REPUBBLICA
ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 2401
del 2002
, proposto dalla REGIONE LOMBARDIA, in persona del Presidente della Giunta
Regionale in carica
, rappresentata
e difesa
dagli avv.ti Alberto Colombo e Federico Tedeschini
, elettivamente domiciliata
presso lo studio del secondo
in Roma, L.go Messico n. 7,
contro
l’Associazione Lega Abolizione della Caccia (LAC)
, in persona del Presidente pro-tempore, rappresentata
e difesa
dagli avv.ti Claudio
Linzola e Giuseppe Ramadori
, elettivamente domiciliata
presso lo studio del secondo
in Roma, Via M. Prestinari n. 13
,
e nei confronti
della Provincia di Brescia
, in persona del Presidente pro-tempore, rappresentata
e difesa
dall’avv. Francesco Storace
, elettivamente domiciliata
presso lo studio di questi
in Roma, Via Crescenzio n. 20
;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia,
Milano, Sez. I,
n. 2163
del 13 marzo 2001
.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della LAC
e della Provincia di Brescia;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno
delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 10 dicembre
2002
il Cons. Giuseppe Minicone;
Uditi gli avv.ti Tedeschini, Ramadori e Storace
;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto
quanto segue:
FATTO E DIRITTO
1. Con quattro successivi ricorsi proposti negli
anni 1997, 1998, 1999 e 2000, l’Associazione Lega Abolizione della Caccia (LAC)
impugnava, innanzi al Tribunale amministrativo regionale della
Lombardia, le deliberazioni con le quali la Regione Lombardia, in prossimità
delle stagioni venatorie 1997/98, 1998/99, 1999/00 e 2000/01, aveva autorizzato
le province ad effettuare catture di uccelli da richiamo per
l’esercizio della caccia, in quantità di volta in volta determinate, con
impianti gestiti dalle province stesse sotto il controllo dell’Istituto
nazionale della fauna selvatica (INFS).
2. Il giudice adito, con la sentenza in epigrafe,
riuniti i quattro ricorsi, ha dichiarato improcedibili i primi tre per
sopravvenuto difetto di interesse, avendo gli atti con essi impugnati ormai
esaurito i propri effetti, mentre ha accolto, per quanto di ragione, il quarto,
relativo alla autorizzazione per l’attivazione di 67 impianti di cattura, per
la stagione venatoria 2000/2001.
2.1. Premesso che la direttiva comunitaria 2
aprile 1979 n. 409 vieta, all’art. 8, il ricorso a qualsiasi mezzo, impianto,
metodo di cattura in massa o non selettivo, consentendo, al successivo art. 9,
in deroga a tale divieto, “in condizioni rigidamente controllate e in modo
selettivo la cattura, la detenzione o altri impieghi misurati di determinati
uccelli in piccole quantità”, purché “non vi siano altre soluzioni
soddisfacenti”, il T.A.R., disattesi altri profili di doglianza, ha ritenuto
che, nel caso di specie, non fosse stato esaurientemente dimostrato che non vi
erano altre soluzioni idonee a soddisfare l’esigenza della cattura del numero
di uccelli da richiamo prefissato.
2.2. In particolare, l’affermazione contenuta
nella deliberazione impugnata, circa l’impossibilità di utilizzare il sistema
alternativo dell’allevamento, “in quanto non vi sarebbero allevatori esperti
per le specie oggetto di cattura”, risulterebbe, ad avviso del primo giudice,
smentita, fin dal 1996, dall’INFS, che menziona la pratica dell’allevamento
come ormai consolidata tra gli stessi cacciatori, e tale smentita troverebbe
conferma in una nota ufficiale della Provincia di Bergamo, dalla quale si desume
che questa sola Provincia è in grado di coprire, con allevamento, il 62% dei
merli, il 69% del tordo bottaccio, il 30% del tordo sassello e il 16% della
cesena.
2.3. La circostanza, poi, che l’Istituto
anzidetto dichiari che tali allevamenti non sono sufficienti a coprire i
quantitativi richiesti dalle singole amministrazioni, comporterebbe solo,
secondo il T.A.R., che debba essere fatta, da parte della Regione, una opportuna
istruttoria per determinare, di volta in volta, il fabbisogno effettivo, sulla
base (come prescrive lo stesso Istituto), per ciascuna Provincia, del numero dei
cacciato
ri, dei richiami vivi detenuti da questi ultimi, dei richiami vivi
provenienti
da allevamento e delle richieste di richiami.
2.4. Sotto questo profilo la deliberazione
impugnata sarebbe carente, perché non darebbe affatto conto della possibilità
di far ricorso agli allevamenti, né metterebbe in atto misure idonee ad
incrementarli, così scoraggiando la possibilità di pervenire a quei metodi
alternativi soddisfacenti, richiesti dalla normativa comunitaria.
2.5. Non sarebbe, infine, giustificata
l’autorizzazione, contro il parere dell’INFS, di impianti (Lecco, Como,
Varese, Milano e Mantova) per contingenti inferiori alla soglia di 4 catture
giornaliere.
3. Le anzidette argomentazioni resistono alle
doglianze mosse, con il presente gravame, dalla Regione; doglianze ribadite,
anche, dalla Provincia di Brescia, costituitasi in giudizio per appoggiarne le
ragioni, ma contrastate dall’Associazione appellata.
