Consiglio di Stato Sez. IV n.7910 del 2 ottobre 2024
Aria.Emission trading e cessazione attività
Nel sistema di Emission trading, infatti, ogni anno l’autorità nazionale competente (che nel nostro ordinamento è il Comitato ETS) rilascia a ciascun impianto (entro il 28 febbraio), sulla base della sua assegnazione iniziale (“cap”), le quote di emissioni. Le imprese sono tenute a restituire, entro il 30 aprile di ogni anno, un numero di quote di emissioni corrispondente alle tonnellate di emissioni prodotte nell’anno civile precedente e comunicate. In tal modo, gli operatori che producono meno emissioni di quelle assegnate hanno facoltà di vendere le quote eccedenti rispetto alle emissioni prodotte, conseguendo un utile economico; di contro, gli impianti che producono emissioni in eccesso rispetto all’assegnazione devono acquistare le corrispondenti quote e restituirle all’autorità nazionale (“trade”). Precipitato logico di quanto appena osservato è che in caso di cessazione dell’attività e, quindi, di cessazione di emissioni CO2 viene meno il fondamento causale del rilascio delle quote e sorge, di conseguenza, in capo al gestore l’obbligo di restituzione delle medesime. Non è, invece, invocabile alcun diritto di ritenzione delle medesime che trova giustificazione unicamente nella riduzione delle emissioni conseguita attraverso l’esercizio dell’attività, come previsto dal sistema, e non può fondarsi sulla mancanza di emissioni per cessazione dell’attività e sulla tardiva comunicazione della medesima.
Pubblicato il 02/10/2024
N. 07910/2024REG.PROV.COLL.
N. 08755/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8755 del 2020, proposto da
Aom Conserve Alimentari – Soc. Coop. Agr. in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco Fonderico e Massimo Monteduro, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Andrea Farì in Roma, via Vittorio Veneto 108;
contro
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Ministero dello Sviluppo Economico, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Comitato Nazionale Gestione Direttiva 2003/87/Ce e Supporto Gestione Attività Protocollo Kyoto, non costituito in giudizio;
nei confronti
Profilglass S.p.A., non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione seconda bis, n. 03060/2020, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e del Ministero dello Sviluppo Economico;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 18 settembre 2024 il Cons. Carmelina Addesso;
Viste le conclusioni delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. AOM Conserve Alimentari – soc. coop. agr. in liquidazione (d’ora innanzi, AOM), società operante nel settore della trasformazione di prodotti ortofrutticoli in conserve alimentari con impianto sito nel Comune di Buglionesi, chiede la riforma della sentenza in epigrafe indicata, che ha respinto il ricorso proposto per l’annullamento della deliberazione n. 51/2019 del Comitato nazionale per la gestione della direttiva 2003/87/CE e per il supporto nella gestione delle attività di progetto del Protocollo di Kyoto, con cui era stata revocata l’autorizzazione ad emettere gas serra a decorrere dal 31.12.2017 e non già dal 31.12.2018 (anno in cui ricorrente dichiarava la cessazione definitiva dell’attività).
1.1 L’ora menzionato provvedimento di revoca dell’autorizzazione ad emettere gas serra era censurato nella parte in cui aveva disposto la decorrenza di detta revoca dal 31 dicembre 2017 e non, come a suo avviso dovuto, dal 31 dicembre 2018, anno in cui era definitivamente cessata l’attività in ragione della crisi economica e finanziaria che aveva investito la società.
1.2 Il TAR adito respingeva il ricorso, rilevando che: i) emerge inequivocabilmente dalla documentazione in atti che l’attività riferita al funzionamento della centrale termica destinata alla lavorazione e trasformazione dei prodotti ortofrutticoli da parte della ricorrente, fonte dalla quale promanano le immissioni oggetto della disciplina che viene in rilievo, ha avuto svolgimento sino al 31 dicembre 2017. Tale dato fattuale è attestato dalla stessa ricorrente che, come emerge dalle interlocuzioni a mezzo mail prodotte in atti dall’amministrazione, ha dichiarato che “l’azienda nel 2018 non ha avuto emissioni di CO2”, non provvedendo né alle comunicazioni delle emissioni entro la data del 31 marzo 2018 né alla restituzione delle stesse entro il 30 aprile 2018; ii) neppure in giudizio la ricorrente ha fornito qualsivoglia elemento idoneo a comprovare che l’impianto in questione sia stato attivo, sia pure solo per un giorno di detto anno, soffermandosi, invece, ampiamente sulla crisi economia dalla quale è scaturita l’approvazione del piano di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’art. 182 bis l. fall., poi sottoposto al competente Tribunale; iii) del tutto legittimamente e doverosamente l’amministrazione ha provveduto alla revoca dell’autorizzazione con effetti a far data dalla cessazione dell’attività.
