Cass. Sez. III n. 12453 del 30 marzo 2010 (Ud. 11 feb. 2010)
Pres. Onorato Est. Mulliri Ric. Pellegrini
Rifiuti. Abbandono e durata della condotta illecita

Ricorre la violazione dell’art. 256 D.Lvo 152/06 anche nel caso in cui l’attività di abbandono dei rifiuti non sia abituale né protratta per lungo tempo.

 

 

 


UDIENZA del 11.2.2010

SENTENZA N.327

REG. GENERALE N. 34144/2009


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale



Composta dai Signori:


1. dr. Pierluigi Onorato                            Presidente
2. dr.ssa Claudia Squassoni                   Consigliere
3. dr. Alfredo Maria Lombardi                  Consigliere
4. dr. Giovanni Amoroso                         Consigliere

5. dr.ssa Guida Mulliri                            Consigliere rel.

all'esito dell'udienza pubblica dell' 11 febbraio 2010 ha pronunciato la seguente


SENTENZA


- sul ricorso proposto da: Pellegrini Francesco Paolo, nato a Foggia l'xx.xx.xxxxx, imputato art. 51, co. 2, D.L.vo 22/97
- avverso la sentenza del Tribunale di Taranto, in data 22.6.09
- Sentita la relazione del cons. Guida Mùlliri
- Sentito il P.M. nella persona del P.G. dr. Francesco Salzano, che ha chiesto il rigetto del ricorso;


osserva


1. Provvedimento impugnato e motivi del ricorso - L'imputato è stato condannato per avere, quale a.u. della Nuova Estrazione Succhi S.r.l., abbandonato sul terreno rifiuti speciali liquidi consistenti in acque reflue industriali prodotti dall'estrazione di succhi ottenuti dalla spremitura di uve da tavola.


Avverso tale decisione, l'imputato, tramite il difensore, ha proposto ricorso deducendo:


1) violazione di legge da ravvisarsi nel fatto che, nella decisione impugnata, sia stata ritenuta sussistente la fattispecie criminosa ipotizzata sebbene si fosse in presenza di un evento occasionale verificatosi per cause fortuite. Le stesse dichiarazioni del sovr. Netti sono, infatti, nel senso che "in un'unica occasione", quella, appunto, del 6.11.06 il Corpo Forestale ha rilevato liquidi fuoriuscire dallo stabilimento condotto in locazione dall'imputato;


2) violazione di legge (segnatamente dell'art. 2 D.L.vo 152/99) posto che tale norma prevede che "il punto di prelievo per i controlli è immediatamente a monte del punto di scarico sul suolo", nella specie, il prelievo è, invece avvenuto dal "pozzetto d'ispezione" laddove, invece, sarebbe dovuto avvenire ove si trovava il "filtro rotativo" da cui - per ammissione dello stesso teste - "percolava l'acqua". Tra l'altro, i verbalizzanti non hanno neanche precisato da quale dei due pozzetti abbiano effettuato il prelievo del liquido poi analizzato dall'A.R.P.A..
La norma sopra citata è stata violata anche sotto un altro profilo, essendo stato fatto trascorrere un lasso ti tempo maggiore di quello previsto (tre ore) fra l'accertamento dell'infrazione ed il prelievo. Nella specie, risulta che i verbalizzanti si erano accorti del riversamento del liquido alle ore 08.30 e che, invece la campionatura è avvenuta alle ore 16.00 dello stesso giorno (6.11.06);


3) violazione di legge per mancato rispetto del diritto di difesa dal momento che il Tribunale, dopo l'escussione del primo teste ammesso tra quelli indicati dal P.M. (il sovr. Netti), ha dichiarato la superfluità dell'audizione degli altri, in tal modo, precludendo alla difesa di confrontarsi con gli accusatori;


4) violazione di legge per insussistenza del fatto reato dal momento che, dalle dichiarazioni del teste Maraglino, è emerso che lo scoppio delle cisterne, con conseguente versamento di ettolitri di vino nelle condotte di raccolta delle acque pluvie, era avvenuto a seguito di un atto di sabotaggio; pertanto l'acqua contenuta nella cisterna - la cui tubazione si ruppe accidentalmente - era stata attinta dal pozzo artesiano ivi esistente e, pertanto, del tutto inquinata e inquinante per i campi limitrofi (donde la morte di una serie di alberi della zona come da foto in atti). Se, però, i verbalizzanti avessero prelevato il campione direttamente dalla tubazione, non avrebbero trovato i cloruri in percentuale così elevata emersi dall'attività inquinante dei pozzetti rimasti inutilizzati per lungo tempo, ove erano finiti altri elementi chimici trasportati dai mezzi o dalle merce di passaggio.
Il ricorrente conclude invocando l'annullamento della sentenza impugnata.

