Consiglio di Stato Sez. IV n. 7876 del 8 ottobre 2025
Beni ambientali.Limiti all'accertamento postumo di compatibilità paesaggistica
Ai sensi del disposto dell’art. 167, comma 4, lett. a) del D. Lgs. n. 42/2004, l’autorità amministrativa può accertare la compatibilità paesaggistica “per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”. Ai sensi di tale disposizione gli interventi che non determinano creazione di superfici utili o di volumi sono gli unici per i quali è possibile l’accertamento postumo di conformità paesaggistica, a sua volta presupposto del rilascio della sanatoria edilizia. L’accertamento postumo della compatibilità paesaggistica ex artt. 146, comma 3, e 167, comma 4, lett. a), del D. Lgs. n. 42/2004, è consentito esclusivamente in relazione a quei lavori che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati. In presenza di incrementi di superficie o di cubatura, anche di modesta entità o di natura accessoria, la norma impedisce tassativamente il rilascio della sanatoria paesaggistica, per cui la reiezione della relativa istanza assume carattere vincolato, indipendentemente da qualunque ulteriore valutazione del comune, anche di tipo urbanistico-edilizio, che, laddove pure compiuta, risulterebbe ininfluente. Tutti gli interventi, eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire, o con variazioni essenziali - che comportano aumenti di cubatura in area vincolata - sono, infatti, inderogabilmente soggetti a demolizione, ex art. 31, comma 2, del citato D.P.R. n. 380/2001, il che priva di rilevanza ogni valutazione relativa alla consistenza dell'incremento volumetrico realizzato.
Pubblicato il 08/10/2025
N. 07876/2025REG.PROV.COLL.
N. 08322/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8322 del 2022, proposto da
Condominio Residenza Besana Brianza, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Francesco De Marini e Barbara Savorelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Besana in Brianza, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Paolo Bertacco e Andrea Manzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Provincia di Monza e della Brianza, non costituita in giudizio;
Ministero della Cultura, Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio Province di Como, Lecco, Monza Brianza, Pavia, Sondrio, Varese, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
nei confronti
Immobiliare Milano S.r.l. in Liquidazione e Fallimento Immobiliare Milano S.r.l., non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda) n. 1565/2022.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 1 ottobre 2025 il Cons. Giordano Lamberti;
Viste le conclusioni delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1 - Nel 2011 il Comune appellato avviava un procedimento sanzionatorio per presunti abusi edilizi compiuti dalla Immobiliare Milano S.r.l. nella realizzazione del sottotetto relativo al condominio appellante.
2 - Per sanare la situazione, nel 2012, gli acquirenti delle unità abitative e la società costruttrice presentavano domanda di conformità edilizia (art. 36 DPR 380/2001) e domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica (art. 167 D. Lgs. 42/2004) poiché l’area è vincolata.
2.1 - Il comune respingeva con unico provvedimento le istanze, in considerazione dell’aumento volumetrico realizzato, non consentito dalle norme attuative del piano urbanistico (NTA) e ostativo ex art. 167, co. 4, lett. a) al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica.
3 - Contro tale provvedimento veniva proposto ricorso al TAR per la Lombardia dai proprietari Meroni, Marino e dal Condominio, che contestavano: 1. l’illegittimità dell’unico provvedimento adottato; 2. la mancata considerazione della normativa regionale sui sottotetti ai fini della valutazione dell’incremento volumetrico; 3. l’omessa considerazione della minima entità dell’aumento volumetrico ai fini del rilascio del provvedimento di assenso circa la compatibilità paesaggistica.
4 - Nelle more del giudizio, i ricorrenti presentavano al Comune un’istanza di revisione del diniego, la quale veniva respinta, confermando il rifiuto originario.
4.1 - Contro quest’ultimo atto veniva proposto ricorso per motivi aggiunti, contestandone l’illegittimità derivata, la violazione dell’art. 10-bis L. 241/1990 (mancato preavviso di rigetto), la carenza di motivazione, l’insussistenza del vincolo paesaggistico e l’applicabilità della tolleranza edilizia del 2% (art. 34-bis DPR 380/2001).