2. Con l’appello in trattazione AOM, premesse l’esposizione dei fatti di causa e dello svolgimento del giudizio di primo grado e la censura - dichiaratamente “in limine” - della sentenza per aver affermato la legittimità della revoca retroattiva, chiede la riforma della sentenza medesima per le seguenti ragioni:
I. ERROR IN PROCEDENDO E IN IUDICANDO IN RELAZIONE AL SECONDO MOTIVO DELL’ORIGINARIO RICORSO. VIOLAZIONE DELL’ART. 64, COMMA 2, C.P.A.. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEL D.LGS. 30/2013, DELL’ART. 2482-BIS COD.CIV. E DEI PRINCIPI DI LEGALITÀ, TIPICITÀ, DILIGENZA, LEALTÀ, CORRETTEZZA E BUONA FEDE.
II. SEGUE: ERROR IN PROCEDENDO E IN IUDICANDO IN RELAZIONE AL SECONDO MOTIVO DELL’ORIGINARIO RICORSO. VIOLAZIONE DELL’ART. 64, COMMA 2, C.P.A.. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEL D.LGS. 30/2013 E DEI PRINCIPI DI LEGALITÀ, TIPICITÀ, DILIGENZA, LEALTÀ, CORRETTEZZA E BUONA FEDE.
III. SEGUE: ERROR IN PROCEDENDO E IN IUDICANDO IN RELAZIONE AL SECONDO MOTIVO DELL’ORIGINARIO RICORSO. VIOLAZIONE DELL’ART. 64, COMMA 2, C.P.A.. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEL D.LGS. 30/2013 E DEI PRINCIPI DI LEGALITÀ, TIPICITÀ, DILIGENZA, LEALTÀ, CORRETTEZZA E BUONA FEDE.
IV. . ERROR IN PROCEDENDO E IN IUDICANDO IN RELAZIONE AL PRIMO MOTIVO DELL’ORIGINARIO RICORSO. VIOLAZIONE DELL’ART. 64, COMMA 2, C.P.A.. OMESSA PRONUNCIA SU DI UN CAPO DI DOMANDA (ART. 112 C.P.C.). VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEL D.LGS. 30/2013 E DEI PRINCIPI DI LEGALITÀ, TIPICITÀ, DILIGENZA, LEALTÀ, CORRETTEZZA E BUONA FEDE.
V. IN SUBORDINE: ISTANZA DI RINVIO PREGIUDIZIALE EX ART. 267 TFUE
3. Si sono costituiti in giudizio il Ministero della transizione ecologica, già Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, e il Ministero dello sviluppo economico che hanno resistito al gravame, chiedendone la reiezione.
4. Con memoria del 17 luglio 2024 l’appellante ha controdedotto alle avverse difese chiedendo, in via subordinata e cautelativa, il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia sulla base dei seguenti quesiti:
- se la direttiva 2003/87/CE, modificata dalla direttiva 2009/29/CE, vigente pro tempore all’epoca dei fatti di causa, sia interpretabile nel senso che essa fondi, contenga o prescriva, anche indirettamente, gli specifici obblighi di comunicazione e “stand still” in capo agli operatori economici che il legislatore italiano ha poi enunciato nell’art. 26, comma 7, del d.lgs. 47/2020, o se invece tali obblighi non trovino alcun titolo nella citata direttiva 2003/87/CE;
- qualora la direttiva 2003/87/CE sia interpretabile nel senso di non incorporare i summenzionati obblighi, se essa osti, nella prospettiva dell’armonizzazione europea delle politiche ambientali e climatiche nel mercato interno, a una legislazione nazionale di recepimento della medesima direttiva che invece pretenda di imporre tali obblighi agli operatori economici del settore;
- qualora la direttiva 2003/87/CE sia interpretabile nel senso di incorporare i summenzionati obblighi, se, a fronte di una normativa nazionale, vigente pro tempore all’epoca dei fatti di causa, che l’abbia trasposta nell’ordinamento interno senza specificare né prevedere in maniera espressa tali obblighi, sia comunque da escludere la possibilità di far valere nei confronti di un soggetto dell’ordinamento nazionale gli obblighi medesimi, in particolare quando dalla loro asserita violazione possano derivare a carico del soggetto sanzioni che, anche a prescindere dalla loro qualificazione, siano oggettivamente di rilevante gravità, alla luce dei principi europei di certezza del diritto e tutela del legittimo affidamento nonché dei principi CEDU.