 

2. Motivi della decisione - Il ricorso è infondato.


In replica alle argomentazioni poste a sostegno del primo motivo, vale, in primo luogo, il rilievo che questa S.C. (Sez. III, 16.1.04, Fiato, Rv. 227951) ha già avuto modo di affermare che ricorre la violazione dell'art. 51 D.L.vo 22/97 (ora art. 256 D.Lvo 152/06) anche nel caso in cui l'attività di abbandono dei rifiuti "non sia abituale né protratta per lungo tempo". Assorbente, tuttavia, è la considerazione che l'argomento secondo cui si sarebbe in presenza di un evento "occasionale" passa attraverso un accertamento fattuale che, non solo, non compete in questa sede ma, che, in ogni caso, è stato già vagliato dai giudici di merito quando hanno evidenziato come, dagli accertamenti di p.g., sia emersa la presenza di un "bocchettone creato appositamente lungo il perimetro dell'azienda, dal quale fuoriusciva il liquido immettendosi nel canale artificiale dell'Anas (cfr. dossier fotografico agli atti". Il tutto venne constatato dalla Guardia Forestale che "durante un normale controllo sul territorio, era stata attirata dalla presenza di liquido maleodorante, di colore nerastro, in copiosa quantità che si riversava sulla s.s. Appia, al'altezza del km. 4,650" sì che quegli operanti "operarono un accertamento a ritroso per risalire dal luogo in cui avevano notato il riversamento di liquami, sino alla fonte" (f. 2).


A tale stregua, viene implicitamente esclusa ogni occasionalità nell'evento.


Irrilevante è il rilievo mosso con il secondo motivo dal momento che la presente contestazione è solo di avere "abbandonato" rifiuti non di averli "prodotti" ed eventuali analisi sono, quindi, del tutto ininfluenti e non necessarie (come già affermato da questa S.C., Sez. III, 18.10.06, Marelli, Rv. 235078).


E', addirittura, manifestamente infondata la questione che il ricorrente solleva con il terzo motivo essendosi in presenza del preciso esercizio di una facoltà riservata dal legislatore al giudice che (art. 495 co. 4 c.p.p.) "sentite le parti, può revocare con ordinanza l'ammissione di prove che risultano superflue o ammettere prove già escluse" dal momento che non basta certo la semplice (sia pur "ferma") opposizione della parte a rendere illegittimo il provvedimento che, nella specie, risulta, comunque, motivato dal fatto che l'audizione del teste Netti (verb, ud. 23.2.09) aveva reso superflua l'audizione degli altri due testi posto che (come risulta dalla espressa richiesta fatta dal giudice al difensore opponente) essi non avrebbero dovuto riferire su circostanze diverse.


Deve, peraltro, rammentarsi, in proposito che, anche di recente, questa S.C. (Sez. Il, 21.1.09, Zerabib, Rv. 243306) ha avuto modo di affermare che il potere giudiziale di revoca, per superfluità, delle prove già ammesse, nel corso del dibattimento, é "più ampio di quello esercitabile all'inizio del dibattimento stesso, momento in cui il giudice può non ammettere soltanto le prove vietate dalla legge o quelle manifestamente superflue o irrilevanti'.
Destituito di fondamento è, da ultimo, anche il quarto motivo che - come è piuttosto evidente anche nella breve sintesi sopra riportata - si risolve in una serie di argomentazioni afferenti il merito e, come tali, inopportune nella presente sede di legittimità.


D'altro canto, la censura avrebbe un suo spazio solo nella eventualità emergessero vizi motivazionali da parte dei giudici di merito derivanti da una mancata considerazione di risultanze processuali ovvero da una lettura manifestamente illogica delle stesse.


Non è, però, questo il caso che occupa.


Come già evidenziato in precedenza, i giudici d'appello hanno richiamato l'attenzione sul fatto che gli accertamenti della p.g. sono avvenuti spontaneamente ("durante un normale controllo sul territorio") ed è, quindi, destituita di fondamento la tesi di una "manovra calunniatoria da parte dei proprietari terrieri limitrofi"; inoltre, (per quanto verificato) è stato possibile anche escludere "la tesi suggestiva secondo la quale l'acqua si sarebbe lungo il percorso".


Nel respingere il ricorso, segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.


Visti gli artt. 637 e ss. c.p.p.


rigetta


il ricorso e


condanna


il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

Così deciso in Roma nell'udienza dell'11 febbraio 2010


DEPOSITATA IN CANCELLERIA il 24 MAR. 2010