5 – Il Tar adito, con la sentenza indicata in epigrafe, ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti, rilevando che:
- il provvedimento unico è legittimo considerata la connessione tra le domande (il rilascio dell’accertamento di conformità è subordinato alla compatibilità paesaggistica);
- non è possibile rilasciare il permesso in sanatoria ex art. 36 DPR 380/2002, in quanto l’intervento non risultava conforme alla disciplina urbanistica vigente, in particolare alle NTA del PRG comunale;
- stante tale non conformità, non risulta applicabile la legge regionale lombarda che presuppone l’assenza di abusi edilizi;
- risulta irrilevante l’entità dell’incremento di volume, in quanto ogni incremento esclude la sanatoria, indipendentemente dalla sua entità;
- l’omesso preavviso di rigetto non consente di annullare il provvedimento;
- la motivazione può ritenersi sufficiente perché il Comune ha richiamato il parere negativo della Soprintendenza e l’incremento volumetrico è argomento sufficiente;
- nonostante lo stato dei luoghi risulta senza dubbio mutato, è pacifico che il vincolo sia ancora vigente e che il comune non può disapplicarlo in mancanza di diversa determinazione dello Stato;
- i ricorrenti non hanno fornito la prova del rispetto della soglia di tolleranza del 2%.
6 – Il condominio ha proposto appello avverso tale pronuncia per i motivi di seguito esaminati.
6.1 – Con il primo motivo, parte appellante sostiene che il TAR abbia concluso per la violazione delle prescrizioni del PRG in materia di aumento di altezza sulla base di un acritico recepimento della tesi del Comune. Il TAR avrebbe invece dovuto applicare la legge regionale più favorevole, la quale ritiene non computabile come volume edilizio il sottotetto qualora rispetti certi limiti. Applicando tale legge non sussisterebbe l’incremento volumetrico che viene contestato per negare il permesso in sanatoria.
Secondo l’appellante, il Tar avrebbe poi omesso di pronunciarsi sul difetto di istruttoria lamentato in primo grado (secondo l’appellante l’ufficio avrebbe disposto il diniego sulla base della documentazione afferente altro condominio).
6.2 – Con il secondo motivo, parte appellante contesta al TAR di aver applicato in modo rigido l’art. 167, co. 4, lett. a) del Codice dei beni culturali, ritenendo rilevante ogni aumento volumetrico a prescindere dall’entità.
Sotto questo profilo, inoltre, il provvedimento sarebbe illegittimo per carenza di motivazione e istruttoria: si limita a un generico richiamo a un incremento volumetrico, senza spiegare concretamente l’impatto sul paesaggio.
L’appellante deduce che l’Amministrazione non ha dimostrato alcun danno ambientale, né verificato la reale incidenza delle opere. L’assenza del danno comporta che non fosse necessaria alcuna autorizzazione paesaggistica con conseguente illegittimità del diniego.
L’appellante per tali ragioni chiede disporsi una verificazione per l’esistenza di un danno ambientale.
Infine, si rileva come non risulta assunto il parere obbligatorio della Soprintendenza previsto dall’art. 167, co. 5.
6.3 – Con il terzo motivo, l’appellante contesta che il Tar avrebbe dovuto rilevare l’illegittimità derivata del successivo diniego comunale di revisione a fronte dell’illegittimità del primo provvedimento alla luce dei motivi che precedono.
6.4 – Con il quarto motivo, l’appellante sostiene che il TAR avrebbe dovuto annullare il secondo provvedimento per violazione dell’art. 10 bis l. 241/90, evidenziando che la comunicazione di preavviso di rigetto avrebbe consentito di colmare lacune istruttorie che hanno caratterizzato il procedimento, conducendo a una decisione finale diversa. In particolare, si sarebbe potuto dar prova dell’assenza del vincolo paesaggistico sull’immobile.
6.5 – Con il quinto motivo, l’appellante sostiene che la decisione del TAR - secondo cui il comune non poteva disapplicare il vincolo paesaggistico pacificamente esistente - si basa su un presupposto errato. Infatti, il Comune si sarebbe limitato a richiamare il decreto di vincolo del 1956, senza però accertare le attuali ragioni di tutela che giustificherebbero il vincolo.
