Cass. Sez. III n. 39517 del 29 agosto 2017 (Cc 20 lug 2017)
Presidente: Savani Estensore: Di Nicola Imputato: Iuliano ed altri
Beni Culturali. Reato di esportazione illecita di beni culturali
Eccezion fatta per i beni culturali inesportabili per i quali vige il divieto assoluto di trasferimento definitivo all'estero, non è soggetta ad autorizzazione esclusivamente l'uscita delle cose di cui all'articolo 11, comma 1, lettera d), ossia delle opere di pittura, di scultura, di grafica e qualsiasi oggetto d'arte di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni, a termini degli articoli 64 e 65, comma 4. Tuttavia, per tali opere, l'interessato ha l'onere di comprovare al competente ufficio di esportazione che le cose da trasferire all'estero sono opera di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni, secondo le procedure e con le modalità stabilite con decreto ministeriale (articolo 65, comma 4).
RITENUTO IN FATTO
1. È impugnata l'ordinanza con la quale il tribunale della libertà di Imperia ha respinto il ricorso proposto per l'annullamanto del decreto di sequestro probatorio emesso in data 4 luglio 2016 dal pubblico ministero per il reato previsto dall'articolo 174 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
2. Per l'annullamento dell'impugnata ordinanza i ricorrenti, tramite il comune difensore di fiducia, articolano un unico complesso motivo di impugnazione, qui enunciato ai sensi dell'articolo 173 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
Con esso deducono l'erronea applicazione e/o violazione della legge penale nonché la manifesta illogicità e carenza della motivazione (articolo 606, comma l, lettere b) ed e), del codice di procedura penale), in relazione al fumus commissi delicti ed in particolare in relazione all'interesse culturale sotteso a ciascun bene sequestrato.
Sostengono come l'impugnata ordinanza sia assolutamente priva di motivazione riguardo al fumus criminis ipotizzato dal Pubblico Ministero (trasferimento all'estero di beni culturali o di interesse culturale senza attestato di libera circolazione - art. 174 d.lgs. n. 42 del 2004), sul rilievo che il Tribunale del Riesame di Imperia (così come il Pubblico Ministero nei decreti di convalida del sequestro operato dai Carabinieri di Ventimiglia) non ha reso alcuna motivazione sulla possibile esistenza, nei beni sequestrati, dei requisiti ai quali la legge ricollega, per l'uscita di un bene dal territorio nazionale, l'obbligo di ottenere dalle competenti autorità il rilascio dell'attestato di libera circolazione.
Assumono che le cose in sequestro non costituiscono propriamente "beni culturali" sebbene richiedano, per il loro trasferimento, un attestato di libera circolazione, cosicché non si comprende quali siano gli elementi dai quali ritenere probabile che i beni sequestrati (complessivamente 212 oggetti di diversa specie e fattura) siano tutti di interesse culturale, di autore non più vivente e di esecuzione risalente ad oltre cinquanta anni (requisiti che devono sussistere cumulativamente affinché possa identificarsi un oggetto come bene che richiede l'attestato di circolazione).
Aggiungono che l'obbligo di ottenere l'attestato di libera circolazione (presupposto della configurabilità del reato ipotizzato) riguarda ciascuna singola cosa nella propria specificità, posto che il reato di cui all'art. 174 d.lgs. n. 42 del 2004 si perfeziona con l'illecito trasferimento di singoli beni, con la conseguenza che non si comprende per quale motivo il tribunale del Riesame abbia ritenuto
sufficiente, a giustificare e motivare la legittimità del sequestro di ciascun singolo bene, una valutazione meramente complessiva dei beni stessi e delle loro caratteristiche.
Ne consegue che una motivazione fondata, come nel caso in esame, su una valutazione complessiva non può che considerarsi assolutamente carente ovvero meramente apparente eludendo gli obblighi motivazionali relativi al fumus commissi delicti ed incorrendo l'ordinanza impugnata anche nel vizio di violazione di legge denunciato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
l. ricorsi sono inammissibili per manifesta infondatezza.
2. L'articolo 174 d.lgs. n. 42 del 2004 punisce l'uscita dal territorio nazionale e l'esportazione illecite di beni culturali, incriminando la condotta di chi trasferisce all'estero cose di interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale o archivistico, nonché quelle indicate all'articolo 11, comma l, lettere f), g) e h), senza attestato di libera circolazione (se il trasferimento avviene nei paesi comunitari) o licenza di esportazione (se il trasferimento è previsto verso paesi extracomunitari).
L'incriminazione si pone in continuità normativa con la scelta tradizionale dell'ordinamento penale italiano di proibire l'uscita di beni culturali dal territorio dello Stato senza l'autorizzazione da parte del Ministero dei Beni Culturali.
Le disposizioni contenute nel capo quinto, parte seconda, del Codice dei beni culturali e del paesaggio, dedicato alla «circolazione in ambito internazionale», dettano le regole per la disciplina amministrativa del trasferimento all'estero dei beni culturali e definiscono l'ambito di operatività della fattispecie penale incriminatrice, che a tale corpus normativa rinvia, secondo una tripartizione che considera:
l) i beni culturali assolutamente inesportabili (l'articolo 65, primo e secondo comma, rinviando alla descrizione dei beni indicati nell'articolo 10, primo, secondo e terzo comma, d.lgs. n. 42 del 2004, stabilisce il divieto di uscita definitiva di beni culturali dal territorio della Repubblica, ad eccezione delle opere d'arte appartenenti ad autori viventi o realizzate non oltre i cinquant'anni
antecedenti);
2) i beni la cui uscita è sottoposta ad autorizzazione (l'articolo 65, terzo comma, include in tale categoria le «cose, a chiunque appartenenti, che presentino interesse culturale, e siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquant'anni»;
3) i beni liberamente esportabili (l'articolo 65, quarto comma, include in tale categoria l'arte contemporanea, cioè le opere di pittura, di scultura, di grafica e qualsiasi oggetto d'arte di autore vivente o la cui esecuzione non risalga a oltre cinquant'anni).
La norma incriminatrice (articolo 174) punisce non la violazione del divieto di esportazione ma - a monte - il trasferimento all'estero di cose per le quali non sia stato ottenuto l'attestato di libera circolazione (per il trasferimento verso paesi comunitari) o la licenza di esportazione (per il trasferimento verso paesi extracomunitari) e, dunque, punisce l'esportazione non accompagnata dal provvedimento autorizzatorio di uno dei beni indicati dalla norma, a prescindere dal fatto che "l'autorizzazione" possa essere in concreto rilasciata.
Ne consegue che, sussistendo la qualità di bene culturale e mancando l'attestato richiesto o la necessaria licenza, è di tutta evidenza la configurabilità del reato indipendentemente dalla produzione di un danno al patrimonio artistico nazionale, posto che l'articolo 174 non richiede, per i casi di esportazione non autorizzata, che vi sia «... un danno per il patrimonio storico ed artistico nazionale» (locuzione invece presente nell'articolo 35, della legge 1 giugno 1939, n. 1089 e nell'articolo 65, d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490), poiché l'elencazione dei beni da tutelare è sufficientemente dettagliata nelle tipologie normative di
riferimento ed il danno è perciò presunto.
Pertanto, eccezion fatta per i beni culturali inesportabili per i quali vige il divieto assoluto di trasferimento definitivo all'estero, non è soggetta ad autorizzazione esclusivamente l'uscita delle cose di cui all'articolo 11, comma 1, lettera d), ossia delle opere di pittura, di scultura, di grafica e qualsiasi oggetto d'arte di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni, a termini degli articoli 64 e 65, comma 4.
Tuttavia, per tali opere, l'interessato ha l'onere di comprovare al competente ufficio di esportazione che le cose da trasferire all'estero sono opera di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni, secondo le procedure e con le modalità stabilite con decreto ministeriale (articolo 65,
comma 4).
