Cass. Sez. III n. 37559 del 3 ottobre 2008 (Cc 7 mag. 2008)
Pres. Altieri Est. Onorato Ric. PM in proc. Boccini
Rifiuti. Discariche

In tema di discariche e applicabilità della disciplina transitoria di cui all\'art. 17 D.Lv. 36/2003

1 - Con ordinanza del 6.12.2007 il Tribunale di Taranto, in sede di riesame, ha annullato il provvedimento di sequestro preventivo di una discarica gestita dalla Ecolevante s.p.a. (escluso il terzo lotto) nonché di 17 veicoli, macchinari e attrezzature pertinenziali, disposto in data 5.11.2007 dal g.i.p. dello stesso Tribunale, nell’ambito di un procedimento penale contro il rappresentante legale della predetta società, Paolo Baccini, indagato in ordine al reato di cui all’art. 256, commi 1 e 4, D.Lgs. 152/2006, per aver accettato e ricevuto in discarica conferimenti di rifiuti in violazione della autorizzazione, delle prescrizioni imposte con determina del dirigente del settore ecologia e ambiente della Provincia di Taranto n. 173 del 14.12.2006 e dei requisiti di ammissibilità previsti dal D.M. 3.8.2005.
In estrema sintesi, il giudice del riesame ha rilevato e ritenuto quanto segue.
1.1 - La Ecolevante s.p.a. era autorizzata a gestire una discarica di rifiuti speciali non pericolosi, seconda categoria tipo 3, prima della entrata in vigore del D.Lgs. 13.1.2003 n. 36, sicché dovevano applicarsi le disposizioni transitorie previste nell’art. 17, dello stesso decreto, secondo cui le discariche già autorizzate: a) possono continuare a ricevere i rifiuti per cui sono autorizzate sino alla data del 31.12.2006, poi differita sino al 31.12.2007 [recte 31.12.2008] ai sensi dell’art.1 comma 184 lett. c) della legge 27,12,2006 n. 296; b) entro sei mesi dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto devono presentare all’autorità competente un piano di adeguamento della discarica alle previsioni del ripetuto decreto, che deve essere poi approvato dall’autorità con provvedimento motivato, col quale è autorizzata la prosecuzione dell’esercizio e fissati i lavori di adeguamento nonché il termine finale per gli stessi.
1.2 - Ad avviso del g.ip. che aveva disposto il sequestro, la società Ecolevante non aveva rispettato le prescrizioni imposte dalla Provincia, come autorità competente, con la determina dirigenziale n. 173 del 14.12.2006, secondo la quale lo smaltimento dei rifiuti doveva avvenire ai sensi del D.M. 3.8.2005.
Infatti: a) risultavano conferiti in discarica rifiuti con residuo secco 105°, inferiore al 25%, in violazione di quanto previsto dal D.M. 3.8.2005; b) i rifiuti conferiti risultavano caratterizzati analiticamente senza alcuna valutazione di PCB, diossine e furani, in violazione dello stesso D.M. 3.8.2005, che vieta il conferimento in discarica di rifiuti contenenti PCB, diossine e furani superiori a soglie determinate; e) il certificato di analisi, rilasciato dall’A.R.P.A. di Taranto, relativamente a campioni prelevati il 21.5.2007, aveva accertato il superamento del parametro D.O.C. rispetto al limite previsto per le discariche di rifiuti non pericolosi.
Sennonché — secondo il giudice del riesame — il D.M. 3.8.2005 stabilisce i criteri e le procedure di ammissione dei rifiuti in discarica in conformità a quanto stabilito dal D.Lgs. 36/2003, per il quale l’efficacia è stata differita all’1.1.2009, con la conseguenza che l’inapplicabilità temporanea delle normativa primaria comporta anche l’inapplicabilità della normativa secondaria di attuazione. Per ulteriore conseguenza era inapplicabile anche la determina dirigenziale della Provincia n. 173/2006, che a quel decreto ministeriale faceva riferimento, benché al momento in cui la determina era stata emanata (14.12.2006) essa era formalmente corretta, in quanto il decreto ministeriale sarebbe stato applicabile dall’1.1.2007 e soltanto con la legge 296 del 27.12.2006 ne era stata differita l’applicazione al 1.1.2009.
