Consiglio di Stato Sez. VI n. 3201 del 28 marzo 2023
Elettrosmog.Procedimento di autorizzazione

Sebbene le esigenze di semplificazione procedurale -particolarmente avvertite nella materia delle telecomunicazioni- abbiano giustificato la previsione di un procedimento unico, deputato all’installazione delle infrastrutture per impianti radioelettrici, nell’ambito del quale devono confluire anche le valutazioni edilizie senza che debba essere attivato un secondo autonomo procedimento edilizio, non sembra possa impedirsi la presentazione distinta di due istanze, una tesa (sul piano edilizio, urbanistico, ambientale e paesaggistico) ad ottenere l’autorizzazione alla realizzazione della sola infrastruttura, l’altra volta (in particolare, sul piano della tutela ambientale e della salute) a conseguire l’autorizzazione all’installazione dell’impianto di telecomunicazione ai fini del suo esercizio. Le esigenze di semplificazione procedurale tendono, infatti, a tutelare la posizione dell’operatore economico, evitando una moltiplicazione di procedimenti funzionali al conseguimento del medesimo risultato pratico, dato dall’esercizio di un impianto di telecomunicazione attraverso la realizzazione di una nuova infrastruttura portante. Qualora, invece, l’interesse imprenditoriale sia limitato alla previa realizzazione della sola infrastruttura, anche in ragione della tipologia di attività economica svolta dall’istante - circoscritta alla realizzazione di tali opere, da concedere successivamente in godimento ad altri operatori esercenti il servizio di telecomunicazione – non sembra possa precludersi la presentazione di un’istanza autorizzatoria riferita alla sola opera programmata. Ciò, da un lato, risponde ad un interesse meritevole di tutela dell’istante, di ottenere un titolo coerente con l’attività di impresa effettivamente svolta, dall’altro, non comporta alcun pregiudizio per l’interesse pubblico, occorrendo, comunque, valutarsi, nell’ambito di un successivo e tipico procedimento dall’uopo da avviare, anche i presupposti di assentibilità dell’impianto ai fini del suo esercizio.


Pubblicato il 28/03/2023

N. 03201/2023REG.PROV.COLL.

N. 07919/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7919 del 2019, proposto da
Bruno Terryn, Tielemans Wim, Berard Minniti Katia, Charrere Giuseppina, Canova Annunzio, Maino Nicoletta, Lancini Paolo, Di Cristofalo Mario, Pinza Fiorangela, Di Pietro Giuseppe Salvatore, Carlin Giorgio, Zanatto Ivano, Belloni Giovanna, Gabbi Tullio, Lancini Cinzia Roberta e Clusaz Pierina, rappresentati e difesi dagli avvocati Veronica Dini e Corrado Carrubba, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Sportello Unico degli Enti Locali della Valle d’Aosta (SUEL), Struttura Operativa per l'alta Valle del Servizio Associato dello Sportello Unico, non costituito in giudizio;
Ente Parco Nazionale Gran Paradiso, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Galata S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Marco Bellante e Luigi Ammirati, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Comune di Aymavilles, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Piercarlo Carnelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Regione Valle D'Aosta, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Valle D'Aosta n. 00011/2019, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Ente Parco Nazionale Gran Paradiso, di Galata S.p.A. e del Comune di Aymavilles;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 ottobre 2022 il Cons. Francesco De Luca e uditi per le parti gli avvocati Veronica Dini, Luigi Ammirati e Piercarlo Carnelli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Ricorrendo dinnanzi a questo Consiglio i Sig.ri Terryn, Tielemans, Minniti Berard, Charrere, Canova, Maino, Lancini, Di Cristofalo, Pinza, Di Pietro, Carlin, Zanatto, Belloni, Gabbi, Lancini e Clusaz, proprietari di immobili e terreni (edificabili) situati nella frazione di Sylvenoire, nel Comune di Aymavilles, appellano la sentenza n. 11 del 2019, con cui il Tar Valle d’Aosta ha rigettato il ricorso di primo grado, proposto dagli odierni appellanti, diretto ad ottenere l’annullamento del provvedimento del 12.3.2018 (e degli atti connessi) con cui lo sportello Unico degli Enti Locali della Valle d’Aosta (SUEL) ha autorizzato la società Galata s.p.a. a realizzare una struttura per radio telecomunicazioni su un terreno di proprietà comunale situato all’interno del Parco Nazionale Gran Paradiso.

In particolare, secondo quanto dedotto in ricorso:

- il 21 ottobre 2016, Galata s.p.a. ha presentato una domanda di avvio del procedimento unico ai sensi della L.R. Valle d’Aosta n°12/2011, per il rilascio dell’autorizzazione a realizzare una struttura per radio telecomunicazioni, destinata ad essere utilizzata quale postazione multioperatore;

- nell’ambito del procedimento così avviato, l’Ente Parco Nazionale Gran Paradiso ha reso un parere negativo, rilevando che l’ubicazione individuata si trovava ai margini dell’area protetta, in area a media pericolosità, caratterizzata anche dalla presenza di un fossato per la raccolta delle acque, ragion per cui ai fini precauzionali e di tutela del contesto ambientale, risultava opportuno individuare una localizzazione al di fuori dell’area protetta per evitare eventuali future problematiche connesse all’implementazione della stazione e alla sua manutenzione;

- nell’ambito della conferenza di servizi svoltasi in data 12 ottobre 2017, a fronte del dissenso manifestato dall’Ente parco, i rappresentanti dell’Amministrazione comunale intimata hanno evidenziato l’importanza strategica dell’impianto; la conferenza si è conclusa con la richiesta a Galata s.p.a. di presentare una nuova proposta progettuale che tenesse conto delle misure mitigatorie richieste dall’Ente Parco;

- l’operatore economico, a cavallo tra la fine del 2017 e l’inizio del 2018, ha presentato nuova documentazione progettuale asseritamente riferita alle sole mitigazioni visive dell’opera;

- l’Ente Parco, nonostante il precedente parere, si è espresso positivamente sul nuovo progetto a condizione che venissero adottate alcune misure finalizzate alla mitigazione visiva della base dell’impianto;

- il SUEL ha, così, rilasciato l’autorizzazione n. 115 del 12.3.2018;

- dopo avere diffidato le Amministrazioni competenti ad un riesame dell’atto autorizzativo, al fine di provvedere ad una diversa localizzazione dell’impianto, gli odierni appellanti hanno agito dinnanzi al Tar Valle d’Aosta, deducendo l’illegittimità del provvedimento n. 115/2018 cit.;

- il Tar ha rigettato il ricorso, ravvisando l’infondatezza delle doglianze attoree.

2. I ricorrenti in primo grado hanno appellato la pronuncia resa dal Tar, deducendone l’erroneità con l’articolazione di plurimi motivi di impugnazione.

3. L’Ente Parco Nazionale Gran Paradiso e il Comune di Aymavilles si sono costituiti in giudizio, resistendo all’appello. Parimenti, la società Galata s.p.a. ha depositato memoria di costituzione in giudizio, argomentando in ordine all’inammissibilità e all’infondatezza dell’appello.

4. In vista dell’udienza di discussione, gli appellanti e l’Amministrazione comunale hanno depositato nuovi documenti; le stesse parti e la società Galata hanno depositato memorie conclusionali.

In particolare, gli appellanti hanno ulteriormente argomentato a sostegno delle proprie censure anche attraverso la valorizzazione di consulenze tecniche di parte, mentre la società Galata ha richiamato le difese già svolte in sede di costituzione in giudizio e l’Amministrazione comunale ha eccepito l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza delle censure attoree.

Gli appellanti, il Comune di Aymavilles e la società Galata, infine, hanno replicato alle avverse deduzioni.

Nel rito, la società Galata (oggi Cellnex Italia s.p.a.) ha eccepito l’irritualità delle repliche depositate dagli appellanti, ritenute aventi natura di memoria conclusionale. Parimenti, l’Amministrazione ha contestato la violazione dei limiti dimensionali in relazione alla memoria conclusionale degli appellanti.

5. La causa è stata trattenuta in decisione nell’udienza pubblica del 13 ottobre 2022.

6. Preliminarmente, il Collegio è chiamato a statuire sulle eccezioni di rito riferite alle memorie depositate dagli appellanti in vista dell’udienza pubblica di discussione.

Le eccezioni, opposte dalla società Cellnex Italia e dall’Amministrazione comunale, sono infondate.

6.1 In primo luogo, si osserva che il superamento dei limiti dimensionali non determina l’inammissibilità dell’atto di parte.

Ai sensi dell'art. 3, comma 2, c.p.a., "Il giudice e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica, secondo quanto disposto dalle norme di attuazione": tali norme di attuazione (art. 13 ter, commi 1 e 5, dell'allegato 2 al c.p.a) prevedono che "Al fine di consentire lo spedito svolgimento del giudizio in coerenza con i principi di sinteticità e chiarezza di cui all'articolo 3, comma 2, del codice, le parti redigono il ricorso e gli altri atti difensivi secondo i criteri e nei limiti dimensionali stabiliti con decreto del presidente del Consiglio di Stato, da adottare entro il 31 dicembre 2016, sentiti il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, il Consiglio nazionale forense e l'Avvocato generale dello Stato, nonché le associazioni di categoria degli avvocati amministrativisti… 5. Il giudice è tenuto a esaminare tutte le questioni trattate nelle pagine rientranti nei suddetti limiti. L'omesso esame delle questioni contenute nelle pagine successive al limite massimo non è motivo di impugnazione".

Come precisato da questo Consiglio di Stato (sez. IV, 5 dicembre 2018, n. 6890; sez. V, 11 aprile 20018, n. 2190), la violazione dei limiti dimensionali previsti con decreto del Presidente del Consiglio di Stato, di per sé, non dà luogo ad un'ipotesi di inammissibilità dell'intero atto processuale, bensì comporta una degradazione della parte eccedentaria a contenuto che il giudice ha la mera facoltà di esaminare.

L'inammissibilità risulta, invece, predicabile nelle ipotesi in cui, per effetto della violazione del principio della chiarezza e della sinteticità espositiva, l'atto difetti di quei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento del suo scopo: in tali ipotesi, l'inammissibilità non discende, di per sé, dalla violazione del principio di sinteticità, ma dal difetto di intelligibilità dell'atto processuale, determinando la sua irragionevole estensione un'oscura esposizione dei fatti di causa o una confusa confutazione della sentenza gravata (Consiglio di Stato, sez. IV, 13 febbraio 2020, n. 1164).

Per l'effetto, pure dovendosi ribadire la rilevanza della sinteticità quale regola del processo amministrativo, strettamente funzionale alla realizzazione del giusto processo sotto il profilo della sua ragionevole durata ex art. 111 della Costituzione (Consiglio di Stato, sez. VI, ordinanza, 13 aprile 2021, n. 3006), la redazione di un atto eccedente i limiti dimensionali all'uopo imposti potrebbe ritenersi inammissibile, in conseguenza della violazione processuale in concreto riscontrabile (data dalla divergenza dell'atto dal parametro normativo di riferimento, come delineato dal combinato disposto dell'art. 3 c.p.a., dell'art. 13 - ter all. 2, c.p.a. e del decreto del Presidente del Consiglio di Stato recante i criteri e i limiti dimensionati per la redazione degli atti di parte), soltanto nelle ipotesi in cui l'eccessiva estensione dell'atto comprometta l'intellegibilità delle censure ivi svolte, in tale modo impedendo all'impugnazione di svolgere il proprio scopo tipico, di evitare il passaggio in giudicato della sentenza gravata.

