Cass. Sez. III
sent. 34665 del 28 settembre 2005 (c.c. 27 giugno 2005)
Pres. De Maio Est. Onorato Ric. Righetti
Rifiuti – Isole o piazzole ecologiche gestite dal comune – Disciplina
applicabile
L’attività gestita dal comune nella “piazzola ecologica” si qualifica come “deposito preliminare” in vista dello smaltimento o come “messa in riserva” in vista del recupero e non già come “deposito temporaneo”, atteso che quest’ultimo è ipotizzabile soltanto se avviene nel luogo di produzione dei rifiuti, mentre per i rifiuti domestici tale luogo è individuabile nell’insediamento adibito a civile abitazione. Ne consegue che la competenza dei comuni a curare la gestione dei rifiuti urbani e assimilati e a disciplinarla con appositi regolamenti comunali ai sensi dell’articolo 2 D.Lv. 22 del l997, non configura alcuna deroga alla disciplina di cui ai capi IV e V del titolo I dello stesso decreto: in particolare non esonera gli stessi comuni che intraprendono operazioni di smaltimento o recupero, anche nella forma incoativa dello stoccaggio, dall’obbligo di munirsi del necessario titolo abilitativo.
Svolgimento del
processo
I
- Con ordinanza del 21 marzo 2005, depositata il 22 marzo 2005, il tribunale di
Perugia, quale giudice del riesame, ha confermato il decreto di sequestro
preventivo disposto il 23 febbraio 2005 dal G.I.P. del tribunale di Spoleto
sopra un'area di circa 2.000 mq., istituita dal comune di Cascia, recintata e
pavimentata, presso cui venivano conferiti dai cittadini varie tipologie di
rifiuti in forma differenziata (denominata "isola ecologica") .
II
sindaco del comune, Maurizio Righetti, veniva sottoposto a indagini per il reato
di cui all'art. 51, comma 1, D.Lgs. 22/1997.
Il
tribunale ha ritenuto che sussisteva il fumus dell’ipotizzato reato, giacché
senza la prescritta autorizzazione il comune aveva attivato la c.d. isola
ecologica nella quale esercitava un'attività di gestione dei rifiuti,
consistente nella raccolta e nello stoccaggio degli stessi, nella duplice forma
del deposito preliminare in funzione di successive operazioni di smaltimento e
della messa in riserva in attesa di successive operazioni di recupero.
Infatti
i Carabinieri del N.O.E. avevano accertato che i cittadini residenti nel comune
conferivano i rifiuti già differenziati nell’area suddetta, dove, previo
controllo qualitativo e quantitativo da parte di alcuni dipendenti comunali, gli
stessi venivano depositati in appositi contenitori, e talvolta direttamente sul
pavimento, in attesa di smaltimento o di recupero da parte di ditte
specializzate.
2
– Il difensore del Righetti ha presentato ricorso per cassazione in data 6
aprile 2005, poi rinunciato e sostituito da un nuovo ricorso tempestivamente
depositato l'8 aprile 2005, in cui articola cinque motivi a sostegno. In
particolare lamenta:
2.1
- violazione e falsa applicazione dell'art. 6, lett. 1) D.Lgs. 22/1997, che
definisce lo stoccaggio. Sostiene che lo stoccaggio non era realizzato dal
comune, ma dagli stessi cittadini che conferivano direttamente i rifiuti negli
appositi contenitori, mentre il dipendente comunale si limitava a registrare i
conferimenti al fine di elargire i piccoli compensi che il comune aveva
stabilito per invogliare i cittadini alla raccolta differenziata.
2.2
- violazione e falsa applicazione dell'art. 6 lett. m) D.Lgs. 22/1997, che
definisce il deposito temporaneo. Sostiene che erroneamente, in particolare
senza alcuna giustificazione probatoria, il tribunale ha escluso la ricorrenza
di un deposito temporaneo per mancanza dei presupposti dì legge (raggruppamento
dei rifiuti nel luogo di produzione, limiti temporali e quantitativi).