1.3 - Non poteva condividersi la tesi del pubblico ministero (sviluppata soprattutto nel parere negativo da lui espresso contro un’istanza di revoca del sequestro) secondo cui, posto che comunque la normativa di riferimento restava pur sempre quella di cui alla delibera del Comitato interministeriale del 27.7.1984, che proibisce il conferimento in discarica di rifiuti contaminati da sostanze pericolose, la Ecolevante, non possedendo gli strumenti tecnici per verificare la pericolosità dei rifiuti ricevuti, era inadempiente alla citata delibera, e per conseguenza si rendeva responsabile del reato contestato.
Questa tesi, infatti, non considerava che nella soggetta materia la normativa vigente fa carico solo al produttore o detentore dei rifiuti da conferire di identificare la natura del rifiuto attribuendogli il relativo codice (CER), redigendo il formulano di identificazione (F.I.R.) e allegando il certificato di analisi, mentre il gestore della discarica è esonerato da ogni responsabilità, non potendo sindacare le analisi che accompagnano i rifiuti.
La stessa considerazione andava fatta per le cd. voci a specchio, peraltro menzionate soltanto nell’articolata comunicazione di reato della Guardia di Finanza, le quali possono essere pericolose o non pericolose a seconda che contengano determinate concentrazioni superiori ai valori soglia (v. punto 5 dell’Allegato D alla Parte Quarta del D. Lgs. 152/2006).
Senza infine considerare che le analisi condotte dall’A,R.P.A. sulla base dei parametri fissati dal D.M. 3.8.2005 hanno escluso la presenza in discarica di rifiuti contenenti sostanze pericolose e hanno accertato il superamento dei valori soglia solo per il DOC (carbonio organico disciolto).
1.4 - Difettava quindi il fumus del reato contestato, salvo ipotizzare un accordo illecito tra produttori/detentori dei rifiuti e gestore della discarica, volto al conferimento di rifiuti pericolosi o comunque non ammessi ma muniti di documentazione di accompagnamento formalmente ineccepibile, così come dimostrerebbe la successiva contestazione a carico del Baccini del reato di cui all’art. 260 D.Lgs. 152/2006 (attività organizzata per traffico illecito di rifiuti) e del reato di cui all’art. 640, comma 2, n. 1 c.p. (in relazione alla mancata corresponsione del tributo speciale per il deposito in discarica di rifiuti speciali pericolosi di cui alla legge 549/1995). Ma il sequestro preventivo non può essere strumentalizzato per questo fine investigativo, che va raggiunto invece accertando l’illecito accordo, senza utilizzare una scorretta interpretazione della normativa vigente sulle discariche.
1.5 - Infine non sussisteva neppure il periculum in mora, non essendo così evidente che la mancata adozione del sequestro avrebbe aggravato o protratto le conseguenze del reato ipotizzato, dovendosi piuttosto ritenere che la società, regolarmente autorizzata, si sarebbe spontaneamente adeguata alla normativa vigente.

2 - Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale tarantino ha proposto ricorso per cassazione, denunciando violazione dell’art. 17 D.Lgs. 36/2003. nonché dell’art. 1, comma 184, lett. c) legge 296/2006. che — da ultimo — ha prorogato al 31.12.2007 il termine entro il quale le discariche già autorizzate alla data di entrata in vigore del predetto D.Lgs. 36/2003 potevano continuare a ricevere i rifiuti per i quali erano state autorizzate.
In particolare, il pubblico ministero, premesso che la discarica in parola era stata autorizzata prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 36/2003, e che successivamente (con determina provinciale del 3.11.2005) era stato approvato il piano di adeguamento presentato ai sensi dell’art. 17 dello stesso D.Lgs. 36/2003, ha criticato la opzione interpretativa adottata dal giudice del riesame, secondo cui era inapplicabile ratione temporis sia il predetto decreto legislativo sia il D.M. 3.8.2005.
