Cass. Sez. III n. 7386 del 19 febbraio 2015 (Ud 19 nov 2014)
Pres. Mannino Est. Scarcella Ric. Cusini ed altro
Rifiuti.Abbandono e deposito incontrollato: natura istantanea o permanente
Mentre la natura istantanea con effetti permanenti ben può attagliarsi alla condotta di "abbandono incontrollato" di rifiuti (che presuppone una volontà esclusivamente dismissiva dei rifiuti che, per la sua episodicità, esaurisce gli effetti della condotta fin dal momento dell'abbandono e non presuppone una successiva attività gestoria volta al recupero o allo smaltimento), non altrettanto può dirsi con riferimento alla condotta di "deposito incontrollato" ove legata al mancato rispetto delle condizioni dettate dall'art. 183, comma primo, lett. bb) del d. Igs. 3 aprile 2006, n. 152, in tema di deposito temporaneo, segnatamente con riferimento al n. 2 (cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito; quantitativo di rifiuti in deposito che raggiunge complessivamente i 30 metri cubi di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi; in ogni caso, allorché il quantitativo di rifiuti non superi il predetto limite in un anno, il deposito temporaneo non può essere superiore ad un anno). E' evidente, infatti, che ove la condotta di deposito incontrollato segua al mancato rispetto delle condizioni di legge per la qualificazione del medesimo come temporaneo, si è in presenza di un reato permanente, perché la condotta riguarda un'ipotesi di deposito "controllabile" cui segue l'omessa rimozione nei tempi e nei modi previsti dalla norma citata, donde l'inosservanza di dette condizioni integra un'omissione a carattere permanente, la cui antigiuridicità cessa sino allo smaltimento o al recupero.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 28/02/2014, depositata in data 29/03/2014, la Corte d'appello di MILANO confermava la sentenza del tribunale di COMO del 27/03/2013 appellata dai ricorrenti che, condannandoli alla pena di mesi 6 di arresto ed Euro 4000,00 di ammenda ciascuno, concedendo agli stessi le attenuanti generiche ed i doppi benefici di legge, li aveva ritenuti responsabili del reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, lett. a) e b), nonchè del comma 4 per avere - nelle rispettive qualità, il C., di Sindaco e di responsabile del Servizio tecnico del Comune di Bulgarograsso e, il Cl., di Vice Sindaco con delega all'Ambiente e al Territorio-, gestito la discarica comunale senza osservare le prescrizioni contenute nella relativa autorizzazione e dalle norme regolamentari presupposte (D.M. Ambiente 8 aprile 2008 e succ. modd.), in particolare omettendo di provvedere a quanto meglio descritto nel campo di imputazione (fatti contestati come accertati il (OMISSIS)).
2. Hanno proposto personalmente ricorso il C. ed il CL. deducendo, il primo, otto motivi e, il secondo, sette motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
2.1. Deducono i ricorrenti, con il primo motivo, comune ad entrambi, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. e) per mancanza della motivazione.
In sintesi, la censura investe l'impugnata sentenza in quanto la stessa sarebbe priva di motivazione, non avendo adeguatamente valutato le critiche mosse con i motivi di appello, risolvendosi in un richiamo acritico della sentenza di primo grado; si sarebbe trattato di un'illegittima motivazione per relationem, per essersi i giudici di appello limitati a respingere le censure sollevate con i motivi di appello, avendo trattato solo due dei sei motivi, senza alcuna motivazione in ordine al rigetto dell'impugnazione, ripetendo le imprecisioni contenute nella sentenza di primo grado.
2.2. Deducono i ricorrenti, con il terzo motivo C. ed il secondo motivo CL., comune ad entrambi, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b), c) ed e) per errata valutazione delle risultanze processuali in quanto il fatto storico addebitato non è stato accertato e, in ogni caso, per insufficienza e contraddittorietà della prova della sussistenza del fatto e correlati vizi motivazionali di omessa e/o carente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della sentenza.