2.3
- violazione e falsa applicazione dell'art. 6 lett. a) D.Lgs. 22/1997, che
definisce la nozione di rifiuto. Sostiene che ha errato il tribunale laddove ha
escluso il deposito temporaneo nella considerazione che i rifiuti erano prodotti
in luogo diverso da quello in cui erano poi raccolti. Infatti - secondo il
ricorrente - i rifiuti dovevano ritenersi prodotti quando i cittadini
manifestavano inequivocabilmente la volontà di disfarsi delle sostanze, vale a
dire quando li conferivano nei cassonetti o contenitori della piazzola
ecologica.
2.4
- violazione e falsa applicazione dell'art. 6 lett. e) D.Lgs. 22/1997, che
definisce la nozione di raccolta come prelievo, cernita e raggruppamento dei
rifiuti per il loro trasporto. In buona sostanza il ricorrente sostiene che non
era il comune ad effettuare la raccolta, ma le ditte che poi trasportavano i
rifiuti per lo smaltimento o il recupero.
2.5
- ancora violazione e falsa applicazione delle suddette lettere d), e) ed l)
D.Lgs. 22/1997. Ripete che la produzione dei rifiuti era effettuata dai
cittadini al momento del conferimento, ed era libera; che la successiva
gestione, con il prelievo e il trasporto ai luoghi di smaltimento e di recupero,
era effettuata dalle ditte specializzate.
Motivi
della decisione
3
- Va premesso che il ricorso depositato il 6 aprile 2005 e successivamente
rinunziato conteneva gli stessi motivi successivamente riproposti col ricorso
successivamente (e tempestivamente) depositato l'8 febbraio 2005; ma formulava
in più una eccezione di decadenza del sequestro per violazione dell'art. 324,
comma 7, c.p.p. in relazione all'art. 309, commi 5 e 10, c.p.p., e prospettava
in subordine questione di legittimità costituzionale delle stesse norme laddove
siano interpretate nel senso che, in tema di misure cautelari reali, queste non
perdono efficacia quando l'autorità procedente trasmette gli atti al tribunale
del riesame oltre il termine di cinque giorni dalla presentazione dell'istanza
di riesame. Nonostante la rinunzia, la eccezione resta all'esame di questa
corte, giacché la rinuncia non è sottoscritta dall'indagato, ma soltanto dal
suo difensore, il quale - com'è noto - non ha il potere di disporre del diritto
di impugnazione della parte assistita. Si tratta quindi di una rinunzia invalida
e inefficace.
3.1
- Ma l'eccezione è infondata.
Così
come opportunamente ricordato dalla ordinanza impugnata, la giurisprudenza di
questa corte è costante nel sostenere che "in tema di riesame di misure
cautelari reali, la mancata tempestiva trasmissione degli atti non determina la
inefficacia del provvedimento, in quanto il richiamo al comma 10 dell'art. 309
c.p.p., contenuto nel comma 7 dell'art. 324 stesso codice, è da ritenersi
effettuato con riferimento al testo precedente alla modifica introdotta con
legge 8 agosto 1995 n. 332. Invero, il previgente testo dell'art. 309 non
contemplava la sanzione della perdita di efficacia del provvedimento; la
modifica della disciplina, pertanto, attiene alle sole misure cautelari
personali e non anche a quelle reali" (Cass. Sez. V, n. 698 del 22 marzo
1999, Zamponi, rv. 212862. Nello stesso senso, da ultimo, Cass. Sez. I, n. 1836
del 19 aprile 1999, Rocca, rv. 213065; Cass. Sez. III, n. 42508 del 18 dicembre
2002, Scarpa, rv. 225401) .
Né
può sostenersi che tale interpretazione violi il diritto di difesa consacrato
nell'art. 24 Cost., atteso che il legislatore, nella sua legittima
discrezionalità, ha ritenuto che il privato ha comunque la possibilità di
ottenere il riesame della misura cautelare.
In
particolare, il privato è garantito nel suo diritto a ottenere un immediato
riesame collegiale della misura cautelare in forza della norma che stabilisce la
decadenza della misura cautelare (reale o personale) se il tribunale del riesame
non decide entro dieci giorni dalla ricezione degli atti.
