Consiglio di Stato, Sez. VI n. 5742 del 14 novembre 2012.
Beni ambientali.E’ affidata alla Soprintendenza l’estrema difesa della tutela paesaggistica.
In materia di tutela paesaggistica, è affidata alla Soprintendenza una compiuta valutazione di legittimità, anche sotto il profilo del ponderato bilanciamento degli interessi tutelati, quale espressione di un potere non di mero controllo di legalità, ma di vera e propria attiva cogestione del vincolo, funzionale all’estrema difesa dello stesso . (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 05742/2012REG.PROV.COLL.
N. 09336/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9336 del 2008, proposto da
Feroleto Giuseppina, Feroleto Franco e Feroleto Roberto rappresentati e difesi dall'avv. Raffaele Montefusco, con domicilio eletto presso l’avv. Claudia De Curtis in Roma, via Marianna Dionigi, 57;;
contro
Ministero per i beni e le attività culturali, in pesona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato e presso la medesima domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Comune di Ercolano;
per la riforma della sentenza del t.a.r. campania – napoli, sezione iii, n. 02194/2008, resa tra le parti, concernente nulla osta paesaggistico per condono edilizio
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero per i beni e le attività culturali;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 ottobre 2012 il Cons. Gabriella De Michele e uditi per le parti l’avv. Sotto per delega dell'avv. Montefusco e l'avvocato dello Stato Grumetto;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
Con atto di appello n. 9336/2008, notificato il 31 ottobre 2008 i signori Feroleto Giuseppina, Feroleto Franco e Feroleto Roberto – proprietari di un immobile realizzato senza concessione edilizia nel Comune di Ercolano ed oggetto di istanze di condono edilizio – impugnavano la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Campania, Napoli, sez. III, n 2194/08 del 14 aprile 2008 (che non risulta notificata), con cui veniva respinto il ricorso dai medesimi proposto avverso l’annullamento, ad opera della Soprintendenza, dell’autorizzazione paesaggistica rilasciata dal citato Comune ai sensi dell’art. 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, con la seguente motivazione: “trattasi di condono di un edificio costituito da tre unità abitative, per un’altezza fuori terra di circa m. 10 (tre piani), ricadente in zona agricola del P.R.G. ed in zona R.U.A. del P.T.P. vigente. L’opera abusiva ricade in area di elevato valore paesistico, aperta alle visuali panoramiche godibili dai punti di belvedere accessibili al pubblico e dalle strade pubbliche e quindi per le notevoli dimensioni è di ostacolo alle pubbliche visuali”.
L’atto impugnato risultava dunque attinente ad una procedura di condono edilizio in area vincolata, per la quale si richiedeva il parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo (identificabile con quella comunale, per effetto di sub-delega della Regione), con permanenza in capo agli organi statali tuttavia – e in specie alla Soprintendenza – di poteri di cogestione del vincolo circa la legittimità dell’atto di legittimazione paesaggistico.
Nella citata sentenza si affermava, in primo luogo, la competenza della Soprintendenza, esercitabile nell’ambito della procedura di condono in aree vincolate, in modo assimilabile all’annullamento delle autorizzazioni paesaggistiche, ai sensi dell’art. 151 d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 (all’epoca vigente). L’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento sarebbe stato assolto, inoltre, dal Comune di Ercolano tramite comunicazione di invio del nulla osta alla Soprintendenza, con successiva partecipazione dei privati interessati al procedimento. Il provvedimento impugnato, inoltre, non sarebbe stato emesso tardivamente, rispetto a richieste documentali inoltrate in via istruttoria. La non sanabilità delle opere, infine, sarebbe stata sussistente per vincolo di inedificabilità, imposto prima della realizzazione delle stesse, di modo che ogni altra considerazione difensiva avrebbe dovuto ritenersi assorbita. Nell’area di cui trattasi infatti (zona RUA) l’art. 13 NTA vieta “qualsiasi intervento che comporti incremento dei volumi esistenti”, fatta salva solo la realizzazione di strutture pubbliche e l’effettuazione di interventi di qualificazione, del verde agricolo residuale e per il risanamento degli edifici esistenti.