In sintesi, la censura investe l'impugnata sentenza in quanto l'affermazione di responsabilità si fonderebbe su un equivoco di fondo relativo alla qualificazione dell'area oggetto del processo come "centro raccolta rifiuti" piuttosto che di "piattaforma ecologica"; nel caso in esame, si sostiene in ricorso, al momento dell'accertamento dei fatti non era ancora scaduto il termine del 30 giugno 2010 fissato per la conformazione dei siti comunali già esistenti alle previsioni dei centri di raccolta stabilite dal D.M. 8 aprile 2008; erroneamente i giudici di appello avrebbero accertato che l'area in questione non costituirebbe "centro di raccolta" ma una "piattaforma", affermando che l'organizzazione dell'area ecologica del Comune di Bulgarograsso non era tale da rendere la stessa un centro di raccolta rientrante nella definizione normativa; contrariamente a quanto affermato nella sentenza di appello, dall'istruttoria dibattimentale di primo grado, invece sarebbero emersi elementi univoci da cui era possibile evincere che l'area in questione era qualificabile come "centro di raccolta" (in particolare, in ricorso, si richiama quanto affermato da testi qualificati assunti in dibattimento - M., funzionario ARPA e R., segretario comunale -, i quali avrebbero confermato trattarsi di "centro di raccolta"); tali evidenze testimoniali sarebbero state, inoltre, accompagnate da evidenze documentali travisate dai giudici di merito (piano provinciale rifiuti della Provincia di Como; comunicazione della Provincia di Como del 7 luglio 2010), in quanto, con riferimento al primo documento, esso si limiterebbe a chiarire che l'area in questione non sia un deposito incontrollato di rifiuti ma risulti inserito nel contesto delle piazzole comunali di raccolta dei rifiuti e, quanto al secondo, dallo stesso (redatto dall'Autorità competente in materia di rifiuti) emerge in maniera inequivocabile che tale area è da qualificarsi come "centro di raccolta" e non di piattaforma soggetta ad autorizzazione; tali considerazioni, ad avviso della difesa, determinerebbero l'evidente errore in diritto commesso dai giudici di merito, in quanto la prima codifica normativa e definizione di centro di raccolta è da ricondursi al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, lett. mm), e, per la sua attuazione, al D.M. 8 aprile 2008, sicchè la normativa previgente citata nella sentenza risulterebbe del tutto inapplicabile nei confronti dei centri di raccolta (si tratta del D.M. 5 febbraio 1998, art. 6, lett. c); del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6, lett. m); del D.P.R. n. 915 del 1982; del D.P.R. 8 agosto 1994, art. 6) in quanto disciplinati solo successivamente con il D.M. 8 aprile 2008; in ogni caso, difetterebbe la norma penale incriminatrice, non essendo corretta quella contestata nell'imputazione.
2.3. Deducono i ricorrenti, con il quarto motivo C. ed il terzo motivo CL., comune ad entrambi, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. c) per violazione dell'art. 522 cod. proc. pen. ed inosservanza degli artt. 521 e segg. cod. proc. pen.; violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza.
In sintesi, la censura investe l'impugnata sentenza in quanto la condotta oggetto di contestazione, indicata al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 4, era relativa all'inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni nonchè nella carenza dei requisiti e delle condizioni richieste per la gestione del centro comunale; in virtù di tale imputazione, l'intera attività difensiva svolta in primo grado era stata rivolta all'individuazione e trattazione del regime autorizzatorio previsto per il "centro di raccolta"; diversamente, i ricorrenti sarebbero stati condannati per un fatto diverso rispetto a quello contestato, come emergerebbe dalla stessa lettura della sentenza di primo grado in cui si dà atto del fatto che nessuna autorizzazione era stata mai rilasciata, ma che "in fatto" si tratterebbe di gestione di una discarica in cui erano conferiti rifiuti pericolosi e non depositati in modo incontrollato; si sostiene, a tal fine, in ricorso, che già nel giudizio di primo grado dalle deposizioni testimoniali ( M.; R., B., imp. C.) era emerso che per tale area non vi era alcuna autorizzazione, in quanto non prevista ma, nonostante ciò, il PM non avrebbe proceduto alla modifica dell'imputazione, come sarebbe stato necessario, donde la sentenza di condanna, confermata sbrigativamente in appello, sarebbe affetta dal predetto vizio di violazione della legge processuale, trattandosi di fatto nuovo, riconducibile al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2 o comma 3 (come pure lo stesso tribunale di Como ammette, v. pag. 5).
