TAR Lombardia (BS) Sez. I n. 1309 del 11 ottobre 2016
Caccia e animali.Strutture destinate alla ospitalità di cani
Un limite ai poteri regolatori comunali è costituito dai principi comunitari e nazionali (v. art. 1 del DL 24 gennaio 2012 n. 1) che tutelano l’iniziativa economica dei privati. La tutela riguarda in particolare l’attività di pensione canina, la quale, a differenza dei canili-rifugio, non corrisponde all’esercizio di funzioni pubbliche. Si tratta in effetti di normale attività economica, essenzialmente libera. Le norme che prevedono l’autorizzazione comunale devono pertanto essere interpretate in modo restrittivo. Più precisamente, l’autorizzazione non può diventare lo strumento per contingentare l’attività di pensione canina svolta dalle strutture zoofile, né per introdurre limitazioni soggettive a proposito dei gestori. I canili-rifugio possono invece essere contingentati, ma solo nel senso che l’amministrazione, qualora non intenda costituire un canine comunale, può individuare un’unica struttura zoofila (o pensione canina) alla quale attribuire le funzioni pubblicistiche di canile-rifugio, con i conseguenti corrispettivi economici.
Pubblicato il 11/10/2016
N. 01309/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00646/2015 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 646 del 2015, proposto da:
ROSETTA FACCIOLO, rappresentata e difesa dall'avv. Santo Maugeri, con domicilio ex art. 25 cpa presso la segreteria del TAR in Brescia, via Zima 3;
contro
COMUNE DI PIEVE D'OLMI, rappresentato e difeso dall'avv. Marzia Soldani, con domicilio eletto presso la segreteria del TAR in Brescia, via Zima 3;
per l'annullamento
- dell’ordinanza dirigenziale n. 5 del 30 dicembre 2014, con la quale è stato ingiunto lo sgombero dei cani presenti nella struttura denominata Cascina Borlenghetta;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Pieve D'Olmi;
Viste le memorie difensive;
Visti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 luglio 2016 il dott. Mauro Pedron;
Uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Considerato quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. Il Comune di Pieve D'Olmi, con ordinanza dirigenziale n. 5 del 30 dicembre 2014, ha ingiunto alla ricorrente Rosetta Facciolo e ad altri soggetti lo sgombero entro 60 giorni dei cani presenti nella struttura denominata Cascina Borlenghetta, situata in via Tidolo.
2. L’ordinanza si basa su due presupposti: (i) la qualificazione dell’attività svolta dalla ricorrente come struttura zoofila non autorizzata (v. art. 9 comma 2 del RR 5 maggio 2008 n. 2; art. 116 della LR 30 dicembre 2009 n 33); (ii) l’incompatibilità urbanistica, essendo la struttura classificata come edificio con destinazione extra-agricola in ambito agricolo storico.
3. Contro il suddetto provvedimento la ricorrente, in qualità di locataria dell’immobile, ha presentato impugnazione con atto notificato il 6 marzo 2015 e depositato il 2 aprile 2015. La tesi del ricorso è che i cani ospitati sarebbero di proprietà della ricorrente, ricevuti in adozione, e dunque non vi sarebbe alcuna struttura zoofila né un canile-rifugio. La ricorrente sostiene, in definitiva, di aver semplicemente predisposto degli alloggiamenti per i suoi cani.
4. Il Comune si è costituito in giudizio, chiedendo la reiezione del ricorso.
5. Tra la documentazione prodotta dal Comune il 17 aprile 2015 vi sono alcune relazioni del Distretto Veterinario di Cremona, dalle quali emerge che (a) i 19 cani individuati nel corso del sopralluogo dell’11 aprile 2013 erano in buone condizioni di salute e ospitati in spazi idonei, e (b) la struttura della ricorrente è in realtà pubblicizzata su Internet come centro di recupero per animali (“Fattoria di San Rocco”).