L'applicazione di tali considerazioni al caso di specie esclude l'inammissibilità delle memorie di parte.

Al riguardo, deve infatti negarsi che le memorie siano inintelligibili, avendo le parti appellanti puntualmente ripercorso i fatti di causa, nonché contrapposto alle argomentazioni svolte dal Tar (in sede di memoria conclusionale) e ai rilievi operati dagli appellati (in sede di replica) specifiche deduzioni idonee a giustificare (nella prospettiva attorea) l’ammissibilità e la fondatezza dei motivi di impugnazione.

Residuerebbe, invece, la facoltà del Collegio di omettere l'esame delle questioni contenute nelle pagine eccedentarie rispetto al limite dimensionale massimo, non integrando una tale omessa pronuncia un error in procedendo suscettibile di formare oggetto di impugnazione (ex art. 13 ter, comma 5, all. 2, c.p.a).

Premesso che trattasi di mera facoltà - non essendovi un obbligo di omettere l'esame delle parti eccedentarie dell'atto processuale - si osserva, tuttavia, che nel caso di specie la numerosità e la complessità delle questioni poste con l’atto di appello giustificano, ai fini di una compiuta rappresentazione delle questioni componenti il thema decidendum, la disamina integrale anche degli atti processuali in contestazione.

6.2 Deve essere rigettata, altresì, l’eccezione di inammissibilità delle repliche depositate dagli appellanti.

Ai sensi dell’art. 73, comma 1, c.p.a, "le parti possono ... presentare repliche, ai nuovi documenti e alle nuove memorie depositate in vista dell'udienza, fino a venti giorni liberi".

Il disposto normativo ammette chiaramente la replica soltanto alle memorie depositate dalle controparti per l'udienza di discussione: l'oggetto della replica deve, infatti, restare contenuto nei limiti della funzione di contrasto alle difese svolte nella memoria conclusionale avversa, onde evitare che il deposito della memoria di replica si traduca in un mezzo per eludere il termine di legge per il deposito delle memorie conclusionali (Consiglio di Stato, sez. II, 30 settembre 2019, n. 6534).

Avuto riguardo al caso di specie, emerge che la società Cellnex e l’Amministrazione comunale hanno depositato memoria conclusionale, la prima richiamando le difese già svolte nell’atto di costituzione in giudizio, la seconda argomentando puntualmente in ordine all’infondatezza delle avverse deduzioni.

Per l’effetto, gli appellanti ben potevano replicare alle avverse deduzioni, quanto meno in ragione del deposito, da parte del Comune intimato, di una argomentata memoria conclusionale, incentrata su specifiche deduzioni suscettibili di essere confutate in sede di replica.

La società Cellnex, peraltro, è stata posta in condizione di prendere posizione sulle avverse repliche in udienza, in sede di discussione dell’appello, con conseguente mancata emersione di una violazione del diritto di difesa della parte intimata.

7. Ciò rilevato in ordine all’ammissibilità delle memorie depositate dagli appellanti in vista dell’udienza di discussione del ricorso, è possibile soffermarsi sulle censure impugnatorie.

8. L’appello, articolato in dieci motivi, è infondato; il che esime il Collegio dallo statuire sulle eccezioni di inammissibilità, opposte dall’Amministrazione comunale e dalla società Cellnex, riferite alle singole censure impugnatorie all’uopo proposte.

Difatti, le parti intimate non potrebbero trarre da un’ipotetica statuizione di inammissibilità del gravame un’utilità maggiore rispetto a quella discendente da una pronuncia di merito - di rigetto dell’appello - suscettibile di confermare, sul piano sostanziale, un assetto di interessi alle stesse favorevole.

9. Procedendo alla disamina dei singoli motivi, si osserva che i ricorrenti, prima di articolare le proprie doglianze, hanno svolto una premessa in ordine alle ragioni alla base dell’iniziativa giudiziaria.

Tale premessa, per lo più, è insuscettibile di introdurre questioni giuridiche delibabili nella presente sede, non recando una critica motivata alla sentenza gravata.

L'appello non configura infatti un novum iudicium ma una revisio prioris istantiae (tra gli altri, Consiglio di Stato, sez. IV, 3 febbraio 2020, n. 844), con la conseguenza che il thema decidendum su cui è chiamato a statuire il Collegio è definito, anziché dal ricorso dinnanzi al Tar, dal ricorso in appello, cui deve aversi riguardo al fine di garantire la corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

Per l'effetto, la parte appellante è chiamata a dedurre puntualmente i fatti costitutivi delle domande proposte in grado di appello, sia quale specifica critica delle sfavorevoli statuizioni rese dal primo giudice, sia mediante un'espressa riproposizione delle domande non esaminate in primo grado: il rinvio indeterminato agli atti di primo grado, senza alcuna precisazione ulteriore del loro contenuto, risulta, invece, inidoneo ad introdurre in giudizio questioni giuridiche esaminabili nel merito (trattandosi di una mera formula di stile insufficiente a soddisfare l'onere di espressa riproposizione ex art. 101, comma 2, c.p.a. - Cons. giust. amm. Sicilia, 30 aprile 2020, n. 2781).

Di conseguenza, lo svolgimento di una premessa ai motivi di impugnazione, nella parte in cui non reca una specifica censura alle argomentazioni del decisum di primo grado o una riproposizione espressa di doglianze non esaminate dal Tar, non consente di introdurre questioni esaminabili in sede di gravame.

Tale premessa non potrebbe comunque condurre alla riforma della sentenza impugnata neppure nella parte in cui è diretta ad una contestazione del generale difetto motivazionale inficiante la decisione del Tar.

Difatti, in ragione dell'effetto devolutivo proprio dell'appello, l'omessa pronuncia ovvero la contraddittorietà o l'erroneità della motivazione giudiziale non determinano l'annullamento con rinvio della sentenza gravata (non ricorrendo alcuna delle fattispecie di rimessione al primo giudice ex art. 105 c.p.a.), né comportano la riforma della pronuncia di prime cure, ammissibile soltanto ove si giunga ad un diverso esito della controversia.

Pure di fronte ad una omessa pronuncia ovvero ad una motivazione contraddittoria o erronea, occorre che il giudice ad quem verifichi se il contenuto dispositivo della decisione assunta dal Tar - nella specie di rigetto del ricorso - sia comunque corretto.

10. Sulla base di tali precisazioni è possibile soffermarsi sul primo motivo di appello, diretto a censurare il capo decisorio con cui il Tar ha escluso un difetto di motivazione inficiante il secondo parere dell’Ente Parco.

10.1 Secondo la prospettazione attorea, nella specie non sarebbe stata operata alcuna valutazione in merito alle localizzazioni alternative, sebbene tale esame fosse prescritto dalla normativa di riferimento e vi fossero ragioni concrete e rilevanti deponenti per una localizzazione diversa, pure tenuto conto delle criticità ambientali e sanitarie rappresentate dagli Enti di tutela ambientale e dai cittadini e della incompatibilità del progetto rispetto alla normativa tecnica di settore (DPCM 12.12.2005, Linee Guida MIBAC sulla relazione paesaggistica e DPR n. 31/2017 sempre in ordine alla relazione paesaggistica).

Parimenti, la decisione assunta dalla conferenza di servizi avrebbe dovuto essere puntualmente motivata: la discrezionalità delle valutazioni in esame non avrebbe potuto elidere l’obbligo motivazionale in capo alle Amministrazioni procedenti, tenuto conto anche che la rilevanza dei beni incisi (salute, ambiente, paesaggio) avrebbe richiesto una specifica rappresentazione delle ragioni alla base della decisione assunta.

Nel caso in esame l’Ente Parco, dopo avere espresso un parere negativo in data 8.9.2017, solo quattro mesi dopo, ha mutato il proprio avviso, sebbene le modifiche progettuali apportate dall’operatore economico riguardassero solo la mitigazione visiva dell’impianto e non la localizzazione contestata; parimenti, le prescrizioni poste dall’Ente Parco afferivano soltanto ai materiali da usare e al mascheramento dell’impianto.

10.2 Il motivo di appello è infondato.

Nel caso esaminato non risulta configurabile alcuna contraddittorietà dell’azione amministrativa: alla stregua di quanto emergente dalla documentazione di causa, deve, piuttosto, ravvisarsi una valutazione positiva del progetto dell’operatore economico resa all’esito di un’adeguata istruttoria e sulla base di una sufficiente motivazione, anche in ordine alle ragioni ostative ad una localizzazione alternativa dell’infrastruttura per cui è causa.

10.3 Preliminarmente, giova evidenziare come il provvedimento abilitativo impugnato in prime cure avesse ad oggetto esclusivamente la realizzazione di un’opera infrastrutturale, senza legittimare l’installazione dei relativi apparati trasmissivi, a tali fini occorrendo l’avvio e la positiva conclusione di un distinto procedimento, non rilevante ai fini della soluzione dell’odierna controversia.

10.3.1 Il provvedimento unico n. 115 del 12.3.2018 riguardava, in particolare, esclusivamente la realizzazione di una nuova struttura di radiotelecomunicazioni, consistente:

- in un palo in carpenteria metallica completo di scala di risalita avente altezza pari a 24 metri, oltre un pennone sommitale di altezza pari a 6 metri, con un’altezza complessiva della struttura porta antenne di 30 metri dal piano di calpestio;

- in un’area apparati, avente dimensioni pari a 5,00 x 3,00 metri, recintata attraverso listellatura in legno e con muri rivestiti in pietra strutturale;

- nella predisposizione per quadri elettrici di servizio;

- nella predisposizione dell’impianto elettrico per flussi telefonici e di m.a.t.;

- nella predisposizione del contatore rete elettrica.

Il titolo abilitativo in parola assentiva, dunque, soltanto la trasformazione edilizia del territorio (attraverso la realizzazione di una nuova opera infrastrutturale), come reso palese anche dal rinvio, operato nel provvedimento in parola, (altresì) al disposto dell’art. 59, comma 1, lett. c), L.R. n. 111/1998 in tema di titoli abilitativi “delle trasformazioni urbanistiche o edilizie”.

Ne deriva che le deduzioni attoree riguardanti possibili effetti lesivi discendenti dall’installazione degli apparati trasmissivi, così come le censure riferite all’ipotetica illegittimità della localizzazione di tali impianti – anche in ragione della prossimità alle abitazioni dei ricorrenti – non possono ritenersi rilevanti nella presente sede processuale, in cui si discorre del solo titolo edilizio per la realizzazione dell’infrastruttura, senza alcuna abilitazione all’installazione delle antenne radio o all’esercizio del servizio di telecomunicazione.

10.3.2 Né potrebbe anticiparsi nell’odierno giudizio una valutazione sulla legittimità di tale installazione di impianti trasmissivi, altrimenti incorrendosi nella violazione dell’art. 34, comma 2, c.p.a., che impedisce al giudice di pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati.

Pertanto, posto che, da un lato, il provvedimento impugnato in prime cure abilitava soltanto alla realizzazione dell’opera infrastrutturale, dall’altro, l’installazione degli impianti trasmissivi avrebbe dovuto formare oggetto di altro provvedimento autorizzativo, nel presente giudizio, in cui viene in rilievo soltanto il primo titolo abilitativo, non potrebbe statuirsi sulla sussistenza dei presupposti di installazione degli impianti di telecomunicazioni, da vagliare nell’esercizio di un potere (abilitativo dell’impianto e della fornitura del servizio di telecomunicazione) al tempo non ancora esercitato.