2.4. Deducono i ricorrenti, con il quinto ed il sesto motivo C. ed il quarto e quinto motivo CL., comuni ad entrambi, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione all'errata valutazione delle norme di diritto in punto di applicabilità alla fattispecie in esame della normativa di cui al D.M. 8 aprile 2008 e correlati vizi motivazionali di omessa e/o carente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della sentenza.
In sintesi, la censura investe l'impugnata sentenza in quanto la Corte d'appello e, prima, il tribunale di Milano, non avrebbero valutato correttamente la circostanza che la normativa invocata nel capo di imputazione non era ancora in vigore al momento del fatto;
sul punto, si osserva in ricorso, il D.M. 8 aprile 2008 (normativa regolamentare evocata nell'imputazione, in quanto veniva contestato proprio il mancato rispetto dei requisiti tecnico - gestionali contenuti nell'allegato I del D.M. 8 aprile 2008) prevedeva che i centri di raccolta si sarebbero dovuti conformare alle disposizioni del medesimo entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della Delilb. Albo Gestori ambientali, Delib. adottata in data 29 luglio 2008, ma revocata successivamente il 25 novembre 2008 in quanto adottata in carenza di potere nelle more della registrazione alla Corte dei Conti; orbene, si precisa in ricorso, con successivo D.M. 13 maggio 2009, il Ministero dell'Ambiente differiva l'entrata in vigore dell'obbligo di adeguamento alle disposizioni del D.M. 8 aprile 2008 nel termine di 6 mesi dalla data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, avvenuta in data 18 luglio 2009, ma il predetto termine veniva ulteriormente differito con il D.L. n. 194 del 2009, conv. con modd. in L. n. 25 del 2010 al 30 giugno 2010, dunque in epoca successiva all'accertamento dei fatti per cui si procede; i giudici di merito avrebbero superato l'eccezione con motivazione assolutamente erronea, affermando che detta circostanza non avrebbe spostato i termini della questione.
2.4.1. Con il sesto motivo C. ed il quinto motivo CL., comune ad entrambi, con cui si denunciano i medesimi vizi di cui al precedente paragrafo, la difesa dei ricorrenti censura un ulteriore profilo attinente alla omessa motivazione della sentenza d'appello con riferimento ad una censura sollevata con i motivi di appello; in particolare, si osserva in ricorso, dall'istruttoria sarebbe emersa la totale estraneità alla gestione del centro di raccolta dell'Amministrazione comunale (i testi R., B. e Ro. avrebbero escluso la presenza di personale dell'amministrazione comunale presso il centro di raccolta, affidato alla Cooperativa Omnia che si occupa della custodia e vigilanza, mentre la gestione del servizio di raccolta rifiuti risulta appaltato regolarmente alla Econord s.p.a. già dal 2005, prevedendosi nel capitolato d'appalto che il servizio di prelievo e trasporto rifiuti presso il centro raccolta dovesse essere svolto dalla Econord s.p.a., o in maniera autonoma o su sollecitazione del custode del centro, non essendo peraltro emerse in dibattimento segnalazioni al Comune di anomalie o disservizi); quanto, in particolare, alla vicenda che portò al sequestro del 21 maggio 2009 legato allo smaltimento di alcune lastre di amianto trovate presso il centro di raccolta, lo stato del Centro di raccolta era assolutamente in regola, come comprovato dal sopralluogo avvenuto il 21 maggio 2010, in cui si dava atto dell'assoluta rispondenza alla normativa, donde non risponderebbe al vero l'affermazione contenuta in sentenza secondo cui il predetto "centro di raccolta" versasse in stato di totale abbandono; la sentenza, dunque, sul punto, risulterebbe totalmente priva di motivazione, avendo acriticamente richiamato quanto affermato dal primo giudice, senza confutare le censure difensive.
2.5. Deducono i ricorrenti, con il settimo motivo C. ed il sesto motivo CL., comune ad entrambi, il vizio di cui all'art. 606, lett. b) per violazione di legge in relazione all'eccessività della pena.
In sintesi, la censura investe l'impugnata sentenza in quanto i giudici avrebbero errato nel quantificare la pena, giustificando la determinazione della pena base in ragione del ruolo pubblico ricoperto, così elevando ad aggravante la condizione soggettiva di pubblico amministratore, senza alcun collegamento con la norma di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, che qualifica il reato come comune e non proprio.
