Cass. Sez. III n. 37460 del 27 luglio 2017 (Cc 21 lug 2017)
Pres. Fiale Rel. Ramacci Ric. Verlezza ed altri
Rifiuti.Voci specchio rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia

Sussistendo, un ragionevole dubbio circa l’ambito di operatività delle disposizioni comunitarie che l’ultimo intervento del legislatore nazionale espressamente richiama, il Collegio ha ritenuto che il processo (unitamente ad altri 2 di analogo contenuto) sia sospeso, rimettendo gli atti alla Corte di Giustizia affinché si pronunci sui seguenti quesiti:
a) Se l’allegato alla Decisione 2014/955/UE ed il Regolamento UE n. 1357/2014 vadano o meno interpretati, con riferimento alla classificazione dei rifiuti con voci speculari, nel senso che il produttore del rifiuto, quando non ne è nota la composizione, debba procedere alla previa caratterizzazione ed in quali eventuali limiti;
b) Se la ricerca delle sostanze pericolose debba essere fatta in base a metodiche uniformi predeterminate;
c) Se la ricerca delle sostanze pericolose debba basarsi su una verifica accurata e rappresentativa che tenga conto della composizione del rifiuto, se già nota o individuata in fase di caratterizzazione, o se invece la ricerca delle sostanze pericolose possa essere effettuata secondo criteri probabilistici considerando quelle che potrebbero essere ragionevolmente presenti nel rifiuto
d) Se, nel dubbio o nell’impossibilità di provvedere con certezza all’individuazione della presenza o meno delle sostanze pericolose nel rifiuto, questo debba o meno essere comunque classificato e trattato come rifiuto pericoloso in applicazione del principio di precauzione

OSSERVA

A) Il fatto

1. Il Tribunale di Roma – Sezione per il riesame dei provvedimenti di sequestro, con ordinanza del 28/2/2017, depositata il 2/3/2017 ha deciso sulle richieste di riesame presentate nell’interesse delle S.r.l. REFECTA, S.r.l. E.GIOVI, S.r.l. VETRECO, S.r.l. SE.IN, di GIULIANO Antonio e GIULIANO Enrico per la S.r.l. CSA, Francesco RIZZI, Riccardo TRAVERSA, Alfonso VERLEZZA, Carmelina SCAGLIONE e Irene COCCO avverso:
- il decreto con il quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, in data 22/11/2016 ha disposto il sequestro preventivo, con facoltà d’uso, degli impianti (sedi operative) gestiti dalle società/ditte REFECTA, SE.IN, E.GIOVI, DSI, RIZZI, VETRECO e CSA;
- il decreto con il quale lo stesso giudice ha disposto, il 16/1/2017, il sequestro preventivo, anche per equivalente, delle somme di denaro, nonché, ove incapienti, delle azioni o quote societarie delle aziende sopra indicate, fino a concorrenza del profitto, quantificato da apposite tabelle esposte nel provvedimento e, in relazione alle sanzioni amministrative, il sequestro preventivo, anche per equivalente, delle somme di denaro, nonché, ove incapienti, delle azioni o quote societarie delle aziende sopra indicate con eccezione della ditta RIZZI Francesco.
Il Tribunale ha altresì deciso sugli appelli (così qualificate le impugnazioni, comunque denominate) avverso il provvedimento con il quale il Giudice per le indagini preliminari ha disposto, in luogo della sanzione interdittiva di cui all’art. 9, comma 2 d.lgs. 231/2001, la nomina di un commissario giudiziale per la durata di mesi sei, nonché sulle richieste di riesame presentate da Carmelina SCAGLIONE, Francesco RANDO e Alfonso VERLAZZA avverso i decreti di sequestro probatorio emessi dal Pubblico Ministero.

2. All’esito dell’udienza camerale, il Tribunale ha dichiarato inammissibili le impugnazioni presentate nell’interesse di Riccardo TRAVERSA e REFECTA S.r.l., ha annullato il decreto di sequestro preventivo, con facoltà d’uso, degli impianti (sedi operative) delle società/ditte REFECTA, SE.IN, E.GIOVI, DSI, RIZZI, VETRECO e CSA, ha annullato il decreto di sequestro preventivo disposto in relazione alle sanzioni amministrative ed il sequestro probatorio del Pubblico Ministero. In accoglimento dell’appello avverso il provvedimento di nomina del commissario giudiziale, lo ha annullato con riferimento alle società SE.IN e CSA e per la ditta Francesco RIZZI.

3. Il sequestro era stato disposto nell’ambito di un procedimento penale relativo ad attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti ed altri reati.
Va altresì precisato che, nell’ambito del medesimo procedimento, sono stati emessi dal Tribunale del riesame tre distinti provvedimenti, separatamente impugnati dal Pubblico Ministero procedente registrati presso questa Corte con i numeri 12528/2017, 13369/2017 e 13382/2017

4. Si pone in via preliminare, sulla base di quanto prospettato nel ricorso, la questione della classificazione dei rifiuti pericolosi contraddistinti dalle c.d. “voci a specchio”.


