Tribunale di Lanciano, sent. 4 aprile 2016
Pres., est. Belli.
Beni ambientali.Esercizio cava in zona vincolata
Non sussiste il reato di cui all’art. 181 d.lgs. n. 42/2004, come sanzionato dall'art. 44 lett. c) D.P.R. n.380/2001, per aver eseguito lavori di coltivazione in una cava alla scadenza del termine quinquennale dell’autorizzazione paesaggistica qualora la legge regionale (nella specie la Regione Abruzzo) consideri l’autorizzazione valida per tutto il periodo di durata della concessione.....
MASSIME
1. Non sussiste il reato di cui all’art. 181 d.lgs. n. 42/2004, come sanzionato dall'art. 44 lett. c) D.P.R. n.380/2001, per aver eseguito lavori di coltivazione in una cava alla scadenza del termine quinquennale dell’autorizzazione paesaggistica qualora la legge regionale (nella specie la Regione Abruzzo) consideri l’autorizzazione valida per tutto il periodo di durata della concessione .
2. Sussiste il reato previsto di cui all'art. 181 d.lgs. n. 4212004, come sanzionato dall'art. 44, lett. c), D.P.R. n.380/2001, per aver eseguito, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, in difformità dalla prescritta autorizzazione paesaggistica, qualora non siano rispettate le prescrizioni contenute nella concessione ovvero nell’autorizzazione paesaggistica (nella specie, in presenza di concessione all’attività estrattiva rilasciata per “recupero ambientale”: a) non venivano forniti periodicamente al servizio di sviluppo attività estrattive e minerari i dati statistici relativi all'attività estrattiva; b) non venivano rispettate le modalità della sistemazione ambientale durante l'escavazione, eseguendo scavi di lotti successivi senza prima procedere alla sistemazione prevista per il lotto precedente di cui era stato completato lo scavo)
3. Sussiste il reato di cui all’art. 734 c.p. nel caso concessione all’attività estrattiva in zona vincolata rilasciata col fine primario del ripristino ambientale qualora sia stata realizzata una mera attività di estrazione del materiale lapideo, senza procedere in alcun modo ad eseguire il benché minimo intervento di ripristino ambientale, pur espressamente previsto nel progetto approvato. La realizzazione di un’attività di cava, consistente in lavori di preparazione del terreno mediante estirpazione di alberi e piante, di scavo del materiale roccioso anche mediante il ricorso all’esplosivo, di sbancamento e di successivo riempimento, con formazione di cumuli in continua espansione volumetrica, pur formalmente autorizzata ma compiuta in difformità con quanto assentito, lede in concreto il bene ambientale tutelato dall’art. 734 c.p.
4. Sussiste il reato di cui di truffa aggravata ai danni di Ente pubblico qualora sia stata estratta una quantità di materiale lapideo superiore a quello dichiarato (pari al minimo stabilito dalla concessione con corrispettivo pagato annualmente, senza verifica da parte del Comune), potendo desumersi la prova dell’effettiva quantità scavata da consulenza tecnica fondata sulla realizzazione di modelli tridimensionali dello stato dei luoghi elaborati con riferimento a punti fissi non modificati negli anni. Il profitto del reato va sequestrato e confiscato ai sensi degli artt. 240, 322-ter e 640 quater c.p.
5. Va dichiarata la responsabilità amministrativa degli enti, prevista dal d.lgs. n. 231/2001, nel caso di condanna del legale rappresentante della società titolare della concessione all’attività estrattiva di cava per il reato di truffa aggravata in danno dello Stato o di altro ente pubblico (art. 24 d.lgs. cit.), sempre che sia provata l’esistenza di un rapporto di carattere organico con la persona fisica autore dell’illecito penale e che questo sia stato commesso al fine di garantire un interesse illecito o un vantaggio a favore dell’ente (Il Tribunale ha ritenuto che il legale rappresentante della Società avesse perseguito ed ottenuto, a seguito del compimento delle condotte fraudolente contestate nella qualità di legale rappresentante p. t. della società, un interesse proprio della società e non personale dell’agente, conseguendo il vantaggio economico costituito dalle rilevanti somme di denaro dovute e non versate al Comune; risultava provata la completa immedesimazione organica fra il soggetto agente e l’illecito penale commesso, costituente non un fatto isolato o fortuito del quale la società avesse tratto incidentalmente un vantaggio, bensì un fatto proprio di quest’ultima, attribuibile e riconducibile direttamente alla volontà della persona giuridica, che dev’essere quindi chiamata a risponderne in via amministrativa).
6. Vanno dichiarati prescritti gli illeciti amministrativi previsti dal d.lgs. n. 231/2001commessi oltre il termine di cinque anni dalla data di consumazione del reato, sempre che non sia intervenuta interruzione con la richiesta di rinvio a giudizio della persona giuridica
SENTENZA
IMPUTATI
IMPUTATO quale legale rappresentante della PRIMA SOCIETA’ s.r.l. e, dal 20.10.2008 della SOCIETA’. s.r.l. (costituita in pari data), con sede in LUOGO subentrata alla prima società (anche nelle autorizzazioni ottenute, come da determinazione n. DI3/19 del 25.2.09):
a) del reato p. e p. dall'art. 734 c.p. poiché, nella qualità indicata, mediante escavazioni presso la Cava di calcare in località LUOGO:
- foglio n. 33 particelle nn. 1471(parte), 1473 (parte), 1474 (parte);
- foglio n. 43 particella n. 31;
in assenza della prescritta autorizzazione paesaggistica (come indicato al capo b) ovvero in difformità dall'autorizzazione paesaggistica (come indicato al capo bl), deturpava e distruggeva la visuale paesaggistica e le bellezze naturali di tale luogo soggetto alla speciale protezione dell'Autorità, essendo stato dichiarato di notevole interesse pubblico con D.M. 21.06.1985.
In LUOGO, dal 10 settembre 2008 al 5.6.12 (permanenza interrotta dal sequestro in data 6.6.12).
b) del reato previsto dall’art. 181 d.lgs. n. 42/2004, come sanzionato dall'art. 44 lett. c) D.P.R. n.380/2001, per aver eseguito, nella qualità indicata, in zona sottoposta a vincolo vincoli paesaggistico, le opere di cui al capo a) senza la prescritta autorizzazione paesaggistica essendo scaduta quella rilasciata il 10.9.03 (unitamente all'autorizzazione ai lavori emessa in pari data con determinazione n. DI3/79 dal direttore di area del servizio attività estrattive e minerarie della Regione Abruzzo, su parere favorevole espresso della Direzione regionale competente con decreto n. 226103 sull'esito della verifica di compatibilità ambientale) di validità quinquennale.
In LUOGO, dal 10 settembre 2008 al 5.6.12 (permanenza interrotta dal sequestro in data 6.6.12).
bl) - contestazione alternativa rispetto alla lettera b) nel caso di ritenuta validità della autorizzazione paesaggistica - del reato previsto dall'art. 181 d.lgs. n. 4212004, come sanzionato dall'art. 44, lett. c), D.P.R. n.380/2001, per aver eseguito, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, le opere di cui al capo a) in difformità dalla prescritta autorizzazione paesaggistica (ritenuta di durata decennale, pari a quella dell'autorizzazione ai lavori) rilasciata il 10.9.03 con determinazione n. DI3/79 dal direttore di area del servizio attività estrattive e minerarie della Regione Abruzzo - trasferita con determinazione n. DI3/19 del 25.2.09 alla PRIMA SOCIETA’ s.r.l. - (su parere favorevole espresso della Direzione regionale competente con decreto n. 226103 sull'esito della verifica di compatibilità ambientale), di cui, dunque, dovevano essere rispettate le prescrizioni anche con riferimento alla autorizzazione paesaggistica.
In particolare:
1. non venivano forniti periodicamente al servizio di sviluppo attività estrattive e minerari i dati statistici relativi all'attività estrattiva (come previsto dall'art. 7 dell'autorizzazione ai lavori rilasciatail10.9.03, con determinazione n. DI3/79 citata);
2. non venivano rispettate le modalità della sistemazione ambientale durante l'escavazione, così come previsto e riportato nel progetto approvato (secondo quanto indicato a pag. 14 della relazione tecnica generale, paragrafo A 5.4 - Suddivisione in lotti di escavazione e riassetto - "...tutto il cantiere estrattivo verrà suddiviso in lotti o fasi coltivate e riambientati in stretta successione....; facente parte integrante dell'autorizzazione rilasciata"). Recupero ambientale non iniziato neanche dopo la revoca del sequestro disposta dal Gip in data l5/17 dicembre 2012 il Gip, subordinatamente all'avvio di tali attività.