Parte appellante insiste nel prospettare che l’edificio condominiale non rientra più nel cono visivo tutelato dal vincolo a causa dello sviluppo urbanistico che ha modificato il paesaggio originario. L’amministrazione non ha mai compiuto tali accertamenti. Ne consegue che il provvedimento impugnato è viziato da difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, assenza di motivazione e violazione del principio di proporzionalità.
6.6 – Con il sesto motivo, parte appellante contesta che il TAR ha omesso di considerare l’illegittimità del provvedimento per omessa motivazione circa il rispetto della soglia di tolleranza del 2% prevista dalla legge. Per l’appellante, la soglia risulta pacificamente rispettate e, pertanto, risulta violato l’art. 34-bis DPR 380/2001.
7 – Le censure, che possono essere esaminate congiuntamente, sono infondate.
In via preliminare va precisato che:
- il comune ben poteva pronunciarsi con un unico provvedimento, tenuto conto che, in base alla giurisprudenza, l’art. 146, comma 4, l’art. 159, comma 5, e l’art. 167, comma 4 e 5, del citato d.lgs. n. 42/2004 (Codice dei beni culturali) non consentono la sanatoria edilizia di interventi realizzati in assenza o in difformità dall’autorizzazione paesaggistica, ammettendo il rilascio di un provvedimento di compatibilità soltanto nel caso di abusi minori (cfr. Cons. St., Sez. VI, 26 marzo 2014, n. 1472; Cons. St., Sez. VI, 30 maggio 2014, n. 2806);
- la valutazione sottesa ai provvedimenti di diniego si basa sugli atti e la documentazione relativa all’“Edificio B” e alla proprietà dei sig.ri Marino e Meroni e non ad altra palazzina del medesimo complesso;
- non può essere imputato all’amministrazione alcun difetto istruttorio, né appare possibile alcun approfondimento in sede processuale, dal momento che con la comunicazione dei motivi ostativi, l’Amministrazione aveva chiesto agli istanti di presentare osservazioni e documentazione integrativa in relazione alle carenze rilevate; tuttavia, tale documentazione non è mai stata presentata;
- l’area in questione è pacificamente sottoposta a vincolo, come ammesso dagli appellanti nella stessa domanda di sanatoria. Sotto il profilo giuridico, non rileva che lo stato dei luoghi sia in ipotesi mutato rispetto a quello che si presentava nel 1956 quando è stato apposto il vincolo.
7.1 – Così chiariti gli aspetti che precedono, nel merito, si osserva che durante il sopralluogo eseguito presso l’unità degli appellanti il 28.7.2011 i tecnici comunali hanno rilevavano l’aumento delle altezze di colmo e di imposta, con conseguente innalzamento della struttura del tetto, la modifica e l’innalzamento dei corpi scala, la mancata realizzazione dei tamponamenti di chiusura, la formazione di nuovi divisori interni e l’utilizzo, quale “camera e bagno”, del “sottotetto non abitabile/ripostiglio” (cfr. verbale di ispezione del 28.7.2011).
Al riguardo, è utile ricordare che i rilievi svolti dagli agenti assumo una significativa valenza istruttoria, in quanto il relativo verbale di accertamento redatto in esito a sopralluoghi o ispezioni ha efficacia probatoria qualificata, cioè sino a querela di falso ex art. 2700 c.c., delle attività ivi riportate (ex multis Cons. St., sez VI, 11 dicembre 2013, n. 5943), da cui l’impraticabilità, anche per tale ragione, di un eventuale approfondimento istruttorio nel presente giudizio.
Avuto riguardo alla situazione di fatto così come accertata nel predetto sopraluogo, il provvedimento impugnato ha coerente rilevato che per effetto dell’abuso edilizio posto in essere è stato realizzato un aumento di volume, il che osta all’ottenimento della compatibilità paesaggistica secondo il già menzionato comma 4 lettera a) dell’art. 167.
