Consiglio di Stato Sez.III n. 4411 del 26 giugno 2019
Caccia e animali.Danni da fauna selvatica
L'art. 26, l. 11 febbraio 1992, n. 157 prevede l'istituzione, a cura di ogni Regione, di un fondo "per far fronte ai danni non altrimenti risarcibili arrecati alla produzione agricola e alle opere approntate sui terreni coltivati e a pascolo dalla fauna selvatica, in particolare da quella protetta, e dell'attività venatoria..."; l’istituzione del fondo trova la sua giustificazione razionale nell'esigenza di non gravare l’Amministrazione di oneri indeterminati ed imprevedibili nel loro ammontare in relazione ad eventi che non sono ascrivibili a suoi comportamenti illegittimi, ma si collegano alla tutela di interessi superiori affidati alle sue cure, quale è quello alla protezione dell'ambiente naturale e, in particolare, della fauna selvatica (ormai non più res nullius ma appartenente al patrimonio indisponibile dello Stato in forza dell'art. 1, l. 27 dicembre 1977, n. 968, ora art. 1, l. n. 157 del 1992. La fattispecie prevista dal legislatore, indipendentemente dalla terminologia utilizzata, dà luogo non a un vero risarcimento danni bensì al ristoro di un pregiudizio economico subito dall’agricoltore tramite indennizzo, espressione di solidarietà civica per i danni causati da fauna selvatica e quindi da animali che soddisfano il godimento dell’intera collettività
Pubblicato il 26/06/2019
N. 04411/2019REG.PROV.COLL.
N. 10601/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10601 del 2018, proposto dalla Azienda Agricola San Lorenzo Società Cooperativa e dalla Azienda Agricola Balducci Patrizia, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dall’avvocato Maurizio Discepolo presso il cui studio in Roma, via Conca D’Oro n. 184/191, sono elettivamente domiciliate,
contro
la Regione Marche, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Andrea Del Vecchio presso il cui studio in Roma, viale Giulio Cesare n. 71, è elettivamente domiciliata, nonché
nei confronti
dell’Ambito Territoriale di Caccia Ancona 1, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;
dell’Ambito Territoriale di Caccia Ancona 2, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Giovanni Fattorini e Daniele Carmenati e con questi elettivamente domiciliato in viale Mazzini, n. 1 presso lo studio dell’avvocato Giovanni Fattorini,
per la riforma
della sentenza del Tar Marche n. 352 del 4 maggio 2018, che ha respinto il ricorso proposto per l’annullamento della Delibera di Giunta regionale n. 309 del 3 aprile 2017, con la quale è stata revocata la Delibera di Giunta regionale n. 730/2016, avente ad oggetto “Danni da fauna selvatica. Disposizioni”.
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Marche;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Ambito Territoriale di Caccia Ancona 2;
Vista la memoria depositata dalla Regione Marche il 20 maggio 2019;
Vista la memoria depositata dall’appellante il 20 maggio 2019;
Vista la memoria depositata dall’Ambito Territoriale di Caccia Ancona 2 il 4 febbraio 2019;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 giugno 2019 il Cons. Giulia Ferrari e uditi per le parti gli avvocati, come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Le appellanti sono imprenditori agricoli e titolari di aziende agricole che operano nei territori della Regione Marche. Coltivano superfici di terreno che si estendono dai 100 ai 1.000 ettari e l'invasione degli ungulati provoca ingenti danni.
Hanno impugnato dinanzi al Tar Marche la Delibera di Giunta regionale n. 309 del 3 aprile 2017, con la quale è stata revocata la Delibera di Giunta regionale n. 730/2016, avente ad oggetto “Danni da fauna selvatica. Disposizioni” – che qualificava i danni da fauna selvatica alle produzioni agricole come extracontrattuale e quindi non soggette alla regola del de minimis – ed è stato stabilito che, per gli anni 2013-2015, valgono le disposizioni contenute nella Delibera di Giunta n. 103 del 15 febbraio 2016; quest’ultima ha applicato il regime “de minimis” per l’erogazione degli aiuti in favore degli imprenditori che hanno subito danni dalla fauna selvatica prevedendo, in particolare, un plafond massimo di 15 mila euro nell'arco di un triennio per tutti gli aiuti concessi dallo Stato ad ogni singola azienda agricola.