Ha aggiunto il ricorrente che tale opzione interpretativa, oltre che illogica, confliggeva anche con gli artt. 10 e 11 D.Lgs. 36/2003 e con l’art. 3 D.M. 3.8.2005, i quali impongono al gestore della discarica di “effettuare le verifiche analitiche della conformità del rifiuto conferito ai criteri di ammissibilità”.

3 - I difensori del Boccini hanno presentato memoria scritta, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o sia comunque rigettato, per le seguenti ragioni:
a) manca l’interesse alla impugnazione, considerato che il ricorrente ha confutato l’ordinanza del giudice del riesame solo in punto di fumus delicti e non in punto di periculum in mora, sicché in ordine a quest’ultimo punto si è formato il giudicato cautelare;
b) il ricorso è inoltre inammissibile ai sensi dell’art. 325 c.p.p. laddove ha censurato l’ordinanza del giudice del riesame per illogicità della motivazione;
c) il ricorso è comunque infondato nel merito giacché è differita al 31.12.2007 [recte 31.12,2008] l’applicazione di tutto il D.Lgs. 36/2002, e non solo del suo art. 17, nonché del D.M. attuativo del 3.8.2005;
d) infine il ricorso è infondato in radice, giacché non esiste alcuna norma che imponga al gestore di una discarica di sottoporre ad analisi tutti i rifiuti che vengono conferiti nella discarica stessa al fine di individuare la presenza di ogni possibile sostanza pericolosa e/o cancerogena, a nulla rilevando al riguardo gli artt. 10 e 11 del D.Lgs. 36/2002, atteso che tali disposizioni non sono vigenti.

Motivi della decisione

4 - I difensori dell’indagato, nella discussione orale, hanno sostenuto anche la tardività del ricorso del pubblico ministero, in quanto presentato in data 27.12.2007 e quindi oltre il termine legale di dieci giorni dalla comunicazione della ordinanza impugnata, avvenuta in data 14.12.2007.
Ma la tesi è manifestamente infondata, giacché il termine di decadenza di dieci giorni è specificamente previsto ex artt. 322 e 324 c.p.p. solo per la richiesta di riesame contro il decreto di sequestro preventivo; mentre il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza di riesame ai sensi dell’art. 325 c.p.p. soggiace al termine decadenziale di quindici giorni previsto in via generale dall’art. 585, comma 1, lett. a), c.p.p., che nel caso di specie decorre dalla comunicazione al pubblico ministero dell’avviso di deposito dell’ordinanza da impugnare.
Nel caso di specie, quindi, il termine per ricorrere scadeva solo in data 29.12.2007.
Neppure può sostenersi che il ricorso è inammissibile ex art. 325 c.p.p. in quanto deduce vizi di motivazione, giacché — al contrario — esso denuncia solo violazione di legge, sotto il profilo di erronea (anche perché illogica) interpretazione della normativa vigente nella soggetta materia. Invero, la citata memoria presentata dai difensori, che sostiene questa tesi della inammissibilità, sembra riferirsi (su questo e su altri punti) non tanto ai ricorso di cui si discute, quanto piuttosto, verosimilmente, alle argomentazioni usate dal pubblico ministero nella richiesta di convalida del sequestro d’urgenza o nel parere negativo da lui espresso contro una istanza di revoca del medesimo sequestro.

5 - Quanto al merito del ricorso, è opportuno premettere che una recente sentenza emessa il 10.4.2008 dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee (Seconda Sezione), nella causa 442/06, promossa dalla Commissione contro la Repubblica italiana, ha dichiarato e statuito che la Repubblica italiana, adottando il D.Lgs. 13.1.2003 n. 36, che traspone nell’ordinamento nazionale la direttiva del Consiglio 26.4.1999, 1999/31/CE, relativa alle discariche dei rifiuti, è venuta meno agli obblighi derivanti dalla direttiva, in quanto:
a) non avendo rispettato il termine biennale per la trasposizione nazionale della direttiva, non ha previsto l’applicazione delle disposizioni della direttiva relative alle discariche nuove (artt. 2-13) anche alle discariche autorizzate tra la data di scadenza del termine di trasposizione della direttiva (16.7.2001) e quella di entrata in vigore dello stesso D.Lgs. 36/2003 (27.3.2003).