6. Sempre in data 17 aprile 2015 il Comune ha inoltre depositato alcuni articoli giornalistici che riferiscono di un accordo tra il Comune di Miglionico (in Basilicata) e la Lega Nazionale per la Difesa del Cane (sede di Cremona) riguardante il trasferimento e l’ospitalità di cani randagi e problematici presso la struttura in questione (sarebbe stato previsto un contributo una tantum pari a € 73.000 e una quota di € 811,11 a cane).
7. Questo TAR, con ordinanza n. 665 del 28 aprile 2015, ha parzialmente accolto la domanda cautelare, sospendendo l’ordine di sgombero degli animali presenti, ma solo nella prospettiva della regolarizzazione della struttura.
8. Nella memoria depositata in data 1 giugno 2016 il Comune ha evidenziato che non è stata presentata alcuna domanda di autorizzazione, e che continua la pubblicità del centro di recupero per animali su Internet e sui giornali locali. Il Comune ha inoltre allegato la relazione dei Carabinieri del NAS di Cremona datata 29 settembre 2015 e il verbale di perquisizione della struttura datato 24 settembre 2015 (relativo a un procedimento penale aperto nei confronti della ricorrente e di un’altra persona dalla Procura della Repubblica di Cremona). Dalla relazione emergono le seguenti informazioni: (a) alla data del 24 settembre 2015 il numero dei cani ospitati era salito a 29; (b) la struttura non dispone di un sistema di gestione dei reflui canini (che apparentemente vengono convogliati in un canale di scolo), mentre le deiezioni canine sono smaltite come rifiuti solidi urbani; (c) l’impianto elettrico della struttura si presenta in precarie condizioni, con fili volanti; (d) l’approvvigionamento idrico avviene tramite un pozzo non autorizzato; (e) in alcuni locali vi sono cedimenti strutturali, e una tettoia è in cemento-amianto; (f) manca un ambiente per il lavaggio e la disinfezione delle attrezzature, e mancano inoltre i locali amministrativi e tecnici per le ordinarie attività di una struttura zoofila.
9. La Provincia di Cremona, con nota del dirigente del Settore Agricoltura del 16 febbraio 2016, ha comunicato alla ricorrente che la derivazione di acqua pubblica per uso non domestico non è consentita, e dunque il pozzo deve essere chiuso, oppure regolarizzato tramite apposita richiesta di autorizzazione ex art. 8 del RR 24 marzo 2006 n. 2.
10. Il Comune, con nota del sindaco del 5 marzo 2016, ha nuovamente invitato la ricorrente a mettere in sicurezza il fabbricato, e a inoltrare il documento di valutazione circa lo stato di conservazione della tettoia in cemento-amianto.
11. Così riassunta la vicenda contenziosa e i suoi sviluppi, sulle questioni rilevanti ai fini della decisione si possono svolgere le seguenti considerazioni, riprendendo e integrando quanto anticipato in sede cautelare.
Sulle tipologie di strutture che ospitano animali
12. Occorre distinguere, ai poli opposti, due tipologie di strutture: i canili-rifugio, che svolgono una funzione pubblica, affidata mediante convenzione a cooperative sociali o associazioni di volontariato (v. art. 114 comma 3 della LR 33/2009), e le pensioni canine, che svolgono invece un’attività imprenditoriale esclusivamente privata (v. TAR Brescia Sez. I 12 gennaio 2016 n. 28).
13. In posizione intermedia si trovano le strutture zoofile, senza scopo di lucro, le quali ospitano gli animali ceduti dai canili-rifugio (v. art. 9 comma 2 del RR 2/2008), ma possono anche operare come pensioni canine.
14. Il limite intrinseco allo svolgimento dell’attività di pensione canina da parte di un’associazione di volontariato è costituito dal rispetto delle finalità statutarie, che prevedono la rinuncia allo scopo di lucro. Tuttavia, non si può ritenere illegittimo che un’associazione di volontariato finanzi la parte di attività priva di scopo di lucro (ossia la gestione degli animali provenienti dai canili-rifugio) mediante attività commerciali (come la pensione canina), purché sia rispettato il regime fiscale proprio di ciascuna delle suddette attività, le quali devono quindi essere separatamente tracciabili.