10.3.3 Non potrebbe neppure sostenersi che nella specie si sia addivenuto ad un’illegittima considerazione atomistica di questioni da esaminare complessivamente, nell’ambito di un unico procedimento teso all’autorizzazione dell’infrastruttura e dell’impianto di teletrasmissione.

Sebbene le esigenze di semplificazione procedurale -particolarmente avvertite nella materia delle telecomunicazioni- abbiano giustificato la previsione di un procedimento unico, deputato all’installazione delle infrastrutture per impianti radioelettrici, nell’ambito del quale devono confluire anche le valutazioni edilizie senza che debba essere attivato un secondo autonomo procedimento edilizio (art. 87 D. Lgs n. 259/2003, nella versione applicabile ratione temporis – Consiglio di Stato, sez. VI, 9 giugno 2021, n. 3019), non sembra possa impedirsi la presentazione distinta di due istanze, una tesa (sul piano edilizio, urbanistico, ambientale e paesaggistico) ad ottenere l’autorizzazione alla realizzazione della sola infrastruttura, l’altra volta (in particolare, sul piano della tutela ambientale e della salute) a conseguire l’autorizzazione all’installazione dell’impianto di telecomunicazione ai fini del suo esercizio.

Le esigenze di semplificazione procedurale tendono, infatti, a tutelare la posizione dell’operatore economico, evitando una moltiplicazione di procedimenti funzionali al conseguimento del medesimo risultato pratico, dato dall’esercizio di un impianto di telecomunicazione attraverso la realizzazione di una nuova infrastruttura portante.

Qualora, invece, l’interesse imprenditoriale sia limitato alla previa realizzazione della sola infrastruttura, anche in ragione della tipologia di attività economica svolta dall’istante - circoscritta alla realizzazione di tali opere, da concedere successivamente in godimento ad altri operatori esercenti il servizio di telecomunicazione (cfr. pag. 17 della memoria di costituzione, in cui la società Galata distingue correttamente l’attività della tower company, titolare dell’infrastruttura, da quella degli operatori telefonici, titolari degli impianti di telecomunicazioni) – non sembra possa precludersi la presentazione di un’istanza autorizzatoria riferita alla sola opera programmata.

Ciò, da un lato, risponde ad un interesse meritevole di tutela dell’istante, di ottenere un titolo coerente con l’attività di impresa effettivamente svolta, dall’altro, non comporta alcun pregiudizio per l’interesse pubblico, occorrendo, comunque, valutarsi, nell’ambito di un successivo e tipico procedimento dall’uopo da avviare, anche i presupposti di assentibilità dell’impianto ai fini del suo esercizio.

10.3.4 Non potrebbe, neppure, sostenersi che lo svolgimento di due procedimenti abilitativi (riferiti all’opera e all’impianto) comporti un sacrificio per la parte controinteressata, che ben potrebbe aggredire entrambi i titoli autorizzativi in sede giurisdizionale (eventualmente, anche attraverso la proposizione di motivi aggiunti in primo grado, stante l’unitarietà del rapporto amministrativo in contestazione), ottenendo, in caso di fondatezza delle proprie censure e al ricorrere dei presupposti di legge, la refusione economica delle spese di giudizio in concreto sostenute.

10.4 Sempre in via preliminare, giova precisare che il provvedimento impugnato in primo grado è stato assunto all’esito di un articolato procedimento, in cui si è effettivamente assistito ad un mutamento dell’avviso espresso dall’Ente Parco (circostanza valorizzata dagli appellanti anche ai fini della proposizione del primo motivo di impugnazione).

Come emerge dalla stessa descrizione operata dal provvedimento de quo, risulta che, a seguito della presentazione dell’istanza di parte:

- le Amministrazioni competenti si erano pronunciati favorevolmente rispetto alla realizzazione dell’opera, salvo l’avviso contrario espresso dall’Ente Parco Nazionale Gran Paradiso con nota n. 3759 dell’8.9.2017;

- per l’effetto, lo sportello unico procedente ha comunicato all’istante i motivi ostativi all’accoglimento della domanda autorizzativa (nota n. 21729 del 13.9.2017);

- la società istante ha chiesto la convocazione di apposita conferenza di servizi;

- lo sportello unico procedente ha convocato, per il giorno 12 ottobre 2017, una conferenza di servizi, per poter valutare i pareri acquisiti al fine di procedere in contraddittorio sulle motivazioni del diniego;

- nell’ambito della conferenza di servizi, il rappresentante dell’Ente Parco, per la revisione del parere, ha proposto che venisse presentata una nuova proposta progettuale, elaborata nel rispetto di talune prescrizioni al riguardo poste; le Amministrazioni partecipanti alla conferenza hanno concordato sulla richiesta all’operatore economico di una nuova proposta progettuale che tenesse conto delle misure mitigatorie poste dall’Ente Parco;

- l’istante ha presentato in data 20.12.2017 la nuova documentazione progettuale;

- le Amministrazioni competenti sin sono pronunciate favorevolmente sul nuovo progetto; anche l’Ente Parco, con nota n. 230 del 18.1.2018, ha autorizzato l’intervento ai sensi dell’art. 10 R.D.L. n. 1584/1922 convertito nella Legge 473/1925 e ai sensi dell’art. 13 L. n. 394/1991 prescrivendo il rispetto di talune condizioni;

- lo Sportello unico procedente ha, dunque, rilasciato il richiesto titolo abilitativo.

10.5 Sulla base di tali rilievi, emerge che l’Ente Parco ha mutato la propria posizione nel corso del procedimento, dapprima, esprimendo il diniego di nulla osta, successivamente chiedendo una nuova proposta rispettosa di specifiche prescrizioni e, infine, assentendo la nuova proposta subordinatamente al rispetto delle relative prescrizioni.

Un tale modus procedendi, diversamente da quanto dedotto dall’appellante, non risulta illegittimo, non essendo vietato dal quadro regolatorio di riferimento (profilo che verrà infra esaminato, in quanto specificatamente oggetto di altro motivo di impugnazione), né risultando privo di un’adeguata motivazione (profilo rilevante ai fini della disamina del primo motivo di appello).

Sotto tale ultimo aspetto, in particolare, il mutamento dell’avviso dell’Ente Parco non è idoneo ad integrare il vizio della contraddittorietà amministrativa, riscontrabile qualora, tra più atti successivi di un medesimo procedimento, emerga un contrasto inconciliabile, tale da far dubitare su quale sia l'effettiva volontà dell'Amministrazione (Consiglio di Stato, sez. V, 31 dicembre 2018, n. 7315).

Nella specie, invero, si percepiscono chiaramente dall’iter procedurale in concreto osservato le ragioni che hanno determinato l’Ente parco alla modifica dell’indirizzo precedentemente espresso.

10.5.1 In particolare, l’Ente Parco, con nota n. 6706 dell’8.9.2017, aveva espresso il proprio parere negativo, rilevando:

- la necessità di ottimizzare la localizzazione delle stazioni di radiotelecomunicazione, individuando un sito idoneo ad ospitare altri gestori; nella specie, tuttavia, oltre alla dichiarazione allegata al progetto sulla disponibilità del privato a fornire ospitalità ad altri gestori, non risultavano previsioni progettuali idonei a fare ritenere che il manufatto potesse costituire un sito di accorpamento di altri impianti - con particolare riguardo alla postazione carrellata installata d’urgenza a seguito dell’alluvione del 2000 – come previsto dalla L.R. n. 25/2005 in relazione alla pianificazione e concentrazione delle stazioni di teleradiocomunicazione;

- la necessità che le strutture per radiotelecomunicazioni, ai sensi dell’art. 6 bis, comma 3, L.R. n. 25/2005, non incidessero negativamente sulle aree naturali protette; nella specie, l’ubicazione individuata si trovava, a seguito dell’ultima revisione dei confini che aveva escluso un’ampia porzione intorno all’abitato di Sylvenoire, ai margini dell’area protetta, in area a media pericolosità, dove era presente un fossato per la raccolta delle acque, ragion per cui, a fini precauzionali e di tutela del contesto ambientale, risultava opportuno individuare una localizzazione al di fuori dell’area protetta per evitare eventuali future problematiche connesse all’implementazione della stazione e alla sua manutenzione.

Nel corso della conferenza di servizi del 12.10.2017, il rappresentante dell’Ente Parco ha illustrato le ragioni sottese al parere negativo, riguardanti sia l’esigenza di costituire un sito di accorpamento di altri impianti e, in particolare, in relazione alla postazione carrellata installata sul piazzale di Sylvenoire da parte della società Wind; sia della localizzazione della struttura al di fuori dell’area protetta.

I rappresentanti del Comune di Aymavilles, nell’ambito della stessa conferenza, di contro, hanno illustrato le ragioni sottese all’individuazione della posizione de qua, evidenziando che:

- la struttura rivestiva un’importanza strategica in relazione ai servizi di sicurezza per le frazioni alte del paese e per i servizi di protezione civile per i Comuni di Cogne e Aymavilles, in ragione dei gravi problemi nella trasmissione del segnale posti dall’attuale postazione carrellata;

- il sito di installazione era stato appositamente individuato mediante variante al PRG “e più precisamente mediante variante al PRG e più precisamente nella zona Ed4 denominata “siti per radiotelecomunicazioni”, risultando pertanto l’unica localizzazione possibile per il Comune”;

- la struttura sarebbe stata realizzata su un terreno di proprietà dell’Amministrazione Comunale così come previsto dalla lettera c), comma 5, art. 11 della L.R. n. 25/2005;

- la struttura sarebbe stata realizzata a monte della strada sterrata e arretrata rispetto al villaggio di Sylvenoire per non incorrere in problemi di superamento dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità di cui agli articoli 3 e 4 della vigente normativa nazionale in materia (D.P.C.M. 8 luglio 2003) e anche per un miglior mascheramento della visuale dell’antenna stessa essendo posizionata a ridosso di un bosco di alto fusto.

Parimenti, il rappresentante della società istante ha dato atto che la posizione risultava progettata per essere una postazione multi operatore, nonché che la società aveva già accettato le condizioni contenute nella convenzione ex art. 8 L.R. n. 25/2005 all’uopo da sottoscrivere, prima del rilascio del titolo autorizzativo, con l’Unité des Communes Valdôtaines Grand-Paradis

Tenuto conto di quanto rappresentato dal Comune e dall’operatore economico, il funzionario dell’Ente Parco ha proposto, ai fini della revisione del parere, che venisse presentata una nuova proposta progettuale.

In particolare, il rappresentante dell’Ente Parco, “sentite le ragioni del Comune e le rassicurazioni della società Galata spa propone per una revisione del parere che venga presentata una nuova proposta progettuale che tenga conto di quanto segue: “al fine della mitigazione del manufatto, la recinzione sia prevista a mascheramento degli armadi tecnici di attuale e futura installazione e sia realizzata in legno; le parti di muratura emergenti dal profilo del terreno siano rivestite in pietra strutturale con elementi di piccola pezzatura, a corsi non regolari e a giunti arretrati; nello specifico, tale soluzione dovrà conformarsi a quella adottata nei siti di teleradiocomunicazioni già installati; sia mantenuto in efficienza il fossato esistente per la raccolta delle acque; la posizione carrellata presso il villaggio di Sylvenoiure sia smantellata contestualmente all’attivazione della nuova postazione. Per quanto riguarda il periodo di cantiere, si concorda sul parere espresso dal Servizio Aree protette, relativamente al divieto di effettuare lavorazioni rumorose nel periodo marzo-luglio. L’inerbimento delle scarpate sia previsto con l’impiego di miscugli di semi di specie localmente presenti”.