B) La disciplina nazionale

1. Le fondamentali disposizioni in materia di rifiuti sono attualmente contenute nel d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152.

2. In particolare, l’art. 184 del decreto disciplina la classificazione dei rifiuti, distinguendoli, in base all’origine, in rifiuti urbani e rifiuti speciali, che possono, a loro volta, distinguersi, in base alle caratteristiche di pericolosità, in rifiuti pericolosi e non pericolosi.
L’art. 184 ha subito, nel tempo, diverse modifiche.
Originariamente, esso prevedeva, al comma 4, l’istituzione, da effettuarsi con decreto interministeriale, di un elenco dei rifiuti in conformità all'articolo 1, comma 1, lettera a) della direttiva 75/442/CE ed all'articolo 1, paragrafo 4, della direttiva 91/689/CE, di cui alla Decisione della Commissione 2000/532/CE del 3 maggio 2000, disponendo che sino all’emanazione di tale decreto continuassero ad applicarsi le disposizioni di cui alla direttiva del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio del 9 aprile 2002, che veniva riportata nell'Allegato D alla parte quarta dello stesso d.lgs. 152\2006.
Qualificava, inoltre, come pericolosi i rifiuti non domestici indicati espressamente come tali, con apposito asterisco, nell'elenco di cui all'Allegato D alla Parte Quarta del decreto d.lgs. 152\06, sulla base

3. Con il d.lgs. 3 dicembre 2010 n. 205, recante “Disposizioni di attuazione della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive”, i commi 4 e 5 dell’art. 184 venivano modificati, individuando i rifiuti pericolosi come quelli recanti le caratteristiche di cui all'allegato I della Parte Quarta del d.lgs. 152\06 e chiarendo che l'elenco dei rifiuti di cui all'allegato D alla Parte Quarta del medesimo decreto includeva i rifiuti pericolosi e teneva conto dell'origine e della composizione dei rifiuti e, ove necessario, dei valori limite di concentrazione delle sostanze pericolose, precisando, altresì, che esso era vincolante per quanto concerne la determinazione dei rifiuti da considerare pericolosi e che l'inclusione di una sostanza o di un oggetto nell'elenco non significava che esso fosse un rifiuto in tutti i casi, ferma restando la definizione di cui all'articolo 183.
Si stabiliva, infine, che con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, da adottare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della disposizione, potevano essere emanate specifiche linee guida per agevolare l'applicazione della classificazione dei rifiuti introdotta agli allegati D e I.
L’art. 39 dello stesso d.lgs. 3 dicembre 2010 n. 205 modificava anche l'allegato D alla parte quarta del d.lgs. 152\06, il cui titolo riportava quindi la denominazione “Elenco dei rifiuti istituito dalla Decisione della Commissione 2000/532/CE del 3 maggio 2000”.

4. Il decreto legge 28 gennaio 2012 n. 2, convertito con modificazioni dalla L. 24 marzo 2012, n. 28 disponeva successivamente la sostituzione del punto 5 dell’allegato D al d.lgs. 152\06 con il seguente testo:
“Se un rifiuto è identificato come pericoloso mediante riferimento specifico o generico a sostanze pericolose, esso è classificato come pericoloso solo se le sostanze raggiungono determinate concentrazioni (ad esempio, percentuale in peso), tali da conferire al rifiuto in questione una o più delle proprietà di cui all'allegato I. Per le caratteristiche da H3 a H8, H10 e H11, di cui all'allegato I, si applica quanto previsto al punto 3.4 del presente allegato. Per le caratteristiche H1, H2, H9, H12, H13 e H14, di cui all'allegato I, la decisione 2000/532/CE non prevede al momento alcuna specifica. Nelle more dell'adozione, da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di uno specifico decreto che stabilisca la procedura tecnica per l'attribuzione della caratteristica H14, sentito il parere dell'ISPRA, tale caratteristica viene attribuita ai rifiuti secondo le modalità dell'accordo ADR per la classe 9 - M6 e M7”.

