Cass. Sez. III n. 13493 del 9 aprile 2010 (Ud. 18 feb. 2010)
Pres. De Maio Est. Teresi Ric. Furia
Rifiuti. Articolo 14 d.l. 138/2002 (criteri interpretativi)

Alla luce della giurisprudenza comunitaria anche per la normativa nazionale deve accedersi, quanto all’ipotesi dei residui di produzione, a un’interpretazione della fattispecie derogatoria del secondo comma dell’art, 14 D.l.138\02, orientata dall’esigenza di conformità alla normativa comunitaria.

 

 

UDIENZA del 18.02.2010

SENTENZA N. 355

REG. GENERALE N. 16207/2009


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale



Composta dagli Ill.mi Signori:

dott. Guido De Maio                                     Presidente
1. dott. Ciro Petti                                             Consigliere
2. dott. Alfredo Teresi                                       Consigliere rel.
3. dott. Silvio Amoresano                                 Consigliere
4. dott. Santi Gazzara                                     Consigliere


ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

- sui ricorsi proposti da Furia Gabriele, nato a Milano il xx.xx.xxxx, e da Cappellini Costantino, nato a Carugo il xx.xx.xxxx,

- avverso la sentenza pronunciata dal Tribunale di Como in Cantù in data 3.07.2008 che, con la concessione a entrambi delle circostanze attenuanti generiche, li ha condannati alla pena di €. 6.000 di ammenda [secondo la correzione eseguita nella motivazione], ciascuno, per il reato di cui agli art. 81 cpv. e 110 cod. pen.; 51, comma 1 lettera a), d. lgs. n. 22/1997;


- Visti gli atti, la sentenza denunciata e i ricorsi;
- Sentita in pubblica udienza la relazione del Consigliere dott. Alfredo Teresi;
- Sentito il PM nella persona del PG dott. Francesco Mauro lacoviello, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi;
- Sentiti i difensori dei ricorrenti, avv. Arnaldo Borgonovo [per Furia] e Benedetta Guzzoni [per Cappellini], che hanno chiesto l'accoglimento dei ricorsi;


osserva


Con sentenza in data 3.07.2008 il Tribunale di Como in Cantù condannava Furia Gabriele e Cappellini Costantino, con la concessione delle attenuanti generiche, alla pena di €. 6.000 di ammenda, ciascuno, quali colpevoli del reato di cui all'art. 51, comma 1 lettera a) d. lgs. n. 22/1997 per avere, il primo, quale presidente del CdA della Furia cuscini s.p.a. e, il secondo, quale amministratore unico dell'UME s.r.l., disposto e fatto eseguire il trasporto di rifiuti speciali non pericolosi [poliuretano espanso CER 070299] avvalendosi d'imprese trasportatrici non iscritte all'albo gestori rifiuti.


Il procedimento si era avviato dal sopralluogo effettuato dai CC di Genova presso il magazzino di uno spedizioniere doganale in S. Stefano di Magra il 4 luglio 2005 nel corso del quale erano state rinvenute circa 50 balle di ritagli di poliuretano espanso, materiale proveniente da diverse ditte sparse sul territorio italiano.


Tale materiale era stato ceduto, anche dalle società rappresentate dai ricorrenti, alla società Blu Hill Italia che aveva commissionato il trasporto sino alla Liguria per la successiva esportazione.


La Furia cuscini e l' UME si erano avvalse, per il trasporto del materiale, di ditte non iscritte all' albo gestori rifiuti.


Nel caso in esame, gli sfidi di poliuterano espanso [ottenuti dalla sagomatura dei pezzi lavorati nell'industria dell'arredamento per ottenere imbottiture di varie specie] costituivano rifiuti perché non inquadrabili nella figura della "materia prima secondaria" non ricorrendo le condizioni previste dal secondo comma dell'art. 14 della legge n. 178/2002 [interpretazione autentica della definizione di rifiuto].


Proponevano ricorso per cassazione gli imputati denunciando Furia violazione di legge; mancanza o illogicità della motivazione sulla qualifica di rifiuto degli sfridi di poliuretano rientrando gli stessi nella categoria delle materie prime secondarie e, dopo l'entrata in vigore del d, lgs. 152/2006, in quella di sottoprodotto, trattandosi di "prodotti che scaturiscono in via continuativa dal processo industriale d'impresa e che sono destinati a un ulteriore impiego o al consumo".