In LUOGO, da epoca successiva al 2004, fino al 5.6.1,2 (permanenza interrotta dal
sequestro in data 6.6.12).
c) del reato p. e p. dagli artt. 81, 640, comma 1 e 2, numero 1), 6l n.7 c.p. perché, nella qualità indicata, in esecuzione del medesimo disegno criminoso, con artifizi e raggiri - diretti a non fare risultare la quantità di materiale lapideo effettivamente estratto -, consistiti:
- nel non fornire periodicamente i dati statistici relativi all'attività estrattiva, come previsto dall'art.7 dell'autorizzazione ai lavori rilasciata il 10.9.03, con determinazione n. DI3/79 dal direttore di area del servizio attività estrattive e minerarie della Regione Abruzzo;
- nel non avere effettuato annualmente in contraddittorio il rilievo delle quote risultanti per 1o scavo effettuato nel periodo in questione rispetto alle quote di partenza, al fine di calcolare la quantità di materiale effettivamente scavato, come previsto dall'art. 7 dall'atto datato 1 dicembre 2003, rep. n. 122, contratto di concessione di terre civiche per l'attività estrattiva e recupero ambientale;
- nell'avere corrisposto annualmente esclusivamente gli importi minimi previsti:
dall'art. 6 dell'atto datato 1 dicembre 2003, rep. n. 122, suindicato; importo individuato nell'escavazione minima di mc. 20.000 anche in mancanza di effettiva estrazione (pari a 0,55 al mc., misurato in banco, come previsto dall'art. 4) e, comunque, in 10.000,00 (art. 8);
dall'art. 3 della convenzione tra il comune di LUOGO e la ditta PRIMA SOCIETA’ s.r.l. approvata in data 18 aprile 2007, con atto n. 14 della G.C. di LUOGO; importo indicato in euro 21.049,00 che la ditta si impegnava a versare annualmente per gli anni 2007, 2008, 2009, 2010, 2011, 2012 e 2013;
- nel fare così apparire come estratto annualmente esclusivamente un quantitativo di materiale lapideo tale da non superava l'importo minimo obbligatoriamente dovuto per ciascun anno. Precisamente faceva apparire come estratti complessivamente mc. 320.445,00 di materiale lapideo (risultanti dall'importo versato pari a euro 116.250,00, calcolato sulla base dell’importo unitario dovuto di 0,55/mc. ai sensi dell’art. 4 atto dell’1.12.2003 citato); laddove erano stati estratti complessivamente non meno di mc 700.000, con una differenza di mc. 379.555,00 (700.000,00 - 320.445,00);
inducendo in errore il Comune di LUOGO sulla reale quantità del materiale lapideo estratto, procurava a sé un ingiusto profitto non inferiore a complessivi euro 208.755,00 pari alla differenza tra l'importo corrisposto al comune di LUOGO (176.245,00) e quello dovuto, per il prezzo pattuito a mc. in concessione di 0,55. Precisamente: mc. 700.000 effettivamente estratti, meno mc. 320.445,00 indicati sulla base dell'importo corrisposto; risultano mc. 379.555,00 non pagati pari alla somma indicata (379.555,00 x 0,55). Precisamente, corrispondeva i seguenti importi invece di quelli dovuti:
atto di concessione del 1° dicembre 2003
1) Reversale di incasso n. 170 del 02/11/2005 euro 21.000,00;
2) Reversale di incasso n. 47 del 05/04/2006 euro 11.000,00 (di cui euro 1.000,00 di canone);
3) Reversale d'incasso n. 40 del 21/02/2007 euro 10.000,00;
4) Reversale d'incasso n.76 del 28/02/2008 euro 10.000,00;
5) Reversale d'incasso n. 5 del 12/0l/20l0 euro 10.000,00;
6) Reversale d'incasso n. 151 del 2l/05/2010 euro 10.000,00;
delibera della G.C. n. 14 del 18/04/2007
1) Reversale d'incasso n.224 del 08/10/2007 euro 21.049,00;
2) Reversale d'incasso n.239 del 29/08/2008 euro 21.049,00;
3) Reversale d'incasso n. 1 16 del 03/06/2009 euro 21.049,00;
4) Reversale d'incasso n.343 del 11/11/2010 euro 21.049,00;
5) Reversale d'incasso n. 300 del 06/12/2011 euro 21.049,00;
con corrispondente danno di rilevante entità per il Comune di LUOGO.
In LUOGO, condotte consumate alla data del versamento delle somme suindicate.
nonché ai fini della responsabilità amministrativa per reati, prevista dal d.lgs. n. 231/2001 nei confronti di:
SOCIETA’ s.r.l. con sede legale in LUOGO (CH) contrada (REA 164905 (capitale euro 146.000,00), in persona del legale rappresentante, società subentrata alla PRIMA SOCIETA’ s.r.l. dal 20.10.97 per "scissione":
1) Presidente del Consiglio d'Amministrazione, "rappresentante dell’impresa", attualmente IMPUTATO;
2) amministratore delegato dal 9.3.12 (iscrizione 6.4.I2), res. in Guardiagrele via Occidentale 150;
ente incolpato per l’illecito di cui agli artt. 1, 5, comma, I lett. a), 10, 24, commi I e 2, d.lgs. n. 23l/200l perché:
IMPUTATO nelle qualità in precedenza indicate (legale rappresentante della PRIMA SOCIETA’ srl e, dal 20.10.08 della SOCIETA’ srl (costituita in pari data), perciò persona di cui all'art.5, lett. a) d.lgs. n. 231/200l, poneva in essere il reato di cui al capo c), commesso nell'interesse e a vantaggio della società. Con l'aggravante di cui all'art. 24, comma 2, d.lgs. n. 23l/200l avendo, in seguito alla commissione del delitto di cui al capo c), l'ente conseguito un profitto di rilevante entità, con conseguente danno di particolare gravità per il Comune di LUOGO.
Ai fini dell'applicabilità delle sanzioni interdittive (art. 13 d.lgs. cit.) si contesta che l'ente ha tratto dal reato un profitto di rilevante entità e che il reato é stato commesso da soggetto in posizione apicale; si tratta, inoltre di illeciti reiterati nel tempo.
In LUOGO, condotte consumate alla data del versamento delle somme suindicate al capo c).
Contestazione alternativa [effettuata dal P. M. all’udienza del 19.10.2015] qualora si ritenga che gli importi dovuti ai sensi dell'art. 3 della convenzione tra il comune di LUOGO e la ditta PRIMA SOCIETA’ s.r.l. approvata in data 18 aprile 2007, con atto n. 14 della G.C. di LUOGO (importo indicato in 21.049,00 che la ditta si impegnava a versare annualmente per gli anni 2007, 2008, 2009, 2010, 2011, 2012 e 2013) dovesse essere comunque versato dalla SOCIETA’ srl, indipendentemente dalla quantità di materiale estratto (quale contributo alla spesa necessaria per la realizzazione di interventi e di infrastrutture atte a mitigare l'impatto dell'opera estrattiva sul territorio) - contestazione alternativa disposta nei confronti dell'imputato IMPUTATOe della ditta SOCIETA’ s.r.l. ai fine della responsabilità amministrativa dell' ente.
c1) del reato p. e p. dagli artt. 81, 640, comma 1 e 2 numero 1)e 61n. 7 c. p. perché, nella qualità indicata, in esecuzione del medesimo disegno criminoso, con artifizi e raggiri - diretti a non fare risultare la quantità di materiale lapideo effettivamente estratto -, consistiti:
-
nel non fornire periodicamente i dati statistici relativi all'attività estrattiva, come previsto dall'ar1. 7 dell'autorizzazione ai lavori rilasciata il 10.9.03, con determinazione n.DI3/79 dal direttore di area del servizio attività estrattive e minerarie della Regione Abruzzo;
-
nel non avere effettuato annualmente in contraddittorio il rilievo delle quote risultanti per lo scavo effettuato nel periodo in questione rispetto alle quote di partenza, al fine di calcolare la quantità di materiale effettivamente scavato, come previsto dall'art. 7 dall'atto datato 1 dicembre 2003, rep. n. 722, contratto di concessione di terre civiche per l'attività estrattiva e recupero ambientale;
-
nell'avere corrisposto annualmente esclusivamente gli importi minimi previsti dall'art. 6 dell'atto datato 1 dicembre 2003, rep. n. 122, suindicato; importo individuato nell'escavazione minima di mc. 20.000 anche in mancanza di effettiva estrazione (pari a 0,55 al mc., misurato in banco, come previsto dall'art. 4) e, comunque, in euro 10.000,00 (ar1. 8);
nel fare così apparire come estratto annualmente esclusivamente un quantitativo di materiale lapideo tale da non superava I'imporlo minimo obbligatoriamente dovuto per ciascun anno.
Precisamente faceva apparire come estratti complessivamente mc. 320.445,00 di materiale lapideo (risultanti dall’importo versato pari a euro 176.250,00, calcolato sulla base dell’importo unitario dovuto di euro 0,55 al mc. ai sensi dell'art. 4 atto 1.l2.2003 citato); laddove erano stati estratti complessivamente non meno di mc 700.000, con una differenza di mc. 379.555,00 (700.000,00 - 320.445,00);
inducendo in errore il Comune di LUOGO sulla reale quantità del materiale lapideo estratto, procurava a sé un ingiusto profitto non inferiore a complessivi euro 313.000,00, pari alla differenza dell’importo corrisposto al comune di LUOGO (euro 72.0000):
1) Reversale di incasso n. 170 del 02/11/2005 euro 21.000,00;
2) Reversale di incasso n. 47 del 05/04/2006 euro 11.000,00 (di cui euro 1.000,00 di canone);
3) Reversale d'incasso n. 40 del 21/02/2007 euro 10.000,00;
4) Reversale d'incasso n.76 del 28/02/2008 euro 10.000,00;
5) Reversale d'incasso n. 5 del 12/0l/20l0 euro 10.000,00;
6) Reversale d'incasso n. 151 del 2l/05/2010 euro 10.000,00;
e quello dovuto, per il prezzo pattuito a mc. in concessione di euro 0,55. Precisamente: mc. 700.000 effettivamente estratti, meno mc. 130.909,09 desunti dall’imporlo corrisposto (euro 72.000,00 diviso 0,55 prezzo a mc.), risultano mc. 569.090,9 non pagati pari alla somma indicata (569.090,09 x 0,55:313.000,00), con corrispondente danno di rilevante entità per il Comune di LUOGO.
In LUOGO, condotte consumate alla data del versamento delle somme suindicate.
CONCLUSIONI
Pubblico Ministero: in via principale, condanna dell’imputato IMPUTATOper i reati di cui ai capi a), b) e c1), in via subordinata per i reati di cui ai capi a), b1) e c) o c1), alla pena di anni 2 di reclusione ed euro 3.000 di multa, riuniti sotto il vincolo della continuazione; sequestro ex art. 322-ter c. p. della somma di euro 40.000 e confisca della somma di euro 140.000; ripristino dello stato dei luoghi a spese dell’imputato. Quanto alla SOCIETA’ s.r.l., applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria di euro 60.000 nonché delle sanzioni interdittive previste dall’art. 24 comma 3° D. Lvo n. 231/2001; sequestro e confisca della somma di euro 110.000 ovvero euro 150.000 in caso di condanna per il reato di cui al capo c) o c1).