5. Più recentemente, la legge 11 agosto 2014, n. 116, di conversione, con modificazioni, del decreto legge 24 giugno 2014, n.91, ha disposto un’ulteriore modifica dell’allegato D, introducendo la seguente premessa:
“1. La classificazione dei rifiuti e' effettuata dal produttore assegnando ad essi il competente codice CER, applicando le disposizioni contenute nella decisione 2000/532/CE.
2. Se un rifiuto e' classificato con codice CER pericoloso 'assoluto', esso e' pericoloso senza alcuna ulteriore specificazione. Le proprietà di pericolo, definite da H1 ad H15, possedute dal rifiuto, devono essere determinate al fine di procedere alla sua gestione.
3. Se un rifiuto e' classificato con codice CER non pericoloso 'assoluto', esso e' non pericoloso senza ulteriore specificazione.
4. Se un rifiuto e' classificato con codici CER speculari, uno pericoloso ed uno non pericoloso, per stabilire se il rifiuto e' pericoloso o non pericoloso debbono essere determinate le proprietà di pericolo che esso possiede. Le indagini da svolgere per determinare le proprietà di pericolo che un rifiuto possiede sono le seguenti: a) individuare i composti presenti nel rifiuto attraverso: la scheda informativa del produttore; la conoscenza del processo chimico; il campionamento e l'analisi del rifiuto; b) determinare i pericoli connessi a tali composti attraverso: la normativa europea sulla etichettatura delle sostanze e dei preparati pericolosi; le fonti informative europee ed internazionali; la scheda di sicurezza dei prodotti da cui deriva il rifiuto; c) stabilire se le concentrazioni dei composti contenuti comportino che il rifiuto presenti delle caratteristiche di pericolo mediante comparazione delle concentrazioni rilevate all'analisi chimica con il limite soglia per le frasi di rischio specifiche dei componenti, ovvero effettuazione dei test per verificare se il rifiuto ha determinate proprietà di pericolo.
5. Se i componenti di un rifiuto sono rilevati dalle analisi chimiche solo in modo aspecifico, e non sono perciò noti i composti specifici che lo costituiscono, per individuare le caratteristiche di pericolo del rifiuto devono essere presi come riferimento i composti peggiori, in applicazione del principio di precauzione.
6. Quando le sostanze presenti in un rifiuto non sono note o non sono determinate con le modalità stabilite nei commi precedenti, ovvero le caratteristiche di pericolo non possono essere determinate, il rifiuto si classifica come pericoloso.
7. La classificazione in ogni caso avviene prima che il rifiuto sia allontanato dal luogo di produzione”.

6. Infine, il decreto legge 20 giugno 2017, in vigore dal 21 giugno 2017 ed ancora non convertito in legge all’atto della presente decisione, ha disposto che i numeri da 1 a 7 della parte premessa all'introduzione dell'allegato D alla parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 siano sostituiti dal seguente testo:
“1. La classificazione dei rifiuti e' effettuata dal produttore assegnando ad essi il competente codice CER ed applicando le disposizioni contenute nella decisione 2014/955/UE e nel regolamento (UE) n. 1357/2014 della Commissione, del 18 dicembre 2014”.


C) Le pronunce della Corte di cassazione

1. Le prime pronunce di questa Corte in materia di classificazione dei rifiuti pericolosi sono antecedenti all’entrata in vigore del d.lgs. 152\06.

2. In una prima sentenza (Sez. 3, n. 32143 del 30/5/2002, Parodi G, Rv. 22225601), premessa una approfondita analisi esegetica, si affermava che la previsione contenuta nell’elenco dei rifiuti allora introdotto con il Regolamento della Commissione delle Comunità Europee 28 dicembre 2001 n. 2557 e per la quale, se un rifiuto è identificato come pericoloso mediante riferimento specifico o generico a sostanze pericolose e come non pericoloso in quanto diverso da quello pericoloso (cd. voce a specchio), esso è qualificato come pericoloso solo se le sostanze raggiungono determinate concentrazioni, tali da conferire al rifiuto in questione una o più delle proprietà di cui all'allegato III della direttiva 91/689/CEE, andava intesa nel senso che il criterio della concentrazione limite va applicato esclusivamente nei casi in cui i rifiuti possano essere classificati nelle citate voci specchio o voci speculari, poiché in tali ipotesi risultano nell'elenco due voci, l'una riferita al tipo di rifiuto pericoloso (contrassegnato con asterisco nel Catalogo) ed altra concernente quello non pericoloso; diversamente la concentrazione limite non è richiesta ove non esistano tali voci specchio, rimanendo unico criterio quello preesistente della natura e provenienza del rifiuto pericoloso.

3. Ad analoghe conclusioni perveniva anche una successiva sentenza (Sez. 3, n. 31011 del 18/6/2002, Zatti, Rv. 22239001), nella quale si richiamava, come in quella appena citata, la Direttiva 9 aprile 2001 del Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio, nella quale si riteneva condiviso l’indirizzo interpretativo prospettato.

4. Un primo richiamo alla disciplina originariamente introdotta con il d.lgs. 152\06 si rinviene in una successiva decisione, riguardante, però, fatti commessi prima della sua entrata in vigore (Sez. 3, n. 14750 del 11/3/2008, Gardini, non massimata) ed analogo riferimento si rinviene in una successiva pronuncia (Sez. 3, n. 19882 del 11/3/2009, Carboni, Rv. 24371801) sebbene in entrambe, ricordati i contenuti dell’allora nuovo elenco dei rifiuti pericolosi di cui Decisione CE 3 maggio 2000, n. 532 e successive modifiche, si facesse rilevare che i rifiuti oggetto del procedimento erano qualificati con codice “assoluto”.

5. Quanto evidenziato nella sentenza “Carboni” veniva successivamente richiamato in altra decisione (Sez. 3, n. 971 del 11/12/2014 (dep. 2015), Ventura, Rv. 26179401, non massimata sul punto).