5. All’udienza di smaltimento del 18 settembre 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.
6. L’appello è infondato.
7. Espone l’appellante che, prima di scendere nel merito delle censure d’appello, la sentenza sarebbe affetta da errores iuris particolarmente gravi ed evidenti, che inficiano in radice la struttura argomentativa della sentenza gravata e ne rendono necessario l’annullamento. Deduce, in particolare, che il potere amministrativo esercitato dal Comitato, nel caso di specie, è dichiaratamente quello di “revoca” di un precedente provvedimento amministrativo favorevole, il quale non può che operare ex nunc dalla data di cessazione dell’attività, avvenuta il 28.12.2018, e che il giudice di primo grado avrebbe ritenuto legittima la revoca sulla base di mere congetture probabilistiche sui poteri che il Comitato avrebbe potuto esercitare se AOM avesse fornito al medesimo, ad un dato momento, determinate informazioni.
7.1 Il motivo è innanzitutto inammissibile perché con il ricorso di primo grado non era stata dedotta la violazione dell’art. 21 quinquies l. 241/1990 per la retroattività della revoca dell’autorizzazione, ed è in ogni caso infondato nel merito.
7.2 La revoca dell’autorizzazione di cui all’art. 17 d.lgs. n. 30/2013 non è in alcun modo assimilabile alla “revoca del provvedimento amministrativo” di cui all’articolo 21 quinquies l. 241/1990. I due istituti, infatti, sebbene accomunati nel nomen iuris, divergono profondamente per natura e presupposti.
7.3 La revoca dell’autorizzazione non è espressione del potere di autotutela finalizzato a rimuovere con effetto ex tunc un provvedimento amministrativo per sopravvenute ragioni di opportunità, ma è un atto vincolato di mera presa d’atto della cessazione dell’attività per la quale l’autorizzazione era stata rilasciata, con conseguente uscita dell’impresa dal regime ETS.
7.4 Esso deve, di conseguenza, essere ricondotto agli atti di decadenza/ritiro per il venir meno dei requisiti di idoneità per continuazione del rapporto (Ad. Plen. 18/2020). In termini di “ritiro dell’autorizzazione” si esprime il legislatore comunitario (art. 10 bis, comma 19, direttiva 2003/87/CE; art. 22, comma 1, decisione 2011/278/UE, riprodotto nel modulo NEC predisposto dal Comitato), sicché la circostanza che, in sede di attuazione della direttiva, il legislatore nazionale abbia utilizzato il termine revoca, anziché quello di ritiro, non è sufficiente ai fini della sussunzione dell’atto nell’ambito del paradigma dell’autotutela, come , invece, ritenuto dal ricorrente.
7.5 Nel senso sopra indicato depongono in modo convergente sia l’interpretazione letterale, che impone la revoca dell’autorizzazione al verificarsi di un preciso accadimento materiale, consistente nella cessazione dell’attività dell’impianto (art. 17: “L'autorizzazione ad emettere gas ad effetto serra è revocata nel caso di cessazione di attività di cui all'articolo 24, comma 1”), che quella teleologica, atteso che l’impianto cessato non concorre più alla riduzione delle emissioni che rappresenta la causa dell’assegnazione delle relative quote.
7.6 La censura deve, quindi, essere respinta.
8. Con quattro motivi di appello, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto tra loro connessi, la società deduce che:
I. La sentenza sarebbe incorso in errore laddove stigmatizza l’asserito “comportamento reticente e certamente non conforme ai canoni di lealtà e correttezza” della ricorrente la quale “invece di dare conto delle reali ragioni alla base della cessazione dell’attività”, ha dichiarato che “il funzionamento dell’impianto è impossibile per ragioni tecniche”.
La suddetta motivazione, infatti, era l’unica utilizzabile (in via residuale), attesa la casistica tassativa prevista dal c.d. “modulo NEC”, che riproduce pedissequamente l’art. 22 comma 1 della decisione 2011/278/UE sull’armonizzazione delle procedure per il rilascio delle quote di emissione gratuite ex art. 10-bis, direttiva 2003/87/CE. Il Tribunale, inoltre, non avrebbe tenuto conto delle seguenti circostanze di fatto, non contestate dall’amministrazione ai sensi dell’art. 64 c.p.a: i) nel 2017 AOM ha normalmente svolto la sua consueta attività stagionale; ii) la decisione – giuridicamente rilevante – di “cessazione in via definitiva” dell’attività è stata assunta soltanto nel secondo semestre del 2018.