La Delibera di Giunta n. 103 del 2016 era già stata oggetto di impugnazione, da parte delle appellanti insieme ad altre aziende agricole, con il ricorso n. 297/2016, respinto dal Tar Marche con sentenza 20 novembre 2017, n. 871, confermata dalla sez. III del Consiglio di Stato con sentenza n. 394 del 16 gennaio 2019.
2. L’adito Tar Marche, con sentenza n. 352 del 4 maggio 2018, ha respinto anche il ricorso proposto per l’annullamento della Delibera di Giunta regionale n. 309 del 3 aprile 2017.
3. Con appello notificato il 4 dicembre 2018 e depositato il successivo 28 dicembre le due aziende agricole hanno impugnato la citata sentenza del Tar Marche n. 352 del 2018 deducendo:
a) Errata interpretazione ed applicazione dell'art. 8, l. reg. Marche n. 37 del 2016 in relazione al primo motivo di ricorso (violazione sotto più profili della l. n. 157 del 1992 - Violazione e falsa applicazione art. 26, l. reg. n. 7 del 1995 – Illegittimità nella forma dell'eccesso potere per contraddittorietà manifesta rispetto a precedenti determinazioni della stessa amministrazione. Eccesso di potere per difetto di motivazione, irrazionalità manifesta.
La Regione Marche, di fatto, presumibilmente al fine di evitare di incorrere in eventuali sanzioni per il caso in cui fosse ipotizzata la riconducibilità di tale normativa ad una qualche forma di aiuto di Stato, ha ritenuto di applicare in via del tutto arbitraria il regolamento "de minimis" nel settore dell’agricoltura anche ai danni arrecati dagli animali selvatici. Ciò senza valutare alcuna ulteriore soluzione ragionevole a difesa degli agricoltori ed, in ogni caso, in spregio delle prescrizioni contenute nel Regolamento UE n. 1408/13.
b) Elusione del secondo motivo del ricorso (violazione di legge e in particolare dell'art. 21-quinquies, l. n. 241 del 1990 e dei principi in materia di revoca degli atti amministrativi. Eccesso di potere per difetto di presupposto, per difetto di istruttoria, per contraddittorietà e per logicità manifesta. Difetto assoluto di motivazione.
La delibera impugnata stessa non reca alcun riferimento esplicito alla sussistenza di un interesse pubblico, concreto e attuale, ritenuto idoneo a giustificare, appunto, la revoca del provvedimento amministrativo, né viene indicato sulla base di quali riscontri fattuali e su quale rivalutazione degli interessi pubblici la Regione Marche ha inteso disporre la revoca della Delibera n. 730 del 2016, basata sull'autorevole parere allegato alle delibera e redatto dai legali incaricati dalla stessa Regione, che hanno motivatamente riconosciuto come "il risarcimento dei danni da fauna selvatica non può essere considerato aiuto di Stato".
4. Si è costituita in giudizio la Regione Marche, che ha preliminarmente eccepito il difetto di interesse delle appellanti sul rilievo che la revoca impugnata, stante la portata circoscritta, non recherebbe alcuna lesione, mentre nel merito ha sostenuto l’infondatezza dell’appello.
5. Si è costituito in giudizio l’Ambito Territoriale di Caccia Ancona 2, che ha sostenuto l’infondatezza, nel merito, dell’appello.
6. L’Ambito Territoriale di Caccia Ancona 1 non si è costituito in giudizio.
7. Alla pubblica udienza del 20 giugno 2019 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. La controversia all’esame del Collegio ha ad oggetto la Delibera di Giunta regionale n. 309 del 3 aprile 2017, con la quale è stata revocata la Delibera di Giunta regionale n. 730 del 2016, avente ad oggetto “Danni da fauna selvatica. Disposizioni”, che qualificava i danni da fauna selvatica alle produzioni agricole come extracontrattuale e quindi non soggette alla regola del de minimis con la previsione di un plafond massimo di 15 mila euro nell'arco di un triennio per tutti gli aiuti concessi dallo Stato ad ogni singola azienda agricola.
