 Cass. Sez. III n. 24241 del 24 giugno 2010 (Ud.  24 mar. 2010)
Cass. Sez. III n. 24241 del 24 giugno 2010 (Ud.  24 mar. 2010)
Pres. De Maio Est. Fiale Ric. Mieli ed altro
Beni Ambientali. Delitto paesaggistico ed elemento soggettivo
La fattispecie di cui all’art 181 comma 1bis, D.Lgs. n. 42/2004 è punita a titolo di dolo generico. Quanto alla coscienza dell’antigiuridicità dell’azione, va rilevato che presupposto della responsabilità penale è la conoscibilità, da parte del soggetto agente, dell’effettivo contenuto precettivo dalla norma
 UDIENZA del 24.03.2010
SENTENZA N. 625
REG. GENERALE N. 40860/2009
 REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 Sez. III Penale
Composta dagli ill.mi  Sigg.ri  Magistrati:
 Dott. GUIDO DE MAIO                                             - Presidente 
 Dott. ALFREDO MARIA LOMBARDI                          - Consigliere
Dott. MARIO  GENTILE                                             - Consigliere
 Dott. ALDO FIALE                                                    - Rel. Consigliere 
 Dott. GUICLA IMMACOLATA MULLIRI                       - Consigliere
 ha pronunciato la seguente
 SENTENZA
 sul ricorso proposto da:
 1) MIELI GIUDITTA N. IL 00/00/0000
 2) PENNACCHIETTI FABRIZIO N. IL 00/00/0000
 - avverso la sentenza n. 3863/2008 CORTE APPELLO di FIRENZE, del  16/04/2009
 - visti gli atti, la sentenza e il ricorso
 - udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/03/2010 la relazione fatta dal  Consigliere  Dott. ALDO FIALE
 - Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Guglielmo  Passacantando che  ha concluso per il rigetto dei ricorsi
 - Uditi i difensori Avv.ti Stefano Maccioni e Alfredo Seganti, quale  sostituto  processuale dell'avv. Massimo Bevere, i quali hanno concluso chiedendo  l'accoglimento dei ricorsi
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
 La Corte di Appello di Firenze, con sentenza del 16.4.2009, confermava  la  sentenza 18.6.2008 del Tribunale di Grosseto - Sezione distaccata di  Orbetello,  che aveva affermato la responsabilità penale di Mieli Giuditta e  Pennacchietti  Fabrizio in ordine ai reati di cui:
 - all'art. 44, lett. e), D.P.R. n. 380/2001 (per avere realizzato - la  prima  quale committente ed il secondo in qualità di esecutore dei lavori -  senza il  necessario permesso di costruire, in zona assoggettata a vincolo  paesaggistico,  una tettoia- veranda in legno, avente dimensioni di circa mt. 7,40 x  2,40
- acc. in Orbetello, il  5.7.2005,  con lavori in corso al momento dell'accertamento);
 - all'art. 181, comma 1 bis, D.Lgs. n. 42/2004 (per avere realizzato il  manufatto anzidetto, in zona dichiarata di notevole interesse pubblico  con D.M.  4.12.1964, senza l'autorizzazione dell'autorità preposta alla tutela del   vincolo)
 e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, ritenuta la  continuazione  della contravvenzione edilizia con il più grave delitto ambientale,  aveva  condannato ciascuno alla pena di mesi nove di reclusione (interamente  condonata), ordinando la rimessione in pristino dello stato dei luoghi e   concedendo ad entrambi il beneficio della sospensione condizionale  subordinata  all'effettivo ripristino entro tre mesi dalla formazione del giudicato.
 Avverso tale sentenza hanno proposto separati ricorsi gli imputati.
 La Mieli - sotto i profili della violazione di legge e del vizio di  motivazione  - ha eccepito:
 - la insussistenza dell'elemento psicologico del delitto, tenuto conto  che ella  non aveva avuto consapevolezza dell'esistenza del vincolo paesaggistico  imposto  con decreto ministeriale e difficilmente avrebbe potuto averne  conoscenza.
 Il Pennacchietti, a sua volta, ha lamentato:
 - la insussistenza della contravvenzione edilizia, a cagione della  precarietà e  del carattere pertinenziale del manufatto: caratteristiche entrambe che  lo  sottrarrebbero al regime del permesso di costruire;
 - la nullità della sentenza per violazione dell'art. 552, 2° comma,  c.p.p.,  avendo il P.M. integrato al dibattimento l'imputazione, contestando il  delitto  di cui all'art. 181, comma 1 bis, del D.Lgs. n. 42/2004, senza  specificare gli  estremi identificativi del decreto ministeriale che costituiva la fonte  di tale  contestazione;
 - la insussistenza dell'elemento psicologico del delitto.
 MOTIVI DELLA DECISIONE
 I ricorsi devono essere rigettati, perché infondati.
 1. Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte Suprema, la  nozione di  "pertinenza urbanistica" ha peculiarità sue proprie, che la distinguono  da  quella civilistica: deve trattarsi, invero, di un'opera - che abbia  comunque una  propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale e  non sia  parte integrante o costitutiva di altro fabbricato - preordinata ad  un'oggettiva  esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente  inserita al  servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non  valutabile  in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non   consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio  principale,  una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio  dell'immobile cui  accede.