In sede di appello venivano riproposti i seguenti motivi di gravame:
1) violazione o falsa applicazione dell’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, ovvero dei principi generali in materia di prerogative partecipative; incongruità della motivazione; omessa considerazione di prospettazioni argomentative, non essendo stati emessi atti idonei a “determinare nei privati la contezza che l’autorità statale era pervenuta alla determinazione di dare corso ad un procedimento, finalizzato all’esercizio del potere di annullamento”;
2) violazione o falsa applicazione della legge 8 agosto 1985, n. 431 [di conversione in legge del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312], nonché del principio generale di tipicità dei provvedimenti amministrativi; sviamento di potere; erroneità della motivazione, a seguito del differimento illegittimo del termine decadenziale, tramite indebita richiesta di integrazione istruttoria, quando la valutazione discrezionale circa possibili pregiudizi all’interesse pubblico tutelato era già stata effettuata dalla commissione edilizia comunale, secondo cui non si ravvisavano“elementi di notevole pregiudizio al vincolo paesaggistico tutelato, tali da richiedere la demolizione”;
3) violazione o falsa applicazione della legge n. 431 del 1985 (poi art. 151, comma 4, del d.lgs. n. 490 del 1999; sviamento di potere, erroneità della motivazione, risultando il provvedimento impugnato non riferito all’art. 13 N.T.A. del P.R.G., ma a valutazioni di incompatibilità paesaggistica, ovvero ad inammissibili considerazioni di merito, peraltro non potendo risultare ostative del condono singole disposizioni di zona, con conseguente riproponibilità delle censure di cui era stato dichiarato l’assorbimento, come di seguito riportate;
4) sviamento di potere, violazione o falsa applicazione della legge n. 431 del 1985, nonché del principio generale di tipicità degli atti amministrativi, essendo state illegittimamente effettuate nuove valutazioni discrezionali;
5) eccesso di potere per difetto di presupposti di fatto e di motivazione; carenza di istruttoria, sviamento di potere, violazione delle N.T.A. al P.R.G., non essendo stato approvato il previsto piano di dettaglio, finalizzato ad una valutazione specifica di compatibilità delle opere abusivamente realizzate con il grado di compromissione ambientale della relativa area, come previsto dall’art. 23 del P.T.P. e non essendovi precisi parametri di riferimento, in rapporto all’affermata incoerenza dell’intervento “con le tipologie dell’insediamento”, per l’utilizzo di “materiali e tecniche costruttive estranei alla zona agricola vesuviana”;
6) sviamento; eccesso di potere per difetto e pretestuosità della motivazione, nella parte in cui risulta affermata l’intangibilità in sede autorizzatoria dei valori paesistici protetti dal vincolo, con illegittimità – per lesione di detti valori – di una valutazione di compatibilità che si traduca in oggettiva deroga al vincolo stesso, con evidente rinnovata valutazione di merito in ordine alla compatibilità dell’intervento.
Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene che l’appello non sia meritevole di accoglimento.
Per quanto riguarda, in primo luogo, la prospettata violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, per omessa comunicazione di avvio del procedimento, va ricordato che – nell’originaria assenza di specificazioni normative – la prevalente giurisprudenza si era orientata, in effetti, nel senso di ritenere sussistente l’obbligo di comunicazione in questione, quale nuova modalità dialettica di esercizio della funzione amministrativa, in una dimensione di massima trasparenza nei rapporti tra cittadini e Autorità pubbliche (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. Stato, VI, 3 febbraio 2004, n. 342, 25 marzo 2004, n. 1626, 14 gennaio 2003, n. 119, 2 settembre 2003, n. 4866).
Questo orientamento, tuttavia, era stato superato dall’espressa abrogazione normativa dell’obbligo di cui si discute, in base al rinvio operato dall’art. 4 del d.m. 13 giugno 1994, n. 495 (regolamento contenente disposizioni attuative della legge n. 241 del 1990, comma 1-bis, aggiunto dal d.m. 19 giugno 2002, n. 165) alla norma contenuta nell’art. 151 d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 (cfr. anche Cons. Stato, VI, 1 luglio 2003, n. 2835).
La norma introdotta dall’art. 2 di questo d.m. n. 165 del 2002 (divenuta art. 1-bis del regolamento attuativo degli articoli 2 e 4 della legge n. 241 del 1990, emanato con d.m. 13 giugno 1994, n. 495) disponeva infatti – con efficacia dalla data di entrata in vigore della norma stessa (19 giugno 2002) – che la comunicazione di avvio del procedimento non fosse dovuta, da parte del relativo funzionario responsabile, “per i procedimenti avviati ad istanza di parte e, in particolare, per quelli disciplinati dagli articoli 21, 22, 23, 24, 25, 26, 35, 41, 43, 50, 51, 53, 55, 56,59,66. 68, 69, 72, 86, 102, 107, 108, 109, 113, 114, 151, 154 e 147 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490”
(Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali),che all’art. 151 disciplinava l’invio delle autorizzazioni paesaggistiche alla competente Soprintendenza, con facoltà di annullamento delle medesime autorizzazioni, da parte del Ministero, entro 60 giorni.
Dall’entrata in vigore del nuovo Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, come successivamente modificato ed integrato) veniva invece previsto nell’art. 159 – in riferimento alla disciplina transitoria dell’autorizzazione paesaggistica – che l’Amministrazione competente desse immediata comunicazione alla Soprintendenza delle autorizzazioni paesaggistiche rilasciate, con contestuale invio di tale comunicazione agli interessati, quale “avviso di inizio del procedimento, ai sensi e per gli effetti della legge 7 agosto 1990, n. 241” [la disposizione è stata poi modificata dall'art. 26 d.lgs. 24 marzo 2006, n. 157, dall’art. 2, comma 1, lett. hh) d.lgs. 26 marzo 2008, n. 63 e dall’art. 4-quinquies d.-l. 3 giugno 2008, n. 97, aggiunto dalla legge di conversione 2 agosto 2008, n. 129]
Nella situazione in esame, la sub-procedura di controllo di cui si discute risulta avviata e conclusa in assenza dell’obbligo di comunicazione anzidetto (essendo stati emessi il nulla osta comunale il 2 dicembre 2002 ed il relativo annullamento in data 11 aprile 2003: vale a dire prima dell’entrata in vigore del Codice), con conseguente infondatezza della censura, al riguardo formulata.