6. Più recentemente, la questione della classificazione dei rifiuti con codice speculare è stata specificamente affrontata, seppure con riferimento a fatti verificatisi dopo l’entrata in vigore della legge 116\2014 ma prima del 1 giugno 2015, data in cui sono divenuti applicabili il Regolamento (UE) n. 1357/2014 e la decisione della commissione 2014/955/UE (implicitamente ritenendo la natura procedurale della disciplina sopravvenuta, relativa alla mera classificazione del rifiuto e non direttamente integratrice della norma penale ed escludendone, conseguentemente, ogni eventuale efficacia retroattiva).
La sentenza (Sez. 3, n. 46897 del 3/5/2016, Arduini e altro, Rv. 26812601), dopo aver ricordato che i codici CER per la classificazione dei rifiuti possono essere di quattro tipi: 1) codici assoluti relativi a rifiuti pericolosi, distinti con un asterisco ("*"); 2) codici assoluti relativi a rifiuti non pericolosi; 3) codici 'speculari' relativi a rifiuti pericolosi; 4) codici 'speculari' relativi a rifiuti non pericolosi, prende in esame la questione relativa alla corretta classificazione dei codici "a specchio", dando atto del fatto che il ricorrente aveva proposto una interpretazione della legge secondo cui, per classificare un rifiuto con codice CER “a specchio”, occorrerebbe la prova, mediante analisi, del superamento di determinate concentrazioni di sostanze pericolose.
Si è osservato, però, che il punto 5 dell'Allegato D al d.lgs. 152\06 pur definendo il rifiuto con codice speculare pericoloso, non indica le modalità di caratterizzazione del rifiuto, presupposto per la sua corretta classificazione, rilevando che la classificazione e la conseguente attribuzione del codice compete al produttore/detentore del rifiuto, con la conseguenza che, relativamente al rifiuto con codice speculare, il detentore sarà obbligato ad eseguire le analisi (chimiche, microbiologiche, ecc.) necessarie per accertare l'eventuale presenza di sostanze pericolose, e l'eventuale superamento delle soglie di concentrazione, mentre la classificazione del rifiuto come non pericoloso è possibile solo in caso di accertamento, in concreto, dell'assenza o del mancato superamento delle soglie, di sostanze pericolose.
Si è ulteriormente obiettato che, aderendo alla tesi interpretativa prospettata dal ricorrente, il detentore potrebbe classificare il rifiuto con codice speculare come non pericoloso e gestirlo come tale, in assenza di analisi adeguate, verificandosi in tal caso una situazione di contrasto con gli obblighi di legge ed eccentrica rispetto all'intero sistema normativo che disciplina la gestione del ciclo dei rifiuti ed al principio di precauzione ad esso sotteso. Si è inoltre richiamata l’attenzione sul fatto che le modalità di caratterizzazione del rifiuto erano state esplicitate dalla legge 116\2014 attraverso le modifiche all’Allegato D del d.lgs. 152\06.
Il principio di diritto conseguentemente affermato è stato così massimato : “in caso di gestione di rifiuti identificati con un codice c.d. "a specchio" (previsto nelle ipotesi in cui da una medesima operazione o processo produttivo possano derivare, in alternativa, un rifiuto pericoloso o non pericoloso), il produttore/detentore è tenuto, per classificare il rifiuto e attribuire il codice (pericoloso/non pericoloso), ad eseguire le necessarie analisi volte ad accertare l'eventuale presenza di sostanze pericolose ed il superamento delle soglie di concentrazione, e solo nel caso in cui siano accertati in concreto l'assenza o il mancato superamento di dette soglie, il rifiuto potrà essere classificato come non pericoloso”.

D) La dottrina

1. Ritiene il Collegio che, per un migliore inquadramento della questione, sia opportuno richiamare, seppure sinteticamente, i contenuti dell’acceso dibattito che, da oltre un decennio, si è sviluppato in dottrina sul tema della classificazione dei rifiuti con codici speculari, anche perché le teorie interpretative prospettate sono prese in considerazione nel provvedimento impugnato nel presente procedimento e, sopratutto, nei motivi di ricorso del Pubblico Ministero.

2. Prima dell’entrata in vigore della legge 116/2014 si contrapponevano due opposte tesi, individuabili, attraverso una sommaria e certamente non esaustiva descrizione, per il fatto che, in una, si riteneva la necessità del previo accertamento della pericolosità, mediante analisi appropriate, dei rifiuti con codici speculari, mentre nell’altra tale pericolosità si riteneva presunta, salvo la possibilità di escluderla mediante analisi dimostrative dell’assenza del pericolo (tesi successivamente definite, in più occasioni, la prima come “tesi della probabilità” e la seconda come “tesi della certezza”).
La prima delle tesi prospettata si riteneva ispirata al principio comunitario dello sviluppo sostenibile, mentre la seconda a quello di precauzione.