Contrariamente agli assunti di parte appellante nel diniego impugnato si afferma testualmente che “le opere di cui all’istanza in oggetto costituiscono incremento volumetrico e pertanto non è possibile attestarne la compatibilità paesaggistica”.
Da tale rilievo deriva altresì che l’amministrazione non era tenuta a verificare in concreto se le difformità contestate nel caso in esame potessero risultare conformi con i valori paesaggistici tutelati dal vincolo, dato che il semplice rilievo dell’aumento volumetrico impediva l’accertamento della compatibilità paesaggistica.
Invero, ai sensi del disposto dell’art. 167, comma 4, lett. a) del D. Lgs. n. 42/2004, l’autorità amministrativa può accertare la compatibilità paesaggistica “per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”.
Ai sensi di tale disposizione gli interventi che non determinano creazione di superfici utili o di volumi sono gli unici per i quali è possibile l’accertamento postumo di conformità paesaggistica, a sua volta presupposto del rilascio della sanatoria edilizia (cfr. Cons. St. sez. VI, 07/11/2023, n. 9572: “l’accertamento postumo della compatibilità paesaggistica ex artt. 146, comma 3, e 167, comma 4, lett. a), del D. Lgs. n. 42/2004, è consentito esclusivamente in relazione a quei lavori che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati. In presenza di incrementi di superficie o di cubatura, anche di modesta entità o di natura accessoria, la norma impedisce tassativamente il rilascio della sanatoria paesaggistica, per cui la reiezione della relativa istanza assume carattere vincolato, indipendentemente da qualunque ulteriore valutazione del comune, anche di tipo urbanistico-edilizio, che, laddove pure compiuta, risulterebbe ininfluente (Cons. Stato, Sez. VI, 19/10/2020, n. 6300; 1/9/2022, n. 7625; 19/7/2023, n. 7092). (…) Tutti gli interventi, eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire, o con variazioni essenziali - che, come quello di specie, comportano aumenti di cubatura in area vincolata - sono, infatti, inderogabilmente soggetti a demolizione, ex art. 31, comma 2, del citato D.P.R. n. 380/2001, il che, diversamente da quanto sostiene l'appellante, priva di rilevanza ogni valutazione relativa alla consistenza dell'incremento volumetrico realizzato”).
7.2 - Stante la già evidenziata mancata ottemperanza alla richiesta di integrazione documentale, parte appellante non può dolersi ora del fatto che l’amministrazione non avrebbe valutato la percettibilità della modifica realizzata.
Per altro, che si sia al cospetto di un aumento volumetrico appare pacifico, appare altrettanto plausibile che questo sia anche percepibile, tenuto conto della rilevata modifica delle altezze di imposta e colmo della copertura (che va a ridisegnare completamente la struttura del tetto e, di conseguenza, l’aspetto esteriore dell’intero edificio in termini di sagoma, ingombro e facciata).
8 – L’aspetto innanzi delineato – e cioè l’impossibilità di sanare sotto il profilo paesaggistico l’abuso – rende irrilevante l’ulteriore difformità ritenuta insanabile dall’amministrazione, ovvero la violazione dell’art. 5 comma 9.5 delle norme di attuazione (NTA) del PRG del 1986, norma per la quale nei sottotetti non costituiscono superficie lorda di pavimento (slp), e sono quindi escluse dal calcolo volumetrico, le superfici di altezza interna media netta non superiore a 2,4 metri con il punto più basso non inferiore a 1,8 metri e con il punto più alto di intradosso di colmo non superiore a 3 metri.
Vale un discorso analogo quanto alla mancata applicazione della legge regionale sul recupero dei sottotetti (cfr. in termini Cons. St. 18/10/2022, n. 8859).
Invero, ai fini della legittimità di un atto amministrativo fondato su di una pluralità di ragioni, fra loro autonome, è sufficiente che anche una sola fra esse sia riconosciuta idonea a sorreggere l’atto medesimo, mentre le doglianze formulate avverso gli altri motivi devono ritenersi carenti di un sottostante interesse a ricorrere, giacché in nessun caso le stesse potrebbero portare all'invalidazione dell'atto (ex multis Cons. St. sez. IV, 7 aprile 2015, n. 1769).