La fase istruttoria – di cui nel secondo motivo di gravame si prospetta l’inidoneità, quale causa interruttiva del termine decadenziale per la conclusione della sub-procedura in questione – non appare inoltre pretestuosa o ininfluente per le valutazioni da esprimere. Tali valutazioni hanno infatti investito, come meglio chiarito più avanti, la congruità del parere sotto l’aspetto motivazionale, sulla base di un’osservazione dello stato dei luoghi, che la richiesta rappresentazione fotografica poteva certamente agevolare.
In assenza di concreti elementi in senso contrario, la richiesta istruttoria appare ragionevole e priva di carattere dilatorio, ed era dunque idonea ad interrompere la decorrenza del termine perentorio, per l’adozione dell’atto ministeriale conclusivo (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. Stato, VI, 3 aprile 2003, n. 1740 e 18 aprile 2005, n. 1755).
In parte condivisibili, invece, risultano alcune considerazioni esposte nel quarto e nel quinto motivo di gravame, non essendo in effetti ostative del titolo abilitativo richiesto disposizioni di zona che non si traducano in un vincolo di assoluta inedificabilità: tale non potendo ritenersi un mero divieto di incremento volumetrico, utile ad escludere nuovi permessi di costruire, quand’anche in sanatoria, ma non l’applicazione della disciplina eccezionale in tema di condono.
Anche in assenza di condivisione di tale capo della sentenza appellata, tuttavia, sussistono valide ragioni per non discostarsi dalle conclusioni della medesima, risultando sottolineato dalla stessa appellante che la motivazione dell’annullamento ministeriale si fonda su valutazioni di incompatibilità di natura paesaggistica e non su questioni di violazione delle N.T.A. al P.R.G. (note tecniche allegate al Piano Regolatore) o del P.T.P. (Piano Territoriale Paesistico).
Dette valutazioni, tuttavia, sono sotto diversi profili equiparate nell’atto di appello (terzo, quarto e sesto motivo di gravame) ad inammissibili considerazioni di merito: e tali censure non sono condivise dal Collegio, tenuto conto della natura del vaglio da esercitare e delle osservazioni in concreto formulate dalla Soprintendenza.
Come riconosciuto da ampia e consolidata giurisprudenza, infatti, risulta affidata al predetto organo statale una compiuta valutazione di legittimità, anche sotto il profilo del ponderato bilanciamento degli interessi tutelati, quale espressione di un potere non di mero controllo di legalità, ma di vera e propria attiva attiva cogestione del vincolo, funzionale all’ estrema difesa dello stesso (Corte cost., 27 giugno 1986, n. 151; 18 ottobre 1996, n. 341; 25 ottobre 2000, n. 437). L’eventuale annullamento, pertanto, risulta riferibile a qualsiasi vizio di legittimità riscontrabile nella concreta valutazione espressa dall’ente territoriale, ivi compreso l’eccesso di potere in ogni figura sintomatica (sviamento, insufficiente motivazione, difetto di istruttoria, illogicità manifesta: cfr. in tal senso Cons. Stato, Ad. plen., 14 dicembre 2001, n. 9, nonché, fra le tante, Cons. Stato, VI, 25 marzo 2009, n. 1786 e 3557, 11 giugno 2012, n. 3401, 23 febbraio 2010, n. 1070, 21 settembre 2011, n. 5292; V, 3 dicembre 2010, n.8411).
Nella situazione in esame, pertanto, rispetto all’atto di base e in censura di esso ben poteva la stessa Soprintendenza rilevare, come in effetti ha fatto, che l’edificio di cui trattasi – per dimensioni ed incidenza paesaggistica su un’area di particolare pregio, aperta a visuali panoramiche – appariva in contrasto con le ragioni di imposizione del vincolo, con conseguente violazione della normativa dettata a tutela dei valori paesaggistici, senza adeguato riscontro al riguardo nella motivazione del parere annullato.
Ad avviso del Collegio, pertanto, l’impugnato atto della Soprintendenza è da ritenere legittimamente emanato.
L’appello viene pertanto respinto, nei termini in precedenza specificati; quanto alle spese giudiziali, tuttavia, il Collegio ne ritiene equa la compensazione, tenuto conto della natura degli interessi coinvolti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, respinge l’appello, nei termini di cui in motivazione; compensa le spese giudiziali.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 ottobre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini, Presidente
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere, Estensore
Bernhard Lageder, Consigliere
Andrea Pannone, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/11/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)