15. Del resto, anche la cura degli animali provenienti dai canili-rifugio può legittimamente prevedere un corrispettivo o un contributo economico da parte dei comuni che trasferiscono gli animali, sempre sotto condizione di piena tracciabilità fiscale.
Sull’attività svolta dalla ricorrente
16. Nello specifico, l’attività svolta dalla ricorrente è inquadrabile nello schema della struttura zoofila, con un’offerta di servizi che sembra variare dall’accoglienza di cani provenienti dal canile-rifugio a forme di pensione canina. Possono essere interpretate in questo senso le informazioni del Comune sopra riportate, e in particolare il numero di animali ospitati (evidentemente incompatibile con il semplice possesso di alcuni animali di affezione), la complessità della struttura, l’accordo con il Comune di Miglionico, e l’utilizzo di forme di pubblicità rivolte ai potenziali utenti.
17. Si pone quindi il problema dell’individuazione delle regole alle quali l’attività della ricorrente deve conformarsi.
Sull’autorizzazione comunale
18. Una struttura zoofila non è legata a un preciso comune, e dunque può stipulare accordi con una pluralità di amministrazioni. Questi accordi devono però rispettare i limiti imposti dall’autorizzazione del comune competente per territorio (v. art. 116 della LR 33/2009).
19. L’autorizzazione (preceduta dal parere della ASL) ha un duplice contenuto, da un lato di natura veterinaria (e, più in generale, igienico-sanitaria) e dall’altro di natura urbanistica. Le prescrizioni veterinarie riguardano tutti gli aspetti dell’attività relativi al benessere animale, mentre quelle urbanistiche assicurano il coordinamento con gli strumenti di pianificazione. L’autorizzazione deve inoltre verificare il rispetto del regolamento locale di igiene (qualora contenga norme specifiche su queste strutture), e può formulare prescrizioni dirette a prevenire molestie in danno dei fondi vicini.
20. Un limite ai poteri regolatori comunali è costituito dai principi comunitari e nazionali (v. art. 1 del DL 24 gennaio 2012 n. 1) che tutelano l’iniziativa economica dei privati. La tutela riguarda in particolare l’attività di pensione canina, la quale, a differenza dei canili-rifugio, non corrisponde all’esercizio di funzioni pubbliche. Si tratta in effetti di normale attività economica, essenzialmente libera.
21. Le norme che prevedono l’autorizzazione comunale devono pertanto essere interpretate in modo restrittivo. Più precisamente, l’autorizzazione non può diventare lo strumento per contingentare l’attività di pensione canina svolta dalle strutture zoofile, né per introdurre limitazioni soggettive a proposito dei gestori. I canili-rifugio possono invece essere contingentati, ma solo nel senso che l’amministrazione, qualora non intenda costituire un canine comunale, può individuare un’unica struttura zoofila (o pensione canina) alla quale attribuire le funzioni pubblicistiche di canile-rifugio, con i conseguenti corrispettivi economici.
Sulla conformità urbanistica
22. La medesima impostazione favorevole alle attività economiche vale anche ai fini urbanistici. In particolare, deve essere applicato alle strutture zoofile il principio della libertà delle destinazioni d’uso non espressamente vietate (v. art. 51 della LR 11 marzo 2005 n. 12). Un eventuale divieto sarebbe infatti legittimo solo se corrispondesse a un interesse pubblico sovraordinato, puntualmente descritto. In mancanza di un simile interesse, non è legittima l’esclusione generalizzata di questo tipo di strutture dalle zone agricole, le quali al contrario rappresentano, per vocazione naturale, l’ambito territoriale dove meglio possono inserirsi le attività coinvolgenti un elevato numero di animali.
23. Di conseguenza, quando nella disciplina urbanistica non vi siano specifiche norme ostative (la cui legittimità dovrebbe comunque essere valutata come detto sopra), si deve ritenere sempre ammissibile l’apertura in zona agricola di strutture zoofile, come pure di canili-rifugio e di pensioni canine, il cui peso urbanistico non sia superiore a quello dell’attività di allevamento.