L'ulteriore
garanzia della decadenza della misura nel caso in cui l'autorità procedente non
trasmetta gli atti al tribunale nel termine di cinque giorni da quello in cui ha
ricevuto l'avviso della presentazione dell'istanza di riesame, invece, vale solo
per le misure cautelari personali, e non per le misura cautelari reali, in
considerazione della maggiore valenza che la Costituzione assegna alla libertà
personale rispetto alla proprietà privata.
4
- Così riaffermata la persistente efficacia della misura cautelare, occorre ora
esaminare congiuntamente le censure di merito proposte dal ricorrente in ordine
al fumus dell'ipotizzato reato.
Occorre
mettere in evidenza in linea di fatto che - come accertato con motivazione
insindacabile dal giudice di merito - il comune di Cascia aveva organizzato una
c.d. piazzola o isola ecologica, in cui venivano raccolti - previo controllo
qualitativo e quantitativo da parte di alcuni dipendenti comunali - i rifiuti già
differenziati conferiti dai residenti, in attesa che alcune ditte debitamente
autorizzate li prelevassero per destinarli allo smaltimento o al recupero.
Orbene, per escludere che la gestione non autorizzata della piazzola o isola
ecologica integri la contravvenzione di cui all'art. 51, comma 1, D.Lgs.
22/1997, il difensore in buona sostanza propone una interpretazione delle
nozioni di produzione, di raccolta, di stoccaggio e di deposito temporaneo di
rifiuti che contrasta con le definizioni positive che ne da l'art. 6 del D.Lgs.
22/1997. In particolare sostiene che, così come avviene per il conferimento dei
rifiuti domestici negli appositi contenitori sistemati nei luoghi pubblici
(cassonetti), erano i cittadini residenti - e non il comune - ad effettuare la
produzione e la raccolta differenziata dei rifiuti, mentre il comune si limitava
a organizzarne il deposito temporaneo nella piazzola ecologica in attesa delle
successive operazioni di smaltimento o di recupero.
5
- La tesi, però, è giuridicamente infondata. E' indubbiamente vero che i
rifiuti domestici, individuati dall'art. 7, comma 2, lett. a) D.Lgs. 22/1997,
come quelli provenienti dai luoghi adibiti ad uso di civile abitazione,
sono prodotti e raccolti da coloro che occupano l'abitazione. A maggior
ragione ciò è vero nel caso della raccolta differenziata, in cui gli abitanti
provvedono anche a un
raggruppamento dei rifiuti
in frazioni omogenee (carta,
vetro, plastica, alluminio) (art.6 lett. f) stesso decreto).
Ma
è altrettanto incontestabile che il luogo in cui avviene la produzione (e la
raccolta) è appunto l'insediamento adibito a civile abitazione, nel quale gli
occupanti hanno svolto le attività produttrici dei rifiuti (arg. ex lett. b) e
i) dell'art. 6) (e hanno inoltre provveduto alla loro cernita e raggruppamento
per frazioni omogenee). Luogo di produzione non è invece - come pretende il
ricorrente - la piazzola ecologica dove gli abitanti del comune conferiscono i
rifiuti differenziati, anche perché - se pure si vuol riprendere la
prospettazione del ricorrente - non è la piazzola ecologica (o il cassonetto),
bensì la privata abitazione, il luogo dove il soggetto ha deciso di disfarsi
delle sostanze.
5
- Deriva da quanto sopra che l'attività gestita dal comune nella piazzola
ecologica doveva qualificarsi come deposito preliminare in vista dello
smaltimento o come messa in riserva in vista del recupero, non già come
deposito temporaneo, atteso che quest'ultimo è ipotizzabile soltanto se avviene
nel luogo di produzione dei rifiuti. Invero, il deposito temporaneo, che è
espressamente escluso dalle operazioni di smaltimento (D 15 dell'Allegato B) e
dalle operazioni di recupero (R 13 dell'Allegato C), e come tale è sottratto
alle autorizzazioni prescritte dall'art. 28, coincide con il raggruppamento dei
rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti, purché
siano rispettate alcune condizioni dettate dalla lettera m) dell'art. 6 in
relazione alla qualità dei rifiuti, al tempo di giacenza, alla quantità
dell'accumulo, alla omogeneità dei tipi di rifiuti accumulati, nonché
all'imballaggio e alla etichettatura per i rifiuti pericolosi. Il legislatore
evidentemente considera che i rifiuti temporaneamente raggruppati nel luogo in
cui sono prodotti, quando siano rispettate le condizioni predette, non escano
dalla sfera di controllo del produttore e non costituiscano un rischio per
l'ambiente, tale da richiedere il preventivo controllo della pubblica autorità.