In conclusione, in sede di conferenza di servizi si è deciso che la società Galata avrebbe dovuto presentare presso lo Sportello Unico una nuova proposta progettuale che tenesse conto delle misure mitigatorie richieste dall’Ente Parco Nazionale Gran Paradiso; all’esito, il SUEL avrebbe inoltrato all’Ente Parco il nuovo progetto per la revisione del parere di competenza e simultaneamente avrebbe inviato lo stesso agli altri Enti che si erano espressi sul progetto per consentire di statuire sulle modifiche apportate.

Con nota n. 70 del 4.1.2018 lo Sportello Unico degli Enti Locali ha trasmesso all’Ente Parco, all’Amministrazione comunale di Aymavilles e ai competenti Dipartimenti regionali la nuova documentazione progettuale presentata dalla società Galata, chiedendo all’Ente Parco il rilascio dell’autorizzazione ex art. 10 RDL n. 1584/1922 (convertito nella L. n. 473/1925) ed ex art. 13 L. n. 394/91, nonché agli altri Enti il rilascio di un nuovo parere/autorizzazione in sostituzione di quello precedentemente rilasciato ove ritenuto necessario in ragione delle modifiche apportate al progetto.

Con nota del 18.1.2018, n. 230 l’Ente Parco, richiamati il proprio precedente diniego n. 3759/17 e il verbale della Conferenza dei servizi del 12.10.2017, ha autorizzato l’esecuzione dei lavori di realizzazione della struttura per radiotelecomunicazioni alle seguenti condizioni: “1) gli armadi tecnici di attuale e futura installazione dovranno trovare sistemazione all’interno della recinzione e da questa mascherata; 2) le parti in muratura siano realizzate in pietra strutturale con elementi di piccola pezzatura e a corsi non regolari; 3) nella fase di cantiere non si effettuino lavorazioni rumorose nel periodo marzo-luglio; 4) gli inerbimenti delle scarpate siano eseguiti con miscugli di semi di specie localmente presenti; 5) sia mantenuto in efficienza il fossato esistente per la raccolta delle acque”.

Lo Sportello Unico, acquisiti gli atti di assenso delle Amministrazioni competenti, ha assunto il provvedimento impugnato in prime cure.

10.5.2 L’iter procedurale seguito per pervenire al riesame del parere espresso esclude la contraddittorietà dell’azione amministrativa: l’Ente Parco ha riesaminato il precedente atto di diniego sulla base degli ulteriori elementi istruttori acquisiti in sede procedimentale, valutando che l’interesse ambientale poteva essere adeguatamente tutelato attraverso l’imposizione di talune prescrizioni, condizionanti l’assenso alla nuova proposta progettuale presentata dall’operatore economico.

In particolare:

- quanto all’esigenza di costituire un sito di accorpamento di altri impianti, è stato chiarito che, attraverso l’installazione della nuova infrastruttura, sarebbe stata rimossa la postazione carrellata installata sul piazzale di Sylvenoire da parte della società Wind (come riportato anche nelle premesse dell’autorizzazione del 18.1.2018), in tale maniera garantendosi l’ottimizzazione della localizzazione delle stazioni di radiotelecomunicazione, attraverso l’individuazione di un sito idoneo ad ospitare altri gestori (il che consentiva di superare la prima ratio di dissenso alla base del precedente parere);

- quanto alla necessità che le strutture per radiotelecomunicazioni, ai sensi dell’art. 6 bis, comma 3, L.R. n. 25/2005, non incidessero negativamente sulle aree naturali protette, da un lato, il precedente parere negativo ravvisava la mera opportunità di una diversa localizzazione dell’infrastruttura, non emergendo dal relativo atto alcuna considerazione volta ad evidenziare un divieto assoluto di installazione dell’infrastruttura nel sito predefinito; dall’altro, gli ulteriori elementi istruttori acquisiti deponevano per l’essenzialità dell’opera e per l’assenza di localizzazioni alternative, in quanto, sulla base della disciplina urbanistica comunale del 2014, che in parte qua non risultava tempestivamente impugnata, l’unico sito deputato all’installazione delle stazioni radio base era proprio quello considerato nella proposta progettuale della società.

Pertanto, l’Ente Parco, appresi tali elementi non esaminati all’atto dell’espressione del primo parere, ha ritirato il precedente parere negativo, incentrato su mere valutazioni di opportunità e non su un divieto assoluto di installazione, ritenendo possibile una salvaguardia dell’interesse ambientale attraverso l’imposizione di puntuali prescrizioni, riferite pure alla manutenzione del fossato limitrofo.

Non si è, dunque, in presenza di un’azione contraddittoria, tale da non consentire ai soggetti incisi di percepire la motivazione del riesame, ma di una approfondita istruttoria e di un’adeguata motivazione, che consente di ricostruire le ragioni che hanno indotto l’Ente Parco a ritenere, a fronte delle esigenze da tutelare con la realizzazione dell’opera infrastrutturale e dell’impossibilità di una sua localizzazione alternativa, di superare la precedente valutazione di opportunità, ostativa all’edificazione, e di pervenire ad una valutazione positiva con prescrizioni.

10.6 In definitiva, il primo motivo di appello deve essere rigettato, tenuto conto che:

- il tema delle localizzazioni alternative è stato trattato in sede procedimentale, evidenziandosi le ragioni (pure, di ordine urbanistico) ostative ad un diverso posizionamento dell’opera infrastrutturale;

- il progetto assentito riguardava la sola infrastruttura, senza influire sull’installazione degli impianti di teletrasmissione, con conseguente inconferenza, rispetto all’oggetto del procedimento, delle questioni correlate ai pericoli per la salute derivanti dall’esposizione all’inquinamento elettromagnetico; temi da trattare in relazione al (diverso e non rilevante nell’odierno giudizio) titolo abilitativo relativo all’installazione delle antenne;

- le prescrizioni poste dall’Ente Parco consentivano di tutelare le esigenze ambientali, prevedendo la minimizzazione dell’impatto ambientale, mediante: la sistemazione degli armadi tecnici di attuale e futura installazione all’interno della recinzione, affinché fossero da questa mascherati; la realizzazione delle parti in muratura in pietra strutturale con elementi di piccola pezzatura e a corsi non regolari; il divieto di lavorazioni rumorose nel periodo marzo-luglio; l’obbligo di inerbimenti delle scarpate (da eseguire con miscugli di semi di specie localmente presenti); nonché il mantenimento in efficienza del fossato esistente per la raccolta delle acque;

- il riesame della decisione dell’Ente Parco risultava motivato sulla base degli elementi istruttori acquisiti successivamente alla prima determinazione, influenti pure sul tema della localizzazione, in concreto non modificabile.

11. Con il secondo motivo di appello si censura il capo decisorio con cui il Tar non avrebbe rilevato neppure che il parere positivo dell’Ente Parco risultava privo di adeguata motivazione anche in relazione ai profili della mitigazione ambientale.

11.1 Secondo la prospettazione attorea, infatti:

- la zona in cui è situata l’antenna presenterebbe erba e cespugli bassi;

- tra l’antenna e le case, non vi sarebbe alcun pino, così come, in generale, i dintorni di Sylvenoire sarebbero senza pini, nonostante soltanto tali essenze arboree, grazie alla loro altezza, potessero garantire il camuffamento dell’impianto anche in inverno;

- nella stessa documentazione tecnica prodotta da Galata s.p.a., si riferirebbe di un’opera da collocare in un territorio agricolo e non boschivo.

Il che sarebbe comprovato dalla documentazione in atti, che attesterebbe, altresì, come gli alberi ad alto fusto si troverebbero dal lato opposto delle abitazioni senza offrire alcuna mitigazione.

Le misure di mimetizzazione riguarderebbero, infine, soltanto la base del palo.

11.2 Il motivo di appello è infondato.

11.3 Alla stregua di quanto osservato nella disamina del precedente motivo, anche attraverso il riferimento ai pertinenti atti amministrativi, l’Ente Parco non ha espresso il proprio assenso con prescrizioni sul presupposto che vi fossero pini nella porzione territoriale compresa tra l’abitato e il sito di installazione o che l’opera de qua dovesse essere realizzata all’interno di un bosco; parimenti, una tale circostanza non è stata posta alla base dei rilievi formulati dall’Amministrazione comunale nell’ambito della conferenza di servizi del 12.10.2017, in cui si è fatto riferimento ad una localizzazione a monte della strada sterrata e arretrata rispetto al villaggio di Sylvenoire, a ridosso (e non all’interno) di un bosco di alto fusto; il che corrisponde a quanto emerge dalla documentazione in atti, che attesta l’esistenza, in prossimità dell’opera, di alberi ad alto fusto (pag. 6 doc. 1 allegato all’appello).

L’infrastruttura in esame, peraltro, in quanto assimilata alle opere di urbanizzazione primaria, è compatibile, in via generale, con ogni destinazione urbanistica e, dunque, con ogni zona del territorio comunale (cfr. Consiglio di Stato, sez. II, 6 dicembre 2021, n. 8141 e sez. VI, 3 agosto 2018, n. 4794), potendo, dunque, essere realizzata anche in aree vincolate sul piano naturalistico e paesaggistico: a tali fini, occorre, in particolare, una valutazione di compatibilità tra il progetto presentato e le esigenze di protezione sottese ai vincoli in concreto riscontrabili, non potendo ritenersi in via generale che tali opere siano realizzabili soltanto se celate dalla presenza di pini o alberi ad alto fusto.

Nella specie, una tale valutazione di compatibilità è stata svolta dalle Amministrazioni competenti.

Sul piano ambientale, l’Ente Parco ha specificato le prescrizioni da attuare per salvaguardare gli interessi alla base dell’imposizione del vincolo di tutela ambientale: le prescrizioni de quibus, in particolare, consentono di desumere le ragioni alla base della valutazione di compatibilità operata con gli atti di assenso impugnati in prime cure; si fa questione di misure - riferite ai materiali da utilizzare (di piccola pezzatura e a corsi non regolari), alla localizzazione degli armadi tecnici (all’interno della recinzione), al tempo delle lavorazioni rumorose (vietate nel periodo marzo-luglio), nonché alla cura e alla tutela del territorio (attraverso l’inerbimento selle scarpate e il mantenimento in efficienza del fossato esistente) - idonee ad evitare una compromissione delle esigenze di tutela in concreto avvertite, permettendo un armonioso inserimento dell’infrastruttura nell’ambito del contesto di riferimento.

Parimenti, sul piano paesaggistico, l’Amministrazione comunale, con nota del 16.1.2018 (doc. 3 produzione della società Galata del 9.11.2018 in primo grado), nel confermare il proprio precedente parere favorevole, non si è limitata ad un generico giudizio di compatibilità paesaggistica, ma ha svolto rilevazioni e giudizi puntuali, ponendo apposita prescrizione, tesa ad ottenere la mitigazione dell’impatto paesaggistico generato dall’impianto di radiotelecomunicazioni esistente sulla “piazzetta” di Sylvenoire, da rimuovere contestualmente alla realizzazione della nuova opera infrastrutturale. In tale modo è stata fornita una congrua motivazione anche della decisione di compatibilità paesaggistica, da ritenere, per l’effetto legittima.

Emerge, dunque, diversamente da quanto dedotto dall’appellante, che gli atti di assenso acquisiti in sede procedimentali sono stati assunti sulla base di un’adeguata motivazione, in relazione a circostanze fattuali correttamente apprezzate nella loro dimensione oggettiva.