Parte Civile: si associa alla richiesta del P.M. e chiede la condanna al risarcimento del danno in favore del Comune di LUOGO e alla rifusione delle spese processuali, come da conclusioni scritte;
Difesa imputato: assoluzione da tutte le accuse, revoca del sequestro dell’area e restituzione delle somme tuttora sottoposte a sequestro preventivo, riportandosi alle memoria versate in atti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
IMPUTATO e LEGALE RAPPRESENTANTE , quest’ultimo nella qualità di legale rappresentante della SOCIETA’ s.r.l. chiamata in causa ai sensi del D. Lvo n. 231/2001, venivano tratti a giudizio per rispondere dei reati e degli illeciti enunciati in rubrica; dichiarato aperto il dibattimento, si procedeva all’acquisizione della documentazione e all’escussione dei testimoni e consulenti tecnici richiesti dalle parti, indi all’odierna udienza le stesse concludevano come da relativo verbale e da memoria scritte versate in atti.
Si premette che il presente giudizio concerne l’attività estrattiva compiuta presso una cava di calcare ubicata in un’area sottoposta a vincolo paesaggistico nel territorio del Comune di LUOGO, località Ristretta, giusta Determinazione n. DI3/79 del 10.9.2003 rilasciata alla ditta S.A.D s.r.l. di Rapino e successivamente volturata in favore della ditta SOCIETA’ s.r.l. di LUOGO con DI3/19 del 25.2.2009. In detta area esisteva una cava abbandonata, che la società richiedente aveva proposto di riattivare al fine della “completa ricomposizione ambientale dei luoghi interessati dalla vecchia attività estrattiva, da tempo dismessa” (cfr. relazione tecnica generale – Sezione A del progetto presentato dalla PRIMA SOCIETA’ s.r.l. alla Regione Abruzzo in data 7.1.2002).
Il sito interessato dall’intervento è infatti posto sul versante sud occidentale del monte Morricone (Foglio 33 Part. 1471p, 1473p e 1474p e Foglio 43 Part. 31-356), limitrofo alla Valle del Sangro caratterizzata da notevole valenza naturalistica, tanto che il Piano Regionale Paesistico (PRP) della Regione Abruzzo definisce l’area come appartenente all’ambito fluviale “Fiume Sangro – Aventino”) e sottoposta a Conservazione Integrale Zona A1; sussistono inoltre il vincolo idrogeologico ai sensi del R.D. 30.12.1923 n. 3267, così come emerge dalle Norme Tecniche Attuative (NTA) del Piano Regolatore Generale (PRG) del Comune di LUOGO con riferimento alla Zona E3 “agricola boschiva”, nonché il vincolo paesaggistico previsto dalla Legge 8.8.1985 n. 431, in particolare dall’art. 1 lett. g) concernente i territori coperti da boschi o foreste e sottoposti a rimboschimento e dall’art. 1 lett. h) concernente le aree assegnate alle università agraria e le zone gravate da uso civico; infine, l’area è ricompresa in una zona dichiarata con Decreto del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali del 21.6.1985 (“Dichiarazione di notevole interesse pubblico del territorio in cui scorre il fiume Sangro e del lago di Bomba”) di notevole interesse pubblico ai sensi dell’art. 1 nn. 3) e 4) della Legge 29.6.1939 n. 1497 ed è pertanto sottoposta a tutte le disposizioni contenute nella medesima Legge (ora nel D. Lvo n 22.1.2004 n. 42), fra cui il rilascio della prescritta autorizzazione paesaggistica, nel caso in esame rilasciata dalla Direzione Territorio Urbanistica Beni Ambientali n. 4806 del 24.4.2003.
Va evidenziato come l’autorizzazione regionale DI3/79 del 10.9.2003 rilasciata alla PRIMA SOCIETA’ s.r.l. non riguardava l’esercizio dell’attività estrattiva tout court in quanto la coltivazione della cava calcarea doveva essere finalizzata, così come previsto espressamente dal progetto di riattivazione del sito e dalle prescrizioni indicate nella citata Delibera (vds. in particolare gli artt. 6 e 10), al recupero ambientale del luogo, in ossequio a quanto stabilito nel Piano Regionale Paesistico approvato dal Consiglio Regionale in data 21.3.1990 con delibera n. 141/21 ai sensi della Legge nazionale n. 431/1985 e della Legge regionale 12.4.1983 n. 1. Detto Piano infatti ricomprendeva l’area interessata dall’intervento nell’ambito della zona A1 di Conservazione integrale “Complesso di prescrizioni (e previsioni di interventi) finalizzate alla tutela conservativa dei caratteri del paesaggio naturale, agrario e urbano, dell’insediamento umano, delle risorse del territorio e dell’ambiente, nonché alla difesa ed al recupero ambientale di quelle parti dell’area in cui sono evidenti i segni di manomissioni ed alterazioni apportate dalle trasformazioni antropiche e dai dissesti naturali; alla ricostruzione ed al mantenimento di ecosistemi ambientali, al restauro ed al recupero di manufatti esistenti”. Anche la successiva Determinazione n. DI3/19 del 25.2.2009 di autorizzazione al trasferimento del titolo minerario alla società SOCIETA’ s.r.l. richiamava esplicitamente “tutti gli obblighi previsti dal predetto provvedimento n. DI3/79 del 10.9.2003 e relativi allegati, nonché quelli di eventuali prescrizioni o diffide impartite dal Servizio Attività Estrattive e Minerarie”.
L’attività di coltivazione della cava aveva avuto inizio in data 8.1.2004, tuttavia la SOCIETA’ s.r.l. aveva successivamente depositato un “progetto di ampliamento della cava di calcare in località “Ristretta” del Comune di LUOGO”, finalizzato ad una migliore ricomposizione ambientale dei luoghi” (avente ad oggetto fra l’altro l’eliminazione di uno sperone roccioso che non era stato considerato nel progetto originario), assunto al n. 11440/AE di prot. del 27.12.2011 della Giunta Regionale - Direzione Attività Produttive di Pescara, ottenendo il parere favorevole del Comune di LUOGO con Deliberazione della Giunta Comunale n. 81 del 28.11.2011.
A seguito delle indagini svolte dalla Procura della Repubblica di Lanciano, l’area interessata dalla cava calcarea era stata sottoposta a sequestro preventivo con riferimento alle ipotesi di reato e di illecito descritte in rubrica, nei confronti sia di IMPUTATOin proprio, sia della società SOCIETA’ s.r.l. in persona del legale rappresentante p. t. ai sensi del D.Lvo n. 231/2001; venivano anche sequestrate “per equivalente” disponibilità finanziarie fino all’ammontare di euro 110.000 in relazione al reato di truffa aggravata di cui al capo c (e c1) dell’imputazione.
Ciò premesso, la prima questione da analizzare concerne l’astratta configurabilità del reato di cui all’art. 181 del D. Lvo n. 42/2004, contestato all’imputato in forma alternativa ai capi b) e b1) della rubrica, in quanto nel primo caso gli interventi di escavazione descritti sub a) sarebbero stati realizzati “senza la prescritta autorizzazione paesaggistica, essendo scaduta quella rilasciata il 10.9.2003…di validità quinquennale”, mentre nel secondo caso tali interventi sarebbero stati realizzati “in difformità dalla prescritta autorizzazione paesaggistica, ritenuta di durata decennale, pari a quella dell’autorizzazione ai lavori”.
Ritiene questo Giudicante di non doversi discostare da quanto espresso sul punto dalla Sez. III della Corte di Cassazione con la sentenza del 7.2.2013 n. 11851 versata in atti (alla cui motivazione si rimanda per brevità) che, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità del sequestro disposto dal Gip e confermato dal Tribunale del Riesame di Chieti, aveva affrontato incidentalmente la questione della durata dell’autorizzazione paesaggistica, ritenendo applicabile al caso di specie il comma 5°-bis dell’art. 2 della L. R. 13.2.2003 n. 2, introdotto con L. R. 28.3.2006 n. 5, il quale prevede quanto segue: “Dal rilascio del provvedimento di autorizzazione paesaggistica, da parte della Regione o Ente delegato e sino all’inizio dei lavori, decorre il termine di validità di cinque anni, trascorso il quale l’esecuzione dei progettati lavori deve essere sottoposta a nuova autorizzazione. Qualora i lavori siano iniziati nel quinquennio, l’autorizzazione si considera valida per tutta la durata degli stessi, fatta salva la procedura di cui all’art. 150 e 151 del D. Lgvo 42/2004” (interpretazione seguita dalla Giunta Regionale con nota prot. n. 5230/BN69013 del 28.6.2012 prodotta dalla difesa). Ed invero, la legge regionale era intervenuta proprio al fine di evitare discrasie fra la durata del provvedimento concessorio, che poteva prevedere anche una durata ultraquinquennale, e la durata dell’autorizzazione paesaggistica. Poiché l’integrazione normativa operata dalla L. R. n. 5/2006 era successiva al provvedimento autorizzatorio e precedente allo scadere dei cinque anni, essa è stata ritenuta prevalente sulla prescrizione contenuta nell’art. 6 della Determinazione n. DI3/79 del 10.9.2003, poiché altrimenti una interpretazione diversa avrebbe prodotto una disparità di trattamento fra chi era già in possesso dell’autorizzazione paesaggistica e chi invece l’aveva ottenuta dopo l’entrata in vigore della legge, fatti salvi i poteri di inibizione o sospensione dei lavori di cui agli artt. 150 e 151 D. Lvo n. 42/2004 espressamente menzionati dal comma 5°-bis citato.
