Cass. Sez. III n. 16956 del 2 maggio 2022 (UP 31 gen 2022)
Pres. Marini Est. Gentili Ric. G. ed altri
Rifiuti.Gestione in area diversa da quella autorizzata
Non rientra nella previsione di cui all’art. 216, comma 4, del dlgs n. 142 del 2006 lo svolgimento della attività di gestione dei rifiuti all’interno in un’area ulteriore rispetto a quella in relazione alla quale la stessa è stata autorizzata dall’ente territoriale a tal fine competente. Invero, la previsione della disposizione richiamata fa riferimento esclusivamente al mancato rispetto delle norme tecniche e delle altre prescrizioni specifiche indicate dall’art. 214, commi 1, 2 e 3, del dlgs n. 152 del 2006, ipotesi nelle quali non appare assolutamente che possano essere fatti rientrare anche i casi in cui lo scarto fra il contenuto della autorizzazione e il materiale svolgimento della attività di gestione dei rifiuti, non ha ad oggetto una diversa modalità tecnica di trattamento del materiale in discorso, ma direttamente l’ambito spaziale in cui siffatta gestione è realizzata
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha dichiarato, con sentenza pronunziata in data 11 giugno 2011, la penale responsabilità di G. D., M.A. e M. P. in ordine ai reati loro contestati, aventi ad oggetto la violazione della normativa in materia di rifiuti e li ha condannati, unificati i reati sotto il vincolo della continuazione e concesse a tutti le circostanze attenuanti generiche, alla pena ritenuta di giustizia, disponendo la sospensione di essa per quanto riguarda il G. e M.A.; con la medesima sentenza il Tribunale ha assolto, per insussistenza del fatto i due M. dal reato loro contestato sub C) del capo di imputazione.
Hanno interposto ricorso per cassazione, trattandosi di sentenza non appellabile, i tre imputati, lamentando il vizio di violazione di legge e di difetto di motivazione.
Hanno, infatti, rilevato i ricorrenti che la contestazione loro mossa aveva ad oggetto la mera inosservanza della prescrizioni contenute nella autorizzazione unica ambientale che era stata loro correttamente rilasciata; in relazione alla violazione, pertanto, in tal modo contestata avrebbe dovuto rispondere il solo G., a non anche i due M., in quanto tenuto al rispetto di tali prescrizioni è il soggetto responsabile della gestione della area adibita ad impianto di smaltimento e trasformazione dei rifiuti.
Quanto alla posizione del G. si rileva che non vi erano elementi per potere affermare che l’impianto per la triturazione dei rifiuti in materia plastica fosse effettivamente in funzione, in tal modo effondendo nell’ambiente i relativi residui di lavorazione.
Infine, i ricorrenti hanno lamentato, quanto alla imputazione avente ad oggetto la violazione delle regole per il recupero dei rifiuti di cui all’art. 216 dlps n. 152 del 2006, che la violazione loro ascritta aveva una mera rilevanza amministrativa e non penale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La sentenza impugnata deve essere annullata quanto alle posizioni di M. P. e M. A., mentre il ricorso presentato dalla difesa di G. D. deve essere rigettato.
Osserva, infatti, il Collegio che, quanto alla posizione dei due primi ricorrenti, è fondato il primo motivo di impugnazione.
Con esso, infatti, i due predetti imputati lamentano che il Tribunale sammaritano abbia attribuito loro, con riferimento alla rilevanza penale delle stesse, le condotte descritte ai capi 1 e 2 della rubrica complessivamente contestata, il cui testo è riportato al pag. 4 della sentenza impugnata (in sede di dispositivo i medesimi capi, unitamente al capo 3 - per il quale è, per tutti, intervenuta sentenza di proscioglimento per insussistenza del fatto – sono indicati con le lettere A, B e C ma la individuazione degli stessi con i capi precedentemente indicati come 1, 2 e 3 è operazione di agevole e sicura realizzazione), senza avere adeguatamente valutato se le disposizioni precettive che si assumono essere state violate avevano come destinatari anche i due ricorrenti in discorso.
Le violazioni normative che con la sentenza impugnata si assume che i due ricorrenti ora in questione abbiano commesso riguardano, infatti, rispettivamente, la gestione di una impianto diretto allo smaltimento dei rifiuti in un tratto di terreno - adibito in particolare allo stoccaggio di quelli - esuberante rispetto all’area per la quale la società commerciale da essi partecipata - società che, appunto, svolgeva l’attività di recupero di rifiuti speciali - era titolare di una AUA, e lo svolgimento dell’attività di frantumazione di rifiuti consistenti prodotti in “plastica” senza l’autorizzazione alla immissione in atmosfera di materiali residui.
Si tratta di violazioni di cui deve rispondere il soggetto che abbia la materiale gestione operativa della azienda costituente il braccio attuativo della predetta società commerciale.
Ciò posto, premesso che, per quanto emerge agli atti, dei due M., uno, M. P. è divenuto legale rappresentante della L. Srl, cioè la società che gestiva il citato impianto di trasformazione dei rifiuti, a far data dal 13 aprile 2018, cioè in epoca successiva a quella oggetto di contestazione (essendo stato chiarito in sentenza che le condotte contestate sono state commesse fino al 4 ottobre 2017) mentre l’altro, M. A., non risulta avere mai avuto formali vesti amministrative all’interno della predetta compagine sociale, appare insoddisfacente la motivazione della sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in relazione alla attribuibilità anche ai predetti imputati della responsabilità per le due citate contravvenzioni.