Ciò osta all’accoglimento del motivo di appello, tenuto conto che, salve le fattispecie di giurisdizione di merito (non rilevanti nel caso esaminato), a fronte di decisioni discrezionali dell’Amministrazione – quali sono quelle di compatibilità paesaggistica o ambientale (Consiglio di Stato, sez. II , 06 aprile 2020 , n. 2248)– non potrebbe assistersi alla sostituzione del giudice all’Amministrazione nello svolgimento di valutazioni a queste riservate (non potendo, per l’effetto, il giudice procedente neppure confermare la decisione sostanziale su valutazioni di merito diverse da quelle operate dall’Amministrazione competente).

In tali ipotesi, il sindacato di legittimità deve essere circoscritto alle ipotesi di manifesta illogicità o travisamento dei fatti o di inadeguatezza dell'istruttoria o della motivazione (tra gli altri, Consiglio di Stato, sez. II, 15 settembre 2020, n. 5451): vizi non riscontrabili nella specie, avendo l’Amministrazione correttamente ricostruito i fatti rilevanti, nonché assunto decisioni coerenti rispetto alle risultanze istruttorie e agli obiettivi di interesse generale in concreto perseguiti, ai fini della mitigazione dell’impatto paesaggistico e ambientale.

12. Con il terzo motivo di appello si deduce l’erroneità della sentenza gravata, per non avere il Tar rilevato la possibilità di ubicare l’impianto in localizzazioni alternative maggiormente idonee.

12.1 Secondo quanto sostenuto dagli appellanti, gli enti avrebbero avuto l’onere di indagare e/o proporre siti alternativi, la proposta alternativa avanzata dai ricorrenti risultava specifica anche alla luce della documentazione fotografica prodotta in prime cure, nonché permetteva di risolvere le problematiche di tipo ambientale attraverso l’allontanamento dell’antenna dalle abitazioni.

12.2 Il motivo di appello è infondato.

12.3 La possibilità di una localizzazione alternativa dell’infrastruttura, alla stregua di quanto osservato, era stata espressamente esclusa dall’Amministrazione comunale nell’ambito della conferenza di servizi del 12.10.2017, in cui era stato evidenziato come, sulla base della disciplina urbanistica vigente, l’unico sito deputato all’installazione delle infrastrutture del tipo di quella in contestazione fosse proprio quello considerato nella proposta progettuale dell’operatore economico.

In particolare:

- il sindaco dell’Amministrazione comunale, odierna appellata, aveva, tra l’altro, rappresentato che la struttura sarebbe stata “realizzata su sito urbanistico appositamente individuato mediante variante al PRG e più precisamente nella zona Ed4 denominata “siti per radiotelecomunicazioni”, risultando pertanto l’unica localizzazione possibile per il Comune”;

- come emergente dal doc. 3 del deposito comunale in primo grado, con delibera del 23.7.2014, n. 17, il Consiglio Comunale aveva approvato, ai sensi dell’art. 15, comma 13, L.R. n. 11 del 1998, la variante sostanziale al P.R.G., con cui era stata assegnata alla zona Ed4 la destinazione di servizi pubblico o di pubblico interesse, comprendente anche gli impianti di radio-telecomunicazioni (M3).

Per l’effetto, non soltanto il tema della localizzazione dell’opera era stato esaminato in sede amministrativa, ma dagli atti procedimentali emergono anche le ragioni urbanistiche per le quali non risultava possibile procedere ad una localizzazione alternativa dell’infrastruttura in esame.

Né potrebbe procedersi, nell’odierno giudizio, alla disapplicazione della presupposta disciplina urbanistica, con cui è stata assegnata alla zona in esame la destinazione a sito per radiotelecomunicazioni.

Difatti, la disapplicazione in materia urbanistica non potrebbe operare in relazione alle prescrizioni che in via immediata stabiliscono le potenzialità edificatorie della porzione di territorio interessata - nel cui ambito rientrano le norme di c.d. zonizzazione, la destinazione di aree a soddisfare gli standard urbanistici, la localizzazione di opere pubbliche o di interesse collettivo (Consiglio di Stato, Sez. VI, 8 febbraio 2016, n. 475) - quali sono quelle rilevanti nella specie, poste dalla variante urbanistica del 2014, incidenti su una porzione territoriale, destinata a sito per radiotelecomunicazioni.

Non potrebbe, peraltro, neppure predicarsi un obbligo per il Comune di variare gli strumenti urbanistici, rientrando una tale scelta nella discrezionalità del potere pianificatorio urbanistico (Consiglio di Stato, Sez. II, 12 novembre 2020, n. 6953).

In definitiva, le censure attoree non possono trovare accoglimento, emergendo dagli atti procedimentali in maniera puntuale le ragioni ostative ad una diversa localizzazione dell’opera, rappresentate dalla vigenza di apposita prescrizione di zonizzazione, non disapplicabile nell’odierno giudizio, che consentiva la realizzazione della relativa opera nel sito appositamente selezionato dall’operatore economico istante.

13. Con il quarto motivo di appello è censurato il capo decisorio riferito alla violazione della normativa di tutela ambientale, nazionale e regionale.

13.1 I ricorrenti deducono il difetto di motivazione e la violazione dell’art. 6 bis e dell’art. 11 L.R. n. 25/2005, che imponevano una specifica verifica della conformità dell’installazione ai vincoli di qualsiasi natura gravanti sull’area oggetto di intervento.

Inoltre, nella specie non sarebbe stato acquisito il parere ARPA ex art. 11, comma 3, L.R. n. 25/2005, sebbene il provvedimento impugnato facesse richiamo alle emissioni prodotte e l’antenna allo stato esistente (all’uopo da sostituire con il nuovo impianto) avesse determinato il superamento dei limiti di emissione: con alta probabilità l’Arpa avrebbe rilevato l’incompatibilità delle emissioni con la fauna protetta all’interno del Parco e con la salute degli abitanti residenti a pochi metri di distanza.

Il sindaco, inoltre, aveva preso posizione sui limiti di esposizione alla conferenza di servizi del 2017; il che avrebbe richiesto, tuttavia, l’interessamento dell’ARPA.

Del resto, alla stregua di quanto previsto dall’art. 87 D. Lgs. n. 259/03, il procedimento di autorizzazione delle infrastrutture di comunicazioni elettroniche assorbirebbe la verifica di compatibilità urbanistica ed edilizia dell’intervento, imponendo (altresì) la verifica del rispetto dei parametri attinenti anche alla tutela della salute e dei vincoli relativi agli interessi a tutela differenziata.

La parte ricorrente, inoltre, invoca a fondamento delle proprie doglianze le linee guida elaborate da esperti del settore, costituenti uno strumento fondamentale per l’applicazione del DPCM 12.12.2005.

13.2 Il motivo di appello è infondato.

13.3 Il procedimento di cui all’art. 87 D. Lgs. n. 259/03 (ratione temporis applicabile alla specie), ispirato alle esigenze di concentrazione e semplificazione procedimentale, consentiva agli operatori economici di ottenere la disamina, nell’ambito della medesima sede amministrativa, di tutte le questioni afferenti alla realizzazione dell’infrastruttura e dell’impianto di teletrasmissione, al fine di ottenere un titolo idoneo a legittimare non solo l’attività edilizia di realizzazione dell’opera, ma anche l’installazione dell’impianto e, dunque, l’esercizio dell’attività economica di telecomunicazione.

Trattasi, dunque, di disciplina tesa a soddisfare l’interesse dell’istante ad ottenere, nell’ambito di un unico e complesso procedimento, il titolo abilitativo alle attività necessarie per procedere alla fornitura del servizio all’utenza finale.

L’istante, sebbene avesse la possibilità di avviare un procedimento unitario incentrato sulla contestuale disamina dei diversi e vari profili afferenti all’opera e all’impianto, non era obbligato a procedere in tale senso, non sussistendo un divieto di chiedere separatamente il rilascio di titoli differenti, riferiti all’opera e all’impianto; ciò, tenuto conto, altresì, della possibilità che le attività economiche (edilizia e di fornitura del servizio mediante l’installazione delle antenne) siano svolte da soggetti differenti, come avviene nella specie in cui l’odierna società appellata si limita a realizzare le infrastrutture che vengono successivamente concesse in godimento ad altri operatori di telefonia per l’installazione dei relativi apparati di trasmissione.

Pertanto, come pure rilevato, tenuto conto che nella specie l’istanza di parte risultava funzionale ad ottenere un titolo autorizzatorio riferito alla sola installazione dell’infrastruttura, non sarebbe stato possibile operare una valutazione in ordine al rispetto dei valori soglia previsti dalla legislazione di settore, difettando l’oggetto della relativa disamina (impianto trasmissivo); pertanto, non risultava neppure possibile acquisire il parere dell’Arpa, da rendere ex art. 11, comma 3, L.R. n. 25/2005 proprio in relazione al rispetto di valori soglia, ancora non valutabili a fronte della realizzazione della sola opera infrastrutturale.

Il riferimento ai limiti di esposizione, ai valori di attenzione e agli obiettivi di qualità, pure operato dal Comune nell’ambito della conferenza di servizi, costituiva una delle autonome ragioni deponenti per la localizzazione dell’impianto nel sito prescelto: come osservato, lo stesso Comune aveva pure evidenziato come il sito de quo fosse l’unico che potesse ospitare le infrastrutture del tipo di quella in esame sulla base della disciplina urbanistica ratione temporis applicabile, con la conseguenza che l’inconferenza del riferimento ai valori soglia determinati dalla legislazione in relazione alle emissioni non influisce sulla legittimità del titolo autorizzatorio, non incidendo su altra autonoma ragione (concernente la disciplina urbanistica non disapplicabile nell’odierno giudizio) che giustificava, comunque, la scelta del luogo selezionato.

I ricorrenti potranno fare valere eventuali vizi di legittimità riferiti alla violazione dei valori soglia e alla mancata acquisizione del prescritto parere Arpa impugnando i diversi titoli autorizzativi riferiti all’installazione degli impianti di trasmissione, non potendosi anticipare nella presente sede un sindacato su poteri amministrativi ancora non esercitati con gli atti impugnati in primo grado.

13.4 In ordine alle ulteriori censure riferite alla violazione delle esigenze di tutela ambientale e paesaggistica, si rinvia alle osservazioni già svolte nella disamina del secondo motivo di appello, in specie in relazione alla sussistenza di argomentate valutazioni di compatibilità ambientale e paesaggistica, svolte dalle Amministrazioni interessate (l’Ente Parco per i profili ambientali e il Comune per quelli paesaggistici) sulla base di una corretta ricostruzione dei fatti di causa, con conseguente correttezza (sul piano fattuale) e ragionevolezza (sul pianto argomentativo) degli atti in contestazione.

14. Con il quinto motivo di appello è censurato il capo decisorio con cui il Tar ha statuito sul secondo parere dell’ente Parco.

14.1 Si tratterebbe di parere reso in violazione della normativa di cui all’art. 13, comma 1, L. n. 394/91, non essendo stato valutato l’impatto dell’intervento richiesto sui valori naturali e paesaggistici del parco e, comunque, non risultando ammissibile la modifica del precedente parere ostativo, espresso sul progetto di parte.

14.2 Il motivo di appello è infondato.

14.3 In relazione all’adeguatezza della motivazione alla base del secondo parere espresso dall’Ente Parco si rinvia a quanto osservato nella disamina del primo e del secondo motivo di appello, essendosi evidenziata la correttezza sul piano fattuale e la ragionevolezza sul piano motivazionale della decisione di riesame assunta dall’Amministrazione.