3. Il dibattito si è nuovamente animato dopo l’entrata in vigore della più volte citata legge 116\2014, la quale, avendo fissato le modalità di caratterizzazione dei rifiuti ai fini della loro classificazione, ha provocato le reazione di quanti, fautori della tesi della “pericolosità presunta”, hanno rinvenuto, nelle nuove norme, la conferma, seppure tardiva, della correttezza dell’interpretazione prospettata, ritenuta comunque conforme a quanto previsto dalla Decisione 2000/532/CE, evidenziando come, dopo quindici anni dalla emanazione della decisione, lo Stato italiano non avesse fatto altro che prevedere, per la classificazione dei rifiuti, una procedura che altri Stati membri avevano già recepito addirittura in semplici manuali tecnici, citando, a tale proposito, quello del Regno Unito “Hazardous waste ,Interpretation of the definition and classification of hazardous waste (Technica Guidance WM2)”, pubblicato per la prima volta nel 2003.
Si è anche rilevato come, il 15 giugno 2015, anche la Commissione CE, sebbene soltanto attraverso un documento preparatorio, abbia indicato le modalità da adottare per la caratterizzazione dei rifiuti ai fini della loro classificazione in un documento denominato "Guidance document on the definition and classification of hazardous waste - Draft version from 15 June 2015", rinvenendo così, in tale documento, un’ulteriore conferma della correttezza della metodologia fissata dalla legge italiana e della sua conformità alla Decisione2000/532/CE.

4. Secondo i sostenitori della tesi opposta, invece, la legge 116/2014 sarebbe stata produttiva di effetti decisamente negativi per gli operatori del settore, sia dal punto di vista pratico che economico e palesemente in contrasto con la normativa comunitaria, tanto da prospettare, in un caso, la possibilità della sua disapplicazione da parte del giudice nazionale per effetto del mancato adempimento, da parte dello Stato italiano, all’obbligo di notifica dei progetti di norme nazionali contenenti regole tecniche alla Commissione europea.
Il decreto, inoltre, è stato criticato anche sotto il profilo meramente tecnico, osservando come la dimostrazione della non pericolosità del rifiuto si risolverebbe in una “probatio diabolica”, stante l’impossibilità di pervenire ad una prova contraria effettivamente esaustiva, costringendo così il produttore a classificare sempre il rifiuto come pericoloso e rinvenendo una conferma di quanto sostenuto anche nelle argomentazioni sviluppate in alcune pubblicazioni scientifiche.

5. Tali argomentazioni, in alcune delle quali si è criticata anche la richiamata sentenza “Arduini” di questa Corte, sono state invece ritenute non fondate dai sostenitori dell’opposta tesi.

6. Un ulteriore argomento di discussione è stato introdotto dalla emanazione della Decisione 2014/955/UE e del Regolamento (UE) n. 1357/2014, rilevandosi la sopravvenuta incompatibilità di quando disposto con la legge 116/2014 con i nuovi provvedimenti comunitari e richiamando anche i contenuti di una nota (prot. 11845 del 28 settembre 2015) del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, nella quale si fa rilevare la piena applicazione del regolamento e della decisione a far data dal giugno 2015, con conseguente inapplicabilità degli allegati D ed I del d.lgs. 152\06 se in contrasto con le suddette disposizioni comunitarie. In particolare, il Ministero specifica che, per quanto concerne l'Allegato D al decreto legislativo, continuavano ad applicarsi soltanto i punti 6 e 7 del paragrafo intitolato "Introduzione", costituendo recepimento di una disposizione comunitaria introdotta con l'articolo 7, paragrafi 2 e 3 della direttiva 2008/98/CE, ancora vigente nel quadro normativo comunitario e non modificata.

7. Secondo i fautori della tesi c.d. della certezza, invece, l’attuale normativa comunitaria, valutato il testo anche nelle versioni inglese e francese, imporrebbe, così come quella precedente, che, ai fini dell'attribuzione del CER nei codici a specchio, si verifichi la presenza o meno di sostanze pericolose specifiche o generiche e, conseguentemente, se il rifiuto possieda o meno caratteristiche di pericolo.
Sulla base di tali considerazioni, rilevando come la disciplina comunitaria, pur indicando quando una voce speculare riguardi un rifiuto pericoloso, non stabilisca alcuna regola particolare per l’accertamento, indicata, invece, dal legislatore nazionale con la legge 116\2014, si esclude ogni incompatibilità tra la disciplina comunitaria e quella nazionale.
A conferma di tale tesi si è richiamato, ancora una volta, il già citato documento 15 giugno 2015 della Commissione Europea, confrontandone il testo con quello della legge 116\2014 ed evidenziando la sostanziale identità delle finalità perseguite.

8. Infine, la emanazione del decreto legge 91\2017, che ha eliminato quanto introdotto in premessa all’Allegato D del d.lgs. 152\06 con la legge 116\2014, ha visto ancora una volta contrapposti coloro che, avuto riguardo al contenuto delle nuove disposizioni, ritengono confermata la tesi dell’incompatibilità delle norme previgenti con la disciplina comunitaria, rispetto ai fautori della tesi opposta, i quali evidenziano come le nuove disposizioni abrogative non dettino alcun diverso criterio di classificazione dei rifiuti, limitandosi a richiamare le norme comunitarie, rispetto alle quali, per le ragioni più volte evidenziate, un diverso criterio di classificazione (segnatamente quello “probabilistico”) risulterebbe incompatibile e sollevando anche dubbi sulla conformità al dettato costituzionale di disposizioni collocate in un provvedimento legislativo avente un preciso oggetto del tutto avulso da quello sulla disciplina dei rifiuti, riguardando il decreto legge 91\2017 “Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno”.