2.6. Deducono i ricorrenti, con l'ottavo motivo C. ed il settimo motivo CL., comune ad entrambi, il vizio di cui all'art. 606, lett. b) per violazione di legge in relazione al mancato riconoscimento dell'intervenuta prescrizione del reato.
In sintesi, la censura investe l'impugnata sentenza in quanto la Corte territoriale avrebbe erroneamente respinto l'eccezione di prescrizione del reato, laddove, diversamente, il reato sarebbe già estinto per prescrizione.
2.7. Deduce il solo ricorrente C., con il secondo motivo, riferibile solo al medesimo ricorrente, il vizio di cui all'art. 606, lett. c) per violazione della legge processuale in quanto la sentenza sarebbe viziata ex art. 178 c.p.p., lett. c), essendo stato violato il diritto di intervento del ricorrente.
In sintesi, la censura investe l'impugnata sentenza in quanto la Corte territoriale non avrebbe correttamente valutato come assoluto l'impedimento a comparire del ricorrente all'udienza del 28 febbraio 2014; la Corte, in particolare, avrebbe disatteso l'istanza di rinvio ritenendo che il certificato medico attestasse una difficoltà di deambulazione, non avente natura di impedimento assoluto; ciò avrebbe determinato la violazione del diritto di difesa del ricorrente, in quanto la Corte avrebbe dovuto disporre la visita domiciliare, valutando il carattere impeditivo dell'infermità.
3. Con memoria depositata presso la Cancelleria di questa Corte in data 14 novembre 2014 la difesa del ricorrente C., riferendosi al sesto motivo di ricorso, rileva che il C. sarebbe stato ritenuto responsabile in base al principio della responsabilità oggettiva; egli, in sostanza, quale Sindaco, non avrebbe potuto essere ritenuto responsabile per l'inosservanza delle prescrizioni operative adottate nel servizio di raccolta differenziata, atteso il ruolo politico attribuitogli dalla normativa, come più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. I ricorsi sono infondati e devono essere rigettati.
5. Seguendo l'ordine imposto dalla struttura dell'impugnazione in sede di legittimità, dev'essere esaminato anzitutto il primo motivo di ricorso, comune ad entrambi, con cui viene dedotta la mancanza della motivazione, non avendo adeguatamente valutato la sentenza d'appello le critiche mosse con i motivi di appello, risolvendosi in un richiamo acritico della sentenza di primo grado; in sostanza, si osserva, la sentenza avrebbe esaminato solo due dei sei motivi.
Il motivo è inammissibile per genericità, atteso che la censura non contiene alcuna doglianza specifica; tra l'altro, non indica quali sarebbero i quattro motivi di appello rimasti "inesitati", rispetto ai due che sarebbero stati esaminati, e, soprattutto sotto quale profilo degli stessi sarebbe stato omesso l'esame. Sul punto, va qui ricordato che in relazione al ricorso per cassazione costituisce motivo di inammissibilità per aspecificità la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentative della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (Sez. 2, n. 36406 del 27/06/2012 - dep. 21/09/2012, Livrieri, Rv. 253893).
6. Può quindi esaminarsi il terzo motivo di ricorso C., congiuntamente al secondo motivo di ricorso CL., in cui si deduce la violazione di legge ed il vizio motivazionale in quanto l'affermazione di responsabilità si fonderebbe su un equivoco di fondo relativo alla qualificazione dell'area oggetto del processo come "centro raccolta rifiuti" piuttosto che di "piattaforma ecologica".
Il motivo è infondato, atteso che la questione viene capillarmente affrontata sia dalla sentenza di primo grado che da quella d'appello (le cui motivazioni, trattandosi di doppia conforme, si integrano vicendevolmente), nelle quali si sottolinea che occorre "in concreto" verificare se ci si trovi in presenza di un centro di raccolta rifiuti. Nel caso in esame, in particolare, era evidente che ci si trovava in presenza di un centro di stoccaggio alla rinfusa di rifiuti di ogni genere (lastre in amianto, frigoriferi, etc.), donde difettavano ab origine le caratteristiche per la qualificazione come centro di raccolta dell'area in questione (v., in particolare, quanto correttamente esposto alle pagg. 10/12 dell'impugnata sentenza).