Non ignora, certamente, questo Collegio che la responsabilità per i due reati dianzi citati incomba non solamente sul soggetto che abbia la formale gestione, per effetto della sua specifica investitura ad una delle cariche sociali operative, della impresa societaria, ma anche su chi abbia dei concreti, anche se a lui attribuiti solamente in via di fatto, poteri di gestione della impresa (Corte di cassazione, Sezione III penale, 18 dicembre 2017, n. 56275); rileva, tuttavia, il medesimo Collegio che l’esistenza di tali poteri fattuali deve essere ricavata sulla base di dati obbiettivi e, soprattutto, di fattori che siano evidenziati nella motivazione della decisione giurisdizionale nella loro certa ed inequivoca valenza dimostrativa.
Nel caso che interessa, invece, il Tribunale sammaritano - che pure ha fatto riferimento ad una pluralità di atti acquisiti al processo i quali rivelerebbero che i M. avrebbero avuto la gestione effettiva dell’impianto di trasformazione dei rifiuti - allorché ha inteso indicare quali fossero gli atti in questione, ha esclusivamente richiamato la circostanza che i predetti ricorrenti si recavano quotidianamente presso l’impianto per controllarne il funzionamento.
Si tratta, come è manifesto, di un elemento quanto meno equivoco e privo di una sicura efficacia dimostrativa, sia perché la presenza dei M. sul posto non implica di per sé il fatto che gli stessi avessero dei poteri gestionali ed operativi, sia perché l’attività di controllo è attività ontologicamente distinta da quella di intervento autonomo, posto che l’una, semmai, costituisce un limite alla potenzialità realizzativa della l’altra.
Sotto il descritto profilo, e limitatamente alle posizioni dei due M., la sentenza impugnata deve essere, pertanto, annullata con rinvio, per nuovo giudizio sul punto, al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in diversa composizione personale.
Diversamente per ciò che attiene alla posizione di G. D.; questi, infatti, rivestendo incontestatamente le qualifiche sociali che gli sono attribuite in sentenza, era tenuto al rispetto dei limiti spaziali della AUA ed a procurarsi le autorizzazioni di cui il capo di imputazione segnala la carenza.
Ciò posto si osserva che non merita accoglimento la sua linea difensiva, avente ad oggetto la mancanza di elementi istruttori idonei a dimostrare il fatto che l’attività di triturazione dei rifiuti in materiale plastico fosse in corso di svolgimento al momento della contestazione.
E’, infatti, del tutto irrilevante che, nel preciso momento in cui è stato eseguito il sopralluogo, l’impianto di triturazione non fosse in funzione, posto che vi erano degli elementi indiziari - la cui pregnanza dimostrativa è stata valutata, con giudizio di merito non sindacabile di fronte a questa Corte se non nei limiti, chiaramente non travalicati nella presente occasione, della manifesta illogicità - costituiti dalla presenza di ben sei sacchi contenenti i cascami della triturazione effettuata, che hanno ragionevolmente indotto i giudici del merito a ritenere che, viceversa, l’impianto di trasformazione dei rifiuti fosse in funzione.
Quanto all’altro aspetto, avente ad oggetto la rilevanza penale della esuberanza territoriale dell’area adibita a deposito dei rifiuti rispetto a quella autorizzata, ritiene la Corte che erri il ricorrente laddove egli fa rientrare nella previsione di cui all’art. 216, comma 4, del dlgs n. 142 del 2006 lo svolgimento della attività di gestione dei rifiuti all’interno in un’area ulteriore rispetto a quella in relazione alla quale la stessa è stata autorizzata dall’ente territoriale a tal fine competente.
Invero, la previsione della disposizione richiamata dalla ricorrente difesa fa riferimento esclusivamente al mancato rispetto delle norme tecniche e delle altre prescrizioni specifiche indicate dall’art. 214, commi 1, 2 e 3, del dlgs n. 152 del 2006, ipotesi nelle quali non appare assolutamente che possano essere fatti rientrare anche i casi, quale il presente, in cui lo scarto fra il contenuto della autorizzazione e il materiale svolgimento della attività di gestione dei rifiuti, non ha ad oggetto una diversa modalità tecnica di trattamento del materiale in discorso, ma direttamente l’ambito spaziale in cui siffatta gestione è realizzata; in altre parole: la condotta ascritta al ricorrente non riguarda il caso della diversa scelta tecnica attinente alla esecuzione di un’attività in toto autorizzata, ma concerne lo svolgimento di un’attività che, seppur astrattamente autorizzata, viene condotta secondo modalità materiali del tutto eterogenee rispetto al limite territoriale in cui le stesse possono essere eseguite.
Nessun vizio essendo riscontrabile quanto alla affermazione della penale responsabilità di G. D. operata dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, per quello che concerne la sua posizione il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
PQM
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle posizioni di A. e P. M., con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in diversa persona fisica.
Rigetta il ricorso di D. G., con condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2022