Come risulta dalla comunicazione di Denuncia di Esercizio e Designazione del responsabile del S.P.P.A. trasmessa alla Regione Abruzzo Attività Estrattive, la ditta PRIMA SOCIETA’ s.r.l. aveva dato inizio ai lavori di coltivazione della cava in data 7.1.2004, dunque entro il termine di cinque anni dall’autorizzazione paesaggistica rilasciata con Determinazione regionale n. 4086 del 24.4.2003: pertanto, anche detta autorizzazione paesaggistica era valida per tutta la durata degli stessi, vale a dire per il periodo di dieci anni di cui all’autorizzazione mineraria rilasciata con DI3/79 del 10.9.2003.
Non essendo quindi necessario il rinnovo alla scadenza dell’originario termine di cinque anni dell’autorizzazione paesaggistica, deve ritenersi infondata l’ipotesi accusatoria posta alla base dell’imputazione formulata sub capo b) della rubrica con riferimento all’art. 181 D. Lvo n. 42/2004 per mancanza di autorizzazione, posto che i lavori di coltivazione della cava calcarea posti in essere dalla ditta SOCIETA’ s.r.l., a partire dalla data del 25.2.2009 di subentro alla ditta PRIMA SOCIETA’ s.r.l., erano avvenuti nella vigenza dell’autorizzazione rilasciata nel 2003 con validità decennale: IMPUTATOpertanto va mandato assolto perché il fatto non sussiste.
Passando quindi al merito dell’imputazione formulata sub capo b1), assume la pubblica Accusa che la ditta SOCIETA’ s.r.l. avrebbe eseguito escavazioni in difformità dell’autorizzazione paesaggistica n. 4086/2003, espressamente richiamata dall’autorizzazione mineraria n. DI3/79 del 10.9.2003 e relative prescrizioni in quanto: 1) non erano stati forniti al Servizio Sviluppo Attività Estrattive e Minerarie della Regione i dati statistici relativi all’attività estrattiva; 2) non erano state rispettate le modalità relative alla sistemazione ambientale durante gli interventi di escavazione, così come previsto dalla relazione tecnica generale di progetto.
Si richiama in proposito quanto evidenziato nella parte introduttiva e cioè che l’autorizzazione regionale alla riattivazione della cava calcarea in località Ristretta del Comune di LUOGO era finalizzata - stanti i vincoli esistenti - principalmente al recupero ambientale del sito, come espressamente evidenziato nelle prescrizioni contenute nell’art. 6 (“il passaggio da una fase a quella successiva deve avvenire previo collaudo del recupero ambientale da parte dell’Ufficio Cave”), nell’art. 7 (obbligo di fornire periodicamente i dati statistici dell’attività estrattiva svolta, proprio al fine di monitorare il passaggio da una fase all’altra previsto in progetto) e negli artt. 9 e 10 della Determinazione n. DI3/79 (secondo i quali la ditta doveva attenersi alle modalità di coltivazione indicate negli elaborati progettuali approvati e depositati agli atti d’Ufficio e rispettare le modalità di sistemazione ambientale durante le operazioni di escavazione, in ossequio al progetto approvato).
Ed invero, il progetto approvato prevedeva, quale obiettivo primario da raggiungere (pag. 2 lett. A della relazione tecnica generale presentata dalla PRIMA SOCIETA’ s.r.l.), la messa in opera di “attività di recupero ambientale dei luoghi, qualificate al fine di eliminare il degrado esistente a causa dell’abbandono ormai da molti anni del vecchio sito estrattivo, che si caratterizza oggi per il forte impatto visivo, costituito dalle pareti biancastre dei fronti di calcare abbandonati, in un contesto circostante diversamente vegetato” e solo quale obiettivo secondario (lettera E della relazione) la “riattivazione del vecchio cantiere estrattivo che assicuri per un certo numero di anni l’approvvigionamento di materiale calcareo di ottima qualità, indispensabile per soddisfare il mercato locale differenziato…”.
A tale scopo era stata studiata “un’attenta programmazione degli interventi di escavazione, suddividendo gli stessi in quattro fasi [dettagliatamente descritte sub par. A 5.4 e segg. - pag. 14-18 della relazione citata] tali da interessare di volta in volta superfici circoscritte e capaci di minimizzare l’impatto paesaggistico, principalmente visivo”, mediante l’applicazione di metodologie di coltivazione e riassetto innovative tali da assicurare la “contestualità tra i lavori produttivi (abbattimento del massiccio roccioso) e il recupero ambientale delle aree giunte al profilo finale, mediante la minimizzazione dei tempi di sfasamento tra le due operazioni e la ripresa dei lavori dall’alto, in modo da avere immediatamente, dalla ripresa dell’attività, porzioni di cava avviate alla definitiva sistemazione forestale; in questo modo dovrà risultare tangibile l’immediato effetto di contenimento della percettività visiva della cava” (pag. 2 della relazione).
Ed invero, il progetto approvato prevedeva (par. A7 della relazione tecnica generale) quale obiettivo finale il recupero morfologico dell’area della cava mediante la realizzazione, a fine lavori, di un unico versante con pendenza media di 45°, intervallato da un piazzale intermedio posto a quota 600 m s.l.m. servito da un’unica pista, della lunghezza di circa 1 km.; su tale versante a profilo continuo era prevista la realizzazione, contestualmente ai lavori di coltivazione e da completarsi entro sei mesi dalla loro ultimazione, di microgradoni delle dimensioni di 3 x 3 m, riempiti con materiale sterile proveniente dalla coltivazione e da un riporto di uno strato di terreno vegetale, atto a favorire l’impianto di essenze arboree e arbustive.
Si veda altresì la “Relazione agro-forestale ed indicazioni per il recupero ambientale” allegata sub Sezione C al progetto di riattivazione della cava e in particolare il par. C5 (“programma di sistemazione e recupero ambientale del sito di cava”, da cui si evince testualmente, ad ulteriore conferma della finalità sottesa all’autorizzazione regionale, che “il programma di sistemazione della cava mira a modificarla di quel tanto necessario e opportuno per eliminare le situazioni di degrado più evidente e diminuire le acclività più esasperate” e che “si prevede l’arretramento del bordo di cava con una penetrazione dell’intervento in un’area boscata di modesta estensione, valutata introno al 10%; infatti l’area della cava, a recupero ultimato, sarà di Ha 11,0 circa rispetto ai 10,0 Ha circa precedenti all’intervento”; ancora una volta si ribadisce a chiare lettere che “il recupero ambientale procede di pari passo con l’intervento di sistemazione del versante” (par. C 5.2 - pag. 6 della relazione citata) e che “il programma di sistemazione sarà articolato per lotti successivi. Si è infatti ipotizzato il protrarsi dei lavori in quattro fasi, ciascuna delle quali interesserà una porzione dell’area introno ai 2.7 Ha. I lavori di recupero, conseguentemente, seguiranno quelli di sistemazione secondo lo stesso ordine e superficie” (par. C 5.3.3 - pag. 8).
Tuttavia, sulla base degli accertamenti condotti dapprima dal C.F.S. di Chieti e, una volta posta l’area della cava sotto sequestro, dal consulente tecnico nominato dal P. M., era emerso come dette condizioni e prescrizioni non fossero state rispettate.
Oltre all’inosservanza dell’obbligo di fornire periodicamente i dati statistici dell’attività estrattiva svolta (omissione che appare finalizzata a non consentire il controllo sull’attività stessa e quindi a occultare la reale entità dell’escavazione, fatto rilevante in relazione alla contestazione di cui ai capi c)/c1) dell’imputazione), è infatti emerso come, durante il periodo che va dall’inizio dell’attività estrattiva (gennaio 2004) alla data di cessazione della permanenza ad opera del primo sequestro della cava eseguito il 6.6.2012, il passaggio da una fase a quella successiva fosse avvenuto non solo senza il preventivo collaudo del recupero ambientale da parte dell’Ufficio Cave, ma soprattutto senza procedere, come previsto nei richiamati elaborati progettuali approvati e richiamati nell’autorizzazione regionale, alla sistemazione ambientale durante le operazioni di escavazione.
Si richiamano in proposito le conclusioni rassegnate dal consulente tecnico nominato dal P.M. ing., escusso all’udienza del 10.6.2015, e alle relazioni scritte prodotte dal P.M. all’esito della sua deposizione, da cui si evince che - alla data del sopralluogo eseguito in data 11.9.2012 - “i lavori di escavazione sono stati eseguiti interessando sia la porzione topograficamente più elevata (area di pertinenza della Fase 1 di progetto), sia aree poste più in basso (prettamente di pertinenza delle Fase 2 e 3). Sostanzialmente dunque la sequenza di estrazione non ha seguito la procedura autorizzata, operando una commistione volumetrica e temporale tra le tre fasi in oggetto. Inoltre, le scarpate di scavo non risultano congruenti con quelle di progetto, non essendo rispettata la prevista pendenza massima di 45°” (pag. 42 e segg. e pag. 85 e segg. relazione C. T. del P. M. depositata in data 8.9.2014 nonché pag. 12 e segg. della trascrizione del verbale di udienza del 10.6.2015).
Non condivide questo giudicante le obiezioni alle conclusioni del C. T. del P. M. sollevate dal consulente della difesa ing. CAIO, escusso all’udienza del 10.6.2012, nella nota datata 12.10.2015 prodotta dalla difesa, non tanto perché lo stesso figura fra coloro che avevano proceduto alla redazione del progetto di riattivazione prima e di ampliamento poi della cava ed era stato direttore dei lavori della cava nei primi anni di attività, ma soprattutto perché l’asserita impossibilità di effettuare gli interventi di recupero ambientale contestualmente all’attività di escavazione, è smentita da quanto riportato nella relazione tecnica generale dallo stesso redatta, secondo quanto si è evidenziato in precedenza.