Trova, quindi, applicazione il principio, già affermato da questa stessa Sezione, secondo cui, in tema di gestione di rifiuti non autorizzata, i centri comunali di raccolta differenziata dei rifiuti urbani, o "ecopiazzole", necessitano, pur dopo l'introduzione della apposita disciplina di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, lett. mm) del rilascio di previa autorizzazione regionale laddove il centro non risponda ai requisiti dei decreti ministeriali di riferimento o le attività in esso svolte esulino dalle funzioni proprie del centro (Sez. 3, n. 1690 del 11/12/2012 - dep. 14/01/2013, Pellegrino, Rv. 254413).
7. Passando esaminare il quarto motivo C. ed il terzo motivo CL., comune ad entrambi, con il medesimo si denuncia la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, in quanto, a fronte della contestazione di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 4, (inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni nonchè carenza dei requisiti e delle condizioni richieste per la gestione del centro comunale), la difesa aveva articolato le proprie difese in primo grado focalizzando il tema della individuazione e trattazione del regime autorizzatorio previsto per il "centro di raccolta"; diversamente, la sentenza di condanna avrebbe riguardato un fatto diverso rispetto a quello contestato, in quanto, accertato che nessuna autorizzazione era stata mai rilasciata, si era affermato però che "in fatto" si sarebbe trattato di gestione di una discarica in cui erano conferiti rifiuti pericolosi e non depositati in modo incontrollato.
Trattasi di motivi di ricorso infondato. Ed invero, l'imputazione "in fatto" contestata, a prescindere dal riferimento al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 4, (violazione delle prescrizioni dell'autorizzazione, non rilasciata perchè ritenuta non necessaria dalla difesa del ricorrente), è quella di aver gestito la discarica, non solo senza osservare le prescrizioni autorizzative ma anche, e soprattutto, senza osservare le norme regolamentari di cui al D.M. 8/04/2008, cui seguiva la contestazione delle relative omissioni. Non è, dunque, ravvisabile alcuna violazione dell'art. 521 cod. proc. pen., in quanto "in fatto", la contestazione consentiva al ricorrente di difendersi. Trova applicazione, pertanto, il principio di diritto affermato autorevolmente dalle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'"iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010 - dep. 13/10/2010, Carelli, Rv. 248051).
8. In ordine, poi, al quinto ed il sesto motivo C. ed il quarto e quinto motivo CL., comuni ad entrambi, con gli stessi si deduce, come già ampiamente illustrato in precedenza, l'errata valutazione delle norme di diritto in punto di applicabilità alla fattispecie in esame della normativa di cui al D.M. 8 aprile 2008 e correlati vizi motivazionali, nel senso che la Corte d'appello e, prima, il tribunale di Milano, non avrebbero valutato correttamente la circostanza che la normativa invocata nel capo di imputazione non era ancora in vigore al momento del fatto.
Anche detto motivo è infondato. Ed invero, la questione perde di qualsiasi spessore argomentativo alla luce di quanto specificato nel precedente paragrafo, atteso che non si trattava d centro di raccolta rifiuti ma di deposito incontrollato di rifiuti che la normativa previgente già chiaramente considerava, come del resto chiarito sia dal primo giudice che dal giudice d'appello.
9. Con riferimento, inoltre, al sesto motivo C. ed al quinto motivo CL., comune ad entrambi, con cui si denunciano i medesimi vizi di cui al precedente paragrafo, la difesa dei ricorrenti ha censurato come anticipato - un ulteriore profilo attinente alla omessa motivazione della sentenza d'appello con riferimento ad una censura sollevata con i motivi di appello, in particolare sul fatto che dall'istruttoria sarebbe emersa la totale estraneità alla gestione del centro di raccolta dell'Amministrazione comunale.
Anche detto motivo è manifestamente infondato. La questione è stata infatti oggetto di ampio approfondimento da parte sia del primo giudice che della Corte d'appello che ne ha condiviso le argomentazioni, chiarendo le ragioni del coinvolgimento del Sindaco e del delegato al settore ambiente nei fatti per cui si procede.