L’atto in autotutela si era reso necessario perché con gli artt. 3 e 4, l. reg. Marche n. 37 del 2016 è stata modificata la precedente normativa recata dalla l. reg. n. 7 del 1995, stabilendo che gli Ambiti Territoriali di Caccia (A.T.C.) siano tenuti a risarcire, con risorse proprie, i danni arrecati alle produzioni agricole dalla fauna selvatica.
Ai sensi dell’art. 8 di detta legge, la modificazione ha prodotto effetti con decorrenza dall’1 gennaio 2016, con conseguente necessità di applicare, anche per gli anni 2013-2015, la regola del de minimis dettata dalla delibera n. 103 del 2016.
2. L’infondatezza dell’appello consente al Collegio di prescindere dall’esame dell’eccezione di carenza di interesse sollevata dalla Regione Marche sul rilievo che la revoca impugnata, facendo riferimento alle risorse provenienti dagli Ambiti, associazioni private, si palesa idonea ad evitare l’obbligo del rispetto della regola del “de minimis” avversato dalle controparti.
L’appello è infatti infondato, alla luce dei principi espressi dalla Sezione nella recente sentenza n. 394 del 16 gennaio 2019, che – nell’affermare la natura indennitaria e non risarcitoria dei finanziamenti erogati per ovviare ai danni causati dalla selvaggina – ha confermato la legittimità della delibera della Giunta della Regione Marche n. 103 del 2016.
Giova premettere che l'art. 26, l. 11 febbraio 1992, n. 157 prevede l'istituzione, a cura di ogni Regione, di un fondo "per far fronte ai danni non altrimenti risarcibili arrecati alla produzione agricola e alle opere approntate sui terreni coltivati e a pascolo dalla fauna selvatica, in particolare da quella protetta, e dell'attività venatoria..."; l’istituzione del fondo trova la sua giustificazione razionale nell'esigenza di non gravare l’Amministrazione di oneri indeterminati ed imprevedibili nel loro ammontare in relazione ad eventi che non sono ascrivibili a suoi comportamenti illegittimi, ma si collegano alla tutela di interessi superiori affidati alle sue cure, quale è quello alla protezione dell'ambiente naturale e, in particolare, della fauna selvatica (ormai non più res nullius ma appartenente al patrimonio indisponibile dello Stato in forza dell'art. 1, l. 27 dicembre 1977, n. 968, ora art. 1, l. n. 157 del 1992) (Cass. civ., S.U., 29 settembre 2000, n. 1050; Cons. St., sez. III, 26 agosto 2016, n. 3707).
La fattispecie prevista dal legislatore, indipendentemente dalla terminologia utilizzata, dà luogo non a un vero risarcimento danni bensì al ristoro di un pregiudizio economico subito dall’agricoltore tramite indennizzo, espressione di solidarietà civica per i danni causati da fauna selvatica e quindi da animali che soddisfano il godimento dell’intera collettività (Cass. civ., S.U. 29 novembre 2000, n.1232 e 10 agosto 2000, n. 559). Hanno chiarito le Sezioni Unite della Cassazione (22 ottobre 2014, n. 22348) che “nel caso di danni alle colture provocati dalla fauna selvatica in zone di ripopolamento e cattura, il proprietario delle aree ha diritto ad un contributo a titolo di indennizzo, non predeterminato e comunque stabilito entro un tetto massimo, nei limiti delle disponibilità del relativo fondo regionale, e non al risarcimento dell'intero danno, in quanto, essendo la protezione della fauna selvatica un ‘valore’, non si è in presenza di un risarcimento del danno da ‘fatto illecito’, ma di una misura indennitaria frutto del bilanciamento tra i contrapposti interessi, parimenti meritevoli di tutela, della collettività al ripopolamento faunistico e dei coltivatori alla preservazione delle loro attività”.
