, ha in tal caso carattere permanente: l'inadempienza,
penalmente rilevante, si protrae fin quando l'attività
autorizzata è svolta senza l'osservanza della prescrizione e
cessa nel momento in cui il comportamento dovuto è posto in
essere. Vi possono essere poi prescrizioni di tipo preventivo - qual
è appunto quella avente ad oggetto la previa predisposizione
delle centraline di rilevamento, utilizzabili inizialmente per il
monitoraggio in bianco prima dell'attivazione della centrale - che
riguardano una condotta che deve essere posta in essere prima - e non
già contestualmente - dell'attività autorizzata.
In tal caso il mancato rispetto di queste prescrizioni ha un dies ad
quem che è l'inizio dell'attività autorizzata. In
quel momento si perfeziona (e si esaurisce) il reato che è
formale ed il cui bene giuridico protetto consiste non già
direttamente nella tutela dell'ambiente, bensì nella tutela
dell'Amministrazione nell'esercizio di un potere autorizzatorio di
un'attività che coinvolge anche la tutela dell'ambiente.
L'omissione del monitoraggio preventivo per la prescritta durata di un
anno ha leso l'interesse dell'Amministrazione ad avere un dato
conoscitivo (di raffronto) utile al fine delle sue determinazioni. La
condotta omissiva si è esaurita nel momento in cui vi
è stata la "messa in esercizio" dell'impianto, ossia
l'iniziale avvio del suo funzionamento. A quella data (5 ottobre 2004)
la società - e per essa il direttore della centrale
attualmente indagato nel presente procedimento penale - si è
resa inadempiente perché, pur avendo previamente predisposto
le due centraline di rilevamento, non l'ha fatto con l'anticipo di un
anno in modo da consentire un monitoraggio in bianco di tale durata,
ossia in tutte le diverse condizioni climatiche che si presentano nel
corso di un anno. Questa condotta omissiva si è realizzata -
e si è anche esaurita - alla data suddetta. Essa non
può più essere "proseguita", ne' vi è
alcun possibile "aggravamento" non essendovi conseguenze ulteriori
delle quali predicare la necessità che siano impedite con la
misura cautelare in esame. L'effetto dell'inadempienza della
prescrizione del provvedimento autorizzatorio è
l'impossibilità per la pubblica amministrazione di avere un
dato conoscitivo di rilievo: la qualità dell'aria senza le
emissioni della centrale, monitorata per un anno. Questo dato
è ormai perso, salvo che l'amministrazione non si determini
a revocare l'autorizzazione perché si ripristino le
condizioni originarie di assenza di emissioni e si proceda poi ad un
nuovo preventivo monitoraggio in bianco.
Nè l'effetto della violazione della prescrizione incide
direttamente sulla tutela dell'ambiente. Il dato di partenza - ossia le
condizioni originarie del sito in assenza di emissioni della centrale -
non è di per sè rilevante; ciò che
rileva è che, una volta "messa in esercizio" la centrale, le
sue emissioni rispettino i limiti massimi prescritti. Ma di
ciò nella specie non si fa questione perché al di
fuori della norma incriminatrice e della contestazione; anzi la difesa
dei ricorrenti, allegando il rispetto di tali limiti, ha sostenuto -
come sopra detto - la mancanza di offensività della
contestata condotta omissiva.
Invece alla diretta tutela dell'ambiente sono mirate le altre due
seguenti prescrizioni del D.P.R. n. 203 del 1988 cit., art. 24 - il
comma 5 e 6 - che fanno appunto riferimento al superamento dei limiti
di emissione e alla qualità dell'aria, che qui non vengono
in rilevo perché estranee alla contestazione.
4.4. Tutto ciò comporta che la prosecuzione
dell'attività di produzione di energia elettrica,
autorizzata con il D.M. 25 marzo 2005 ed attualmente sospesa per
effetto del sequestro preventivo in esame, non rappresenta affatto una
prosecuzione di un'attività penalmente sanzionata proprio
perché legittimamente autorizzata, senza che allo stato
(prima del sequestro) risultino emissioni nell'atmosfera superiori ai
previsti valori massimi e quindi senza che ci sia un fatto di
inquinamento atmosferico. Mentre la mancata tempestiva installazione
delle centraline di rilevamento per il previo monitoraggio in bianco,
per un anno, della qualità dell'aria prima dell'inizio delle
emissioni della centrale rappresenta una condotta esaurita che ha
determinato un danno "consolidato": ossia il deficit di informazione
per l'Amministrazione preposta alla tutela dell'ambiente, la quale
potrebbe anche ritenere che la mancanza di questo dato informativo -
ossia la qualità dell'aria ad emissioni zero (della
centrale) per un anno - sia determinante per una valutazione comparata
di raffronto delle situazioni "prima" e "dopo" e - come rilevato -
potrebbe in ipotesi revocare l'autorizzazione già concessa;
ma fino a tale possibile revoca l'attività è
autorizzata nel rispetto dei limiti derivanti dall'art. 24, commi 5 e
6., oltre che nel rispetto dell'art. 8.