La società Furia cuscini utilizzava gli sfridi, in parte, direttamente e, in parte, li commercializzava cedendoli alla Blue Hill per la riutilizzazione, certa e non eventuale, in un successivo processo produttivo "senza trasformazioni preliminari" [in esse non rientrando il taglio degli sfridi in pezzi più piccoli] e senza operazioni di recupero completo, di cui parla la giurisprudenza comunitaria e senza alcun danno all' ambiente.


Cappellini denunciava violazione di legge sulla qualificazione del materiale de quo come rifiuto che tale non era alla stregua dell'excursus normativo riportato in ricorso.


Non era applicabile al caso in esame il concetto di tracciabilità assoluta introdotto nell'ordinamento con la disposizione dell'art. 183 lett. n) del d. lgs. n. 152/2006 [con la definizione del sottoprodotto] vigendo al momento del fatto la disposizione di cui al secondo comma dell'art. 14 della legge n.178/2002 [interpretazione autentica della definizione di rifiuto] alla luce della quale gli sfridi erano materia prima secondaria non necessitando, per il reimpiego a fini commerciali, di alcun trattamento preventivo (e tale non era il taglio in pezzi più minuti).


Entrambi i ricorrenti censuravano il riconoscimento dell'elemento psicologico del reato soltanto per i produttori del materiale, "che non di per sé sempre ed inevitabilmente qualificahile come rifiuto", elemento che, invece, era stato escluso per i trasportatori, dovendosi prendere atto del quadro normativo equivoco e della giurisprudenza oscillante.


Chiedevano l'annullamento della sentenza.


Il motivo sulla configurabilità del reato non è puntuale perché censura con argomentazioni articolate in fatto la decisione che è esente da vizi logico-giuridici, essendo stati indicati gli elementi probatori emersi a carico degli imputati e confutata ogni obiezione difensiva.


La sentenza, infatti, ha correttamente ritenuto ricorrenti le condizioni che integrano il concetto normativo di trasporto non autorizzato di rifiuti non pericolosi, così correttamente qualificando i materiali consegnati dalle società rappresentate dagli imputati a trasportatori, non iscritti all'albo per la gestione di rifiuti, per essere depositati presso un magazzino di uno spedizioniere doganale in vista della successiva esportazione.


E' stato accertato, in fatto, che i carichi riguardavano sfridi della lavorazione del poliuretano espanso non impiegati direttamente nel ciclo produttivo aziendale; imballati, previa miscelazione di apporti di diversa provenienza aziendale; depositati presso un intermediario per il successivo inoltro a ditte estere non identificate.


I ricorrenti richiamano l'interpretazione autentica dell'art. 6, comma 1, lett. a), d. Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, quale posta dall'art. 14 d.l. 8 luglio 2002 n. 138, conv. in legge 8 agosto 2002 n. 178 che, al secondo comma dell'art. citato, ha dato la nuova nozione di rifiuto in base alla quale, diversamente da quanto affermato nella sentenza impugnata, non si tratterebbe nella specie di rifiuti, ma di materiali atti al loro oggettivo reimpiego senza aver subito nessun intervento preventivo di trattamento e senza aver recato pregiudizio all'ambiente donde l'inesistenza del reato contestato in ragione della sopravvenuta più favorevole normativa.


E' stato puntualizzato da questa Corte [nella sentenza n. 20499/2005 RV. 231528] che l'art. 14 cit., nel porre l'interpretazione autentica della definizione di "rifiuto" stabilisce, al secondo comma, che non ricorre la decisione di disfarsi, di cui alla lett. h) del primo comma della medesima disposizione, per beni o sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo ove sussista una delle seguenti condizioni: a) se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all'ambiente; b) se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, dopo aver subito un trattamento preventivo senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell'allegato C del cit. digs. n. 22 del 1997.


L'art. 14 cit., che al primo comma precisa in positivo la nozione di rifiuto, delinea poi al secondo comma una fattispecie derogatoria che esclude l'illecito penale.


I rilievi dei ricorrenti riguardano la portata della fattispecie derogatoria del secondo comma dell'art. 14, che andrebbe interpretato con un'ampiezza tale da comprendere anche la condotta materiale loro ascritta.