E) I presupposti del ricorso

1. I provvedimenti sui quali il Tribunale si è pronunciato sono stati adottati nell’ambito di un complesso procedimento penale nei confronti di Valter LOZZA ed altri 30 indagati.
I soggetti coinvolti sono i gestori della discarica che riceveva i rifiuti, i responsabili delle società conferenti ed i professionisti ed i laboratori di analisi che si ritiene abbiano eseguito le analisi dei rifiuti in maniera compiacente.

2. Si ipotizzano a loro carico ed a vario titolo, come meglio specificato nell’incolpazione in atti, diversi reati:
- artt. 260 d.lgs. 152\06, 110, 81 cod. pen.
Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, concretatesi nel conferimento, da parte di più società, di rifiuti da loro trattati classificabili con voci speculari, da loro trattati, presso discarica autorizzata per i rifiuti non pericolosi, qualificandoli come tali in forza di analisi quantitative e qualitative non esaustive, fornite, con la consapevolezza della loro parzialità, da più laboratori (capo A dell’incolpazione. Fatti commessi nel 2014 e nel 2015 con condotta perdurante).
Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, concretatesi nel conferimento in discarica, da parte di società autorizzata al trattamento di RSU indifferenziati e differenziati, di ingenti quantitativi di rifiuti generati dallo scarso o inefficace trattamento di recupero, attribuendo codici identificativi non corretti (capo B dell’incolpazione. Fatti commessi nel 2013, 2014 e 2015 con condotta perdurante)

- artt. 110, 81 cod. pen. 29-quattordecies comma 3, lett. b) d.lgs. 152\06
Inosservanza delle prescrizioni imposte dall’autorizzazione integrata ambientale per l’ammissibilità dei rifiuti in discarica (capo C dell’incolpazione. Fatti commessi il 4/5/2016).

- artt. 81, 356 cod. pen.
frode nelle pubbliche forniture, concretatasi nel rendere una prestazione diversa da quella prevista nel contratto di servizio stipulato con alcune amministrazioni comunali, provvedendo, per lo più, allo smaltimento dei rifiuti, recuperando come compost solo una parte insignificante dei rifiuti urbani organici da raccolta differenziata, mentre il contratto prevedeva che “la gestione smaltimento dei rifiuti urbani ed assimilabili conferiti dai Comuni all’impianto di Colfelice verrà eseguita attraverso il sistema di riciclaggio, trasformazione, recupero e riuso dei rifiuti recuperabili, nonché attraverso il collocamento in discarica dei rifiuti non riutilizzabili e degli scarti di lavorazione” ed introitando dai Comuni importi pari a 2.836.282, 34 euro per il 2014 e 2.971.427,24 euro per il 2015 (capo D dell’incolpazione)

- art. 640, comma 2, n. 1 cod. pen.
truffa in danno di ente pubblico per il conseguimento di un ingiusto profitto facendo risultare come regolarmente avvenuta l’attività di recupero di cui al contratto di servizio stipulato con alcune amministrazioni comunali per la gestione dei rifiuti (capo E dell’incolpazione. Fatti accertati nel 2014 e nel 2015 con condotta perdurante)

3. Venivano inoltre indagate varie persone giuridiche e contestati loro gli illeciti amministrativi di cui agli artt. 5, 24, comma 1, 25-undecies, comma 2, lett. f) del d.lgs. 8 giugno 2011 n. 231.


F) La decisione del Tribunale ed il contenuto essenziale dei motivi di ricorso

1. Il Tribunale, dopo aver ricordato che l’ipotesi accusatoria si basa sulla relazione redatta dall’ARPA (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale) di Frosinone, confermata dalle conclusioni dei consulenti tecnici del Pubblico Ministero, sull’attività investigativa del Corpo Forestale dello Stato e sulle risultanze di attività di intercettazione di conversazioni telefoniche, ha richiamato i contenuti della disciplina allora vigente e, segnatamente, l’allegato D alla Parte Quarta del d.lgs. 152\06 come modificato dalla legge 116\2014.
Osserva il Tribunale che l’intera indagine sarebbe basata sulla presunzione di pericolosità dei rifiuti, con codice a specchio, oggetto di conferimento in discarica sostenuta nella relazione dell’ARPA e validata dalla consulenza disposta dal Pubblico Ministero, il quale ha fatto riferimento ad una interpretazione della norma fortemente contestata dalla difesa perché contraria allo spirito della legge ed impossibile da attuare in concreto, non esistendo una metodologia idonea ad individuare la totalità o quasi dei componenti presenti in un rifiuto, determinandone le concentrazioni, sicché sarebbe corretta la classificazione effettuata mediante analisi a campione.
Osserva il Tribunale che l’interpretazione delle norme effettuata dalla pubblica accusa sarebbe opinabile, come confermato in una relazione della Regione Lazio predisposta proprio in occasione del sequestro e prodotta dalla difesa, richiamando altresì una nota 26 gennaio 2017 del Ministero competente nella quale viene confermata “l’applicabilità dal 1 giugno 2015 delle disposizioni europee “ ed il “riferimento alle sostanze pertinenti in base al processo produttivo”.
Il Tribunale conclude, pertanto, per l’insussistenza del fumus del delitto di cui all’art. 260 d.lgs. 152\06 anche sotto il profilo soggettivo.