Ancora una volta deve qui essere ricordato che a seguito della riforma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il vizio di omessa motivazione può essere dedotto solo quando il giudice di merito ha ingiustificatamente negato l'ingresso nella sua decisione ad un elemento di prova, risultante dagli atti processuali, dotato di efficacia scardinante dell'impianto motivazionale, non invece quando il giudice di merito ha dato, coerentemente ed esaustivamente, una valutazione degli elementi di prova diversa da quella prospettata dal ricorrente. Parimenti, l'illogicità manifesta e la contraddittorietà della motivazione sussistono quando gli altri atti del processo, specificamente indicati nel gravame, inficiano radicalmente, dal punto di vista logico, l'intero apparato motivazionale e non invece quando sono stati coerentemente ed adeguatamente valutati nel provvedimento di merito, seppure in modo diverso rispetto alla tesi prospettata (Sez. 6, n. 35964 del 28/09/2006 - dep. 26/10/2006, Foschini e altro, Rv. 234622).
10. Venendo ad esaminare, ancora, il settimo motivo C. ed il sesto motivo CL., comune ad entrambi - con cui si deduce violazione di legge in relazione all'eccessività della pena, in quanto i giudici avrebbero errato nel quantificare la pena, giustificando la determinazione della pena base in ragione del ruolo pubblico ricoperto, così elevando ad aggravante la condizione soggettiva di pubblico amministratore, senza alcun collegamento con la norma di cui all'art. 256, D.Lgs. n. 152/2006 che qualifica il reato come comune e non proprio - lo stesso si appalesa del tutto privo di pregio alla luce del criterio di calcolo operato dai giudici di merito.
Ed infatti, la pena è stata determinata in mesi 9 di arresto ed Euro 6000,00 di ammenda, ridotta per le attenuanti generiche a mesi 6 di arresto ed Euro 4000,00 di ammenda; orbene, a fronte della cornice edittale prevista dalla legge (da sei mesi a due anni di arresto, congiunti all'ammenda da 2.600,00 a 26.000,00 Euro di ammenda), è di palmare evidenza come la stessa sia stata determinata in misura inferiore a quella media. Trova, pertanto, applicazione il principio, già affermato da questa Corte, per il quale la determinazione della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso il cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all'art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013 - dep. 17/05/2013, Serratore, Rv. 256197).
11. Quanto, ancora, all'ottavo motivo C. ed al settimo motivo CL., comune ad entrambi, con lo stesso si deduce violazione di legge in relazione al mancato riconoscimento dell'intervenuta prescrizione del reato.
Il motivo è manifestamente infondato, atteso che il sequestro è intervenuto in data 21/11/2009, sicchè - essendo quest'ultimo il dies a quo da cui far decorrere il termine di prescrizione del reato contravvenzionale - la prescrizione maturerà alla data del 21/11/2014, cui deve essere aggiunto il periodo di sospensione dal 13/01 al 28/02/2014 per adesione del difensore all'astensione dalle udienze proclamata dalla categoria professionale di appartenenza.
Del resto, va qui data continuità al principio già in precedenza affermato da questa Corte secondo cui, mentre la natura istantanea con effetti permanenti ben può attagliarsi alla condotta di "abbandono incontrollato" di rifiuti (che presuppone una volontà esclusivamente dismissiva dei rifiuti che, per la sua episodicità, esaurisce gli effetti della condotta fin dal momento dell'abbandono e non presuppone una successiva attività gestoria volta al recupero o allo smaltimento), non altrettanto può dirsi con riferimento alla condotta di "deposito incontrollato" ove legata al mancato rispetto delle condizioni dettate dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 183, comma 1, lett. bb) in tema di deposito temporaneo, segnatamente con riferimento al n. 2 (cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito; quantitativo di rifiuti in deposito che raggiunge complessivamente i 30 metri cubi di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi; in ogni caso, allorchè il quantitativo di rifiuti non superi il predetto limite in un anno, il deposito temporaneo non può essere superiore ad un anno). E' evidente, infatti, che ove la condotta di deposito incontrollato segua al mancato rispetto delle condizioni di legge per la qualificazione del medesimo come temporaneo, si è in presenza di un reato permanente, perchè la condotta riguarda un'ipotesi di deposito "controllabile" cui segue l'omessa rimozione nei tempi e nei modi previsti dalla norma citata, donde l'inosservanza di dette condizioni integra un'omissione a carattere permanente, la cui antigiuridicità cessa sino allo smaltimento o al recupero (o con il sequestro: Sez. 3, n. 51422 del 6/11/2014, D'Itri, non massimata). Ed è evidente che, nel caso di specie, ci si trovasse in presenza di un deposito incontrollato di rifiuti ancora da gestirsi da parte dell'Amministrazione comunale e non di un semplice abbandono incontrollato di rifiuti.