La perdita economica dovuta all’acquisto di un’apparecchiatura poi rivelatasi difettosa per inadempimento del fornitore e il conseguente mancato guadagno per la perdita del prodotto non possono definirsi, secondo l’id quod plerumque accidit, fattori di per sé necessariamente determinanti la cessazione in via definitiva dell’attività né il d.lgs 30/2013, recante la disciplina ratione temporis applicabile, contempla un obbligo di comunicare situazioni “temute” di soltanto possibile/eventuale cessazione dell’attività (c.d. rischi “speculativi”). Dunque, in mancanza dei tassativi presupposti di cui all’art. 24 d.lgs. 30/2013, il solo fatto che si verifichi una perdita di esercizio non può imporre al gestore una sovrumana prognosi, prevedendo, con molti mesi di anticipo, la possibile crisi aziendale e chiedendo ex ante la sospensione dell’emissione delle quote.
II. La sentenza impugnata sarebbe parimenti erronea nella parte in cui asserisce che il rilascio delle quote gratuite (atteso il loro valore economico) costituirebbe un vantaggio ingiustificato in assenza di un corrispondente obbligo di restituzione, poiché è intrinseco al sistema che, in caso di mancato utilizzo in tutto o in parte delle quote nel corso dell’anno di emissione (in questo caso, quindi, nel 2018), il relativo obbligo di restituzione si riduca o si estingua di conseguenza, e che le quote possano essere commercializzate, senza che ciò possa in alcun modo costituire un “indebito” vantaggio e tantomeno determinare alcuno “squilibrio”.
III. Meritevole di riforma sarebbe anche il capo (§ 2.4.4. segg.) che ricostruisce erroneamente gli obblighi nascenti dalla disciplina di settore, sia quelli applicabili in generale sia quelli speciali relativi alle attività “stagionali” (art. 23, commi 2 e 3, e art. 24, commi 2, 3 e 4, d.lgs. 30/2013), attribuendo, inoltre, “precipuo rilievo” al ritardo con cui l’Amministrazione ha provveduto al rilascio delle quote (deliberazioni 89/2018 del 24.07.2018 e n. 131/2018, adottata il 18.12.2018).
Per un verso, l’obbligo di rilascio delle quote gratuite e, simmetricamente, l’eventuale obbligo di restituzione delle stesse, sono generalmente “insensibili” ai fatti e agli atti verificatisi e/o che producono effetti dopo le date prescritte dal legislatore (1° gennaio, 31 gennaio ovvero, al più tardi, 28 febbraio), così come il provvedimento di revoca dell’autorizzazione non può retroagire ad una data antecedente a quella dichiarata dal gestore come data di “cessazione in via definitiva” dell’attività, ai sensi dell’art. 24, comma 1, lett. c), d.lgs. 30/2013.
Per altro verso, AOM non sarebbe tenuta a comunicare alcuna “interruzione” superiore a sei mesi, perché tale adempimento, previsto per il regime “generale”, si paleserebbe incompatibile con quello degli impianti stagionali che operano in regime di esenzione. Nessun precipuo rilievo potrebbe assumere la circostanza che il rilascio delle quote annuali 2018 sia avvenuto in grave ritardo rispetto ai termini di legge, ossia in data 24.07.2018 (in via preliminare) e in data 18.12.2018 (in via definitiva) poiché il ritardo accumulato dall’Amministrazione nel 2018 non può avere alcun rilievo sulle quote pertinenti ad attività svolte nel 2017 e mai fatte oggetto di alcuna contestazione.
IV. La sentenza sarebbe errata anche per la parte in cui ha omesso di dare atto, ai sensi dell’art. 64, comma 2, c.p.a., dell’ammissione dell’Amministrazione in merito alla circostanza di fatto che, con mail del 28.12.2018, AOM ha dichiarato la cessazione in via definitiva dell’attività nel corso del 2018. Risulta, dunque, pacifico che non sussiste alcuna nota del 02.01.2019 nella quale AOM avrebbe dichiarato la cessazione dell’attività a decorrere dal 31.12.2017 (la nota del 02.01.2019, ammette controparte, è in realtà la medesima del 28.12.2018).
9. I motivi sono infondati.
9.1 L’appellante fonda le proprie argomentazioni sul presupposto, dato per acclarato, che la cessazione definitiva dell’attività sarebbe avvenuta nell’anno 2018, poiché “AOM ha dichiarato la volontà di cessare in via definitiva l’attività di cui all’All. I d.lgs. 30/2013 con la nota del 28.12.2018” (pag. 25 dell’appello), in ragione dello stato di crisi finanziaria asseritamente manifestatosi in tutta la sua gravità nella seconda metà del 2018.
