Pres. Onorato Est. Ianniello Ric. Storace
Rifiuti. Deposito temporaneo: condizioni
Il produttore, ferme le altre condizioni qualitative, può decidere di conservare i rifiuti in deposito temporaneo per tre mesi in qualsiasi quantità, prima di avviarli allo smaltimento o al recupero (privilegiando così il limite temporale), oppure può scegliere di conservare i rifiuti in deposito per un anno, purché la loro quantità non raggiunga i venti metri cubi (assumendo così come decisivo il limite quantitativo)
Svolgimento
del
processo
Con sentenza del 26 maggio 2006, il Tribunale di Livorno, sezione distaccata di Cecina, ha condannato Andrea Storace, riconosciute le attenuanti generiche, alla pena di E 4.000,00 di ammenda (pena sospesa), dichiarandolo colpevole del reato di cui all’art. 51, comma 1°, lett. a) del D.Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22 (oggi art. 256, comma 1°, lett. a) del D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152), per avere, in qualità di legale rappresentante della s.r.l. Vacanze In, svolto attività di smaltimento di rifiuti non autorizzata, depositando, in una porzione di terreno di mq. 150 circa, mc. 100 di rifiuti speciali non pericolosi provenienti da demolizioni edili poste in essere nell’adiacente campeggio, anch’esso di proprietà della società (come accertato in Rosignano Marittimo, località Mazzata il 4 febbraio 2004).
In particolare, il Tribunale ha ritenuto di escludere la qualificazione di deposito temporaneo sostenuta dalla difesa relativamente al raggruppamento mediante ruspa dei rifiuti, in ragione del ritenuto superamento dei tempi di giacenza degli stessi, che, in quanto in quantità superiore ai 20 mc., avrebbero dovuto essere raccolti e avviati ad operazioni di smaltimento immediatamente, mentre risultavano presenti nell’area da circa due mesi.
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’imputato, a meno del proprio difensore, deducendo l’erronea interpretazione dell’art. 6, lett. m), n. 3 del D.Lgs. n. 22/97, come modificato dal D.Lgs. n. 389/97 e 183 D.Lgs. n. 152/06 nonché dell’art. 51, comma 1°, lett. a) del D.Lgs. n. 22/97, come modificato dall’art. 256 del D.Lgs. n. 152/06, ribadendo che nel caso in esame si era trattato di una ipotesi di deposita temporaneo in quanto raggruppamento di rifiuti speciali non pericolosi sul luogo di produzione per circa due mesi (come accertato anche dal Tribunale), senza che fosse pertanto decorso il limite temporale di tre mesi, indicato dalla legge in alternativa al limite quantitativo, per avviarli alle operazioni di recupero o smaltimento.
Il ricorrente chiede pertanto l’annullamento della sentenza impugnata.
Motivi
della decisione
Il ricorso è fondato.
E’ pacifica nel caso in esame la qualificazione del materiale depositato nell’area indicata come
rifiuto speciale non pericoloso
proveniente da demolizioni edili.
Altrettanto incontestato è il fatto che tali rifiuti siano stati raggruppati, utilizzando una ruspa, in un luogo protetto qualificato come di produzione del rifiuto stesso, giacendovi per circa due mesi (fino al momento del sequestro) in attesa del relativo smaltimento, le cui prime operazioni dì raccolta e trasporto erano state già concordate con una impresa autorizzata.
Ciononostante,
il Tribunale ha ritenuto di qualificare il
fatto in termini di deposito
preliminare
o stoccaggio non autorizzato (per la
distinzione tra deposito
temporaneo irregolare, messa
in riserva irregolare e deposito incontrollato o abbandono di rifiuti cfr.,
recentemente, Cass. 30 novembre
2006 n. 39544) anziché come deposito
temporaneo, come tale esente
dalla necessità di
autorizzazione, avendo interpretato la
relativa definizione, così come espressa
all’art. 6, lett. m), n. 3) del
D.Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, nel senso che
essa esclude l’ipotesi
in cui,
pur avendo l’accumulo
di rifiuti superato il limite di
Una tale interpretazione fonda su di una lettura della norma citata in senso molto rigorista, in passato sostenuta anche da alcune decisioni di questa Corte (cfr. Cass. sez. 3^, 21 aprile 2000 n. 4957, 12 dicembre 2002 n. 41520, 24 marzo 2003 n. 13113, 20 maggio 2003 n. 22063), criticata da buona parte della dottrina e che con la recente entrata in vigore del D.Lgs. n. 152 del 2006 non appare più giustificata neppure dalla possibile bivalenza dl tenore letterale della disposizione, come rilevato anche dal ricorrente.
Nella
tormentata formulazione del
testo dell’art. 6, lett. m), n. 3) del D.Lgs. n. 22/97 la
condizione quantitativo/temporale
perché il raggruppamento dei rifiuti nel luogo in cui sono
prodotti potesse
essere definito deposito temporaneo era così indicata: “i rifiuti devono essere raccolti e
avviati alle operazioni di recupero
o di smaltimento con cadenza almeno trimestrale indipendentemente dalle
quantità in deposito, ovvero, in alternativa, quando il
quantitativo di rifiuti non
pericolosi in deposito
raggiunge i venti metri cubi;
il termine di durata dei
deposito
temporaneo è di un anno
se il quantitativo di rifiuti in deposito non supera i venti metri cubi nell’anno o se, indipendentemente
dalle
quantità, il deposito temporaneo è
effettuato in stabilimenti localizzati nelle isole minori”.
Secondo
l’interpretazione da cui si dissenta,
la norma andrebbe
interpretata nel senso che il termine di durata dì un
anno si applica
quando in tutto tale arco temporale non
si superi mai il limite
di venti metri cubi, mentre la cadenza almeno
trimestrale assumerebbe autonomo
rilievo quando l’accumulo
non superi
nel trimestre i
Come già rilevato
da questa Corte nella recente semenza n.
39544/06, cit, una
tale esegesi appare in contrasto
col tenore letterale
della disposizione, finendo per tradurre
l’espressione “ovvero”
in chiave
esplicativa, come sinonimo di “ovverosia”, anziché
disgiuntiva, come viceversa
normalmente essa deve intendersi e come
nel testo in esame è fatto palese dalla
combinazione di quell’ovvero,
con l’espressione “In
alternativa”.
L’interpretazione in parola appare altresì “entrare in contraddizione con se stessa quando ammette che il limite trimestrale vale indipendentemente dalla quantità di rifiuti in deposito, ma poi esige che non venga superato il limite di venti metri cubi nel corso dell’anno” e quindi è costretta a forzare ancora una volta il significato dei termini usati.
In ogni caso, la possibilità dì interpretare in chiave esplicativa il termine “ovvero” su cui è stato costruito il significato qui criticato, è oggi venuta meno con l’emanazione del D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152 (in forza della delega contenuta nella legge 15 dicembre 2004 n. 308), il quale all’art. 183, lett. m), n. 3) riorganizza la formulazione letterale della definizione di deposito temporaneo di rifiuti non pericolosi, indicando, quanto al requisito che qui interessa, come modalità alternative, a scelta del produttore, due ipotesi di tempi di raccolta e avviamento alle operazioni di recupero o smaltimento, contrassegnate da numeri diversi (3.1 e 3.2) e separate da un “oppure”, termine che non si presta ad una lettura in senso esplicativo, vale a dire:
“3.1) con cadenza
almeno
trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito;
3.2)
quando il quantitativo di rifiuti
pericolosi in deposito raggiunga i
Segue, come terza ipotesi sub 3.3), quella riferita al deposito temporaneo effettuato in stabilimenti localizzati nelle isole minori.
Alla
luce di siffatte puntualizzazioni
nella formulazione della disposizione, resta “pertanto
definitivamente chiarito che il produttore, ferme la altre
condizioni qualitative, può decidere di conservare i rifiuti in deposito per tre mesi in
qualsiasi quantità, prima di
avviarli allo smaltimento o al recupero (privilegiando il limite
temporale)
oppure può scegliere di conservare i rifiuti in deposito per
un anno, purché la
quantità non raggiunga i venti metri cubi (assumendo
così come decisivo il
limite quantitativo). Solo per le isole minori è
eccezionalmente consentito che
il deposito sia protratto per un
anno anche se il quantitativo
depositato supera il limite predetto” (sentenza
n. 39544, cit.).
Applicando al caso in esame la regola relativa al limite quantitativo-temporale del deposito temporaneo, così come qui interpretata, deve concludersi nel senso che il ricorrente, avendo optato per il primo capo dell’alternativa indicata col raggruppare nell’arca di produzione quantitativi di rifiuti superiori a venti metri cubi ma per un periodo inferiore a tre mesi, ha rispettato il requisito stabilito dalla legge nella dimensione temporale.
Poiché l’unico elemento in contestazione nel giudizio era appunto il rispetto o meno del requisito quantitativo/temporale, devesi concludere che il fatto contestato non è riconducibile alla fattispecie penale indicata.
La sentenza impugnata va pertanto annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.