 La relazione con la costruzione preesistente deve essere, in ogni caso,  non di  integrazione ma "di servizio", allo scopo di renderne più agevole e  funzionale  l'uso (carattere di strumentalità funzionale), sicché non può ricondursi  alla  nozione in esame l'ampliamento di un edificio mediante la edificazione  di una  tettoia-portico, che, per la relazione di connessione fisica,  costituisce parte  di esso quale elemento che attiene all'essenza dell'immobile e lo  completa  affinché soddisfi ai bisogni cui è destinato [Vedi, tra le decisioni  recenti,  Cass., Sez. III: 29.5.2007, Rossi; 11.5,2005, Cincia; 17.1.2003,  Chiappalone.  Nello stesso senso vedi pure C. Stato, Sez. V, 22.10.2007, n. 5515].
 2. Dottrina e giurisprudenza sono altresì costanti nell'affermare che  una  trasformazione urbanistica e/o edilizia - per essere assoggettata  all'intervento  autorizzatorio in senso ampio dell'autorità amministrativa non deve  essere  "precaria": un'opera oggettivamente finalizzata a soddisfare esigenze  improvvise  o transeunti non è destinata a produrre, infatti, quegli effetti sul  territorio  che la normativa urbanistica è rivolta a regolare. Restano esclusi,  pertanto,  dal regime del permesso di costruire i manufatti di assoluta ed evidente   precarietà, destinati cioè a soddisfare esigenze di carattere  contingente e ad  essere presto eliminati.
 Questa Corte Suprema ha affermato e ribadito, in proposito, che:
 - al fine di ritenere sottratta al preventivo rilascio del permesso di  costruire  la realizzazione di un manufatto per la sua asserita natura precaria, la  stessa  non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione  soggettivamente  data all'opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi alla intrinseca  destinazione materiale dell'opera ad un uso realmente precario e  temporaneo per  fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente  possibilità di  successiva e sollecita eliminazione (vedi, tra le decisioni più recenti,  Cass.,  sez. III; 26.6.2009, n. 26573, Morandin; 22.6.2009, n. 25965, Bisulca ed  altro;  25.2.2009, n. 22054, Frank; 9.5.2007, Quintiero; 12.1.2007, Compagnucci;   28.9.2006, Grifoni; 21.3.2006, Cavallini);
 - ai fini del riscontro del connotato della precarietà dell'opera e  della  relativa esclusione della modifica dell'assetto del territorio, non sono   rilevanti le caratteristiche costruttive, i materiali impiegati e  l'agevole  rimovibilità, ma le esigenze temporanee alle quali l'opera eventualmente   assolva. La natura precaria di una costruzione non dipende dalla natura  dei  materiali adottati e quindi dalla facilità della rimozione, ma dalle  esigenze  che il manufatto è destinato a soddisfare e cioè dalla stabilità  dell'insediamento indicativa dell'impegno effettivo e durevole del  territorio; a  tale fine, inoltre, l'opera deve essere considerata unitariamente e non  nelle  sue singole componenti (Cass., sez. III: 27.5.2004, Polito; 13.11.2002,  Soc.  Onmitel Pronto Italia; 12.7.1999, Piparo);
 - la stabilità non va confusa con l'irremovibilità della struttura o con  la  perpetuità della funzione ad essa assegnata, ma si estrinseca  nell'oggettiva  destinazione dell'opera a soddisfare bisogni non provvisori, ossia  nell'attitudine ad una utilizzazione che non sia temporanea e  contingente  (Cass., sez. III, 7.6.2006, Giardina);
 - la precarietà non va confusa con la stagionalità, vale a dire con  l'utilizzo  annualmente ricorrente della struttura, poiché un utilizzo siffatto non  esclude  la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze non  eccezionali e  contingenti, ma permanenti nel tempo (Cass., sez. III: 21.2.2006, Mulas;   19.2.2004, Pieri; 21.10.1998, Colao).
 In senso assolutamente conforme, secondo la giurisprudenza del Consiglio  di  Stato, la precarietà di un manufatto non dipende dai materiali  utilizzati o dal  suo sistema di ancoraggio al suolo, bensì dall'uso al quale il manufatto  stesso  è destinato; pertanto, essa va esclusa quando trattasi di struttura  destinata a  dare un'utilità prolungata nel tempo, indipendentemente dalla facilità  della sua  rimozione, a nulla rilevando la temporaneità della destinazione data  all'opera  dei proprietario, in quanto occorre valutare la stessa alla luce della  sua  obiettiva e intrinseca destinazione naturale (vedi C. Stato, sez. V:  15.6.2000,  n, 3321; 23.1.1995, n. 97).