9.2 In tale prospettiva, la “cessazione in via definitiva” (art. 24, comma 1, lett. c), d.lgs. cit.) è una “res iuris, oggetto di una dichiarazione del gestore con valenza negoziale e potestativa” con cui quest’ultimo esprime la volontà di uscire – appunto, “in via definitiva” – dal sistema ETS (pag. 19 dell’appello).
9.3 Logico corollario di quanto sostenuto dalla ricorrente è che gli effetti della revoca dell’autorizzazione si producono, in ogni caso, dalla comunicazione del gestore della volontà di cessare in via definitiva l’attività, anche laddove la cessazione si sia verificata, per circostanze oggettive, in data antecedente alla comunicazione, non avendo l’impianto più operato ed emesso in atmosfera gas ad effetto serra per l’intera annualità a cui la dichiarazione si riferisce.
9.4 L’assunto, volto ad assegnare alla dichiarazione del gestore una valenza costitutiva, sul piano giuridico, di un evento che si è già prodotto sul piano materiale (cessazione dell’attività e correlativa cessazione di emissione di gas serra) non può esse essere condiviso, ponendosi in contrasto con la disciplina di settore sul piano letterale e su quello teleologico.
9.5 Sotto il primo profilo, l’art. 24, comma 2, d.lgs 30/2013 è chiaro dell’assegnare alla comunicazione del gestore una valenza (non “negoziale e potestativa” bensì) meramente dichiarativa e ricognitiva di un fatto materiale già verificatosi. Siffatta comunicazione deve, inoltre, avvenire entro un termine perentorio (non oltre il 31 dicembre dell’anno in cui è avvenuta la cessazione di attività), la cui osservanza è assistita da una sanzione amministrativa pecuniaria (art. 36 comma 8 d.lgs. n. 30/2013 che dispone:“ Salvo che il fatto costituisca reato, il gestore dell'impianto munito di autorizzazione alle emissioni di gas ad effetto serra che non fornisce le informative e le comunicazioni ai sensi degli articoli 16, 24, comma 3, 25 e 26 è soggetto ad una sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 euro a 100.000 euro aumentata, per ciascuna quota indebitamente rilasciata, di una somma pari a tre volte il valore medio della quota di biossido di carbonio nel quadrimestre da gennaio ad aprile dell'anno in corso fino ad un massimo di 100 euro per ciascuna quota. All'accertamento della violazione consegue, in ogni caso, l'obbligo per il gestore di trasferire nel conto unionale di cui all'articolo 53, paragrafo 4, del regolamento (CE) n. 389/2013 una quantità di quote di emissione pari alle quote indebitamente rilasciate. Resta ferma la sanzione di cui al comma 6 in caso di mancata ottemperanza dell'obbligo di restituzione delle quote”).
9.6 Sotto il secondo profilo, il rilascio delle quote di emissioni è strettamente correlato non all’esercizio dell’attività di impresa in sé, bensì allo svolgimento delle attività di cui all’allegato I del decreto sopra citato.
10. Nel sistema di Emission trading, infatti, ogni anno l’autorità nazionale competente (che nel nostro ordinamento è il Comitato ETS) rilascia a ciascun impianto (entro il 28 febbraio), sulla base della sua assegnazione iniziale (“cap”), le quote di emissioni. Le imprese sono tenute a restituire, entro il 30 aprile di ogni anno, un numero di quote di emissioni corrispondente alle tonnellate di emissioni prodotte nell’anno civile precedente e comunicate. In tal modo, gli operatori che producono meno emissioni di quelle assegnate hanno facoltà di vendere le quote eccedenti rispetto alle emissioni prodotte, conseguendo un utile economico; di contro, gli impianti che producono emissioni in eccesso rispetto all’assegnazione devono acquistare le corrispondenti quote e restituirle all’autorità nazionale (“trade”).
10.1 Precipitato logico di quanto appena osservato è che in caso di cessazione dell’attività e, quindi, di cessazione di emissioni CO2 viene meno il fondamento causale del rilascio delle quote e sorge, di conseguenza, in capo al gestore l’obbligo di restituzione delle medesime. Non è, invece, invocabile alcun diritto di ritenzione delle medesime che trova giustificazione unicamente nella riduzione delle emissioni conseguita attraverso l’esercizio dell’attività, come previsto dal sistema, e non può fondarsi sulla mancanza di emissioni per cessazione dell’attività e sulla tardiva comunicazione della medesima. L’obbligo di restituzione è, peraltro, espressamente contemplato dal sopra citato comma 6 dell’art. 36 che dispone “all'accertamento della violazione consegue, in ogni caso, l'obbligo per il gestore di trasferire nel conto unionale di cui all'articolo 53, paragrafo 4, del regolamento (CE) n. 389/2013 una quantità di quote di emissione pari alle quote indebitamente rilasciate. Resta ferma la sanzione di cui al comma 6 in caso di mancata ottemperanza dell'obbligo di restituzione delle quote”
10.2 L’intero regime ETS è, quindi, imperniato sull’effettiva operatività ed emissione di gas serra da parte dell’impianto autorizzato, anche se nell’arco dell’anno cui si riferiscono le quote assegnate abbia operato ed emesso CO2 per un solo giorno. Proprio tale ragione, la cessazione di attività è collocata ex lege nel corso dell’anno in cui per l’ultima volta il gestore ha svolto l’attività rientrante nell’ambito di applicazione ETS.