2. Il Procuratore della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia del Tribunale di Roma, nel proporre ricorso per cassazione avverso il provvedimento, dopo aver richiamato gli estremi della vicenda, lamenta che il Tribunale avrebbe erroneamente interpretato le disposizioni nazionali e comunitarie in materia di classificazione dei rifiuti e, segnatamente, quelle concernenti i rifiuti identificati con le c.d. voci specchio e, senza tenere in alcun conto le argomentazioni sviluppate dall’ufficio del Pubblico Ministero, dettagliatamente riproposte in ricorso, avrebbe acriticamente accolto le tesi difensive, senza tenere conto di una pronuncia di questa Corte e di decisioni di segno contrario già assunte dal medesimo Tribunale, seppure in composizione parzialmente diversa, sulla medesima questione.
In particolare, il Pubblico Ministero ricorrente, richiamati in generale i criteri di classificazione dei rifiuti, individua nel produttore/detentore del rifiuto il soggetto sul quale grava l’onere di caratterizzare e classificare il rifiuto, indicando come punto chiave di riferimento il principio di precauzione.
Analizza poi la legge 116/2014, il Regolamento (UE) n. 1357/2014 e la decisione della commissione 2014/955/UE e la giurisprudenza di questa Corte, rinvenendo poi conferme alla correttezza della tesi interpretativa prospettata in ambito comunitario, richiamando il già citato manuale tecnico del Regno Unito del 2003 ed il documento della Commissione Europea del giugno 2015, pure in precedenza richiamato.
Prende poi in considerazione la nota ministeriale prot. 11845 del 28 settembre 2015, di cui pure si è detto, nonché un parere del Consiglio di Stato in sede consultiva (adunanza del 7/5/2015) prodotto dalla difesa ad ulteriore sostegno delle proprie ragioni.

3. Con atto pervenuto il 14/7/2017 ha depositato motivi nuovi ai sensi degli artt. 325 comma 3 e 311, comma 4 cod. proc. pen., deducendo l’illegittimità costituzionale dell’art. 9 d.l. 91/2017 in quanto concernente una disciplina del tutto avulsa, quella della classificazione dei rifiuti, dal tema del decreto legge concernente il rilancio del Mezzogiorno d’Italia ed osservando che difetterebbero anche i requisiti di “straordinaria necessità ed urgenza” richiesti dall’art. 77 Cost. per l’emanazione della stessa mediante decreto legge.
Prende inoltre in considerazione l’interpretazione della normativa europea fornita dall’istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) con nota 5/6/2015 proprio in relazione ai rifiuti prodotti nell’interno di uno degli stabilimenti coinvolti nell’indagine, che analizza criticamente.


G) La requisitoria del Procuratore Generale e le memorie delle difese

1. La difesa di Carmelina SCAGLIONE, con riferimento al procedimento n.13369/2017, con nota del 5/4/2017 ha chiesto la trasmissione degli atti alle Sezioni Unite di questa Corte ai sensi dell’art. 610, comma 2 cod. proc. pen.

2. Effettuata la trasmissione, con decreto in data 9/5/2017 il Primo Presidente ha rigettato la richiesta e disposto la restituzione a questa Sezione.

3. Veniva conseguentemente fissata l’odierna udienza straordinaria per la trattazione del procedimento.

4. Nella sua requisitoria scritta del 3/7/2017 il Procuratore generale, premessa una ricostruzione della evoluzione normativa sul tema dei rifiuti pericolosi identificabili con le “voci specchio”, concludeva, in via principale, per la sospensione del processo e la trasmissione degli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea e, in subordine, per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.

5. In data 23/6/2017 la difesa di Carmelina SCAGLIONE ha depositato memoria con allegata documentazione, richiamando l’attenzione sull’entrata in vigore del decreto legge 91\2017.

6. In data 3/7/2017 la difesa della VETRECO S.r.l. ha depositato memoria deducendo l’inammissibilità del ricorso del Pubblico Ministero e richiamando i contenuti del decreto legge 91\2007.

7. In data 5/7/2017 la difesa di Alfonso VERLEZZA ha depositato memoria richiedendo il rigetto del ricorso del Pubblico Ministero.

8. In data 5/7/2017 la difesa di Francesco RANDO ha depositato memoria nella quale, rilevata l’ammissibilità in discarica dei rifiuti urbani trattati senza obbligo di preventiva caratterizzazione ai sensi della Decisione 2003/33/CE e del decreto ministeriale 27/9/2010, l’inesistenza, nel diritto dell’Unione, dei “rifiuti speciali” e l’infondatezza delle argomentazioni sviluppate dal Pubblico Ministero, ha richiesto il rigetto del ricorso.

