Cassazione Sez.V sent. 8045 del 2 marzo 2005
Presidente Providenti – relatore Marini
Pg Fratialli – ricorrente Battaglia
L'accesso ad un canile per procedere ad una ispezione da parte di un rappresentante di una associazione locale di tutela degli animali non configura il reato di violazione di domicilio sanzionato dall'articolo 614
c.p. Costituisce dovere dei responsabili di canili pubblici e privati consentirne l'accesso con le modalità prescritte
La Corte osserva:
Battaglia Biagio ricorre, a mezzo del difensore, avverso la sentenza in epigrafe, confermativa del di lui giudizio di colpevolezza per violazione di domicilio - sub specie di ingresso con l inganno in un canile dì proprietà di una cooperativa, nonché di esservisi trattenuto contro l’espressa volontà del gestore (fatti commessi il 21 ottobre 1997 in Chiaramente Gulfi, provincia di Ragusa) - pronunciato in data 13 maggio 2002 dal tribunale di Ragusa, peraltro sostituita la pena originaria di un mese di reclusione con la multa di euro 1.162,03 e revocato il beneficio della sospensione condizionale.
Il ricorrente denuncia, con un primo motivo, erronea disapplicazione dell’articolo 2 Cp, ovvero illogicità di motivazione, con riferimento all’articolo13 legge regionale della Sicilia 19/2000, nella parte in cui è stato istituzionalizzato il dovere dei dirigenti dei canili di consentire l’ispezione di tali strutture ai responsabili delle associazioni animalisti; l’articolo, che negherebbe uno ius excludendi dei dirigenti dei canili a fronte della richiesta ispettiva, sarebbe stato ignorato nella erronea considerazione che la norma non integrerebbe il precetto penale e, conseguentemente, applicabile retroattivamente la normativa, il Battaglia, responsabile locale della lega antivivisezione, avrebbe dovuto essere assolto.
Con un secondo motivo il ricorrente censura la disapplicazione dell’attenuante dì cui all’articolo 62 n.1 Cp, in relazione ai particolari valori morali e sociali che si sarebbero dovuti riconoscere nella finalizzazione della condotta alla ispezione del canile ed a tutela degli animali ivi ricoverati.
Il ricorso è fondato nel primo ed assorbente motivo.
Premesso, invero, che non è in discussione la concreta qualificazione della visitata struttura della cooperativa Maia, un canile, come luogo di privata dimora (quale ambiente destinato all’esplicazione di una attività lavorativa privata, secondo la più ampia accezione accolta dalla giurisprudenza di legittimità proprio in tema di reato ex articolo614 Cp), deve in effetti ritenersi l’astratta applicabilità alla fattispecie della sopravvenuta norma regionale invocata dal ricorrente.
Nel novero delle norme integratrici della legge penale, cui è applicabile il principio di retroattività della legge più favorevole ex articolo 2 comma 3 Cp, infatti, debbono ricomprendersi, invero, tutte quelle che intervengano nell’area di rilevanza penale di un fatto umano, escludendola, riducendola o comunque modifìcandola in senso migliorativo per l’agente; e, ciò, quand’anche la nuova norma non rechi testuale statuizione in tal senso ma, comunque, regoli significativamente il fatto in termini incompatibili con la precedente disciplina penalistica ovvero incidenti, per il nuovo caso regolato, nella struttura della norma incriminatrice o, quanto meno, sul giudizio di disvalore in essa espresso.
Nella specie, l’articolo13 comma 3 della legge della regione Sicilia 19/2000 - rubricata come “apertura al pubblico dei rifugi sanitari e dei rifugi per il ricovero” - ha previsto che i rifugi sanitari e i rifugi per il ricovero devono consentire, senza bisogno di speciali procedure o autorizzazioni, l’accesso dei responsabili dei locali delle associazioni protezionistiche o animaliste per il controllo della gestione della struttura”; tale norma (inserita in una legge diretta alla tutela degli animali da affezione ed alla prevenzione del randagismo) ha dunque istituzionalizzato, con l’espressione “devono consentire“, l’inopponibilità dello jus excludendi, da parte dei gestori dei rifugi sanitari pubblici e dei rifugi per il ricovero degli animali costituiti ed organizzati ai sensi degli articoli 11 e 12 della stessa legge), all’accesso dei responsabili locali delle associazioni protezionistiche o animaliste intesi al controllo della gestione delle strutture.
In tali termini, la legge ha ricondotto a piena legittimità l’accesso di particolari soggetti, per finalità ispettive e “senza bisogno di speciali procedure o autorizzazioni”, alle strutture pubbliche (rifugi sanitari) e private (rifugi per il ricovero), negando radicalmente, in tali ipotesi, un diritto ad exc1udendum in capo al titolare delle strutture e rilevanza, dunque, ad ogni effetto, alla volontà contraria, espressa o tacita, alla condotta dell’introdursi o del trattenersi da parte dell’agente, ove la condotta sia finalizzata al controllo della gestione “pubblica o privata”; e, in definitiva, annullando, in tali specialissime fattispecie, il disvalore penale rispetto al tatto commesso, in quanto viene a mancare uno degli elementi costitutivi della condotta punibile.
La sopravvenuta norma regionale, pertanto, ha regolato una specifica condotta - presentante connotazioni, oggettivamente e soggettivamente, del tutto peculiari- incidendo significativamente, per tali singole ipotesi, sulla norma penale a tutela dei luoghi “di privata dimora”, sì da rendersi riconducibile nell’ambito dì applicazione dell’articolo 2 Cp.
Nel caso in esame, peraltro, non risulta chiaramente, né dal testo delle sentenze di merito. né dal capo di imputazione - che. pure, enuncia in capo all’imputato una “falsa intenzione di prendere in affidamento un cane” ed in realtà una finalità ispettiva falsamente rappresentata come “autorizzata” (producendo una comunicazione inidonea, in tal senso, del comune di Modica) - la sicura riconducibilità della condotta del Battaglia alla finalità di controllo della gestione della struttura della cooperativa Maia né, ed ancor prima, che l’imputato rivestisse la qualifica di responsabile di una associazione protezionistica o animalista.
Consegue che (assorbito il secondo motivo in punto di pena), tale accertamento investendo un apprezzamento tipico del giudizio di merito, l’impugnata. sentenza deve essere annullata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Catania per nuovo esame.
PQM
La Corte, annulla la sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Catania per nuovo esame.