 
 Nella fattispecie in esame non sono rilevanti, dunque, le  caratteristiche  costruttive ed i materiali impiegati, ma le esigenze alle quali l'opera  realizzata assolve e tali esigenze risultano palesemente non temporanee,   emergendo ad evidenza - ed essendo stata illustrata con motivazione  adeguata,  coerente ed immune da vizi logico-giuridici - l'attitudine del manufatto  ad una  utilizzazione non contingente né limitata nel tempo, indicativa  dell'impegno  effettivo e durevole del territorio.
 3. La fattispecie di cui all'art. 181, comma 1 bis, D.Lgs. a 42/2004 è  punita a  titolo di dolo generico.
 Quanto alla coscienza dell'antigiuridicità dell'azione, va rilevato che  presupposto della responsabilità penale è la conoscibilità, da parte del   soggetto agente, dell'effettivo contenuto precettivo della norma e,  secondo la  sentenza n. 364/1988 della Corte Costituzionale (in relazione alla  previsione  dell'art. 5 cod. pen.), va considerata quale limite alla responsabilità  personale soltanto l'oggettiva impossibilità di conoscenza del precetto  (c.d.  ignoranza inevitabile, e quindi scusabile, della legge penale).
 Nella fattispecie in esame gli imputati avevano il dovere di informarsi  preventivamente circa l'eventuale assoggettamento a vincoli dell'area  sulla  quale andavano a costruire e non hanno dimostrato, invece, di avere  assunto  alcuna informazione al riguardo presso gli organi competenti.
 Ne si configura un errore su norma extrapenale, che abbia cagionato un  errore  sul fatto costituente il reato (ex art. 47, comma 3, cod. pen.), poiché  gli  imputati - i quali ben potevano avere una esatta conoscenza del D.Lgs.  n.  42/2004 e che tale corretta conoscenza erano obbligati ad acquisire -  non hanno  prospettato di avere commesso alcun errore sull'interpretazione delle  disposizioni di detto testo normativo, né hanno addotto di avere  erroneamente  creduto di realizzare un fatto diverso da quello vietato.
 Essi semplicemente hanno posto in essere un'attività edilizia senza  richiedere  l'autorizzazione all'autorità amministrativa preposta alla tutela del  vincolo  (autorizzazione che avrebbero dovuto richiedere anche qualora detta  attività  edificatoria avesse riguardato un bene sottoposto a tutela paesaggistica  ex  lege e non con provvedimento puntuale dell' amministrazione).
 Deve concludersi, pertanto, che non vi sono dubbi circa la diretta  volizione del  comportamento illecito e non si rinvengono elementi idonei a configurare   l'errore sul precetto di cui all'art. 5 cod. pen. ovvero l'errore su  norma  extrapenale ex art. 47, comma 3, dello stesso codice.
 Con specifico riferimento, poi, alla prospettazione della Mieli -  secondo la  quale ella, "ben sapendo di non avere le competenze e le capacità per  effettuare  l'opera da sola", aveva "commissionato la costruzione della tettoia non  già ad  una persona qualsiasi, bensì alla ditta specializzata del Pennacchietti,   affidandosi al medesimo per tutte le eventuali questioni burocratiche ed  i  controlli necessari" - può osservarsi che il committente di opere  edilizie ha  l'obbligo personale di munirsi dei necessari titoli abilitativi e delle  connesse  autorizzazioni, sicché l'averne affidato l'esecuzione ad un imprenditore  o ad un  artigiano non esclude la responsabilità autonoma del committente.
 4. Quanto, infine, alla denunziata violazione dell'art. 522 c.p.p., va  rilevato  che la giurisprudenza di questa Corte è orientata nel senso che non si  ha  insufficiente indicazione dell'enunciazione del fatto, ex art. 552, 10  comma -  lett. c), e 2° comma c.p.p., qualora si abbia l'individuazione dei  tratti  essenziali del fatto di reato attribuito, dotati della specificità  necessaria  affinché I'imputato possa apprestare la sua difesa.
 Nella specie, la fattispecie delittuosa di cui al comma 1 bis, lett. a),  del  D.Lgs. n. 42/2004 non era stata contesta nella formulazione  dell'imputazione  originaria (riferita all'ipotesi contravvenzionale di cui al comma 1),  ma la  modifica di tale imputazione venne ritualmente formulata dal P.M.  all'udienza  dell' 11 luglio 2007 e la mancata indicazione espressa del provvedimento   puntuale di imposizione del vincolo (il D.M. 4.12.1964, pubblicato sulla   Gazzetta Ufficiale n. 180 del 20.7.1965, riguardante l'area del Tombolo  della  Giannella, ove é stato edificato il manufatto abusivo) non impediva  all'imputato  di conoscere i tratti essenziali della fattispecie delittuosa  attribuitagli  dall'accusa, stante anche la possibilità di facile individuazione  dell'elemento  non indicato.
 5. Al rigetto dei ricorsi segue, a norma dell'art. 616 c.p,p., l'onere  delle  spese del procedimento.
 P.Q.M.
 la Corte Suprema di Cassazione,
 visti gli aru. 607, 615 e 616 c.p.p.,
 rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese  processuali.
ROMA, 24.3.2010
 
 
 DEPOSITATA IN CANCELLERIA il  24 Giu. 2010
 
                    