Non appare sufficiente il richiamo difensivo a quanto previsto dal par. A 5.4.1 - Fase 1 della relazione citata, che prevedeva che nella prima fase si procedesse ad eseguire scavi anche in zone diverse e appartenenti alle fasi successive, poiché non solo tale possibilità veniva espressamente indicata come eventuale (si legge infatti: “dal momento che la messa in produzione della parte sommitale del cantiere - quota ca. 740 m s.l.m. - richiederà un po’ di tempo e potrebbe avere periodi di impraticabilità a causa del maltempo della stagione invernale…”) e temporanea (si noti che la durata della Fase 1 viene stimata in soli 3,2 anni mentre dall’inizio delle escavazioni al sequestro erano trascorsi oltre 9 anni), ma soprattutto per la ragione che l’inizio della Fase 2 prevedeva “la ultimazione dei lavori di recupero ambientale inerenti alla fase precedente” (par. A 5.4.2. - Fase 2 della relazione), che evidentemente dovevano essere iniziati durante la Fase 1, anche se questa non era ancora stata ancora completata.
Il par. A 5.4 - pag. 14 della relazione, intitolato “Suddivisione in lotti di escavazione e riassetto”, è chiaro in proposito, poiché l’intento perseguito è quello “di limitare le superfici scoperte interessate dagli scavi produttivi, per cui tutto il cantiere estrattivo verrà suddiviso in lotti (o fasi) coltivati e riambientati in stretta successione”. All’interno di ogni fase è infatti previsto che i lavori procedano in maniera similare, per trance discendenti, con le seguenti lavorazioni: 1) scopertura del materiale scotico, terreno agrario e cappellaccio calcareo; 2) escavazione per trance discendenti mediante avanzamento ed approfondimento dei piazzali temporanei di varia larghezza (60-130 m) che si verranno a creare a quote diverse e realizzazione di un profilo di abbandono a microgradoni; 3) reinterro dei microgradoni mediante riporto di sterili e terreno agrario; 4) recupero vegetazionale della scarpata così creatasi. Si conclude affermando che “il criterio utilizzato nella suddivisione dei lotti è stato prioritariamente guidato dalla necessità di creare il minimo disturbo sul paesaggio e di avere, subito dalla ripresa dell’attività superfici d’intervento giunte all’assetto definitivo, raccordate con la morfologia limitrofa ed avviate alla rivegetazione”.
Al contrario, alla data del sopralluogo del C.T. (11.9.2012) nessun tipo di intervento di recupero ambientale ancorché limitato era mai stato eseguito, mentre come si vedrà in seguito i lavori di escavazione avevano interessato non solo la zona della cava prevista nella Fase 1, ma anche le aree indicate nella Fase 2 e 3, giungendo ad estrarre un quantitativo complessivo di materiale lapideo pari a circa 700.000 mc., vale adire superiore a quello previsto nella intera Fase 1 (pari a 382.338 mc.) e pari a circa la metà di quello previsto nella Fase 2 (pari a 647.003 mc. da completarsi nei successivi 5,4 anni rispetto alla ultimazione della Fase 1).
Ciò spiega, da un lato, la ragione della mancata comunicazione all’organo di controllo dei dati statistici relativi all’attività estrattiva compiuta e, dall’altro lato, il mancato collaudo del ripristino ambientale, espressamente previsto “da una fase a quella successiva” dall’art. 6 dell’autorizzazione n. DI3/79 del 10.9.2003, da parte dell’Ufficio Cave della Regione, al quale l’azienda doveva comunicare il completamento di ciascuna delle singole fasi e che, al contrario, non era stato in alcun modo interessato attesa la commistione fra le varie fasi previste nel progetto approvato.
Non stupisce pertanto, ma anzi conferma la prospettazione accusatoria, l’affermazione del C. T. che, all’atto del sopralluogo nel 2012, la Fase 1 non era ancora stata completata, appunto perché l’impresa non si era minimamente preoccupata di portarla a termine avviando al contempo le attività di recupero ambientale e sostenendone i relativi costi, ma aveva proseguito illegittimamente l’escavazione anche nelle aree di pertinenza delle successive Fasi 2 e 3, sì da poter estrarre e commercializzare un notevole quantitativo di materiale lapideo. In altre parole, l’unica attività compiuta negli anni dalla società facente capo all’IMPUTATO era consistita nell’escavazione e nella successiva commercializzazione della pietra calcarea, senz’altro.
Sussistono pertanto tutti gli elementi, oggettivo e soggettivo, del reato contestato ad IMPUTATO(quale legale rappresentante dapprima della ditta PRIMA SOCIETA’ s.r.l. e dal 20.10.2008 della SOCIETA’ s.r.l. subentrata nella titolarità dell’autorizzazione mineraria) al capo sub b1) dell’imputazione, nella previsione di cui al comma 1°-bis lett. a) dell’art. 181 D. Lvo n. 42/2000, introdotto dall’art. 1 comma 36° lett. c) dalla Legge n. 308/2004 e successivamente modificato dal D. Lvo n. 157/2006 e n. 63/2008, che stabilisce la pena della reclusione da uno a quattro anni qualora i lavori di cui al comma 1° “ricadano su immobili od aree che per le loro caratteristiche paesaggistiche siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori” (nel caso di specie, si rammenta che la zona è stata dichiarata di notevole interesse pubblico con D.M. 21.6.1985 ed è quindi ricompresa fra i beni paesaggistici ai sensi del combinato disposto degli artt. 136 e 138 D. Lvo n. 42/2004).
§
Direttamente connessa con l’esecuzione dell’attività di escavazione sopra descritta è la contestazione del delitto di truffa aggravata in danno del Comune di LUOGO, oggetto del capo c) della rubrica ovvero del capo c1) giusta contestazione alternativa effettuata dal P. M. all’udienza del 19.10.2015.
Secondo la prospettazione accusatoria, infatti, dalla illegittima attività di coltivazione della cava come sopra descritta, che aveva interessato ampie zone del sito estrattivo in difformità da quanto previsto dall’autorizzazione regionale, la ditta SOCIETA’ s.r.l. aveva proceduto ad estrarre, nel periodo dal 2004 al 2012, un quantitativo notevolmente superiore a quello previsto per la Fase 1 non ancora completata (pari a circa 700.000 mc. anziché 382.338 come previsto dal progetto), dichiarando al contempo un quantitativo inferiore in modo da non pagare l’importo dovuto, secondo quanto stabilito dalla convenzione stipulata fra detto Comune e la società, così procurandosi l’ingiusto profitto pari alla differenza rispetto a quanto effettivamente versato.
Va subito precisato come appaia corretta la contestazione contenuta al capo c1) dell’imputazione rispetto all’originaria formulazione di cui al capo c), in quanto nella determinazione dell’ammontare dell’ingiusto profitto non si deve tenere conto delle somme relative ai pagamenti effettuati dalla società, come stabilito dalla Delibera della Giunta Comunale n. 14 del 18.4.2007 (vds. reversali d’incasso n. 224 dell’8.102007, n. 239 del 29l.8.2008, n. 116 del 3.6.2009, n. 343 dell’11.11.2010 e n. 300 del 6.12.2011 dell’importo di euro 21.049,00 ciascuna per complessivi euro 105.245,00): somme che dovevano essere versate ogni anno indipendentemente dalla quantità di materiale lapideo estratto, a titolo di “contributo alla spesa necessaria per la realizzazione di interventi e di infrastrutture atte a mitigare l’impatto dello pera estrattiva sul territorio” (art. 3 della convenzione approvata con la Delibera citata).
Di conseguenza l’imputato va mandato assolto dal reato di cui all’imputazione sub capo c) perché il fatto non sussiste, dovendosi fare riferimento unicamente all’imputazione formulata sub capo c1).
Passando al merito, la sussistenza del reato risulta provata sotto il profilo dell’elemento materiale dalla ricostruzione del reale quantitativo di materiale lapideo scavato effettuata dal consulente tecnico del P. M., che risulta pari a circa il doppio (700.000 mc. calcolati per difetto) rispetto al quantitativo con riferimento al quale la società aveva versato al Comune di LUOGO i relativi oneri, in misura inferiore al dovuto essendo questi ultimi direttamente proporzionali alle quantità estratte.
Si ricorda in proposito che, dopo il rilascio dell’autorizzazione regionale alla riattivazione della cava calcarea, erano state stipulate fra il Comune e l’azienda due convenzioni: la prima in data 1.12.2003 Rep. 122 (“Concessione di terre civiche per attività estrattiva e recupero ambientale dal Comune di LUOGO alla ditta PRIMA SOCIETA’ s.r.l.”), relativa alla determinazione del prezzo da versare per il materiale estratto; la seconda approvata con Deliberazione della Giunta Comunale n. 14 del 18.4.2007, in ossequio a quanto previsto dall’art. 13-bis della L. R. 8.2.2006 n. 6, che prevedeva un contributo fisso, dell’importo di euro 21.049,00 annui, alla “spesa necessaria per la realizzazione di interventi e di infrastrutture atte a mitigare l’impatto dell’opera estrattiva sul territorio”.
In particolare, in base alla convenzione del 2003 era stabilito il pagamento di euro 0,55 per ogni metro cubo di materiale lapideo estratto, di un canone annuo di concessione per l’occupazione delle superfici da materiali e automezzi di euro 250,00 nonché l’impegno ad estrarre un quantitativo minimo pari a 20.000 mc. per anno, con versamento in favore del Comune concedente di un canone annuo minimo pari a 10.000,00 euro negli anni dal 2004 in poi anche in caso di mancata estrazione. Veniva altresì stabilito che entro il mese di maggio di ciascun anno, azienda e Comune avrebbero eseguito in contraddittorio il calcolo delle quantità di materiale estratto, al fine di determinare l’ammontare della differenza fra la quantità minima di 20.000 mc. e quella dovuta in base alla cubatura effettivamente estratta.
Dalla documentazione acquisita agli risulta che la società concessionaria aveva provveduto al versamento, nel periodo dall’inizio dell’attività estrattiva nel gennaio 2004 al 2011, della somma complessiva di euro 176.245,00 (cui va aggiunta la somma di euro 1.000,00 relativa al canone pagato nel 2006) come da reversali d’incasso riportate nel capo d’imputazione (di cui 6 relative al canone di concessione ai sensi della Convenzione del 2003, pari a euro 72.000,00 e 5 relative al contributo fisso ai sensi della Convenzione del 2007, pari a euro 105.245,00: vds. allegati alla C. T. del P. M. depositata in data 8.9.2014).