24. La compatibilità con la zonizzazione agricola non si traduce automaticamente in diritti edificatori, i quali restano sottoposti al potere regolatorio dell’amministrazione, ma consente comunque la realizzazione delle opere provvisorie riservate all’ospitalità degli animali, ad esempio recinti, gabbie e box (v. TAR Brescia Sez. I 8 marzo 2016 n. 346).
Sulla regolarizzazione
25. Come già evidenziato in sede cautelare, è necessario che la ricorrente chieda l’autorizzazione comunale, ed elimini tutte le criticità della struttura zoofila esistente (meglio descritte in corso di causa dal Comune, dalla Provincia e dai Carabinieri del NAS). In mancanza di regolarizzazione entro un termine ragionevole, il Comune è legittimato a ordinare la chiusura della struttura e a disporre lo sgombero degli animali ospitati.
26. Tenuto conto dei rischi di natura igienico-sanitaria e di quelli connessi al precario stato dei locali, nonché del tempo inutilmente trascorso, la procedura di regolarizzazione può essere accelerata secondo le seguenti scadenze:
(a) entro 60 giorni dal deposito della presente sentenza, la ricorrente ha l’onere di presentare la domanda di autorizzazione della struttura zoofila, corredandola di un progetto per la messa a norma dei locali e lo smaltimento dei reflui e dei rifiuti, e di una perizia veterinaria relativamente all’ospitalità e al trattamento degli animali;
(b) nel medesimo termine, la ricorrente è tenuta a chiedere alla Provincia la regolarizzazione del pozzo per l’approvvigionamento idrico. Dell’inoltro di tale richiesta dovrà essere data contestuale comunicazione al Comune;
(c) entro 30 giorni dal ricevimento degli atti sopra descritti, il Comune dovrà indire una conferenza di servizi, estesa a tutte le autorità competenti e alla stessa ricorrente, per esaminare il progetto della struttura zoofila e formulare eventuali prescrizioni integrative. In particolare, la conferenza di servizi stabilirà il cronoprogramma vincolante dei lavori di sistemazione, con facoltà di imporre lo spostamento temporaneo degli animali in altra sede. È parimenti compito della conferenza di servizi indicare il numero massimo di cani ospitabili nel rispetto delle norme sul benessere animale e senza pregiudizio per i proprietari confinanti;
(d) i lavori della conferenza di servizi dovranno concludersi entro 120 giorni dalla prima riunione, salvo proroghe motivate;
(e) qualora non venga presentata alcuna domanda di regolarizzazione, oppure qualora la ricorrente risulti inottemperante alle richieste istruttorie, ovvero non rispetti il cronoprogramma dei lavori, il Comune convocherà immediatamente una conferenza di servizi, estesa alle autorità competenti e alla ricorrente, per stabilire, in base alle circostanze, se concedere ancora una proroga o se disporre la chiusura definitiva della struttura. In questa seconda ipotesi, la conferenza di servizi stabilirà anche i tempi di sgombero degli animali e le eventuali modalità di intervento sostitutivo a spese della ricorrente.
Conclusioni
27. Il ricorso deve quindi essere parzialmente accolto, nel senso che il provvedimento oggetto di impugnazione viene annullato, ma contemporaneamente sono accertate, come sopra specificato, le condizioni a cui resta subordinata la prosecuzione dell’attività della ricorrente.
28. Il carattere parziale dell’accoglimento consente l’integrale compensazione delle spese di giudizio.
29. Il contributo unificato è a carico dell’amministrazione ai sensi dell’art. 13 comma 6-bis.1 del DPR 30 maggio 2002 n. 115.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando:
(a) accoglie parzialmente il ricorso, come specificato in motivazione;
(b) compensa le spese di giudizio;
(c) pone il contributo unificato a carico del Comune.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 13 luglio 2016 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Calderoni, Presidente
Mauro Pedron, Consigliere, Estensore
Alessio Falferi, Primo Referendario
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Mauro Pedron Giorgio Calderoni