Con riferimento all’ammissibilità di una modifica del precedente parere ostativo, si osserva che, in applicazione dei principi del buon andamento amministrativo e di inesauribilità del pubblico potere, l’Amministrazione è abilitata a riesaminare le proprie determinazioni, agendo in via di autotutela, con effetti confermativi o caducatori degli atti già assunti.

Del resto, anche prima della positivizzazione dell’annullamento d’ufficio (mediante l’introduzione dell’art. 21-nonies nell’impianto normativo della L. n. 241 del 1990 ad opera della L. 15 del 2005), la giurisprudenza di questo Consiglio aveva già riconosciuto il potere dell’Amministrazione di riesaminare le proprie determinazioni, precisando al contempo la necessità che l'autotutela decisoria fosse “subordinata alle comuni e rigorose regole elaborate dalla giurisprudenza, concernenti, fra l'altro:

a) l'obbligo della motivazione;

b) la presenza di concrete ragioni di pubblico interesse, non riducibili alla mera esigenza di ripristino della legalità;

c) la valutazione dell'affidamento delle parti private destinatarie del provvedimento oggetto di riesame, tenendo conto del tempo trascorso dalla sua adozione;

d) il rispetto delle regole del contraddittorio procedimentale;

e) l'adeguata istruttoria” (Consiglio di Stato, Sez. V, 03 febbraio 2000, n. 661).

Tali principi, in quanto correlati al buon andamento amministrativo e alla natura autoritativa (unilaterale) dell’esercizio del pubblico potere, devono trovare applicazione anche a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 15 del 2005, per quelle forme di autotutela non espressamente regolate dal dato positivo.

La possibilità di riesame di una pregressa determinazione si pone, inoltre, anche in relazione a quegli atti di assenso (presupposti) da acquisire in sede procedimentale ai fini dell’adozione del provvedimento conclusivo: in tali casi, occorre, tuttavia, distinguere a seconda che il procedimento principale sia stato o meno concluso.

Nel primo caso, il riesame dovrebbe estendersi al provvedimento conclusivo, non potendo essere limitato all’atto di assenso (o dissenso) presupposto: salve le ipotesi di invalidità derivata ad effetto caducante (riscontrabili a fronte di un nesso di presupposizione immediata, diretta e necessaria), il ritiro dell’atto presupposto non determina l'automatico travolgimento dell'atto dipendente, assunto a conclusione del procedimento; con la conseguenza che, in tali ipotesi, un eventuale riesame del solo atto di assenso (o dissenso) presupposto non permetterebbe di rimuovere l’assetto di interessi attuato sulla base del provvedimento conclusivo, che continuerebbe ad operare sul piano sostanziale.

Le Amministrazioni che abbiano adottato gli atti presupposti dovrebbero, dunque, sollecitare l’Amministrazione competente all’adozione del provvedimento finale a riesaminare quest’ultimo, in quanto soltanto in tale maniera potrebbe pervenirsi al mutamento della regula iuris da applicare a conformazione del rapporto sostanziale.

Per tali ragioni, il legislatore (art. 14-quater, comma 2, L. n. 241/90), in materia di conferenza di servizi, a fronte di una determinazione conclusiva della conferenza di servizi già assunta (avente valore sostitutivo degli atti di assenso comunque nominati occorrenti per la definizione del procedimento), ha attribuito alle amministrazioni i cui atti sono stati sostituiti da detta determinazione un mero potere di impulso - diretto a sollecitare l’Amministrazione procedente ad agire in via di autotutela – risultando il riesame dei meri atti presupposti inidoneo ad influire sull’assetto di interessi attuato dalla determinazione conclusiva già adottata.

Qualora, invece, il provvedimento conclusivo non sia stato ancora adottato, l’Amministrazione che abbia già assunto il proprio atto di assenso o dissenso, nell’esercizio dello stesso potere di cui è attributaria (non esauritosi per effetto della manifestazione della propria volontà dispositiva), potrebbe agire in via di autotutela, rimuovendo o modificando la propria precedente determinazione.

In tali ipotesi, ove il riesame avvenga in tempo utile in vista dell’adozione del provvedimento finale, l’Amministrazione procedente deve tenere conto della rinnovata manifestazione di volontà alla base dell’atto presupposto, agendo conseguentemente ai fini dell’adozione dell’atto conclusivo.

Alla luce di tali rilievi, l’Ente Parco, dopo avere negato il proprio nulla osta alla realizzazione dell’opera, a fronte di un procedimento (principale, deputato al rilascio del titolo autorizzativo) ancora non esauritosi, ben poteva agire in autotutela, modificando il proprio avviso: difatti, da un lato, non sussisteva alcun divieto a procedere in tale senso, dall’altro, lo Sportello Unico degli Enti Locali non risultava tenuto all’immediata conclusione del procedimento, ben potendo approfondire l’istruttoria per acquisire ulteriori elementi utilmente valorizzabili (anche) per consentire all’ente competente un riesame dell’atto negativo presupposto.

14.4 Affermata l’ammissibilità di un riesame del diniego opposto dall’Ente Parco in pendenza del procedimento autorizzativo condotto dallo Sportello Unico degli Enti Locali (Servizio Associato Radiotelecomunicazioni), occorre evidenziare come il riesame nella specie operato dallo stesso Ente fosse rispettosi dei limiti posti all’esercizio dell’autotutela decisoria, tenuto conto che:

- le ragioni alla base del nuovo avviso espresso dall’Ente Parco emergono chiaramente sia dallo svolgimento dei lavori della conferenza dei servizi, sia dal nuovo provvedimento del 18.1.2018;

- come osservato, la previa valutazione di inopportunità, riferita all’originaria collocazione dell’opera, è stata superata, una volta appresa dall’Amministrazione comunale (in sede di conferenza) l’impossibilità di localizzazioni alternative alla stregua della disciplina urbanistica vigente, attraverso la prescrizione di puntuali condizioni idonee a tutelare l’interesse ambientale;

- la realizzazione dell’opera infrastrutturale rispondeva, comunque, all’interesse pubblico alla necessaria capillarità della localizzazione degli impianti relativi ad infrastrutture di reti pubbliche di comunicazioni (Consiglio di Stato, sez. VI, 3 agosto 2017, n. 3891), essenziale per garantire la copertura dell’intero territorio;

- la nuova proposta, presentata in conformità alle prescrizioni poste dall’Ente Parco in sede di conferenza di servizi, risultava idonea anche a tutelare l’interesse ambientale;

- il riesame è avvenuto tempestivamente (circa quattro mesi dopo l’originario diniego, peraltro senza considerare la posizione già espressa dall’Ente Parco in sede di conferenza di servizi, disponibile a riesaminare il proprio avvio a fronte di una nuova proposta progettuale che tenesse conto delle prescrizioni ivi poste) e, comunque, nell’ambito dello stesso procedimento (principale) deputato al rilascio del titolo autorizzativo alla realizzazione dell’opera, in assenza, dunque, di una posizione consolidata di controinteresse costituita da pregressi atti amministrativi;

- il riesame era stato anticipato in sede di conferenza di servizi ed è stato operato sulla base di una nuova proposta progettuale su cui l’Amministrazione procedente ha nuovamente acquisito i prescritti atti di assenso;

- il riesame è stato operato sulla base di nuovi elementi istruttori, correttamente ricostruiti e ragionevolmente valutati.

14.5 Ne deriva che l’Ente Parco non soltanto, in astratto, era titolare del potere di autotutela decisoria, ma anche, in concreto, ha legittimamente esercitato tale potere, addivenendo ad un riesame del precedente diniego sulla base di una corretta ricostruzione dei fatti rilevanti ai fini del provvedere e di una motivazione adeguata, idonea a permettere la tutela dell’interesse ambientale affidato alla propria cura.

15. Con il sesto motivo di appello è censurato il capo decisorio con cui il Tar ha statuito sulla violazione della disciplina urbanistica locale.

15.1 Secondo quanto dedotto dall’appellante, nella specie sarebbero state violate le NTA del Comune, che imponevano una scelta della posizione delle antenne in genere e di quelle paraboliche nel massimo rispetto possibile delle visuali dagli spazi circostanti riducendo al minimo gli impatti paesaggistici.

La localizzazione scelta nel caso esaminato si trovava all’interno del Parco Nazionale e di Rete Natura 2000, a ridosso di alcune abitazioni private e le mitigazioni risultavano insufficienti, ciò determinando la violazione della disciplina urbanistica.

15.2 Il motivo di appello è infondato.

15.3 Le censure attoree afferiscono a ragioni di merito (in specie, in relazione al giudizio di insufficienza delle prescrizioni poste), sollecitando un’inammissibile sostituzione della valutazione giudiziale alla valutazione ragionevole e non inficiata da travisamenti di fatti operata dalle Amministrazioni competenti.

In ogni caso, nella specie, non si è in presenza di titoli di mero assenso, ma (come osservato) di determinazioni (in specie, in ordine alla tutela ambientale e paesaggistica) con prescrizioni, dettate per minimizzare l’impatto dell’infrastruttura, a conformazione dell’azione edilizia dell’operatore economico: trattasi di limiti (anche temporali) nell’esecuzione dell’intervento e di obblighi nella scelta dei materiali funzionali a garantire la compatibilità dell’intervento con gli interessi tutelati.

In ordine alla localizzazione dell’opera, si ribadisce pure come la scelta del sito, lungi dal determinare la violazione della disciplina urbanistica, ne abbia assicurato la corretta applicazione, essendosi individuata un’area normata quale sito destinato ad ospitare gli impianti di radio-telecomunicazione.

16. Con il settimo motivo di appello è censurata la sentenza di prime cure, nella parte in cui ha escluso la ricorrenza di violazioni procedurali.

16.1 L’appellante deduce la violazione degli artt. 28 L.R. n. 19/2007, 87 D. Lgs. n. 259/03 e 14 quater L. n. 241/90, tenuto conto che, a fronte del primo dissenso, sarebbe stato necessario interrompere il procedimento.

16.2 Il motivo di appello è infondato.

16.3 Le parti ricorrenti argomentano le proprie censure sulla base di un presupposto erroneo, dato dall’espressione di un dissenso qualificato nell’ambito della conferenza di servizi appositamente convocata dall’Amministrazione procedente.

Invero, come rilevato nella ricostruzione dei fatti di causa:

- l’Ente Parco aveva espresso il proprio diniego con atto dell’8 settembre 2017;

- lo Sportello Unico degli Enti Locali, con nota n. 22708 del 2017 (richiamata nel provvedimento impugnato), ha convocato una conferenza di servizi per poter valutare i pareri acquisiti al fine di poter procedere in contraddittorio sulle motivazioni del diniego;

- in sede di conferenza di servizi l’Ente Parco non ha espresso il proprio dissenso, ma ha proposto per una revisione del parere la presentazione di una nuova proposta progettuale dell’operatore economico che tenesse conto di una serie di prescrizioni (sopra richiamate) ritenute essenziali per la tutela dell’interesse ambientale; la conferenza di servizi, del resto, non si è conclusa con il diniego del rappresentante dell’Ente Parco, ma con l’accoglimento della proposta avanzata dallo stesso rappresentante, incentrata sull’invito dell’operatore economico a presentare una nuova proposta progettuale “che tenga conto delle misure mitigatorie richieste dall’Ente Parco Nazionale Gran Paradiso”;

- infine, l’Ente Parco, pronunciando sulla nuova proposta, ha espresso il proprio assenso.

Dalla successione dei fatti di causa emerge, pertanto, che in sede di conferenza di servizi non era stato espresso dall’Ente Parco alcun atto di dissenso, ragion per cui risulta inconferente la disciplina, invocata dai ricorrenti a fondamento del motivo di appello, incentrata su una circostanza non realizzatasi nel caso in esame, data dal dissenso qualificato espresso (in seno alla conferenza di servizi) dall’Amministrazione preposta alla tutela dell’interesse ambientale.

Al riguardo, si osserva, altresì, che la stessa disciplina in materia di conferenza di servizi tende a facilitare il raggiungimento del consenso tra le Amministrazione interessate, prevedendo l’indicazione delle modifiche progettuali eventualmente necessarie ai fini dell'assenso (cfr. art. 14-ter, comma 3 L. n. 241/90): in tali ipotesi, non emerge un dissenso ostativo all’accoglimento dell’istanza, consentendosi, di contro, alla parte privata di apportare le modifiche occorrenti per l’ottenimento dell’atto di assenso.

Ciò è quanto avvenuto nella specie, in quanto il rappresentante dell’Ente Parco, anziché esprimere in sede di conferenza un dissenso, ha indicato le modifiche progettuali utili per il riesame del precedente diniego, in tale modo consentendo l’accoglimento dell’istanza ove l’operatore economico si fosse conformato alle prescrizioni all’uopo poste a tutela dell’interesse ambientale.

In definitiva, richiamate le considerazioni già svolte in ordine all’inesauribilità del potere amministrativo e, dunque, alla possibilità per ogni Amministrazione di riesaminare le proprie precedenti determinazioni, nel caso in esame la conferenza di servizi non ha costituito il luogo procedimentale di manifestazione di dissensi ostativi all’accoglimento dell’istanza- con conseguente irrilevanza delle disposizioni richiamate dagli appellanti, riguardanti un presupposto fattuale (dato dalla persistenza di un dissenso qualificato) nella specie non ricorrente - ma ha rappresentato un momento di confronto simultaneo tra le Amministrazioni interessate, culminato nell’invito alla presentazione di una nuova proposta progettuale rispettosa di specifiche prescrizioni, essenziali per la mitigazione dell’impatto ambientale dell’opera.

Né, a fronte del parere negativo reso dall’Ente Parco, vi era un obbligo di interrompere immediatamente il procedimento con l’adozione di un provvedimento di diniego, ben potendo - a fronte della persistenza del potere pubblico, suscettibile di svolgersi anche attraverso un intervento di autotutela - indirsi una conferenza di servizi per verificare se, alla luce dell’esame contestuale degli interessi coinvolti e di un approfondimento istruttorio all’uopo da svolgere, permanesse il dissenso espresso dall’Ente Parco.

17. Con l’ottavo motivo di appello è censurato il capo decisorio con cui il Tar ha statuito sull’esistenza di un vincolo idrogeologico gravante sull’area.

17.1 Secondo quanto dedotto dall’appellante, ai sensi della delibera di G.R. n. 2939/2008, l’operatore avrebbe dovuto dimostrare, in ragione dell’esistenza del vincolo idrogeologico, l’impossibilità di provvedere ad una localizzazione alternativa; il che non risultava nella specie avvenuto, nonostante, da un lato, esistessero siti alternativi altrettanto idonei per la trasmissione del segnale e meno sensibili sul piano ambientale e sanitario, dall’altro, il sito prescelto fosse difficilmente raggiungibile in condizioni meteorologiche avverse.

17.2 Il motivo di appello è infondato.

17.3 Nel ribadire che la possibilità di localizzazioni alternative era stata esclusa in sede amministrativa sulla base della disciplina urbanistica di riferimento (cfr. rilievi svolti dal Comune in sede di conferenza di servizi e doc. 3 produzione comunale di primo grado, recante la variante urbanistica che individuava nel sito in esame l’area destinata alla realizzazione di opere di telecomunicazioni), si evidenzia come anche in ordine al vincolo idrogeologico non si ravvisino i vizi di legittimità dedotti dai ricorrenti.

Dalla documentazione in atti emerge che la Regione Autonoma Valle d’Aosta, con nota del 25.1.2018 (doc. 8 produzione attorea di primo grado), preso atto della precedente autorizzazione n. 14551 del 2017 (doc. 3 produzione attorea di primo grado, con cui era stato evidenziato che l’intervento de quo, per come progettato, non determinava fenomeni di denudazione, innesco di fenomeni erosivi, perdita di stabilità o turbamento del regime delle acque, ragion per cui non poteva ritenersi in contrasto con le finalità di cui al R.D. n. 3267/1923), ha autorizzato i lavori, prescrivendo specifiche condizioni, riferite alle modalità di taglio delle piante su proprietà comunale, alle modalità di potatura dei rami sporgenti ed ingombranti, alle modalità di svolgimento degli scavi, alla protezione dell’opera dal ruscellamento superficiale delle acque meteoriche o al reimpiego del materiale di risulta.

Anche in tale caso, la valutazione operata dall’Amministrazione, oltre a non risultare inficiata da una scorretta ricostruzione dei fatti di causa, si è tradotta nell’imposizione di prescrizioni coerenti con la tipologia di opera da realizzare e con le esigenze di tutela poste dal vincolo idrogeologico in concreto esistente, risultando per l’effetto corretta (sul piano fattuale) e ragionevole (sul piano argomentativo).

18. Con il nono motivo di appello è censurato il capo decisorio con cui il Tar ha statuito sulle doglianze dirette contro il provvedimento del 5.9.2017, attraverso cui la Regione Valle d’Aosta aveva ritenuto di non attivare la procedura di valutazione di incidenza.

18.1 Secondo quanto dedotto in appello, si sarebbe trattato di un atto connotato da una motivazione insufficiente, peraltro violativa dell’art. 6, paragrafi 3 e 4 della direttiva Habitat, tenuto conto che l’impatto concretamente rilevante sarebbe disceso, in specie, dalle emissioni suscettibili di essere diffuse in un ambiente protetto.

18.2 Il motivo di appello è infondato.

18.3 La disciplina invocata dall’appellante (art. 6 direttiva 92/43/CEE; in ambito nazionale, art. 6 del DPR 12 marzo 2003, n. 120) impone lo svolgimento di una valutazione di incidenza sul sito in relazione a qualsiasi piano o progetto non direttamente connesso e necessario alla gestione del sito, che possa avere “incidenze significative su tale sito” (art. 6, par. 3, direttiva 92/73/CEE e art. 6 DPR n. 120 del 2003, che ha sostituito l’art. 5 DPR n. 357/1997).

Come precisato da questo Consiglio, la valutazione di incidenza è il procedimento di carattere preventivo al quale è necessario sottoporre qualsiasi piano o progetto che possa avere incidenze significative su un sito o proposto sito della rete Natura 2000, singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti e tenuto conto degli obiettivi di conservazione del sito stesso (Consiglio di Stato, Sez. IV, 29 novembre 2018, n. 6773).

Presupposto per la valutazione di incidenza, in relazione a proposte progettuali riferite a siti della rete Natura 2000, è dunque rappresentato dalla idoneità a comportare ripercussioni sullo stato di conservazione dei valori naturali tutelati nel sito.

Avuto riguardo al caso di specie, emerge che, con la nota del 5.9.2017 richiamata dagli appellanti, l’Assessorato Agricoltura e Risorse Naturali della Regione Autonoma Valle d’Aosta ha ritenuto non necessario attivare la procedura di valutazione di incidenza, in quanto:

- l’intervento ricadeva a ridosso del confine inferiore del Parco Nazionale Gran Paradiso e interessava l’habitat cod. 9240;

- il punto preciso di localizzazione dell’opera, subito a monte di una strada sterrata e in continuità con questa, risultava colonizzato prevalentemente da rinnovazione mista di latifoglie/conifere con presenza di alte erbe di bordura;

- l’esecuzione dei lavori avrebbe comportato una perdita di superficie boscata, pari a circa 15/20 mq, trascurabile rispetto all’estensione dell’habitat sia a livello locale (9% superficie del sito) che regionale (circa 42.000 ha) e, vista la marginalità dell’opera, non avrebbe indotto frammentazione dello stesso;

- la realizzazione dell’opera non avrebbe interferito con la conservazione di specie di interesse comunitario presenti nel sito e sarebbe stata coerente con le misure di conservazione approvate con DGR n. 1087/2008 e n. 3061/2011.

In ogni caso, l’Amministrazione ha chiesto, al fine di non arrecare disturbo alla fauna nel periodo riproduttivo, di non effettuare lavorazioni rumorose nel periodo marzo-luglio e nel periodo invernale e, nel caso fossero stati previsti interventi di reinerbimento a fine lavori, di non utilizzare semenze di specie alloctone.

18.4 Ciò rilevato, deve osservarsi, in primo luogo, che la doglianza, introdotta dagli appellanti a pag. 37 della memoria di replica, riferita all’asserita incompetenza dell’Assessorato all’Agricoltura ad emettere il parere motivato a conclusione del procedimento di valutazione di incidenza, risulta inammissibile, oltre che infondata.

Nel rito, si rileva che tale censura è stata introdotta soltanto in sede di memoria di replica, senza essere articolata nell’atto introduttivo del giudizio: pertanto, posto che le memorie ex art. 73 c.p.a. consentono alla parte soltanto di argomentare in ordine alle censure ritualmente proposte in ricorso, gli odierni appellanti non potevano introdurre con memoria una nuova censura incentrata su una nuova causa petendi, data dalla provenienza soggettiva della nota del 5.9.2017 da un organo incompetente.

Nel merito, si osserva che la censura di incompetenza è comunque infondata, in quanto:

- da un lato, è argomentata sulla base della consultazione del sito web della Regione Valle d’Aosta avvenuta in data 21.9.2022, quando, invece, in applicazione del principio del tempus regit actum – che impone di valutare la legittimità dell’atto amministrativo avuto riguardo allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della sua adozione – gli appellanti avrebbero dovuto fare riferimento al riparto di competenze operante alla data di adozione della nota del 5.9.2017;

- dall’altro, è incentrata sull’erroneo presupposto per cui la nota del 5.9.2017 risultava assunta dall’Assessorato all’Agricoltura, quando, invece, la stessa promanava dall’Assessorato Agricoltura e Risorse Naturali – Dipartimento Corpo Forestale della Valle D’Aosta e risorse naturali Aree Protette, risultando, per l’effetto, ascrivibile ad un organo che non operava soltanto in materia di agricoltura, ma anche di risorse naturali, in specie in relazione alla tutela delle aree protette, quale quella rilevante nella specie.

18.5 Ciò precisato, si evidenzia come la nota dell’Assessorato Agricoltura e Aree protette in ordine all’insussistenza dei presupposti per l’avvio del procedimento di valutazione di incidenza, lungi dall’essere immotivata o assunta in violazione del quadro normativo di riferimento, rechi puntualmente e compiutamente le ragioni per le quali non poteva ritenersi nella specie integrato il presupposto costitutivo dell’obbligo di sottoposizione del progetto alla previa valutazione di incidenza.

In particolare, l’Amministrazione regionale ha correttamente ricostruito la localizzazione dell’opera e il contesto ambientale di riferimento, ha evidenziato il carattere trascurabile della perdita di superficie boscata (pari a circa 15/20 mq) anche in relazione all’estensione dell’habitat misurato a livello regionale e locale, ha sottolineato la marginalità dell’opera e l’inidoneità della stessa ad interferire con la conservazione di specie di interesse unionale, nonché ha riscontrato la coerenza con le misure di conservazione di cui al DGR n. 1087/2008 e n. 3061/2011.

In ogni caso, l’Amministrazione ha imposto talune prescrizioni riferite al tempo delle lavorazioni rumorose a agli interventi di reinerbimento.

Si è in presenza di una valutazione operata (ancora una volta) attraverso un’accurata e corretta ricostruzione dei fatti di causa, conforme rispetto alla disciplina di riferimento - che imponeva la valutazione di incidenza soltanto per le proposte progettuali idonee a determinare significative incidenze sul territorio, nella specie ragionevolmente escluse attraverso una puntuale descrizione degli effetti suscettibili di discendere dalla proposta progettuale - nonché incentrata su rationes coerenti con le esigenze di tutela in concreto perseguite.

Le censure attoree, dunque, sono infondate, stante la ragionevolezza della decisione assunta dall’Amministrazione procedente, che come già osservato non è sindacabile nel merito, non potendo provvedersi in sede giurisdizionale al riesame complessivo delle valutazioni compiute dall'ente competente attraverso la sovrapposizione o sostituzione di una nuova valutazione di merito a quella compiuta in sede amministrativa.

Peraltro, si rileva che le contestazioni degli odierni ricorrenti (anche) in punto di idoneità del progetto a produrre significative incidenze sul territorio sono argomentate sulla base dell’idoneità dell’impianto a produrre emissioni nocive per l’ambiente protetto (“è palese che l’impatto dell’impianto non sia tanto e solo connesso alla realizzazione del palo ma alle emissioni che esso è destinato a diffondere in un ambiente protetto” – pag. 35 appello).

Tuttavia, come osservato, nella specie si discorre di sola opera infrastrutturale, potendo provvedersi alla disamina degli aspetti correlati alle emissioni soltanto nell’ambito dell’eventuale giudizio riferito ai (distinti) atti autorizzativi riferiti all’installazione dell’impianto, non rilevanti nell’odierno giudizio.

Ne deriva che gli appellanti ravvisano l’integrazione del presupposto di svolgimento della valutazione di incidenza sulla base di elementi – correlati all’installazione dell’impianto – non rilevanti nel caso di specie, che al più potranno rilevare soltanto per verificare la necessità della valutazione di impatto con riferimento al progetto di installazione dell’impianto di telecomunicazione.

19. Con il decimo motivo di appello è censurato il capo decisorio riguardante la durata del procedimento.

19.1 Diversamente da quanto statuito dal Tar, a giudizio degli appellanti, le corrispondenti censure articolate in prime cure avrebbero dovuto ritenersi ammissibili e fondate.

Nel rito, a fronte del dissenso dell’Ente Parco, il SUEL avrebbe dovuto concludere la conferenza di servizi con un provvedimento negativo ovvero attivare la procedura prevista per il superamento del dissenso opposto da un’Amministrazione preposta alla tutela dell’interesse ambientale; procedendo diversamente, sarebbero stati violati pure i principi di trasparenza amministrativa e di partecipazione procedimentale, non essendo stata eseguita alcuna comunicazione o pubblicazione della domanda di Galata, con la conseguenza che nessun soggetto interessato aveva potuto presentare osservazioni o istanze.

Nel merito, risultavano violati:

- l’art. 10 L.R. n. 12/11, tenuto conto che non si faceva questione di completamento della documentazione carente, ma di modificazione del progetto; la richiesta dell’Amministrazione era stata, comunque, avanzata dopo trenta giorni dalla presentazione della domanda, la documentazione progettuale era stata consegnata oltre due mesi dopo la richiesta e il provvedimento conclusivo era stato assunto dopo quasi tre mesi dalla consegna della documentazione;

- l’art. 87 D. Lgs. n. 259/03, che prevedeva una durata massima della procedura autorizzatoria di 90 giorni.

19.2 Il motivo di appello è infondato.

19.3 La parte cointrointeressata all’accoglimento dell’istanza autorizzativa (da altri presentata), che abbia agito per ottenere l’annullamento dell’atto abilitativo in concreto assunto, potrebbe essere interessata a contestare l’eccessiva durata del procedimento - protrattosi per un periodo superiore al termine di sua conclusione - soltanto nelle ipotesi in cui il ritardo in concreto occorso integri un vizio di legittimità o, comunque, una causa di inefficacia del provvedimento comunque adottato (come potrebbe avvenire nelle fattispecie di silenzio dissenso, in cui l’inutile scadenza del termine di conclusione del procedimento determina la formazione di un titolo tacito di diniego, non superabile dall’Amministrazione con la tardiva adozione del provvedimento di primo grado, occorrendo a tali fini un intervento di autotutela).

Nel caso di specie, il ritardo nel provvedere non configura, di per sé, un vizio di legittimità del provvedimento autorizzativo impugnato in prime cure, né ha determinato l’inefficacia dell’atto tardivamente assunto.

Difatti, come osservato nella disamina dei precedenti motivi, a fronte del diniego dell’Ente Parco, da un lato, era possibile per la stessa Amministrazione riesaminare il proprio atto negativo, non risultando ancora definito il procedimento principale autorizzativo nell’ambito del quale il diniego era stato acquisito; dall’altro, l’Amministrazione procedente non era tenuta a concludere immediatamente il procedimento con il rigetto dell’istanza di parte, tenuto conto che, proprio in ragione della riesaminabilità del diniego opposto dall’Ente Parco, avrebbe potuto approfondire le ragioni del diniego, al fine di verificare la possibilità di un loro superamento attraverso un intervento di autotutela.

Né avrebbe potuto trovare applicazione la disciplina in materia di dissenso nell’ambito della conferenza di servizi, tenuto conto che, nella conferenza del 12.10.2017, il rappresentante dell’Ente Parco non aveva manifestato un diniego, ma aveva indicato alcune modifiche progettuali necessari per l’assenso (a superamento del precedente diniego), con conseguente possibilità di prosecuzione del procedimento per l’acquisizione di una nuova proposta coerente con le prescrizioni all’uopo poste.

Ne deriva che, non determinando la protrazione del procedimento oltre il termine finale di sua conclusione un vizio di legittimità (o una causa di inefficacia) del provvedimento autorizzativo tardivamente assunto, la decisione del Tar – di ritenere inammissibile una doglianza riferita ai tempi del procedimento – deve essere confermata: gli odierni ricorrenti non potrebbero, infatti, trarre alcuna utilità da una statuizione che, pure accertando l’eccessiva durata del procedimento, non consentirebbe di pervenire all’accoglimento della domanda di annullamento proposta in prime cure.

19.4 In ogni caso, si osserva che le doglianze attoree riferite alla violazione dell’art. 10 L.R. n. 12 del 2011 e dell’art. 87 D. Lgs. n. 259/03 (nella formulazione ratione temporis applicabile alla specie) non risultano nel merito fondate.

L’art. 10, comma 3, L.R. n. 12/11 prevede che l’autorizzazione si intende negata soltanto nelle ipotesi in cui “lo sportello unico … rilevi l'incompletezza della documentazione presentata”, si provveda a richiedere al soggetto interessato l’integrazione degli atti o dei documenti necessari a fini istruttori, nonché gli “atti integrativi richiesti” non pervengano nei trenta giorni successivi.

Il presupposto di applicazione di tale disciplina è dato, dunque, dalla rilevata incompletezza della documentazione e dalla presentazione di apposita richiesta di integrazione, non evasa nel termine di trenta giorni: nella specie, tuttavia, all’esito della conferenza di servizi del 12.10.2017, è stato chiesto all’operatore economico di presentare “una nuova proposta progettuale”, non perché la prima fosse incompleta, ma per la necessità di adeguamento ai rilievi svolti dall’Ente Parco.

Ne deriva l’inapplicabilità della disciplina di cui all’art. 10, comma 3, L.R. n. 12/11, non facendosi questione di richiesta di integrazione documentale, né di presentazione di meri atti integrativi (per i quali soltanto risulta esigibile, secondo la disciplina regionale, il termine di trenta giorni, correlato al mero deposito di atti e documenti puntualmente richiesti). La violazione dei termini procedurali non influiva, dunque, sulla persistenza del potere ai sensi dell’art. 10 L.R. n. 12/11, non rendendo illegittimo l’atto tardivo.

Parimenti, l’art. 87, comma 9, D. Lgs. n. 259/03 (nella formulazione vigente al tempo del provvedimento per cui è causa) prevedeva che le istanze di autorizzazione dovevano intendersi accolte qualora, entro novanta giorni dalla presentazione del progetto e della relativa domanda, non fosse stato comunicato un provvedimento di diniego o un parere negativo da parte dell'organismo competente ad effettuare i controlli, di cui all'articolo 14 della legge 22 febbraio 2001, n. 36. Tale disciplina, tuttavia, non operava in caso di dissenso espresso da un'Amministrazione preposta alla tutela ambientale, alla tutela della salute o alla tutela del patrimonio storico-artistico.

Ne deriva che la disciplina dettata dall’art. 87 cit. riconduceva alla manifestazione del dissenso qualificato la mancata formazione del silenzio assenso sull’istanza di parte: l’atto di dissenso impediva la formazione del silenzio assenso altrimenti operante in materia, ma non conduceva, per ciò solo, al rigetto dell’istanza di parte (non integrando gli estremi del silenzio rigetto), occorrendo, comunque, la conclusione del procedimento con l’adozione del provvedimento definitivo. Anche in tale ipotesi, l’inutile decorrenza del termine procedimentale non impediva la valida adozione del provvedimento tardivo.

Si conferma che la durata del procedimento per cui è causa non ha condotto alla formazione del silenzio rigetto, né ha integrato, di per sé, un vizio di legittimità del provvedimento impugnato, non annullabile pertanto per il superamento del termine di conclusione del procedimento.

20. Alla stregua delle considerazioni svolte, l’appello deve essere rigettato.

21. Nei rapporti tra le parti costituite, le spese del grado di giudizio sono regolate in applicazione del criterio della soccombenza, dovendo essere poste a carico delle parti appellanti e in favore delle parti appellate costituite, nella misura liquidata in dispositivo.

Nei rapporti tra i ricorrenti e le parti intimate non costituite, in ragione del rigetto dell’appello e dell’assenza di attività difensiva delle parti non costituite, non vi è luogo a statuire sulle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna gli appellanti al pagamento delle spese di giudizio del grado di appello, liquidate nella somma complessiva di € 7.500,00 (settemilacinquecento/00), oltre accessori di legge ove dovuti, di cui € 2.500,00 (duemilacinquecento/00), oltre accessori di legge ove dovuti, in favore dell’Ente Parco Nazionale Gran Paradiso, € 2.500,00 (duemilacinquecento/00), oltre accessori di legge ove dovuti, in favore della società Galata s.p.a., nonché € 2.500,00 (duemilacinquecento/00), oltre accessori di legge ove dovuti, in favore del Comune di Aymavilles.

Nulla statuisce sulle spese del grado di giudizio nei rapporti tra gli appellanti, la Regione Autonoma Valle D’Aosta e lo Sportello Unico degli Enti Locali della Valle d’Aosta (SUEL), Struttura Operativa per l'alta Valle del Servizio Associato dello Sportello Unico.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 ottobre 2022 con l'intervento dei magistrati:

Hadrian Simonetti, Presidente

Stefano Toschei, Consigliere

Davide Ponte, Consigliere

Francesco De Luca, Consigliere, Estensore

Marco Poppi, Consigliere