La stessa ordinanza impugnata peraltro registra che "le emissioni della
centrale in funzione possono essere rilevate (e risultano essere state
effettivamente rilevate) anche indipendentemente dal precedente
monitoraggio". Tuttavia manca il raffronto perché il
monitoraggio in bianco non è stato protratto per un anno e,
anche se è possibile la valutazione di
compatibilità ambientale di una sorgente di emissioni
indipendentemente da tale raffronto, non può escludersi -
afferma il tribunale di Pavia - che "il raffronto medesimo possa
offrire elementi di interesse, al fine di determinare la ripartizione
tra le diverse sorgenti di emissione dell'inquinamento globale". Non di
meno - ritiene il tribunale - "la misura cautelare reale applicata
impedisce che il reato venga portato a conseguenze ulteriori".
Ma - si ripete - il dato conoscitivo, che non è stato
acquisito in ragione della violazione della specifica prescrizione
posta dal decreto autorizzatorio, è definitivamente mancato,
mentre la prosecuzione delle immissioni nell'atmosfera per effetto del
funzionamento della centrale, che il sequestro preventivo in esame
interdice, può essere ex se rilevante se dovessero risultare
superati i valori limite richiamati dall'art. 24 cit., comma 5 e 6,
mentre deve escludersi che -come afferma l'impugnata ordinanza - "il
funzionamento della centrale costituisca in ogni caso una protrazione
dell'attività criminosa".
D'altra parte la necessità di una protrazione o aggravamento
delle conseguenze del reato, quale presupposto del sequestro preventivo
in caso di reati consumati, è stata affermata nella contigua
materia urbanistica da questa Corte (Cass., sez. un., 29 gennaio 2003 -
20 marzo 2003, n. 12878), che ha sì ritenuto possibile il
sequestro preventivo di una costruzione abusiva anche quando essa sia
stata ultimata, ma a condizione che il provvedimento risulti
giustificato dal concreto ed attuale pericolo - della cui sussistenza
si deve dare atto con adeguata motivazione - che la
disponibilità e l'uso dell'immobile producano ulteriore
lesione del bene giuridico protetto dalla norma penale, avuto anche
riguardo alle prospettive future, a seconda che questi siano tali da
far prevedere o meno il rilascio di provvedimenti amministrativi in
sanatoria che impediscano l'altrimenti obbligatoria demolizione. La
costruzione abusiva ultimata determina, come conseguenza del reato, un
impatto urbanistico contra legem (cfr. Cass., sez. 3^, 1 febbraio 2005
- 15 marzo 2005, n. 10049) che permane e che può essere
contrastato con il sequestro preventivo (cfr., analogamente, per la
costruzione senza autorizzazione di un impianto che emette emissioni
nell'atmosfera:
Cass., Sez. 3^, 12 febbraio 2004 - 27 maggio 2004, n. 24189). Invece
l'attivazione della centrale senza la tempestiva previa installazione
delle centraline di rilevamento per il monitoraggio preventivo di per
sè non determina un impatto ambientale, non essendo superati
i valori limite di emissioni, ma comporta solo un deficit informativo
per la l'Amministrazione che tale centrale ha autorizzato, che non
può "protrarsi" ne' "aggravarsi".
Semmai la fattispecie in esame è assimilabile a quella
scrutinata da questa Corte (Cass., Sez. 3^, 23 marzo 2005 - 13 maggio
2005, n. 17840) che ha puntualizzato che la comunicazione di cui al
D.P.R. n. 203 del 1988 cit. art. 24, comma 2, non può che
essere preventiva, e cioè deve precedere l'attivazione del
nuovo impianto, essendo peraltro finalizzata a provocare il controllo
di cui al precedente art. 8 da parte delle competenti
autorità. L'adempimento postumo dei precetto non
è contemplato dalla norma, che anzi non solo stabilisce la
precedenza della comunicazione rispetto all'attivazione dell'impianto,
ma pone altresì un ulteriore limite temporale invalicabile
("nel termine prescritto") per detto adempimento. Anche in tal caso il
reato si consuma e si esaurisce con l'omissione della condotta
prescritta prima dell'attivazione del nuovo impianto. 5. In conclusione
- assorbite le censure sul dedotto difetto di
proporzionalità ed adeguatezza della misura cautelare - i
ricorsi vanno accolti sotto il profilo dell'insussistenza del periculum
nei termini sopra esposti. Conseguentemente va annullata senza rinvio
l'ordinanza impugnata nonché il decreto di sequestro del
g.i.p. del tribunale di Voghera del 30 luglio 2005 e va disposta la
restituzione di quanto in sequestro all'avente diritto.
P.Q.M.
La Corte annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata nonché
il decreto di sequestro del g.i.p. del tribunale di Voghera del 30
luglio 2005 e dispone la restituzione di quanto in sequestro all'avente
diritto.
Manda alla Cancelleria per gli incombenti di cui all'art. 626 c.p.p..
Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2006.
Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2006