Se però una di queste condizioni non è rispettata, ad esempio perché il
raggruppamento dei rifiuti avviene in luogo diverso da quello in cui sono
prodotti, o perché il periodo di giacenza si prolunga oltre il tempo
determinato dalla legge in relazione alla quantità, ovverosia perché i rifiuti
non sono avviati allo smaltimento o al recupero con la periodicità prescritta,
il deposito temporaneo diventa stoccaggio, cioè deposito preliminare in attesa
di una delle altre operazioni di smaltimento o messa in riserva in attesa di una
delle altre operazioni di recupero.
In
altri termini, diventando stoccaggio, il deposito entra nella sfera pericolosa
dello smaltimento o del recupero, qualificandosi come attività direttamente
preparatoria di una delle altre operazioni finali di smaltimento (quali la messa
in discarica, il lagunaggio, l'incenerimento etc.) o di recupero (quali la
riutilizzazione come combustibile, il riciclo di sostanze organiche o
inorganiche, la rigenerazione degli oli, lo spandimento al suolo a beneficio
dell'agricoltura, etc.).
Perciò
la legge richiede che l'operazione di stoccaggio sia previamente controllata
dall'autorità amministrativa, attraverso un'autorizzazione rilasciata dalla
regione ai sensi dell'art. 28, o attraverso una procedura semplificata di
comunicazione alla provincia territorialmente competente ai sensi degli artt. 31
e 32 D.Lgs. 22/1997.
In
assenza di specifica norma derogatoria, questa previa abilitazione è necessaria
anche nel caso in cui lo stoccaggio sia effettuato dai comuni. Ciò significa
che la competenza dei comuni a curare la gestione dei rifiuti urbani e
assimilati e a disciplinarla con appositi regolamenti comunali ai sensi
dell'art. 21 D.Lgs. 22/1997, non configura alcuna deroga alla disciplina di cui
ai capi IV e V del titolo I dello stesso decreto: in particolare non esonera gli
stessi comuni che intraprendono operazioni di smaltimento o di recupero, anche
nella forma incoativa dello stoccaggio, dall'obbligo
di munirsi
del necessario
titolo abilitativo.
Orbene,
lo stoccaggio (deposito preliminare o messa in riserva) effettuato in assenza
del necessario titolo abilitativo è penalmente sanzionato come contravvenzione
ex art. 51, comma 1. (In tal senso cfr. Cass. Sez. 3, sent. 07140 del 19 giugno
2000, Eterno, rv. 216977, secondo cui "il deposito temporaneo di rifiuti ai
sensi dell' art. 6, punto m), del D.Lgs 5 febbraio 1997 n. 22 è legittimo
soltanto ove sussistano alcune precise condizioni temporanee quantitative e
qualitative, - in assenza di tali condizioni, il deposito di rifiuti nel luogo
in cui sono stati prodotti è equiparabile giuridicamente all'attività di
gestione di rifiuti non autorizzata, prevista come reato dall'art. 51 del D.Lgs.
22.)
6
- Alla luce di questi principi, non v' è dubbio che il comune di Cascia, e per
esso il sindaco, gestendo la piazzola o isola ecologica sopra menzionata, abbia
effettuato operazioni di raccolta (assieme a quelle realizzate dai residenti che
conferivano i rifiuti da loro prodotti) e - quel che più conta - abbia
esercitato attività di stoccaggio, che, in assenza del prescritto titolo
abilitativo, è soggetta alla sanzione penale di cui all'art. 51, comma 1, D.Lgs.
22/1997.
In
conclusione, tutti i motivi dedotti devono essere disattesi e il ricorso va
respinto. Consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente alle spese
processuali. Considerato il contenuto dell'impugnazione, non si ritiene di
comminare anche la sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende.