Cass. Sez. III n.41351 del 6 novembre 2008 (Ud. 18 set. 2008)
Pres. De Maio Est. Marini Ric. Fulgori ed altri
Rifiuti. Discarica abusiva

Integra il reato di realizzazione di una discarica abusiva l\'accumulo di rifiuti che per le loro caratteristiche (natura, quantità, eterogeneità, dislocazione sul terreno ... ) non risultino raccolti per ricevere nei tempi previsti una o più destinazioni conformi alla legge, e comportino il degrado dell\'area su sui insistono; tale condotta, inoltre, può concernere, ovviamente sulla base di presupposti specifici, anche per i casi di accumulo di rifiuti in area collocata all\'interno dello stabilimento produttivo.
Con sentenza del Tribunale di Torino, Sezione distaccata di Ciriè, in data 26 settembre 2006, gli odierni ricorrenti e la Sig.ra Fulgori Antonella, sono stati giudicati in ordine a tre diverse violazioni della normativa in materia di rifiuti commesse nell’ambito della gestione delle società “Ecologic Group Srl”, “Com.Ital Sas”, “Eurometalli Sas”; in particolare:
a) tutti, in relazione alla violazione dell’art.51, comma terzo del d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22 e successive modificazioni, per avere realizzato e gestito abusivamente una discarica di rifiuti speciali, inclusi rifiuti urbani e da raccolta differenziata, per un totale di 1.600 tonnellate , pari a mc. 3.450 (dal 1995 al 20 gennaio 2003);
b) FULGORI Alberto e Antonella, in relazione alla violazione dell’art. 51, comma primo, lett. a) del d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22 e successive modificazioni, per avere illecitamente proseguito l’attività di recupero di rifiuti speciali non pericolosi ed esercitato un’attività di gestione di rifiuti (dal 28 Agosto al 9 settembre 2001)
c) FULGORI Alberto, Antonella e Arturo, in relazione alla violazione dell’art. 51, comma quarto del d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22 e successive modificazioni, per avere omesso di procedere alla bonifica delle aree interessate, omettendo di effettuare le dovute comunicazioni alla Provincia di Torino (il 12 Agosto 2001).
In sede di giudizio vi è stata costituzione di parte civile del Comune di Borgaro Torinese.
Il Tribunale in esito al giudizio ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di FULGORI Antonella per tutti i reati e di FULGORI Alberto per il reato sub b) per essere i reati stessi estinti per prescrizione; ha dichiarato non più previsto come reato il reato sub c); ha condannato FULGORI Arturo alla pena di un anno di arresto e 3.000,00 euro di ammenda e FULGORI Arturo e Aldo alla pena ciascuno di otto mesi di arresto e 2.000,00 euro di ammenda in ordine al reato sub a), sospendendo l’esecuzione della pena per FULGORI Aldo e subordinando per FULGORI Alberto tale sospensione al versamento della somma liquidata a titolo di provvisionale in favore della parte civile; ha condannato i predetti al risarcimento dei danni in favore della parte civile, da liquidarsi in separato giudizio, e determinato in 5.000,00 euro la somma dovuta a titolo di provvisionale; ha disposto la confisca dell’area sequestrata.
Avverso tale sentenza ai Sigg.FULGOR1 Alberto, Aldo e Arturo hanno proposto appello chiedendo l’esclusione della che la sussistenza del reato sub a) e la revoca sia della confisca dell’area sia delle disposizioni in tema di risarcimento; in subordine chiedendo una riduzione del trattamento sanzionatorio ed una più ampia applicazione dei benefici di legge.
Nelle more del giudizio la Corte di Appello ha emesso un’ordinanza che accoglieva la richiesta di autorizzazione all’accesso all’area sequestrata presentata congiuntamente dal Comune di Borgaro Torinese e dalla Provincia di Torino. Tale ordinanza è stata oggetto di autonoma impugnazione da parte della difesa dei ricorrenti.
Con la sentenza oggi impugnata la Corte territoriale ha ritenuto di non accogliere le richieste principali degli appellanti e di addivenire alla dichiarazione di estinzione dei reati per intervenuta prescrizione. A tale conclusione la sentenza oggi impugnata giunge dopo avere escluso, alla luce dell’ampia motivazione della sentenza di prime cure, la sussistenza dei presupposti per l’applicazione del secondo comma dell’art. l29 c.p.p. ed affermato la mera ripetitività dei contrari assunti difensivi esposti in sede di motivi di appello, già espressamente respinti in modo convincente con la prima sentenza.