Va notato che, appena due giorni prima della sentenza della Corte europea, il Governo italiano ha emanato il D.L. 8.4.2008 n. 59, che, con l’art. 6, ha introdotto i commi 4 bis e 4 ter dell’art. 17 del D.Lgs. 36/2003, secondo cui — tra l’altro — per le discariche autorizzate appunto tra il 16.7.2001 e il 23.3.2003 il provvedimento di approvazione del piano di adeguamento alla nuova disciplina (di cui appresso) deve fissare un termine non superiore al 1.10.2008 per l’esecuzione dei lavori di adeguamento. Ma — com’è evidente — anche questa disciplina sopravvenuta non è idonea a conformare la normativa nazionale al diritto comunitario;
h) non ha previsto l’applicazione dell’art. 14 lett. d) i) della direttiva, secondo cui la disciplina introdotta dalla direttiva stessa si applica anche alle discariche preesistenti di rifiuti pericolosi entro il termine di un anno dalla scadenza del termine di trasposizione, ossia a partire dal 16.7.2002.
La statuizione sub b) non interessa il caso di specie, dal momento che questo riguarda una discarica di rifiuti non pericolosi.
La statuizione sub a), invece, può avere interesse per il caso di specie, nella misura in cui la discarica gestita dalla società Ecolevante sia stata autorizzata dopo la suddetta data del 16.7.2001 (ma prima del 27.3.2003). perché in tale ipotesi, secondo il diritto comunitario, avrebbe dovuto osservare le disposizioni previste dalla direttiva per le discariche nuove.
Tuttavia, poiché la direttiva comunitaria de qua, così come interpretata dalla Corte di Giustizia europea, non è self-executing, ma necessita della trasposizione nel diritto nazionale, il giudice nazionale deve fare applicazione solo della normativa interna di attuazione, almeno sino a che questa non sia sospettabile di incostituzionalità ex art. 117, comma 1, Cost. per contrasto con l’ordinamento comunitario. Nel caso di specie però una eventuale questione di legittimità costituzionale della disciplina prevista dal D.Lgs. 36/2003, in quanto non applicabile alle discariche autorizzate dopo la scadenza del termine di trasposizione della direttiva (16.7.2001), non può ritenersi in questa sede concretamente rilevante, giacché non risulta a questo giudice se la società Ecolevante sia stata effettivamente autorizzata alla gestione della discarica dopo la data suddetta e quindi — secondo la direttiva comunitaria — avrebbe dovuto rispettare la nuova disciplina. Non è quindi certo se nel caso di specie si debba fare applicazione della disciplina sospettabile di incostituzionalità.
6 - Tanto premesso, trattandosi di una discarica di seconda categoria tipo 13 (ex par. 4.2.3.2 della Deliberazione del Comitato Interministeriale 27.7.1984) comunque preesistente, in quanto autorizzata prima della entrata in vigore del D.Lgs. 13.1.2003 n. 36, si deve anzitutto verificare l’applicabilità delle disposizioni transitorie di cui all’art. 17 del medesimo decreto legislativo.
Vanno particolarmente esaminati i commi 1, 3,4 e 5 dell’art. 17.
Il primo comma. come modificato dall’art. 1l D.L., 30.6.2005 n. 115, e poi dal comma 9 dell’art. 11 quaterdecies del D.L. 30.9.2005 n. 203, stabilisce che le discariche preesistenti possono continuare a ricevere sino al 31.12.2006 i rifiuti per cui sono state autorizzate.
Sennonché, ai sensi del terzo comma, entro sei mesi dall’entrata in vigore dello stesso decreto legislativo (cioè entro il 27.9.2003), il titolare dell’autorizzazione, o, su sua delega, il gestore della discarica, deve presentare all’autorità competente un piano di adeguamento della discarica alle disposizioni introdotte dal decreto legislativo.