3. Ne deriva che, inosservato l'onere posto a carico dell'interessato con riferimento all'unica categoria di beni di interesse culturale esportabili senza autorizzazione, costituisce grave indizio del delitto di cui all'articolo 174 de decreto legislativo n. 42 del 2004 il trasferimento all'estero, senza "autorizzazione", di beni culturali, perché, in difetto di attestato o di licenza, i beni culturali o di interesse culturale, secondo le definizioni datene dal codice del 2004, non possono neppure essere presentati alla dogana essendo l'esportazione illegittima e punita dall'art. 174 d.lgs. n. 42 del 2004, con la specificazione che la fattispecie di reato, di cui al primo comma dell'articolo 174, si consuma con l'uscita dei beni su indicati dal territorio nazionale senza il prescritto provvedimento autorizzatorio, essendo invece configurabile il delitto tentato nel caso in cui siano poste in essere condotte idonee e dirette in modo non equivoco all'esportazione di beni culturali, senza che vi sia stata l'uscita di essi dai confini
nazionali.
In ogni caso, la gravità indiziaria, che colpisce ogni singolo bene, fatte salve le successive verifiche dirette ad accertare la sussistenza per ogni singola cosa del possesso della qualifica giuridica di "bene culturale", legittima ampiamente il sequestro probatorio, per la cui adozione non sono peraltro necessari i gravi indizi di colpevolezza ma è sufficiente che esistano elementi tali da far configurare l'esistenza di un reato e la sussistenza di una relazione necessaria fra la cosa oggetto del sequestro ed il reato stesso (Sez. 3, n. 19766 del 25/02/2003, Conventi, Rv. 224882).
Nel caso in esame, come gli stessi ricorrenti ammettono e come risulta anche dal testo del provvedimento impugnato, la direttrice dell'Ufficio esportazione della Sovrintendenza, presa visione degli oggetti in sequestro (stimati per un valore complessivo tra 800mila e un milione di euro), li ha valutati, nella loro complessità, come beni che "presentano interesse culturale" e come "opera di autore non più vivente la cui esecuzione risale ad oltre cinquanta anni", pervenendo alla conclusione che, per l'uscita di tali beni dal territorio nazionale, fosse necessario l'attestato di libera circolazione, siccome destinati al trasferimento in un paese comunitario.
I ricorrenti, che hanno inosservato l'onere posto dalla legge a loro carico di comprovare il possesso di beni culturali esportabili senza autorizzazione, obiettano che la natura di bene culturale rientrante nel paradigma descrittivo della fattispecie incriminatrice dovrebbe essere posseduta da ogni singola cosa caduta in sequestro ma omettono di considerare che, per consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione, il Tribunale, in sede di riesame del sequestro probatorio, è chiamato a verificare l'astratta configurabilità del reato ipotizzato, valutando il "fumus commissi delicti" in relazione alla congruità degli elementi rappresentati, non già nella prospettiva di un giudizio di merito sulla fondatezza dell'accusa, ma con riferimento alla idoneità degli elementi su cui si fonda la notizia di reato a rendere utile l'espletamento di ulteriori indagini per acquisire prove certe o ulteriori del fatto, non altrimenti esperibili senza la sottrazione del bene all'indagato o il trasferimento di esso nella disponibilità dell'autorità giudiziaria (ex multis, Sez. 3, n. 15254 del 10/03/2015, Previtero,
Rv. 263053).
Ed è quanto ha correttamente ritenuto il tribunale della libertà, sussistendo, nel caso di specie e per quanto in precedenza esposto, sia il fumus criminis e sia le esigenze probatorie, che gli stessi ricorrenti praticamente invocano, essendo le
uniche necessarie per confermare o escludere la qualità di bene culturale di ogni
singola opera in sequestro.
4. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che i ricorsi debbano essere dichiarati inammissibili, con conseguente onere per i ricorrenti, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che ciascun ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2000 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 20/07/2017