A tale conclusione la Corte territoriale fa conseguire la non revocabilità dell’ordine di confisca dell’area sequestrata, che viene cosi confermato ai sensi degli artt. 236 e 240 c.p.p. Vengono, parimenti, confermate le statuizioni civili.
Con l’odierno ricorso la difesa dei Sigg.FULGORI lamenta, con motivo unico, la violazione dell’art. 606, lett. b) c.p.p. per avere erroneamente i giudici di merito qualificato i fatti in contestazione come realizzazione e gestione abusive di una discarica e non, come sarebbe stato corretto, come attività di deposito incontrollato di rifiuti, ai sensi del comma secondo del citato art.51 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22.
Premesso che la questione, non sollevata in sede di appello, ben può essere proposta per la prima volta in sede di legittimità, trattandosi di materia attinente la qualificazione giuridica del fatto e non richiedente alcuno specifico accertamento in fatto (Cassazione, sentenza 15 novembre 2005, n.45583), i ricorrenti evidenziano che il ristretto lasso di tempo in cui i rifiuti sono stati accumulati e la loro documentata destinazione a discariche autorizzate sono elementi certi che impediscono di ravvisare il reato contestato e impongono di qualificare il fatto secondo la diversa ipotesi prevista dal comma secondo del citato art.5l.
Con successivo atto (datato 13 maggio 2007, ma che deve intendersi datato 13 maggio 2008) la difesa presenta motivi aggiunti con cui contesta la decisione della Corte di Appello di confermare la pronuncia di primo grado in punto confisca degli immobili sequestrati. Si sarebbe in presenza di violazione di legge, posto che la pronuncia di estinzione del reato inibisce l’applicazione dell’art.240 c.p. ed esclude che possa parlarsi di confisca obbligatoria, nonché di omessa motivazione, non essendo sufficiente per la decisione in tema di confisca il mero richiamo alla esclusione dei presupposti previsti dall’art.129, comma secondo c.p.p. Infine, il generico rinvio ai beni sequestrati contenuto in sentenza si caratterizzerebbe per omessa motivazione, posto che l’area interessata dall’accumulo di rifiuti non supererebbe i 1.000 mq. ed è inserita in un assai più vasto compendio immobiliare, con la conseguenza che resta del tutto indeterminato quale sia l’effettivo oggetto dell’ordine di confisca.
Ulteriori motivi sono stati presentati con atto del 30 luglio 2008. Il ricorrente ribadisce che in caso di estinzione del reato per prescrizione non è possibile in materia ambientale applicare i principi stabiliti dall’art.240 c.p., bensì i più limitati principi fissati dall’art.53 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22, così come espressamente affermato dalle decisioni della Terza Sezione Penale della Corte di cassazione n.24470 del 15 maggio 2007 e n.23081 del 16 aprile 2008, nonché dalle Sezioni Unite Penali con la sentenza n.5 del 1992, Carlea.
Con memoria depositata in data 15 Settembre 2008 la Difesa di Parte civile ha richiesto che la Corte
voglia dichiarare il ricorso inammissibile o, comunque, infondato

OSSERVA
1. Ai fini di comprendere le ragioni della presente decisione è necessaria una pur sintetica premessa circa la situazione di fatto accertata dai primi giudici e non oggetto di contestazione sul piano storico da parte dei ricorrenti.
Rileva la sentenza del Tribunale torinese, in estrema sintesi, che: a) le ditte Eurometalli e Ecologic Group nell’anno 1999 subentrarono nell’area di Borgaro T.se, Via America, 17-19 (area su cui insistevano anche capannoni industriali), ad altra società, e ciò avvenne in violazione della destinazione data dagli strumenti urbanistici dell’epoca ai terreni in parola, posto che l’area era stata qualificata come “area agricola impropria” e quindi non solo insuscettibile di ospitare nuove attività produttive, ma destinata ad essere progressivamente liberata dagli insediamenti esistenti; b) nell’anno 2000 il Comune di Borgaro T.se aveva intimato alla Eurometalli (società avente come attività il recupero di metalli ferrosi) di cessare l’attività, provvedimento oggetto di ricorso avanti la giustizia amministrativa; il ricorso era stato respinto sia dal T.A.R. sia dal Consiglio di Stato; c) la Eurometalli, dichiarandosi disponibile al trasferimento in diversa area situata nel Comune di Pianezza, ottenne quindi dal Comune di Borgaro T.se una proroga fino al 31 dicembre 2001; d) tale termine non fu rispettato e nel novembre 2002 il Comune ingiunse alla società di smaltire i rifiuti esistenti; e) i successivi controlli effettuati dalla Polizia municipale fornirono esiti rassicuranti, anche perché la società Eurometalli aveva chiuso i cancelli di accesso all’area e apposto un cartello attestante il trasferimento in Pianezza; f) nel novembre 2002 la Polizia municipale aveva rilevato, peraltro, la presenza sull’area Eurometalli di una certa quantità di rifiuti, stimata in circa 40 tonnellate, che, sebbene oggetto di segnalazione di reato alla Procura della Repubblica, apparivano facilmente smaltibili e che i responsabili della società si erano impegnati a smaltire; g) successivi controlli sull’area effettuati dall’A.R.P.A. consentirono di evidenziare una situazione profondamente diversa; in particolare nel mese di gennaio fu rilevata la presenza di una “montagna di rifiuti” assolutamente eterogenei (tra cui gomma, carta, sacchi di rifiuti apparentemente di tipo urbano), rifiuti che il teste Rollero, della Polizia municipale, potè visionare ed ha riferito in dibattimento essere apparentemente “decuplicati” in quantità rispetto a quelli rilevati nel novembre 2002, tanto che il teste ha aggiunto di essersi sentito “preso in giro” dai titolari dell’azienda; h) una successiva stima operata dai tecnici A.R.P.A. ha quantificato il totale dei rifiuti presenti in circa 1.600 tonnellate, e cioè circa 3.450 mc, pari ad una collina lunga cinquanta metri, larga venti e alta tre metri e mezzo.
L1a sentenza impugnata ha ritenuto che a fronte ditale situazione di fatto non sussistano in punto responsabilità degli imputati i presupposti di applicazione del disposto dell’art.129 c.p.p.
2. I ricorrenti introducono in questa sede, per la prima volta, i! tema della qualificazione giuridica del fatto contestato, prospettando una soluzione non contenuta nei motivi di appello, e cioè che le condotte loro addebitate siano riconducibili all’ipotesi di abbandono di rifiuti e non a quello di realizzazione di una discarica abusiva. In tal senso deporrebbero il ristretto lasso di tempo in cui i rifiuti sono stati accumulati e la loro documentata destinazione a discariche autorizzate, elementi certi che impediscono di ravvisare il reato contestato e impongono di qualificare il fatto secondo la diversa ipotesi prevista dal comma secondo del citato art.51.
3. La definizione di discarica viene oggi rinvenuta nell’art.2, lett. g) del d.lgs. 13 gennaio 2003, n.36 (recepimento direttiva 31/99/CE), secondo cui costituisce:
g) “discarica”: area adibita a smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo, compresa la zona interna al luogo di produzione dei rifiuti adibita allo smaltimento dei medesimi da parte del produttore degli stessi, nonchè qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno. Sono esclusi da tale definizione gli impianti in cui i rifiuti sono scaricati al fine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero, trattamento o smaltimento, e lo stoccaggio di rifiuti in attesa di recupero o trattamento per un periodo inferiore a tre anni come norma generale, o lo stoccaggio di rifiuti in attesa di smaltimento per un periodo inferiore a un anno
4. La giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di intervenire più volte sul tema rappresentato dalla nozione del concetto di discarica da applicare alle specifiche situazioni di fatto.
Con sentenza di questa Sezione del 2 —22 Agosto 2007, n.33252, Setzu (rv 237582), è stato affermato il principio che si ha “realizzazione” di una discarica allorché si effettuino lavori (come lo spianamento di un terreno e la sua recinzione) funzionali alla raccolta sistematica di rifiuti, mentre si ha “gestione” di una discarica quando esista una pur rudimentale organizzazione che possa provvedere alla movimentazione dei rifiuti stessi.
Tale impostazione si discosta da precedenti decisioni, che peraltro avevano ad oggetto il deposito sul suolo di soli rifiuti edilizi e da demolizioni, con cui questa stessa Sezione ha affermato che l’adibire un’area a raccolta rifiuti e la ripetitività degli scarichi di materiale comportano la esistenza di una discarica anche in mancanza di specifica organizzazione di persone e mezzi (sent.20499 del 14 aprile 2005 e n.14285 del 10 marzo 2005).
Merita, quindi segnalare che con diversa decisione (sentenza n.3932 del 10 febbraio 2006) sussiste discarica abusiva allorché i rifiuti sono destinati all’abbandono e l’accumulo comporta trasformazione del sito e degrado dell’area (ad analoga conclusione era giunta la sentenza n.6796 del 10/1-20/2/2002).
Queste decisioni, che consentono di individuare nell’accumulo non episodico dei rifiuti, non finalizzato a loro destinazioni legittime, e nel degrado dell’area gli elementi che contraddistinguono il concetto di discarica, hanno come oggetto condotte che interessano un’area esterna e diversa dal luogo ove i rifiuti vengono prodotti.
Vanno così ricordate due decisioni che riconducono al concetto di discarica anche l’accumulo di rifiuti in area collocata all’interno dello stabilimento industriale; il riferimento è alle sentenze di questa Sezione, n.10285 del 26 Gennaio-9 Marzo 2007, Bonfiglio (rv 236343) e n.2485 del 9 Ottobre 2007-13 Gennaio 2008, Marchi (rv 238594).
5. L’insieme delle decisioni così richiamate consente di affermare che integra il reato di realizzazione di una discarica abusiva l’accumulo di rifiuti che per le loro caratteristiche (natura, quantità, eterogeneità, dislocazione sul terreno...) non risultino raccolti per ricevere nei tempi previsti una o più destinazioni conformi alla legge, e comportino il degrado dell’area su sui insistono; tale condotta, inoltre, può concernere, ovviamente sulla base di presupposti specifici, anche per i casi di accumulo di rifiuti in area collocata all’interno dello stabilimento produttivo.
6. Alla luce degli estremi di fatto sopra ricordati (accumulo di quasi 3.500 mc di materiali vari ed eterogenei, ammassati in modo indifferenziato all’interno di un cortile oramai abbandonato), le decisioni assunte da entrambi i giudici di merito non appaiono porsi in contrasto con i principi ora indicati. Inoltre, questa Corte non ravvisa nel ricorso nessuna ragione concreta per ritenere errata la valutazione con cui la Corte di Appello di Torino ha ritenuto, con riferimento al reato di realizzazione di una discarica abusiva, di escludere l’esistenza di presupposti per l’applicazione dell’art.129 c.p.p.; a titolo di esempio, non solo il ricorso non contesta l’eterogeneità dei materiali accumulati e l’assenza di qualsiasi predisposizione per un futuro reimpiego o per uno smaltimento selettivo, ma resta del tutto generica e indimostrata - così da rendere inammissibile il motivo (cfr. Seconda Sezione Penale, sentenza 6 maggio 2003, Cucillo) - l’affermazione per cui vi sarebbe in atti la prova della destinazione di tutti i materiali a discariche autorizzate.
Il primo motivo di ricorso deve, quindi, essere rigettato.
7. Merita, invece, accoglimento il secondo motivo di ricorso. Come sostenuto dalla Difesa e dal Procuratore generale, la Corte di Appello ha erroneamente ritenuto che alla dichiarazione di estinzione del reato potesse seguire la conferma dell’ordine di confisca emanato dai primi giudici a seguito di pronuncia di condanna.
La confisca, infatti, è stata disposta in applicazione dell’art. 51, comma 3 del citato d.lgs. n.52 del 1997; tale disposizione, peraltro, testualmente prevede che la confisca consegue “alla sentenza di condanna o alla decisione emessa ai sensi dell’art. 444 del Codice di procedura penale”, e tale previsione non include anche l’ipotesi in cui il reato venga dichiarato estinto per prescrizione. La giurisprudenza di questa Corte è costante nell’interpretare la disposizione in parola secondo il chiaro dato testuale, potendosi richiamare tra le tante la recente sentenza di questa Sezione, n.2308l del 16 Aprile-10 Giugno 2008, Centurione (rv 240544).
Questa Corte condivide il principio qui ricordato, con la conseguenza che la sentenza impugnata deve essere annullata nella parte in cui ha omesso di revocare l’ordine di confisca.
Al rigetto del ricorso con riferimento al primo dei motivi, attinente il tema della qualificazione giuridica del fatto e la stessa sussistenza del reato ritenuto dai giudici di merito, consegue la condanna dei ricorrenti in solido alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado dalla parte civile, che liquida in complessivi 3.000,00 euro, oltre accessori di legge.