Non era stata invece eseguita alcuna verifica dei quantitativi di materiale estratto, sebbene la convenzione del 2003 avesse previsto che il calcolo della volumetria dovesse avvenire ogni anno in contraddittorio con il Comune e che la società concessionaria fosse obbligata, in forza dell’autorizzazione regionale DI3/79 del 2003, a comunicare periodicamente i dati relativi all’attività estrattiva: è evidente come tali intenzionali omissioni (unitamente all’inerzia degli organi pubblici deputati al controllo) avessero impedito qualsivoglia verifica dell’attività estrattiva posta in essere nel corso degli anni dalla società,
Da quanto sopra esposto, si evince come la PRIMA SOCIETA’ poi SOCIETA’ s.r.l. si fosse limitata a versare per ciascun anno solo le somme corrispondenti al canone minimo, sicché effettuando il calcolo inverso si ottiene quanto segue: euro 72.000 pagati diviso euro 0,55 al mc. di materiale estratto, uguale 130.909,09 mc. estratti e quindi dichiarati (si ribadisce in proposito come, rispetto all’originaria formulazione contenuta nel capo c) dell’imputazione, nella determinazione del materiale estratto dichiarato dalla società non debba essere considerata anche la somma di euro 105.245,00 risultante dalle reversali d’incasso emesse in base alla convenzione del 2007, che come detto attiene a tutt’altra voce di spesa, della quale invece il C. T. del P. M. aveva erroneamente tenuto conto).
Poiché il materiale effettivamente estratto calcolato dal C. T. del P.M. è pari a circa 700.000 mc., la differenza fra quanto versato e quanto dovuto si ottiene eseguendo il seguente calcolo: euro 700.000 mc. estratti, meno 130.909,09 mc. dichiarati uguale 569.090,91 mc. moltiplicati per euro 0,55 al mc. uguale euro 313.000,00 (oppure: 700.000 mc. estratti, moltiplicato euro 0,55 al mc., uguale euro 385.000,00 complessivamente dovuti, meno euro 72.000 pagati, uguale euro 313.000,00).
La determinazione dei quantitativi di materiale estratto ha rappresentato terreno di scontro fra accusa e difesa durante l’istruttoria dibattimentale, in quanto sono state sollevate obiezioni circa il metodo utilizzato dal consulente del P. M. per eseguire il raffronto fra la situazione rilevata nel 2012 in occasione dei sopralluoghi sui luoghi sottoposti a sequestro e la documentazione cartografica disponibile in epoca antecedente alla riattivazione della cava, risalenti al 2001.
Ritiene questo Giudicante come le operazioni eseguite dal consulente e dagli ausiliari tecnici di cui IL CT PM si era avvalso (in particolare, il geom. TIZIO escusso a chiarimenti all’udienza del 10.11.2015) debbano ritenersi corrette ed affidabili alla luce delle spiegazioni fornite sia nella relazione versata in atti (pagg. 88-90), che all’udienza del 10.6.2015 in merito alle modalità di sovrapposizione fra la cartografia precedente e quella realizzata nel 2012, mediante la realizzazione di modelli tridimensionali dello stato dei luoghi elaborati con riferimento a punti fissi che non si erano modificati negli anni (gli spigoli della palazzina uffici presente sul piazzale inferiore della cava e una parete rocciosa che presentava le medesime caratteristiche di forma e differenza di quota rispetto al passato in quanto non interessata dalle operazioni di escavazione).
Il rilievo topografico così ricostruito ha interessato un’area pari a 125.380 mq. e ha consentito di stabilire che la volumetria interessata dalle attività estrattive è risultata pari a circa 725.000 mc., ridotti a 700.000 mc. in considerazione della percentuale di errore stimato non superiore al 5% circa a causa delle problematiche di sovrapposizione cartografica (come riferito dal geom. TIZIO, i metodi si sono evoluti nel tempo, attesa l’introduzione di nuovi software e del rilevamento mediante G.P.S., che ha reso possibile la elaborazione di cartografie tridimensionali sempre più dettagliate e precise rispetto ai metodi del passato, incentrati su misurazioni ottiche e planimetrie cartacee).
A fronte di tali risultanze, non appaiono dirimenti le argomentazioni difensive secondo cui, in primo luogo, nel calcolo della volumetria del materiale estratto il C. T. PM non aveva preso in considerazione i dati relativi ai quantitativi di esplosivo utilizzato per la demolizione delle pareti rocciose e il consumo di energia elettrica, poiché tali informazioni sono soltanto indicative basandosi sui consumi “medi” di esplosivo rispetto alla tipologia di roccia e non tengono conto delle variabili di ambiente (quali le fessurazioni della roccia, i crolli, l’uso degli escavatori dotati di martello demolitore o di pala meccanica, pur previsti in progetto al punto A 5.3.2 della relazione tecnica generale ecc) e non consentono per tale ragione di eseguire un calcolo preciso che possa contraddire i risultati degli accertamenti cartografici eseguiti dal C. T. del P. M.; lo stesso dicasi per il consumo di energia elettrica, rispetto al quale per altro la difesa non ha fornito alcun dato da cui desumere alcunché.
In secondo luogo, deve considerarsi inattendibile l’esito del sopralluogo effettuato sulla cava sottoposta sequestro dall’Ufficio Attività Estrattive della Regione, che nel rapporto del 12.11.2012 a firma del geom. MEVIO ha concluso affermando che “…i lavori di coltivazione, finora eseguiti, rientrano nei limiti previsti dagli atti progettuali autorizzati ed in particolare devono essere, ancora, completati quelli afferenti alla prima fase di intervento…” (doc. 12 prodotto dalla difesa).
Ed invero, detto rapporto era stato redatto non già sulla base di nuove ed autonome misurazioni eseguite sul posto, bensì esclusivamente sulla scorta del “rilevamento topografico dello stato attuale dei luoghi a firma del geom. XXXX”, vale a dire di un tecnico della ditta sottoposta ad indagine, come confermato dal MEVIO nel corso della deposizione testimoniale resa all’udienza del 21.9.2015. A ciò si aggiunga quanto dichiarato alla medesima udienza dall’ing. SEMPRONIO, Dirigente del Servizio Attività Estrattive della Regione, che non vi era mai stata alcuna attività di controllo da parte dell’ente sulle attività estrattive compiute dalla società concessionaria, né erano stati effettuati sopralluoghi al fine di verificare l’esatta ottemperanza del provvedimento autorizzativo e, in particolare, delle prescrizioni menzionate nell’atto.
Sotto il profilo soggettivo, è indubbio che l’attività fraudolenta sopra descritta sia stata posta in essere intenzionalmente, sottacendo la reale entità dell’escavazione del materiale lapideo (del quale non a caso erano state omesse le comunicazioni annuali obbligatorie, così come avvenuto per le verifiche in contraddittorio con il Comune, da eseguirsi ancora una volta ogni anno) e limitandosi a versare al Comune di LUOGO le sole quote relative al contributo minimo: in tal modo la società aveva conseguito l’ingiusto profitto, consistito non solo nel risparmio delle spese relative alle attività di ripristino ambientale, che non aveva mai effettuato nel corso dei circa 9 anni di attività dall’inizio della riattivazione della cava, ma soprattutto nel mancato versamento delle somme relative all’effettivo quantitativo del materiale estratto, pari a euro 313.000,00 come calcolato a seguito degli accertamenti svolti dal C. T. del P. M.
Ciò posto, va tuttavia evidenziato come, a differenza del reato di cui al capo b1) di natura permanente, il delitto di truffa appartiene ai reati di evento, che si consuma nel momento in cui si verifica il conseguimento da parte dell’agente dell’ingiusto profitto con corrispondente danno per la persona offesa; di conseguenza, se in tempi diversi si verificano più eventi di tal genere e sussiste unicità del disegno criminoso, si possono configurare più reati di truffa avvinciti dal vincolo della continuazione ai sensi dell’art. 81 cpv. c. p.
Nel caso in esame è stato acclarato come la società facente capo ad IMPUTATOavesse annualmente proceduto al versamento dei soli contributi minimi previsti dalla Convenzione del 2003 (cfr. reversali d’incasso menzionate nel capo s’imputazione sub c1), con autonome condotte che il P.M. ha correttamente contestato in continuazione fra loro in quanto l’imputato aveva conseguito l’ingiusto profitto, come sopra qualificato, in occasione del versamento delle singole quote annuali corrispondenti al contributo minimo di escavazione, inferiori al dovuto.
Ne consegue come debba essere dichiarata l’estinzione per intervenuta prescrizione delle condotte fraudolente consumate fino al 28.2.2008 (reversali d’incasso n. 170 del 2.11.2005, n. 47 del 5.4.2006, n. 40 del 21.2.2007 e n. 76 del 28.2.2008) per decorrenza del termine massimo di 7 anni e 6 mesi previsto dagli artt. 157 e 161 c.p.p., mentre non risultato a tutt’oggi prescritte le truffe riferite alle condotte commesse nei periodi successivi (reversali d’incasso n. 5 del 12.1.2010 e n. 151 del 21.5.2010). Si consideri infatti che, a seguito della modifica dell’art. 158 comma 1° c. p., nell’ipotesi di reato continuato il termine della prescrizione decorre non più dal giorno in cui è cessata la continuazione (parole soppresse dall’art. 6 comma 2° della Legge 5.12.2005 n. 151), bensì dalla consumazione dei singoli episodi criminosi, secondo le regole generali.