11. Le evidenze documentali in atti confermano che, come osservato sia dal Comitato prima e dal TAR poi, la cessazione dell’attività di AOM è avvenuta nel corso del 2017, con la conseguenza che a quella data era già sorto l’obbligo di comunicazione di cui al citato art. 24, comma 3, d.lgs 30/2013, non potendo assegnarsi a siffatta comunicazione alcuna valenza (discrezionalmente) costitutiva di un effetto che si è già prodotto sul piano materiale, come sopra osservato.
11.1 Dagli atti di causa risulta, infatti, che:
-con mail del 28.12.2018 (acquisita al prot. n. 9/CLE.ETS del 2.1.2019, doc. 1 deposito primo grado Comitato), la AOM comunicava che nel corso del 2018 l’impianto aveva cessato in maniera definitiva l’attività; all’interno del modulo NEC, trasmesso unitamente a tale comunicazione, la società appellante dichiarava che la cessazione era motivata dal fatto che “il funzionamento dell’impianto è impossibile per ragioni tecniche”;
-a fronte della richiesta di chiarimenti da parte del Comitato la società dichiarava che: i) l’impianto autorizzato ha una lavorazione stagionale per la trasformazione del pomodoro da industria e che la campagna pomodoro nell’anno 2018 non ha avuto seguito in quanto l’azienda si trova in uno stato di crisi finanziaria che non le hanno consentito di effettuare la trasformazione e, pertanto, l’impianto non è entrato in funzione (nota prot. n. 2195/CLE.ETS del 15.2.2019, doc. 2); ii) la data in cui sull’impianto si è svolta per l’ultima volta un’attività ricompresa nel campo di applicazione del d.lgs. n. 30/2013 è il 28.12.2018 (nota prot. n. 2351/CLE.ETS del 20.2.2019, doc. 3);
- con nota prot. n. 2386/CLE.ETS del 21.2.2019 il Comitato chiedeva ad AOM di confermare che “nell’anno 2018 l’impianto sia stato in esercizio per almeno un giorno”. In riscontro a tale richiesta, la società dichiarava che “l’azienda nel 2018 non ha avuto emissioni di CO2”: di conseguenza, la stessa non aveva neppure svolto alcuna attività di cui all’allegato I del d.lgs. n. 30/2013 tale da giustificare la permanenza del titolo autorizzativo (prot. n. 2634/CLE.ETS del 27.2.2019, doc. 4);
- il verbale di assemblea societaria del 11/07/2018 conferma che nell’anno 2017 la società versava già in crisi finanziaria a causa di un investimento sbagliato che aveva pregiudicato la produzione (acquisto di sterilizzatore asettico difettoso che aveva provocato danni al prodotto trasformato con 8000 fusti andati a male e conseguente perdita di esercizio al 31.12.2017 di euro 1.664.789: doc. 3 fascicolo primo grado AOM).
11.2 La società ha dichiarato l’inattività dell’impianto per l’intero anno 2018, non avendo il medesimo prodotto emissioni di CO2 in atmosfera: tale circostanza è incompatibile con la dichiarata cessazione definitiva dell’attività al 28.12.2018. Poiché nell’anno 2018 l’impianto non ha prodotto emissioni, la data della cessazione non può che essere collocata nell’anno 2017, con conseguente obbligo ex lege di comunicazione al 31 dicembre di quell’anno.
11.3 Ne discende che la ritardata comunicazione al comitato ha determinato il rilascio di quote a cui la società non aveva diritto poiché, ai sensi dell’art. 23 comma 2 d.lgs 30/2013, “Nel caso in cui un impianto abbia cessato l'attività, il Comitato non rilascia le quote assegnate per l'anno successivo a quello di cessazione di attività”. Tanto più che, come osservato dal TAR, l’amministrazione ha provveduto in ritardo rilascio delle quote per l’annualità 2017 (deliberazioni 89/2018 del 24.07.2018 e n. 131/2018 del 18.12.2018), sicché la ricorrente ha avuto la possibilità di evitare, con una comunicazione tardiva, il rilascio di quote a cui non aveva diritto, in ottemperanza non solo allo specifico obbligo di legge (art. 24 citato) , ma anche in conformità al generale obbligo di correttezza e buona fede a cui devono essere improntati i rapporti tra privato e amministrazione (art.1 comma 2 bis l. 241/1990)
12. La correttezza delle conclusioni a cui è pervenuto il giudice di primo grado non sono scalfite dalle deduzioni dell’appellante in relazione alle quali è sufficiente osservare che:
- è infondata la doglianza relativa all’imposizione ad AOM di un obbligo atipico poiché l’obbligo di comunicazione è sancito dal più volte richiamato art. 24 d.lgs 30/2013 ed è soggetto ad un termine perentorio, la cui inosservanza è assistita da sanzione, non derogabile per volontà del gestore;
- l’obbligo comunicazione della cessazione di attività entro la fine dell’anno in cui essa si è verificata è essenziale per il corretto funzionamento del regime ETS e, quindi, per il raggiungimento dell’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra imposto dalla direttiva 2003/87/CE (art. 1). La comunicazione in questione assolve alla duplice finalità di esonerare dagli obblighi di legge un impianto che non produce più emissioni in atmosfera e di escluderlo dal novero di quei soggetti che ricevono l’assegnazione annuale di quote gratuite, con cui vengono compensate le emissioni prodotte. Come osservato dal Comitato, il rilascio di tali quote, che hanno un valore economico, in assenza di un obbligo di restituzione determina un vantaggio ingiustificato per il ricevente, con l’effetto di squilibrare il complessivo meccanismo di cap and trade;
- la mancata attività dell’impianto è imputabile alla crisi finanziaria della società, determinata dall’acquisto di un bene strumentale difettoso che ha gravemente pregiudicato la produzione, e non è connessa alla natura stagionale della medesima: l’affermazione della ricorrente, secondo cui l’impianto versava in una mera “inattività stagionale” fino all’emersione della crisi nella seconda metà del 2018, è in contrasto con le evidenze documentali che confermano il carattere “definitivo” e non “stagionale” e reversibile della mancata emissione di CO2 per l’intera annualità 2018;
- l’interruzione dell’attività nel 2017, comunque, avrebbe dovuto essere comunicata al Comitato ai sensi dell’art. 23 comma 4 d.lgs 30/2023, applicabile anche alle attività stagionali per le quali il decreto citato non contempla, contrariamente a quanto sostenuto da AOM, alcun regime di esenzione.
Per queste ultime è prevista unicamente una deroga al limite massimo di durata dell’interruzione (sei mesi) previsto per gli impianti fissi dal comma 1 lett. d) dell’art. 24 del decreto. Tale limite, in particolare, non si applica agli impianti di riserva o di emergenza e agli impianti stagionali, a condizione che cumulativamente ricorrano i seguenti requisiti: a) titolarità di un’autorizzazione ETS; b) possibilità tecnica di riprendere le attività senza apportare modifiche fisiche all'impianto; c) attività di manutenzione periodica sull’impianto (art. 24 comma 2).
Siffatta deroga consente di escludere che l’interruzione dell’attività stagionale per oltre sei mesi venga equiparata ex lege alla cessazione della medesima, fermo restando che anche l’interruzione dell’impianto stagionale deve essere comunicata al gestore, ai sensi dell’art. 23, comma 4, al fine di evitare che durante tale periodo (più esteso di sei mesi) intervenga indebitamente il rilascio di quote di emissioni, il quale deve essere sospeso per tutto il periodo dell’interruzione di attività. AOM non ha comunicato tale interruzione e, dunque, non può ricadere nell’ambito di applicazione dell’articolo 24, comma 2, del d.lgs. n. 30/2013;
- il Comitato ha adottato la revoca a far data dal 31.12.2017 all’esito dell’istruttoria avviata a seguito della domanda della ricorrente datata 28.12.2018 e protocollata dall’amministrazione in data 1.09.2019. Dall’istruttoria è emerso che la dichiarazione della società di cessazione a fine 2018 era incompatibile con la circostanza, parimenti dichiarata dalla società, che nell’anno 2018 non vi erano state emissioni di CO2, nemmeno per un solo giorno. Il riferimento, nella motivazione del provvedimento impugnato, della data di protocollazione della comunicazione di cessazione dell’attività, in luogo di quella dell’invio della medesima, costituisce un profilo formale privo di qualunque rilievo ai fini della legittimità (e finanche della regolarità) della delibera.
13. Le censure devono, quindi, essere respinte.
14. Quanto alla richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, in disparte la genericità della richiesta, non avendo l’appellante specificato quali sono le disposizioni della direttiva 2003/83/CE con cui gli obblighi di comunicazione contemplati dagli art. 23 e 24 d.lgs 30/2013 si porrebbero in contrasto, è dirimente osservare che gli obblighi in questione costituiscono uno strumento essenziale per la costituzione del sistema comunitario di scambio delle quote di immissioni e per il perseguimento dell’obiettivo comune di riduzione dei gas serra.
14.1 Al riguardo, la direttiva sancisce che:
I) è opportuno che gli Stati membri assicurino che i gestori esercenti determinate attività siano in possesso di un’autorizzazione a emettere gas a effetto serra e che gli stessi controllino e notifichino le proprie emissioni di gas a effetto serra specificate in relazione a tali attività (considerando n. 11);
II) gli Stati membri dovrebbero determinare le sanzioni per le violazioni della presente direttiva ed assicurarsi che dette sanzioni siano applicate. Le sanzioni devono essere efficaci, proporzionate e dissuasive (considerando n. 12);
III) la direttiva si limita a quanto è necessario per conseguire tale obiettivo, in ottemperanza al principio di proporzionalità (considerando n. 30), demandando agli Stati membri le concrete modalità operative;
IV) il gestore informa l’autorità competente in merito ad eventuali modifiche che preveda di apportare alla natura o al funzionamento dell’impianto ovvero ad eventuali ampliamenti o riduzioni sostanziali di capacità dello stesso, modifiche che possono richiedere l’aggiornamento dell’autorizzazione ad emettere gas a effetto serra (art. 7).
14.2 L’analisi della direttiva conferma, pertanto, che la previsione di obblighi comunicativi ad opera del legislatore nazionale, lungi dal porsi in contrasto con la medesima, ne costituisce, per contro, una puntuale attuazione, sia perché da essa espressamente previsti (cfr. il citato art. 7) sia perché rappresentano uno strumento essenziale per il controllo e il mantenimento della stretta correlazione tra attività inquinanti e rilascio di quote di emissione, assicurando l’equilibrio complessivo del meccanismo di cap and trade e, per il tramite di questo, l’obiettivo europeo di riduzione di gas serra.
14.3 L’esame del testo della direttiva esclude, quindi, l’obbligo di rinvio pregiudiziale per difetto del presupposto costituito dal potenziale contrasto con la disciplina comunitaria di quella nazionale che della prima rappresenta, per contro, una puntuale e chiara applicazione (cfr. Corte di Giustizia, Grande Sezione 6 ottobre 2021, in causa C‑561/19, Catania Multiservizi SpA punto 33).
14.4 A diverse conclusioni non conduce il richiamo dell’appellante all’art. 26, comma 7, d.lgs 47/2020, adottato in attuazione della direttiva (UE) 2018/410, poiché la nuova disciplina, in disparte la natura sopravvenuta della medesima, ha lasciato immutato l’obbligo di comunicazione della cessazione di attività entro il 31 dicembre dell’anno in cui la stessa si verifica (art. 26, comma 1, d.lgs. n. 47/2020) né prevede alcun diritto al rilascio (o alla ritenzione) di quote per l’anno successivo a quello di cessazione.
14.5 Nessun profilo di novità della novella ai fini che qui interessano è evincibile dalla richiamata relazione governativa, che si limita ad illustrare il contenuto della nuova disposizione, né dalla tabella di concordanza (richiamate nella memoria del 17 luglio 2024), la quale evidenzia unicamente l’introduzione di una specifica previsione, più analitica rispetto a quella precedente, delle modalità di comunicazione di cessazione di attività per gli impianti stagionali, prevedendo l’obbligo di comunicazione entro il 31 gennaio proprio al fine di evitare che tali impianti possano beneficiare indebitamente del rilascio di quote, con il rischio che le stesse risultino poi impossibili da recuperare, come osservato dal Comitato appellato.
15. In conclusione l’appello deve essere respinto.
16. Sussistono giustificati motivi, in ragione della complessità della controversia, per compensare tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 18 settembre 2024, tenuta da remoto ai sensi dell’art. 17, comma 6, del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2021, n. 113, con l'intervento dei magistrati:
Fabio Franconiero, Presidente FF
Giovanni Sabbato, Consigliere
Sergio Zeuli, Consigliere
Carmelina Addesso, Consigliere, Estensore
Giorgio Manca, Consigliere