8.1 – In ogni caso, quanto a questi ultimi aspetti va evidenziato che parte appellante non ha dimostrato che le opere oggetto dell’istanza di sanatoria risultino conformi alle previsioni di cui all’art. 5.9.5 delle NTA del PRG del 1986, oppure sanabili ai sensi della norma speciale della regione Lombardia.
La giurisprudenza (Consiglio di Stato, sez. VI, 14/03/2023, n. 2660) ha chiarito che: “In sede di accertamento di conformità è interamente a carico della parte l'onere di dimostrare la c.d. doppia conformità necessaria per l'ottenimento della sanatoria edilizia ordinaria ai sensi dell'art. 36 d.P.R. n. 380/2001”.
8.2 – Alla luce delle considerazioni che precedono vista l’indimostrata conformità dello stato di fatto alla disciplina edilizia dell’area non risulta risolutivo neppure il richiamo alla legge speciale della Regione Lombardia (cfr. in un caso similare Consiglio di Stato sez. VI, 08/08/2025, n. 6979:“Con riferimento all'applicazione della norma sul recupero abitativo del sottotetto, ai sensi degli artt. 63,64,65 L.R. 12/2005, l’atto indica che la sanatoria degli interventi edilizi ai sensi della L.R. 12/2005, artt. 63,64,65, manca di uno dei presupposti previsti dalla normativa per l’applicazione della L.R. 12/05, e cioè è assente la dimostrazione di conformità dello “stato di fatto”, ante recupero”).
8.3 – Vale un analogo discorso quanto all’invocato limite del 2%, dal momento che il rispetto di tale soglia deve in ogni caso essere fornita dal costruttore o dal proprietario dell’immobile.
Per altro, nel caso di specie, va ricordato che gli abusi posti in essere vanno ben al di là delle variazioni dei parametri edilizi (cfr. art. 34-bis TU Edilizia), includendo anche la modifica e l’innalzamento della struttura del tetto e il cambio d’uso del sottotetto (da ripostiglio a camera con bagno).
9 – Alla luce delle considerazioni che precedono perdono di consistenza anche le ulteriori censure di natura essenzialmente formale e procedimentale dedotte con l’appello.
Infatti, il successivo provvedimento impugnato con motivi aggiunti non fa che confermare l’atto di diniego, non introducendo alcun nuovo elemento di valutazione, rendendo pertanto evanescente la dedotta violazione dell’art. 10 bis della l. 241/90 (cfr. Consiglio di Stato sez. II, 19/08/2025, n. 7069: “Quanto alla dedotta violazione dell'art. 10-bis l. 241/1990, si condividono le valutazioni del T.a.r. circa l'inapplicabilità dell'istituto al caso di specie. La ratio del preavviso di rigetto, infatti, è quella di consentire il contraddittorio al termine dell'istruttoria, evitando che il privato si trovi esposto a questioni di fatto o di diritto non note, perché prospettate, per la prima volta, nella determinazione definitiva. Nel caso di specie, invece, il procedimento era volto al mero riesame - peraltro non doveroso, trattandosi di istanza non qualificata da alcuna disposizione normativa - di una situazione già integralmente valutata in sede di adozione del provvedimento originario, sulla quale la parte privata aveva già potuto interloquire; non sussisteva, quindi, alcun rischio di determinazioni inattese né la necessità di un ulteriore momento di contraddittorio (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 26 maggio 2017, n. 2495).)”
10 – Per le ragioni esposte l’appello va respinto.
Ad una valutazione complessiva della vicenda le spese di lite possono essere compensate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) respinge l’appello e compensa le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 1 ottobre 2025, tenutasi con modalità telematica, con l'intervento dei magistrati:
Fabio Franconiero, Presidente FF
Giordano Lamberti, Consigliere, Estensore
Sergio Zeuli, Consigliere
Giovanni Tulumello, Consigliere
Ugo De Carlo, Consigliere