Secondo il quarto comma, l’autorità competente, con provvedimento motivato, approva il piano di adeguamento, autorizzando la prosecuzione dell’esercizio della discarica e fissando i lavori di adeguamento, le modalità di esecuzione e il termine finale per l’ultimazione degli stessi. Con lo stesso provvedimento l’autorità definisce anche la classificazione della discarica in una delle nuove categorie previste dall’art. 4 (categoria a) per i rifiuti inerti; b) per i rifiuti non pericolosi; e) per i rifiuti pericolosi.
Ai sensi del quinto comma, se l’autorità competente non approva il piano di adeguamento, essa deve prescrivere modalità e tempi di chiusura della discarica.
Secondo una interpretazione imposta dalla logica, nonché dalla necessità di adeguarsi al diritto comunitario — come interpretato dalla Corte di giustizia europea — non v’è dubbio che il terzo e il quarto comma costituiscono un limite alla portata generale del primo comma, sicché il titolare/gestore di una discarica preesistente, pur essendo autorizzato a continuarne l’esercizio secondo i criteri di ammissibilità previgenti, è tuttavia obbligato a presentare entro sei mesi un piano di adeguamento alla disciplina sopravvenuta, e non può più continuare a gestire la discarica secondo i previgenti criteri di ammissibilità dal momento che l’autorità competente sia intervenuta per respingere il piano o per approvarlo con le nuove prescrizioni, anche se questo momento sia antecedente alla predetta data del 31.12.2006, indicata nel primo comma.
Successivamente, con l’art. 1, comma 184, lett. c). della legge 27.12.2006 n. 296 (legge finanziaria 2007) il termine di cui all’art. 17, commi 1, 2 e 6 del D.Lgs. 13.1.2006 n. 36 è stato prorogato al 3l.12.2008.
Poiché il secondo comma dell’art. 17 riguarda solo le nuove discariche. che transitoriamente sono abilitate a ricevere rifiuti sino al termine predetto secondo i criteri previsti dalla Delibera del Comitato Interministeriale del 27.7.1984, e il sesto comma riguarda la connessa abrogazione dei relativi paragrafi della stessa delibera (attinenti allo stoccaggio definitivo dei rifiuti),è evidente che la proroga di cui si discute — per quanto interessa il caso di specie — riguarda soltanto il termine di cui al primo comma, ma non ha alcuna incidenza sulle disposizioni del terzo e del quarto comma dell’art. 17, e in particolare sul termine semestrale previsto dal terzo comma per la presentazione del piano di adeguamento.
Erra quindi il tribunale del riesame quando afferma che l’art.. 17 “non precisando alcunché, prevede la proroga dell’intero D.Lgs. n. 36/2003 e della relativa normativa di attuazione succedutasi nel tempo” (pag. 6 della impugnata ordinanza), così come errano i difensori dell’indagato quando sostengono che il predetto decreto legislativo e il decreto ministeriale di attuazione del 3.8.2005 entreranno in vigore nella loro totalità solo dopo il 31.12.2008, salvo ulteriori proroghe.
Ciò che è prorogato è solo la disciplina sulle condizioni e i limiti di accettabilità prevista dalla Delibera del Comitato Interministeriale del 27.7.1984, e successive modificazioni, in materia di stoccaggio definitivo dei rifiuti. Questa disciplina continua ad applicarsi alle discariche nuove di seconda categoria tipo A sino al 31.12.2006, ai sensi dei commi 2 e 6 del ripetuto art. 17; mentre continua ad applicarsi sino al 31.12.2008 per le discariche nuove di prima categoria, di seconda categoria, tipo B e tipo C, e di terza categoria, ai sensi del comma 184 dell’art. 1 legge 27.12.2006 n. 296. Salvo sempre il problema suaccennato della compatibilità di dette proroghe col diritto comunitario.
Per quanto invece riguarda le discariche preesistenti, la proroga al 31.12.2008 della facoltà di continuare a ricevere rifiuti secondo le condizioni e i limiti previsti nella autorizzazione già ottenuta, non esclude - per le ragioni già esposte - né l’obbligo di presentare entro sei mesi un piano di adeguamento alla nuova disciplina, né l’obbligo di rispettare il piano di adeguamento approvato dall’autorità competente con le relative prescrizioni.