12. Quanto, infine, al secondo motivo C., con cui si deduce violazione della legge processuale (art. 178 c.p.p., lett. c)), in quanto la Corte territoriale non avrebbe correttamente valutato come assoluto l'impedimento a comparire del ricorrente all'udienza del 28 febbraio 2014, lo stesso si appalesa infondato.
Ed infatti, risulta che l'impedimento riguardava delle asserite difficoltà di deambulazione dell'imputato. La Corte d'appello motiva, sul punto, ritenendo non trattarsi di impedimento assoluto.
E' evidente come, nel caso di specie, la rilevanza della patologia risulta essere stata disattesa con adeguata motivazione, in quanto la natura dell'affezione "impeditiva", dovuta al riacutizzarsi di una patologia al menisco del ginocchio destro, non rivestiva una connotazione di gravità tale da potersi la medesima inquadrare nel concetto di "assoluto impedimento".
La Corte territoriale ha dunque fatto buon governo del principio, già affermato da questa Corte, non trattandosi di infermità fisica ostativa alla possibilità di presenziare al processo a suo carico in modo vigile ed attivo (v., invece, nel senso della rilevanza di una seria patologia, consistita in una sindrome algica lombo-sacrale acuta irradiata ad entrambi gli arti inferiori e trattata con oppioidi forti: Sez. 6, n. 43885 del 05/11/2008 - dep. 25/11/2008, Lamberti, Rv. 241913).
13. Deve, da ultimo, dichiararsi la tardivita della memoria difensiva depositata in data 14/11/2014, tenuto conto della data dell'udienza davanti a questa Corte (19/11/2014). Il termine di quindici giorni per il deposito delle memorie difensive, previsto dall'art. 611 cod. proc. pen. relativamente al procedimento in camera di consiglio, è applicabile anche ai procedimenti in udienza pubblica e la sua inosservanza esime, dunque, la Corte di Cassazione dall'obbligo di prendere in esame le stesse (v., in termini: Sez. 1, n. 19925 del 04/04/2014 - dep. 14/05/2014, Cutrì e altro, Rv. 259618).
Deve, in ogni caso, rilevarsi che con la stessa il ricorrente C. introduce un motivo nuovo, non ricollegabile al sesto motivo (v. supra 9); ed invero, in tema di termini per l'impugnazione, la facoltà del ricorrente di presentare motivi nuovi incontra il limite del necessario riferimento ai motivi principali dei quali i motivi ulteriori devono rappresentare mero sviluppo o migliore esposizione, anche per ragioni eventualmente non evidenziate, ma sempre ricollegabili ai capi e ai punti già dedotti; ne consegue che sono ammissibili soltanto motivi aggiunti con i quali, a fondamento del "petitum" dei motivi principali, si alleghino ragioni di carattere giuridico diverse o ulteriori, ma non anche motivi con i quali si intenda allargare l'ambito del predetto "petitum", introducendo censure non tempestivamente formalizzate entro i termini per l'impugnazione (Sez. 2, n. 1417 del 11/10/2012 - dep. 11/01/2013, P.C. in proc. Platamone e altro, Rv. 254301).
Peraltro, quand'anche si ritenesse di poter qualificare detto motivo nuovo come "pertinente" rispetto al sesto motivo di ricorso originario, essendo quest'ultimo stato dichiarato manifestamente infondato (e, dunque, inammissibile), stessa sorte seguirebbe anche il motivo nuovo, in quanto l'inammissibilità del motivo originario si estende ai motivi nuovi, come previsto dall'ultima parte dell'art. 585 c.p.p., comma 4.
14. I ricorsi devono essere, complessivamente, rigettati. Segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 19 novembre 2014.