La pronuncia della Corte di giustizia (sez. Il, 11 novembre 2004, C-457/02) ha esaminato la questione di compatibilità del cit. art. 14 con la normativa comunitaria di riferimento e ha chiarito che la specificazione della nozione di "rifiuto", della quale è pur sempre necessaria comunque un'interpretazione estensiva in ragione dei principi di precauzione e prevenzione espressi dalla normativa comunitaria in materia, è possibile solo nei limiti in cui sia sottratta alla relativa disciplina ciò che risulti essere un mero "sottoprodotto", del quale l'impresa non abbia intenzione di disfarsi.


Quindi, occorre essenzialmente distinguere tra residuo di produzione, che è un rifiuto, pur suscettibile di eventuale utilizzazione previa trasformazione, e sottoprodotto, che invece non lo è, fermo restando che la nozione di rifiuto, ai sensi degli art. 1 della direttiva 75/442, nella sua versione originale, e della direttiva 78/319, non deve intendersi nel senso che essa esclude le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica.


E a tal fine - afferma la Corte di giustizia nella citata decisione - in tanto è ravvisabile un "sottoprodotto" in quanto il riutilizzo di un bene, di un materiale o di una materia prima sia non solo eventuale, ma "certo, senza previa trasformazione, ed avvenga nel corso del processo di produzione".


Ciò che non nuoce all'ambiente e può essere inequivocabilmente e immediatamente utilizzato come materia prima secondaria in un processo produttivo si sottrae alla disciplina dei rifiuti, che non avrebbe ragion d'essere; la quale invece trova piena applicazione in tutti i casi di materiale di risulta che possa essere si utilizzabile, ma solo eventualmente ovvero "previa trasformazione"; ciò che, proprio in ragione del principio di precauzione e prevenzione richiamato dalla Corte di giustizia, comporta l'applicazione della disciplina di controllo dei rifiuti.


Tuttavia - ha precisato la Corte - occorre interpretare in maniera estensiva la nozione di rifiuto, per limitare gli inconvenienti o i danni dovuti alla loro natura, e quindi occorre circoscrivere la fattispecie esclusa, relativa ai "sottoprodotti", alle situazioni in cui il riutilizzo di un bene, di un materiale o di una materia prima non sia "solo eventuale, ma certo, senza trasformazione preliminare, e nel corso del processo di produzione".


Alla luce della giurisprudenza comunitaria sulla questione anche per la normativa nazionale deve accedersi, quanto all'ipotesi dei residui di produzione, a un'interpretazione della fattispecie derogatoria del secondo comma dell'art. 14 cit., orientata dall'esigenza di conformità alla normativa comunitaria.


Nella specie, esclusa un'interpretazione restrittiva della fattispecie derogatoria di cui al secondo comma dell'art. 14 cit., corretta è la decisione del Tribunale sull'insussistenza dei presupposti sopraindicati con riferimento alla riutilizzazione effettiva e oggettiva in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo.


L'impiego certo in un processo di produzione è risultato in concreto escluso sia per l'incertezza sulla destinazione finale degli sfidi (sconoscevasi l'azienda del reimpiego) essendo emerso solo che il materiale era oggetto di negoziazione sia perché il materiale era stato ceduto non a un soggetto abilitato all'utilizzo in proprio del materiale ma a un intermediario.


Ma anche alla luce della nuova normativa di cui al d. Lgs. n. 152/2006, che ha introdotto la nozione di sottoprodotto, la soluzione non muta poiché la definizione di cui alla lettera n) dell'art. 183 del decreto è più restrittiva.


Operando il criterio della tracciabilità assoluta la certezza dell'utilizzazione deve, infatti, risultare da puntuali verifiche e da attestazioni dei soggetti interessati alla cessione e al riutilizzo.


Correttamente, quindi, è stato ritenuto che tali decisivi elementi, minimizzati nei motivi di ricorso, depongano inequivocabilmente per la configurabilità del reato.


Anche il motivo sull'elemento psicologico del reato è infondato stante la consistenza degli elementi di prova indicati dalla Corte di merito e le argomentazioni sviluppate nella motivazione della sentenza con riferimento alla posizione degli imputati quali operatori professionali e industriali tenuti alla rigorosa conoscenza della normativa in materia di rifiuti e perciò gravati dell'onere di dimostrare di avere compiuto tutto quanto potevano per osservare la norma violata.


Grava sui ricorrenti l'onere delle spese del procedimento.


PQM


La Corte rigetta i ricorsi e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.


Cosi deciso in Roma nella pubblica udienza del 18.02.2010.


DEPOSITATA IN CANCELLERIA il  9 APR. 2010