E’ ovvio che questo piano e queste prescrizioni possono, e anzi generalmente debbono, riferirsi anche ai nuovi divieti e ai nuovi criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica che il D.Lgs. 36/2003 e il D.M. del 3.8.2005 hanno introdotto per conformare la disciplina ai più stringenti parametri ambientali della direttiva 1999/31/CE. Quando il legislatore nazionale prescrive un piano di “adeguamento”, infatti, intende conformare gradualmente l’esercizio della discarica proprio ai nuovi e più restrittivi criteri di ammissibilità: altrimenti non avrebbe alcun senso adottare il termine “adeguamento”.
Al riguardo la direttiva comunitaria, nell’art. 14, fa obbligo significativamente agli Stati membri di adottare le misure idonee affinché le discariche preesistenti possano rimanere in funzione soltanto se con la massima tempestività e al più tardi entro il 16.7.2009 (cioè entro otto anni dalla scadenza del termine di trasposizione della direttiva) siano presentati e approvati piani di riassetto (corrispondenti ai piani di adeguamento di cui al diritto nazionale), i quali devono stabilire un periodo di transizione per l’adeguamento alla nuova disciplina, che comunque non può superare la predetta data del 16.7.2009.
E’ importante tuttavia sottolineare che la proroga sino alle date suddette riguarda solo la disciplina sui requisiti di ammissibilità dei rifiuti in discarica, mentre è entrata in vigore senza alcuna proroga la restante disciplina del D.Lgs. 13.1.2003 n. 36, e in particolare (per quanto si osserverà in seguito) la disciplina di cui all’art. 11, che stabilisce gli obblighi di documentazione e di controllo gravanti rispettivamente sul detentore dei rifiuti conferiti e sul gestore dell’impianto.
Sul punto si deve quindi concludere che:
a) sino ai termini sopra specificati la disciplina sui requisiti di ammissibilità introdotta dal D.Lgs. 36/2003 e dal D.M. 3.8.2005 non è direttamente applicabile nè per le discariche nuove (per effetto del secondo comma dell’art. 17), né per le discariche preesistenti (per effetto del primo comma dell’art. 17). In questo senso è priva di fondamento giuridico la tesi contraria sostenuta dal pubblico ministero, non tanto nell’atto di ricorso quanto piuttosto nel parere espresso contro la richiesta di revoca del sequestro preventivo (v. pag. 6 della impugnata ordinanza);
b) tuttavia la stessa disciplina è indirettamente applicabile per le discariche preesistenti nella misura in cui sia stata richiamata dal provvedimento di approvazione del piano di adeguamento transitorio.
Per conseguenza, integra il reato di cui all’art. 256. comma 4, D.Lgs. 3.4.2006 n. 152 la condotta del gestore della discarica preesistente che non osserva le prescrizioni contenute nel provvedimento di approvazione del piano di adeguamento.
Nel caso di specie, quindi, in questi limiti si deve ritenere integrato il fumus del reato contestato, nella misura in cui resti confermato che la società Ecolevante non ha rispettato le prescrizioni del provvedimento n. 173 emesso il 14.12.2006 dal dirigente del settore ecologia e ambiente della Provincia di Taranto, in sede di approvazione del piano di adeguamento presentato dalla società. nonché i commi 4 e 5 dell’art. 6 del D.M. 3.8.2005 ai quali il provvedimento medesimo faceva riferimento.

7 - Per queste ragioni risulta illegittima l’impugnata ordinanza con cui il giudice del riesame ha annullato il sequestro preventivo disposto dal g.i.p. tarantino e ha disposto la restituzione delle cose sequestrate.
Contro questa conclusione non vale obiettare che il gestore della discarica non è obbligato a verificare la caratterizzazione dei rifiuti, effettuata dai produttori o dai detentori che li conferiscono al fine di determinare l’ammissibilità dei rifiuti stessi.
