Presidente: Lupo E. Estensore: Gentile M. Imputato: Di Gregorio e altri.
(Rigetta, App. Catania, 7 ottobre 2005)
BELLEZZE NATURALI (PROTEZIONE DELLE) - IN GENERE - Aree protette - Aree situate nella regione Sicilia - Operatività del divieto di caccia - Perimetrazione - Necessità - Esclusione.
La mancanza dell'apposita tabellazione indicante il divieto di caccia nelle aree protette della Regione Sicilia, non esclude la sussistenza del reato di cui agli artt. 21 lett. c) e 30 lett. d) L. 11 febbraio 1992 n. 157 in quanto l'art. 45, commi terzo e quarto, legge Regione Sicilia 1 settembre 1997 n. 33, nell'escludere l'applicabilità di sanzioni, fa riferimento esclusivo a quelle amministrative.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. LUPO Ernesto - Presidente - del 04/07/2006
Dott. ONORATO Pierluigi - Consigliere - SENTENZA
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere - N. 1280
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - N. 78/2006
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Di Gregorio Stefano, nato l'11/09/1947;
Scialpi Giovanni, nato il 28/10/1948;
Scialpi Cosimo, nato il 18/03/1959;
Avverso la Sentenza Corte di Appello di Catania, emessa il 07/10/05;
Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. Mario Gentile;
Udito il Pubblico Ministero in persona del Dott. IZZO Gioacchino, che ha concluso per inammissibilità del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Catania, con sentenza emessa il 07/10/05, confermava la sentenza del Tribunale di Caltagirone, in data 17/03/05, appellata da Di Gregorio Stefano, Scialpi Giovanni e Scialpi Cosimo, imputati del reato di cui alla L. n. 157 del 1992, art. 21, lett. c) e art. 30, lett. d) e condannati, rispettivamente, Scialpi Cosimo alla pena di gg 20 di arresto ed Euro 500,00 di ammenda; Scialpi Giovanni e Di Gregorio Stefano alla pena di mesi uno di arresto ed Euro 650,00 di ammenda, ciascuno; pena sospesa per tutti.
Gli interessati proponevano ricorso per Cassazione, deducendo violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e).
In particolare i ricorrenti esponevano:
1. che nella fattispecie non ricorrevano gli elementi costitutivi della contravvenzione de qua, poiché la zona in esame era sprovvista della tabellazione indicante il divieto di caccia, il tutto in violazione di quanto disposto dalla L.R. Sicilia n. 33 del 1997, art. 45, commi 3 e 4;
2. che, comunque la decisione impugnata non era congruamente motivata, in ordine alla consapevolezza da parte degli imputati, di essere sconfinati nella zona sottoposta al divieto di caccia. Tanto dedotto, i ricorrenti chiedevano l'annullamento della sentenza impugnata.
Il P.G. della Cassazione, nella pubblica udienza del 04/07/06, ha chiesto l'inammissibilità del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è infondato.
La sentenza della Corte Territoriale, unitamente alla decisione di 1 grado - i due provvedimenti si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile - ha congruamente motivato sui punti determinanti della decisione.
Per contro le censure dedotte nel ricorso sono infondate. Di Gregorio Stefano, Scialpi Giovanni e Scialpi Cosimo - nelle condizioni di tempo e di luogo, come contestate in atti - sono stati sorpresi nella contrada Zotti, nel mentre esercitavano attività di caccia. Detta contrada Zotti era sita nella zona B della riserva naturale del Bosco di Santo Pietro - istituito con Decreto Regionale, Assessorato Territorio ed Ambiente, del 23/03/1999, pubblicato nella G.U.R.S. - zona in cui vigeva il divieto di caccia.
Tanto premesso in fatto, va affermato in diritto, come già motivato dai giudici di merito, che la mancanza nella zona de qua di apposita tabellazione indicante il divieto di caccia non esclude l'elemento soggettivo del reato de quo a titolo di colpa.
Invero la planimetria del Parco contenente l'esatta delimitazione della zona interclusa alla caccia, era allegato al Decreto Istitutivo della Riserva naturale del Bosco di Santo Pietro, il tutto pubblicato nella G.U.R.S.. Detta planimetria, peraltro, era reperibile anche presso le associazioni di categoria.
Gli imputati - cui incombeva l'onere di informarsi adeguatamente sulla possibilità di praticare attività venatoria all'interno di una riserva naturale - ben potevano conoscere, tramite la lettura della planimetria del parco, la zona in cui sussisteva il divieto di caccia.
Per quanto attiene, poi, all'assunto difensivo principale secondo cui, ai sensi della L.R. Sicilia n. 33 del 1997, art. 45, commi 3 e 4, la mancanza della apposita tabellazione indicante il divieto di caccia rendeva inapplicabile la sanzione penale, si rileva che lo stesso è errato in diritto.
Invero la citata norma della L.R. Sicilia n. 33 del 1997 - che prevede esplicitamente che la mancata o irregolare tabellazione indicante il divieto di caccia, esclude l'applicazione di sanzioni - si riferisce alle sole sanzioni amministrative.
Al riguardo va ribadito ed affermato che la potestà legislativa esclusiva riconosciuta alla Regione Sicilia in materia di caccia non implica che per tale ragione non si applica la normativa penale, fissata dalla legislazione nazionale e valevole in tutto il territorio nazionale.
La Carta Costituzionale, anche dopo la modifica dell'art. 117, come sostituito dalla L. Costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, art. 3, riconosce allo Stato la potestà legislativa esclusiva in materia penale. Consegue, pertanto, che il precetto penale di cui alla L. n. 157 del 1992, art. 30, lett. d), attinente alla violazione del divieto di caccia nelle zone costituenti riserve naturali, si applica in tutto il territorio nazionale, anche laddove detto divieto non è indicato nella zona interessata da apposita tabellazione, come nella fattispecie in esame.
Ancora, il reato contestato ai ricorrenti non è prescritto, poiché il relativo termine (anni quattro e mesi sei, in riferimento a fatti commessi il 02/09/01) - tenuto conto del periodo di sospensione del decorso della prescrizione della durata di mesi sei e gg. venti;
sospensione dovuta al rinvio del processo (dal 30/03/04 al 21/10/04) su richiesta della difesa degli imputati - non è tuttora maturato. Va respinto, pertanto, il ricorso proposto da Di Gregorio Stefano, Scialpi Giovanni e Scialpi Cosimo, con condanna degli stessi, in solido, al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
LA CORTE
Rigetta il ricorso e condanna processuali.
Così deciso in Roma, il 4 luglio 2006.
Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2006
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. LUPO Ernesto - Presidente - del 04/07/2006
Dott. ONORATO Pierluigi - Consigliere - SENTENZA
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere - N. 1280
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - N. 78/2006
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Di Gregorio Stefano, nato l'11/09/1947;
Scialpi Giovanni, nato il 28/10/1948;
Scialpi Cosimo, nato il 18/03/1959;
Avverso la Sentenza Corte di Appello di Catania, emessa il 07/10/05;
Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. Mario Gentile;
Udito il Pubblico Ministero in persona del Dott. IZZO Gioacchino, che ha concluso per inammissibilità del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Catania, con sentenza emessa il 07/10/05, confermava la sentenza del Tribunale di Caltagirone, in data 17/03/05, appellata da Di Gregorio Stefano, Scialpi Giovanni e Scialpi Cosimo, imputati del reato di cui alla L. n. 157 del 1992, art. 21, lett. c) e art. 30, lett. d) e condannati, rispettivamente, Scialpi Cosimo alla pena di gg 20 di arresto ed Euro 500,00 di ammenda; Scialpi Giovanni e Di Gregorio Stefano alla pena di mesi uno di arresto ed Euro 650,00 di ammenda, ciascuno; pena sospesa per tutti.
Gli interessati proponevano ricorso per Cassazione, deducendo violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e).
In particolare i ricorrenti esponevano:
1. che nella fattispecie non ricorrevano gli elementi costitutivi della contravvenzione de qua, poiché la zona in esame era sprovvista della tabellazione indicante il divieto di caccia, il tutto in violazione di quanto disposto dalla L.R. Sicilia n. 33 del 1997, art. 45, commi 3 e 4;
2. che, comunque la decisione impugnata non era congruamente motivata, in ordine alla consapevolezza da parte degli imputati, di essere sconfinati nella zona sottoposta al divieto di caccia. Tanto dedotto, i ricorrenti chiedevano l'annullamento della sentenza impugnata.
Il P.G. della Cassazione, nella pubblica udienza del 04/07/06, ha chiesto l'inammissibilità del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è infondato.
La sentenza della Corte Territoriale, unitamente alla decisione di 1 grado - i due provvedimenti si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile - ha congruamente motivato sui punti determinanti della decisione.
Per contro le censure dedotte nel ricorso sono infondate. Di Gregorio Stefano, Scialpi Giovanni e Scialpi Cosimo - nelle condizioni di tempo e di luogo, come contestate in atti - sono stati sorpresi nella contrada Zotti, nel mentre esercitavano attività di caccia. Detta contrada Zotti era sita nella zona B della riserva naturale del Bosco di Santo Pietro - istituito con Decreto Regionale, Assessorato Territorio ed Ambiente, del 23/03/1999, pubblicato nella G.U.R.S. - zona in cui vigeva il divieto di caccia.
Tanto premesso in fatto, va affermato in diritto, come già motivato dai giudici di merito, che la mancanza nella zona de qua di apposita tabellazione indicante il divieto di caccia non esclude l'elemento soggettivo del reato de quo a titolo di colpa.
Invero la planimetria del Parco contenente l'esatta delimitazione della zona interclusa alla caccia, era allegato al Decreto Istitutivo della Riserva naturale del Bosco di Santo Pietro, il tutto pubblicato nella G.U.R.S.. Detta planimetria, peraltro, era reperibile anche presso le associazioni di categoria.
Gli imputati - cui incombeva l'onere di informarsi adeguatamente sulla possibilità di praticare attività venatoria all'interno di una riserva naturale - ben potevano conoscere, tramite la lettura della planimetria del parco, la zona in cui sussisteva il divieto di caccia.
Per quanto attiene, poi, all'assunto difensivo principale secondo cui, ai sensi della L.R. Sicilia n. 33 del 1997, art. 45, commi 3 e 4, la mancanza della apposita tabellazione indicante il divieto di caccia rendeva inapplicabile la sanzione penale, si rileva che lo stesso è errato in diritto.
Invero la citata norma della L.R. Sicilia n. 33 del 1997 - che prevede esplicitamente che la mancata o irregolare tabellazione indicante il divieto di caccia, esclude l'applicazione di sanzioni - si riferisce alle sole sanzioni amministrative.
Al riguardo va ribadito ed affermato che la potestà legislativa esclusiva riconosciuta alla Regione Sicilia in materia di caccia non implica che per tale ragione non si applica la normativa penale, fissata dalla legislazione nazionale e valevole in tutto il territorio nazionale.
La Carta Costituzionale, anche dopo la modifica dell'art. 117, come sostituito dalla L. Costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, art. 3, riconosce allo Stato la potestà legislativa esclusiva in materia penale. Consegue, pertanto, che il precetto penale di cui alla L. n. 157 del 1992, art. 30, lett. d), attinente alla violazione del divieto di caccia nelle zone costituenti riserve naturali, si applica in tutto il territorio nazionale, anche laddove detto divieto non è indicato nella zona interessata da apposita tabellazione, come nella fattispecie in esame.
Ancora, il reato contestato ai ricorrenti non è prescritto, poiché il relativo termine (anni quattro e mesi sei, in riferimento a fatti commessi il 02/09/01) - tenuto conto del periodo di sospensione del decorso della prescrizione della durata di mesi sei e gg. venti;
sospensione dovuta al rinvio del processo (dal 30/03/04 al 21/10/04) su richiesta della difesa degli imputati - non è tuttora maturato. Va respinto, pertanto, il ricorso proposto da Di Gregorio Stefano, Scialpi Giovanni e Scialpi Cosimo, con condanna degli stessi, in solido, al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
LA CORTE
Rigetta il ricorso e condanna processuali.
Così deciso in Roma, il 4 luglio 2006.
Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2006