§
Quanto al reato contestato al capo a) dell’imputazione, va premesso che l’art. 734 c. p. risulta integrato quando, a seguito dell’intervento dell’uomo, siano in qualsiasi modo alterate o turbate le visioni di bellezza estetica e panoramica offerte dalla natura, mentre non è necessaria l’irreparabile distruzione o alterazione della bellezza naturale di un determinato luogo soggetto a vincolo paesaggistico (in questo la giurisprudenza: vds. Cass. Sez. III 15.1.2015 n. 10030 in tema di opere edilizie e Sez. III 3.10.2002 n. 40267 che ha precisato che, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 734 c.p., è necessario che l’alterazione incida sulla bellezza naturale, così che si realizzi quantomeno una lesione o anche un semplice turbamento del godimento estetico dei visitatori o utenti, anche potenziali, del luogo).
Si tratta di un reato che, in quanto reato a forma libera, è integrato da qualsiasi condotta, commissiva od omissiva, dolosa o colposa, che distrugga o alteri le bellezze naturali (Cass. Sez. III 17.9.2014 n. 48004) e che può concorrere con il reato, formale e di pericolo, previsto dall’art. 181 del D.Lvo. n. 42 del 2004 che, indipendentemente dal danno arrecato al paesaggio, sanziona la violazione del divieto di intervento in determinate zone vincolate senza la preventiva autorizzazione amministrativa (ovvero in difformità della stessa), mentre la contravvenzione prevista dall’art. 734 c. p. presuppone l’effettivo danneggiamento o alterazione delle aree sottoposte a protezione (Cass. Sez. III 6.5.2014 n. 37472).
Fatte queste premesse, ritiene questo Tribunale come dall’istruttoria sia emersa la prova che l’attività di indiscriminata coltivazione della cava “Ristretta” - posta in essere dalla società PRIMA SOCIETA’ e poi SOCIETA’ s.r.l. in dispregio delle autorizzazioni concesse e senza il compimento, nonostante il lungo periodo intercorso dall’inizio dei lavori, di alcun intervento di ripristino ambientale - abbia comportato se non la distruzione, quanto meno un’alterazione delle bellezze naturali del luogo, che si ricorda è sottoposto a vincolo paesaggistico in quanto espressamente dichiarato con D.M. 21.6.1985 (“La zona ricadente nei comuni di…LUOGO…ha notevole interesse pubblico perché ricca di elementi caratteristici, costituiti dalle anse e dalle secche del fiume Sangro, dal lago di Bomba con le sue verdi rive, che conferiscono all’ambiente un aspetto scenografico di incomparabile bellezza, dalla parte del lago di Villa S. Maria con le sue insenature e le adiacenti coste boscate….La zona dell’alto Sangro, che confina con quella già sottoposta alla tutela della Legge n. 1497/1939, ricca di boschi e coste montane, aspre e di incomparabile bellezza, presenta un notevole valore paesistico-ambientale”).
Non per altro alla società era stata concessa la possibilità di procedere alla riattivazione della cava calcarea dismessa proprio allo scopo di perseguire il fine primario del ripristino ambientale, in uno con l’esercizio dell’attività economica (e quindi del profitto che ne derivava), quest’ultima tuttavia subordinata al primo; nel caso in esame, invece, si è visto come la società concessionaria avesse intenzionalmente (e fraudolentemente) posto in essere nel corso degli anni le sole attività di estrazione del materiale lapideo, senza procedere in alcun modo ad eseguire il benché minimo intervento di ripristino ambientale, pur espressamente previsto nel progetto approvato.
Se a ciò si aggiunge l’enorme volume di materiale estratto, pari a circa 700.000 mc., ne deriva come la bellezza del luogo, già violata a causa dell’attività estrattiva posta in atto nei decenni precedenti, avesse subìto un ulteriore e grave pregiudizio, tale - come si può apprezzare facilmente anche dalla visione delle fotografie versate in atti - da integrare sotto il profilo sia oggettivo che soggettivo, il reato contravvenzionale contestato al capo a) dell’imputazione.
Non è chi non veda, infatti, come la realizzazione di una attività di cava, consistente in lavori di preparazione del terreno mediante estirpazione di alberi e piante, di scavo del materiale roccioso anche mediante il ricorso all’esplosivo, di sbancamento e di successivo riempimento, con formazione di cumuli in continua espansione volumetrica, sia perfettamente idonea a determinare una continua modificazione dello stato dei luoghi e ciò vale anche quando detta attività, pur formalmente autorizzata, sia stata compiuta in difformità con quanto assentito, così venendo a ledere in concreto il bene ambientale.
Poiché ciò si è verificato nel caso di specie, l’imputato va riconosciuto colpevole del reato p. e p. dall’art. 734 c. p.
§
Passando al trattamento sanzionatorio con riguardo ai capi d’imputazione contestati sub capi a), b1) e c1), quest’ultimo come detto limitatamente alle condotte commesse dalla data del 12.1.2010 in poi, ritiene questo giudicante come possa darsi applicazione dell’istituto della continuazione fra le fattispecie incriminatrici in esame, posta da un lato la natura dolosa delle stesse, trattandosi di condotte commesse intenzionalmente anche per quanto riguarda il reato contravvenzionale di cui all’art. 734 c. p., dall’altro l’esistenza di un unico disegno criminoso, che ha caratterizzato l’intera attività di escavazione fraudolenta posta in atto dalla società odierna imputata e, per essa, dal suo legale rappresentante p. t., finalizzata al conseguimento dell’ingiusto profitto patrimoniale mediante la sistematica inottemperanza del provvedimento autorizzatorio e così cagionando la distruzione ovvero il deturpamento della bellezza naturale dei luoghi, sottoposti a vincolo paesaggistico.
In applicazione dei criteri previsti dall’art. 133 c. p. (con particolare riferimento alla gravità dell’offesa al bene protetto e all’intensità dell’elemento psicologico, in uno con la reiterazione delle condotte criminose nel corso degli anni), si stima congrua la pena finale di anni 1 e mesi 6 di reclusione ed euro 1.200,00 euro di multa, così determinata: ritenuto più grave il reato contestato al capo c1), pena base anni 1 di reclusione ed euro 800,00 di multa, aumentata come sopra per la continuazione sia interna che esterna con i reati di cui ai capi a) e b1), oltre al pagamento delle spese processuali.
In applicazione del combinato disposto degli artt. 165 c. p. e 181 comma 2° D. Lvo n. 42/2004 e attesa la presenza di un precedente penale non specifico, si ritiene concedibile il beneficio della sospensione condizionale della pena subordinato alla remissione in pristino dello stato dei luoghi a spese dell’imputato, entro il termine di 1 anno dal passaggio in giudicato della sentenza. A tale scopo, si dispone la trasmissione di copia della presente decisione alla Regione Abruzzo e al Comune di LUOGO nel cui territorio è stata commessa la violazione prevista dall’art. 181 S. Lvo citato.
Va inoltre disposta ai sensi dell’art. 240 c. p. la confisca della documentazione sequestrata dal C.F.S. di Chieti in data 6.6.2012, con definitiva allegazione al fascicolo processuale nonché, ai sensi degli artt. 322-ter e 640-quater c. p., la confisca dei beni e delle disponibilità finanziarie dell’imputato fino all’ammontare di euro 110.000,00 già oggetto di sequestro preventivo disposto dal Gip del Tribunale di Lanciano in data 5.6.2013, eseguito dalla G. di F. di Lanciano in pari data. Va infatti respinta l’istanza di ulteriore sequestro avanzata dal P.M. alla luce della declaratoria di prescrizione della maggior parte degli episodi di truffa contestati al capo c1), sicché la somma confiscabile può essere determinata approssimativamente in relazione all’ammontare delle somme residue dei periodi non coperti da prescrizione, sulla base del seguente calcolo: euro 313.000,00 totale somma dovuta, diviso per 6 annualità dal 2005 al 2010 (vds. reversali d’incasso), uguale 52.166,66 euro, moltiplicato per 2 annualità non coperte da prescrizione, uguale euro 104.333,33 euro ancora dovuti.
Alla luce della condanna va altresì accolta la domanda di risarcimento del danno, patrimoniale e non patrimoniale, avanzata dal Comune di LUOGO, costituitosi parte civile in relazione al danno sofferto, sia a causa del mancato introito delle somme dovute dall’esecuzione dell’attività estrattiva condotta dalla S.A.D poi SOCIETA’ s.r.l., sia del danno cagionato all’ambiente e alla bellezza naturale del territorio comunale nel quale ricade il sito della cava “Ristretta”: in difetto di elementi sufficienti alla sua esatta quantificazione, l’imputato e la società SOCIETA’ s.r.l. vanno condannati in solito al risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede dinanzi al Giudice civile, tuttavia va posto a carico dei medesimi il pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva pari a euro 110.000,00 quantificata sulla base delle somme ancora dovute in relazione alle condotte criminose sub capo c1) non ancora coperte dalla prescrizione penale.
Alla condanna segue altresì la refusione delle spese processuali in favore della parte civile costituita Comune di LUOGO, da porsi a carico dell’imputato e della SOCIETA’ s.r.l. in solido, che in applicazione dei criteri, dei parametri e delle riduzioni previste dal D.M. n. 55/2014 si liquidano nella somma di euro 4.000,00 a titolo di onorario ed euro 600,00 per spese forfettarie obbligatorie al 15%, oltre a Iva e Cpa come per legge.
§
Passando infine alla responsabilità amministrativa degli enti prevista dal D. Lvo n. 231/2001, oggetto della contestazione formulata nei confronti della società SOCIETA’ s.r.l. (subentrata alla PRIMA SOCIETA’ s.r.l. nella titolarità dell’autorizzazione mineraria in data 25.2.2009), in persona dell’attuale legale rappresentante, la stessa è correlata all’imputazione di cui al capo sub c1), in quanto la normativa prevede espressamente che l’ente risponda per l’illecito amministrativo dipendente dalla commissione di reati (art. 1), fra i quali appunto figura quello di truffa aggravata in danno dello Stato o di altro ente pubblico (art. 24).