4. Va premesso, innanzi tutto, che nessuna censura
viene mossa contro il capo di sentenza con il quale il T.A.R. ha ritenuto
illegittima l’autorizzazione di impianti per contingenti di cattura inferiori
alla soglia media di almeno quattro unità giornaliere, onde, per tali impianti,
limitatamente alle indicate province di Lecco, Como, Varese, Milano e Mantova,
la decisione di annullamento non appare suscettibile di riforma.
5. Sostiene, per il resto, l’appellante, con il
primo mezzo di censura, che la contestata autorizzazione sarebbe stata
legittimamente adottata, alla luce della circostanza, confermata dall’INFS,
che gli allevamenti di uccelli non erano sufficienti a rendere disponibili le
specie consentite dalla legge per l’impiego come richiami vivi, nei
quantitativi richiesti dalle amministrazioni, giacché la normativa comunitaria
precluderebbe la deroga solo qualora siano presenti altre soluzioni, che
permettano di raggiungere il medesimo quantitativo consentito con il prelievo in
ambiente naturale.
5.1. La doglianza non merita di essere condivisa.
5.2. Ed invero, così argomentando, si viene a
sostenere che una qualunque carenza di specie di allevamento utilizzabili per
richiami vivi sia sufficiente a giustificare l’autorizzazione alla cattura di
tutti gli esemplari selvatici costituenti il fabbisogno di ciascuna provincia,
il che appare estraneo alla logica della normativa comunitaria, secondo la quale
la deroga al divieto di cattura di uccelli selvatici è consentita nei limiti
strettamente necessari per sopperire a necessità non altrimenti satisfattibili
(cfr., per un utile riferimento al riguardo, Corte Giust. CE, Causa n. 10/96,
Sent. del 12 dicembre 1996).
5.3. Correttamente, pertanto, il primo giudice ha
giudicato immotivata la determinazione, per l’anno 2000/2001, del numero di
esemplari catturabili, in assenza di qualunque istruttoria circa il fabbisogno
effettivo di ciascuna specie, mentre si rivela incomprensibile l’affermazione
dell’appellante, secondo la quale la sentenza comporterebbe una
disapplicazione totale della norma comunitaria, posto che la stessa prescrive
che il prelievo possa essere effettuato, appunto, nei limiti in cui non possa
ricorrersi al metodo alternativo dell’allevamento.
6. Le considerazioni di cui sopra consentono di
rilevare l’infondatezza anche del secondo motivo di appello, con cui la
Regione contesta la mancata considerazione, da parte del T.A.R., della
circostanza di fatto che la produzione degli allevatori era quasi interamente
rivolta al tordo bottaccio, posto che tale circostanza, da un lato, avrebbe
dovuto essere posta in evidenza in sede di motivazione del provvedimento
impugnato e non come supporto postumo allo stesso; dall’altro, è, comunque,
insufficiente, da sola, ad assolvere il provvedimento de quo dal vizio di
difetto di istruttoria riguardo a tutte le specie la cui cattura è stata
autorizzata.
7. Inconferente è, d’altra parte,
l’argomentazione dell’appellante, secondo la quale la cattura, in concreto,
autorizzata non eccederebbe il limite dei “pochi esemplari”, indicato dalla
normativa comunitaria, da valutarsi, ad avviso della Regione, in funzione dello
stato di conservazione della popolazione delle specie considerate, giacché, in
questa sede, non è in discussione il numero più o meno elevato, in assoluto,
di esemplari da catturare, ma la carente giustificazione dell’autorizzazione
alla cattura del numero (qual che ne sia l’entità) indicato nella
deliberazione impugnata.
8. Altrettanto inconferente è, infine, la
considerazione dell’istante che la mancata soddisfazione dell’interesse
venatorio finirebbe per favorire l’importazione illegale di richiami anche
dall’estero, giacché, in disparte l’incongruenza di porre a giustificazione
di un provvedimento illegittimo la potenziale prevenzione di una attività
illecita (da reprimersi con gli strumenti ad essa pertinenti), sta di fatto che
il vizio del provvedimento impugnato risiede, come si è detto, nel non aver
tenuto conto dei mezzi alternativi alla cattura, al fine di perseguire
correttamente, nell’ambito delle disposizioni vigenti, l’interesse venatorio
di cui sopra.
9. Per le considerazioni svolte, l’appello deve
essere respinto.
Le spese del grado di giudizio seguono la
soccombenza e sono liquidate, tenuto conto di tutti gli elementi del caso
concreto, nella misura di cui in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione VI), definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe, come
specificato in motivazione, lo respinge.
Condanna le parti soccombenti, al pagamento delle
spese e onorari del grado di giudizio, che liquida nella misura di Euro 3.000,00
(tremila/00), di cui Euro 2.000,00 (duemila/00) a carico della Regione Lombardia
ed Euro 1.000,00 (mille/00) a carico della Provincia di Brescia.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita
dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, addì 10 dicembre 2002
, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione VI) in Camera di
Consiglio, con l’intervento dei Signori:
Giorgio GIOVANNINI
Presidente
Sergio SANTORO
Consigliere
Chiarenza MILLEMAGGI COGLIANI
Consigliere
Giuseppe ROMEO
Consigliere
Giuseppe MINICONE
Consigliere Est.