Ne consegue che il primo giudice ha correttamente rilevato come impropriamente il legislatore statale abbia impiegato il termine ‘risarcimento’, trattandosi, al contrario di un mero indennizzo correlato, da un lato, alle esigenze di pubblico interesse connesse alla tutela, anche in attuazione di obblighi internazionali, della fauna selvatica, e, dall'altra, all'assenza di ogni profilo di illegittimità nella condotta dell'amministrazione peraltro tenuta al ristoro in osservanza di un obbligo di solidarietà che impone di non sacrificare a dette esigenze i contrapposti interessi del proprietario o conduttore del fondo, i quali sono riconosciuti con norme di azione che lasciano all'amministrazione margini di discrezionalità.
Tali principi sono stati avallati anche dalla Corte costituzionale nella sentenza 4 gennaio 2001, n. 4 laddove ha ritenuto “giustificato, in relazione all’art. 3 Cost., il regime di maggior favore che il legislatore ha voluto riservare agli imprenditori agricoli con il meccanismo degli indennizzi di cui alla l. n. 157 del 1992”.
Ne consegue che, come ricordato dalla citata sentenza della Sezione n. 394 del 2019, costituisce ormai jus receptum in giurisprudenza il riconoscimento della natura meramente indennitaria dei contributi erogati per il ristoro dei danni derivanti dalla fauna selvatica e l’insussistenza dell’obbligo di corrispondere ai danneggiati l’integrale ristoro dei danni patiti.
Ha aggiunto la Sezione che sussistono tutti i presupposti per la qualificazione dell’indennizzo come aiuto di Stato soggetto ad obbligo di notifica alla Commissione europea, pena l’illegittimità del contributo ed il conseguente obbligo di restituzione (oltre all’applicazione della clausola c.d. Deggendorf che vieta l’erogazione di aiuti di Stato ad imprese che devono restituire precedenti aiuti giudicati illegali ed incompatibili con le norme del Trattato da parte della Commissione).
Ne consegue che la scelta operata dalla Regione Marche di optare per il regime del “de minimis” risulta immune da vizi.
La conferma della correttezza delle conclusioni alle quali è pervenuta la Sezione si rinviene nella Nota della Commissione Europea, Direzione Generale Agricoltura e Sviluppo Rurale, n. Ref. Ares(2017)5463163 del 9 novembre 2017, secondo cui gli indennizzi concessi dagli organi di gestione degli ATC con risorse trasferite loro dalla Regione costituiscono aiuti di Stato e pertanto devono essere concessi in conformità delle norme de minimis o notificati alla Commissione a norma dell’articolo 108, paragrafo 3, del TFUE”.
3. Anche il secondo motivo di appello non è suscettibile di positiva valutazione perché, contrariamente a quanto assume parte appellante, il giudice di primo grado ha esaminato il rilievo e lo ha respinto alla luce del condivisibile assunto che è sufficiente il richiamo alla decorrenza della novella dettata dagli artt. 3 e 4, l. reg. Marche n. 37 del 2016 a supportare la revoca della delibera di Giunta n. 730 del 2016.
4. Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c.. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati, infatti, dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.
5. In conclusione, per i suesposti motivi, l’appello va respinto e va, dunque, confermata la sentenza del Tar Marche n. 352 del 4 maggio 2018, che ha respinto il ricorso di primo grado.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza),
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l'appellante al pagamento, in favore della Regione Marche e dell’Ambito Territoriale di Caccia Ancona 2, delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano in € 1.500,00 (euro millecinquecento/00) a favore di ciascuna Amministrazione costituita.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 giugno 2019 con l'intervento dei magistrati:
Franco Frattini, Presidente
Massimiliano Noccelli, Consigliere
Paola Alba Aurora Puliatti, Consigliere
Stefania Santoleri, Consigliere
Giulia Ferrari, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Giulia Ferrari Franco Frattini