Presupposto affinché anche l’ente risponda in via amministrativa è l’esistenza di un rapporto di carattere organico sussistente con la persona fisica autore dell’illecito penale e che esso sia stato commesso al fine di garantire un interesse illecito o un vantaggio a favore dell’ente (art. 5 comma 1°), mentre tale responsabilità non sussiste qualora la persona abbia agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi (comma 2° art. cit.).
Sulla base delle considerazioni svolte in precedenza, nella fattispecie in esame ricorrono tutti gli elementi previsti dalla legge, giacché è indubbio che la SOCIETA’ s.r.l. abbia perseguito ed ottenuto, a seguito del compimento delle condotte fraudolente contestate ad IMPUTATOnella sua qualità di legale rappresentante p. t. della società, un interesse proprio della società e non personale dell’agente, conseguendo il vantaggio economico costituito dalle rilevanti somme di denaro dovute e non versate al Comune di LUOGO.
Vi è stata in altre parole una completa immedesimazione organica fra il soggetto agente, odierno imputato, nella sua qualità di legale rappresentante all’epoca della condotta della SOCIETA’ s.r.l. (soggetto ricompreso fra quelli elencato alla lett. a) del comma 1° dell’art. 5 citato) e l’illecito penale commesso, che non costituisce un fatto isolato o fortuito del quale la società abbia tratto incidentalmente un vantaggio, bensì - attesa la natura dell’attività incriminata e le modalità della condotta - un fatto proprio di quest’ultima, attribuibile e riconducibile direttamente alla volontà della persona giuridica, che dev’essere quindi chiamata a risponderne in via amministrativa.
Di conseguenza la SOCIETA’ s.r.l., in persona dell’attuale legale rappresentante, va dichiarata responsabile ai sensi e per gli effetti dell’art. 24 comma 1° del D.Lvo n. 231/2001, con l’aggravante prevista dal comma 2° per avere l’ente conseguito un profitto di rilevante entità (pari a euro 313.000,00) ovvero per aver cagionato al Comune di LUOGO un corrispondente danno di particolare gravità, se si considera che, anche a seguito del mancato versamento degli introiti previsti, si è verificata una grave situazione finanziaria che ha costretto l’amministrazione del piccolo Comune, che evidentemente faceva affidamento sulle entrate economiche connesse alla riattivazione della cava “Ristretta”, a dichiarare il dissesto con Delibera del Consiglio Comunale n. 29 del 20.12.2015, pubblicata sulla G.U. il 27.1.2016.
Va tuttavia rilevato come anche gli illeciti amministrativi previsti dal D.Lvo n. 231/2001 siano soggetti alla prescrizione, posto che da un lato l’art. 22 comma 1° stabilisce che “le sanzioni amministrative si prescrivono nel termine di cinque anni dalla data di consumazione del reato” e, dall’altro, che l’art. 60 prevede che “non può procedersi alla contestazione di cui all’art. 59 quando il reato da cui dipende l’illecito amministrativo dell’ente è estinto per prescrizione”.
Per contro, possiede efficacia interruttiva la richiesta di rinvio a giudizio della persona giuridica, purchè sia intervenuta “entro 5 anni dalla consumazione del reato presupposto, in quanto atto di contestazione dell’illecito” giusta previsione di cui agli artt. 22 comma 2° e 3°e 59 comma 1° (Cass. Sez. II 15.12.2011 n. 10822; in senso conforme vds. Cass. Sez. VI 12.2.2015 n. 18257 che ha precisato che solo la notifica della richiesta di rinvio a giudizio, eseguita entro il predetto termine quinquennale, vale ad interrompere il corso della prescrizione “dovendo trovare applicazione, ai sensi dell’art. 11 primo comma, lett. r) Legge 29.9.2000 n. 300, le norme del cod. civ. che regolano l’operatività dell’interruzione della prescrizione”).
Nel caso in esame risulta che la richiesta di rinvio a giudizio è stata emessa dalla Procura della Repubblica di Lanciano in data 18.9.2013, sicché ai sensi dell’art. 67 D.Lvo n. 231/2001 va pronunciata sentenza di non doversi procedere nei confronti della SOCIETA’ s.r.l. in relazione agli illeciti amministrativi, connessi alle singole condotte di truffa aggravata di cui al capo c1) dell’imputazione poste in essere fino al 28.2.2008, in quanto gli stessi risultano estinti ex art. 22 comma 1° D.Lvo n. 231/2001 per intervenuta prescrizione quinquennale alla data di notifica della richiesta medesima, avvenuta successivamente al 18.9.2013.
Quanto invece ai restanti illeciti amministrativi non prescritti, vale a dire quelli correlati alle condotte penali di truffa commesse dal 12.1.2010 in poi, l’art. 24 comma 2° D.Lvo n. 231/2001 prevede che si applichi la sanzione pecuniaria da 200 a 600 quote: considerati i parametri e i valori di cui agli artt. 10 e 11 stesso Decreto, si stima congrua una sanzione pecuniaria pari a 200 quote, del valore di euro 300,00 ciascuna, per un importo complessivo pari a euro 60.000,00.
Vanno infine applicate nei confronti della SOCIETA’ s.r.l. le sanzioni interdittive previste dagli artt. 9 comma 2° lett. c), d) ed e) e 24 comma 3° D.Lvo n. 231/2001, vale a dire: 1) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere prestazioni di un pubblico servizio; 2) l’esclusione dalle agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi ovvero la revoca di quelli già concessi dalla pubblica amministrazione; nonché 3) il divieto di pubblicizzare beni o servizi, ciascuna per un periodo che si stima adeguato nella misura pari a mesi 6.
Ciò in quanto, ai sensi dell’art. 13 stesso Decreto, ricorre almeno una delle condizioni ivi previste e cioè: a) l’ente ha tratto dal commesso reato un profitto di rilevante entità (nella specie, pari a euro 313.000,00) e il reato è stato commesso da soggetto in posizione apicale (nella specie, da IMPUTATOall’epoca legale rappresentante dell’ente); b) vi è stata reiterazione dei reati presupposti, come risulta dalla contestazione formulata sub capo c1) ex art. 81 cpv. c. p.).
La complessità del giudizio e la natura dei reati in contestazione giustificano la fissazione del termine per il deposito della motivazione in giorni 60.
P.Q.M.
Il Tribunale di Lanciano in composizione monocratica
Visto l’art. 530 comma 1° c.p.p.
ASSOLVE
l’imputato suddetto dai reati di cui ai capi B) e C) della rubrica perché il fatto non sussiste;
Visto l’art. 531 c.p.p.
dichiara
non doversi procedere nei confronti dell’imputato suddetto in ordine al reato di cui al capo C1) in relazione ai fatti contestati fino alla data del 28.2.2008 per intervenuta prescrizione;
Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p.
dichiara
l’imputato suddetto colpevole dei reati a lui ascritti ai capi A), B1) e C1) della rubrica, quest’ultimo limitatamente alle condotte commesse dalla data del 12.1.2010 in poi e per l’effetto, ritenuta la continuazione fra gli stessi e considerato più grave il reato di cui al capo C1) lo condanna alla pena complessiva di anni 1 e mesi 6 di reclusione ed euro 1.200,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.
Visti gli artt. 165 c.p. e 181 comma 2° D. Lvo n. 42/2004
concede il beneficio della sospensione condizionale della pena subordinato alla remissione in pristino dello stato dei luoghi a spese dell’imputato, entro il termine di 1 anno dal passaggio in giudicato della sentenza e dispone che copia della sentenza venga trasmessa alla Regione Abruzzo e al Comune di LUOGO.
Visto l’art. 322-ter e 640-quater c. p.
dispone
la confisca dei beni e delle disponibilità finanziarie dell’imputato fino all’ammontare di euro 110.000,00 già oggetto di sequestro preventivo disposto dal Gip del Tribunale di Lanciano in data 5.6.2013, eseguito dalla G. di F. di Lanciano in pari data. Rigetta l’istanza di ulteriore sequestro avanzata dal P.M.
Visto l’art. 240 c.p.
dispone
la confisca della documentazione sequestrata dal C.F.S. di Chieti in data 6.6.2012 e la definitiva allegazione al fascicolo processuale.
Visti gli art. 60 e 67 D. Lvo n. 231/2001
dichiara
non doversi procedere nei confronti della SOCIETA’ s.r.l. per intervenuta prescrizione del reato presupposto di cui al capo C1) della rubrica, in relazione alle condotte commesse fino al 28.2.2008;
Visti gli artt. 10 e 24 comma 1° e 2° D. Lvo n. 231/2001
applica
nei confronti della SOCIETA’ s.r.l., in relazione alle condotte descritte al capo C1) della rubrica commesse dalla data del 12.1.2010 in poi, la sanzione pecuniaria pari a n. 200 quote, del valore di euro 300,00 ciascuna, per complessivi euro 60.000,00;
Visti gli artt. 9 comma 2° lett. c), d) ed e) e 13 D. Lvo n. 231/2001;
applica
nei confronti della SOCIETA’ s.r.l. a titolo di sanzioni interdittive per un periodo pari a mesi 6: 1) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere prestazioni di un pubblico servizio; 2) l’esclusione dalle agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi ovvero la revoca di quelli già concessi dalla pubblica amministrazione; nonché 3) il divieto di pubblicizzare beni o servizi.
Visti gli artt. 539 e 540 c.p.p.
condanna
l’imputato e la SOCIETA’ s.r.l. in solido al risarcimento del danno in favore della parte civile Comune di LUOGO, da liquidarsi in separata sede, nonché al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva pari a euro 110.000,00;
condanna
l’imputato e la SOCIETA’ s.r.l. in solido alla refusione delle spese processuali in favore della parte civile costituita che liquida in euro 4.000,00 per onorario ed euro 600,00 per spese forfettarie, oltre a Iva e Cpa come per legge.
Riserva il deposito della motivazione in giorni 60.
Così deciso in Lanciano il 4.2.2016
Il Giudice
dott. Andrea Belli