In primo luogo, infatti, il sequestro preventivo misura cautelare di carattere “reale”, che presuppone l’astratta configurabilità oggettiva del reato ipotizzato e il nesso pertinenziale tra res sequestrata e il reato medesimo, ma prescinde dai gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato, che sono invece richiesti per le misure cautelari personali (costante è la giurisprudenza di legittimità sul punto a partire da Sez. Un. 23.4.1993, Giliani; cfr. ex multis Sez. Un. 1.3.1995, Adelio; Sez. Un. 24.3.1995, Barbuto; Sez. Un. 4.5.2000, Mariano).
In secondo luogo, non è affatto vero che il gestore della discarica è esonerato da ogni responsabilità al riguardo.
Al contrario, il terzo comma dell’art. 11 del D.Lgs. 36/2003 — che è entrato in vigore senza proroghe — pone a carico del gestore una serie di obblighi precisi che lo configurano come principale responsabile della ammissione dei rifiuti, in quanto spetta al gestore il potere-dovere di controllare la caratterizzazione del rifiuto effettuata dal produttore che lo conferisce. In particolare, il gestore deve controllare la documentazione relativa al rifiuto, verificare la conformità ai criteri di ammissibilità nella discarica delle caratteristiche dei rifiuti indicate nel formulario di identificazione, effettuare l’ispezione visiva di ogni carico di rifiuto conferito, prima e dopo lo scarico, e verificarne la conformità alle caratteristiche indicate nel formulario di identificazione, effettuare le verifiche analitiche della conformità del rifiuto ai criteri di ammissibilità. Tutti questi compiti sono meglio precisati nell’art. 2 (che disciplina la caratterizzazione di base, a carico del produttore), nell’art. 3 (che disciplina la verifica di conformità, a carico del gestore) e nell’art. 4 (che disciplina la verifica in loco, a carico del gestore) del D.M. 3.8.2005. Secondo tale disciplina “i rifiuti sono ammessi in discarica solo se risultano conformi a quelli che sono stati sottoposti alla caratterizzazione di base e alla verifica di conformità” e “se sono conformi alla descrizione riportata nei documenti di accompagnamento” (comma 3 dell’art. 4). Queste verifiche di conformità competono al gestore della discarica.

8 - Neppure può considerarsi decisiva l’obiezione secondo cui il pubblico ministero ricorrente non ha formulato censure in ordine alla mancanza del periculum in mora ritenuta dal tribunale del riesame, sicché sul punto sarebbe intervenuto un c.d. giudicato cautelare o, più esattamente, una preclusione processuale.
Occorre ricordare al riguardo che la costante giurisprudenza di legittimità, nel definire il contenuto del principio devolutivo consacrato dall’art. 597, comma 1, c.p.p., ha chiarito che la cognizione del giudice della impugnazione si estende dai capi e punti del provvedimento espressamente impugnati a quelli che, pur non espressamente impugnati, sono connessi ai primi da un rapporto logico essenziale (v. da ultimo Casa. Sez. V, n. 13281 del 27.10.1999, Kardhiqi, rv. 214719).
Alla luce di questo principio si deve ritenere che il pubblico ministero ricorrente, impugnando il provvedimento di dissequestro pronunciato dal tribunale del riesame, non ha limitato la sua doglianza al punto in cui il giudice aveva negato il fumus del reato ipotizzato, ma l’ha estesa implicitamente a quello in cui lo stesso giudice aveva negato anche il periculum in mora (peraltro con una motivazione meramente apparente e tautologica), giacché altrimenti la sua impugnazione sarebbe stata inutile, non potendo conseguire l’obiettivo perseguito di annullamento del provvedimento impugnato. In base al generale principio di conservazione degli atti processuali, oltre che al favor impugnazionis, in tal senso deve essere logicamente interpretato il ricorso proposto da] pubblico ministero, considerato che se la mancanza di uno solo dei predetti presupposti fa venir meno la legittimità del sequestro preventivo, il richiesto annullamento del dissequestro presuppone la sussistenza, o la necessità di riconsiderare la sussistenza, di entrambi i presupposti medesimi (fumus delicti e periculum in mora).

9 - In conclusione, per tutte le ragioni suddette, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio ex art. 623 lett. a) c.p.p al Tribunale del riesame di Taranto, che procederà a nuovo giudizio sulla base dei principi sopra esposti.