9. Con memoria depositata il 10/7/2017, la difesa di Antonio ed Enrico GIULIANO ha richiamato il contenuto del decreto legge 91\2017 e richiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

10. Con memoria depositata il 14/7/2017 la difesa di Francesco RIZZI ha chiesto il rigetto del ricorso del Pubblico Ministero

11. Con memoria del 18/7/2017 la difesa di Francesco RANDO ha replicato alla requisitoria del Procuratore Generale.


H) Le considerazioni della Corte

1. La vicenda in esame si fonda sulla sostanziale contrapposizione delle due tesi prospettate in dottrina e delle quali si è in precedenza dato conto ed il ricorso affronta, riguardo alla decisione del Tribunale, lo specifico argomento della classificazione dei rifiuti con voci “a specchio”, sicché ritiene il Collegio che non vadano affrontate, quanto meno in questa fase del procedimento, le questioni concernenti la corretta interpretazione delle disposizioni in tema di conferimento di rifiuti in discarica cui fanno riferimento la requisitoria del Procuratore Generale ed una delle memorie difensive, nonché altre questioni non espressamente sottoposte al giudizio di questa Corte.
Inoltre, quanto alla questione di legittimità costituzionale dedotta dal Pubblico Ministero ricorrente con i motivi nuovi, osserva il Collegio che la stessa risulta, allo stato, non rilevante, data la necessità di previa soluzione della questione pregiudiziale.

2. Ciò posto, si osserva che, sebbene la decisione impugnata sia stata assunta antecedentemente all’entrata in vigore del decreto legge 91\2017, che ha eliminato, dall’Allegato D alla Parte Quarta del d.lgs. 152\06, la premessa all’introduzione inserita ad opera della legge 116\2014, i termini della questione non paiono mutati in maniera determinate, poiché restano comunque da definire le modalità di classificazione dei rifiuti pericolosi contraddistinti da voci speculari in conformità alla disciplina comunitaria ora vigente.

3. Si pone, in primo luogo, il problema della corretta interpretazione del punto 2 della voce “Valutazione e classificazione” dell’Allegato alla Decisione 2014/955/UE, nella parte in cui stabilisce, nel testo in italiano, che “ai rifiuti cui potrebbero essere assegnati codici di rifiuti pericolosi e non pericolosi, si applicano le seguenti disposizioni:
- l'iscrizione di una voce nell'elenco armonizzato di rifiuti contrassegnata come pericolosa, con un riferimento specifico o generico a «sostanze pericolose», è opportuna solo quando questo rifiuto contiene sostanze pericolose pertinenti che determinano nel rifiuto una o più delle caratteristiche di pericolo da HP 1 a HP 8 e/o da HP 10 a HP 15 di cui all'allegato III della direttiva 2008/98/CE. La valutazione della caratteristica di pericolo HP 9 «infettivo» deve essere effettuata conformemente alla legislazione pertinente o ai documenti di riferimento negli Stati membri”.

4. Invero, secondo alcune interpretazioni, l’utilizzazione delle espressioni “opportuna” e “pertinenti”, riferita alle voci speculari, avrebbe, da un lato, ammesso la possibilità di una discrezionalità nella valutazione, mentre la ricerca della pericolosità andrebbe limitata ai composti pertinenti in base al processo produttivo dal quale i rifiuti traggono origine, determinandosi, così, il superamento di ogni presunzione di pericolosità.

5. Altre letture del testo, come si è accennato in precedenza, ne rilevano invece il significato attraverso il confronto con i testi in inglese e francese, osservando che il termine “opportuna” è espresso, in quelle lingue, rispettivamente con i termini “appropriate” e “appropriée”, indicativi non tanto di una facoltà di scelta, quanto, piuttosto, del corrispondente termine “appropriato” nella lingua italiana, il cui significato è quello di “adatto” o “idoneo”, mentre il contesto letterale nel quale in quelle due lingue collocano l’ulteriore termine “pertinenti” non sarebbe riferito al processo produttivo, bensì alle proprietà di pericolo corrispondenti indicate subito dopo.

6. Altro dato di rilievo è rappresentato dal fatto, sul quale sembrano convergere le opinioni dei vari interpreti, che i provvedimenti comunitari più volte citati non contengono indicazioni prescrittive di specifiche procedure analitiche, che, al contrario, la legge 116\2014 disponeva, ma che ora non sono più applicabili dopo l’intervento abrogativo ad opera del decreto legge 91\2017 (ovvero, secondo altra interpretazione, a seguito della tacita abrogazione conseguente alla emanazione della Decisione 2014/955/UE del Regolamento (UE) n. 1357/2014)

7. Ritiene tuttavia la Corte che tra le due tesi interpretative di cui si è dato conto in precedenza, quella cosiddetta probabilistica viene talvolta proposta con argomentazioni che appaiono equivoche, laddove, sostenendo, ad esempio, l’assoluta impossibilità tecnica di procedere ad una adeguata analisi del rifiuto, si assume che il produttore del rifiuto possa sostanzialmente classificarlo a sua discrezione o, comunque, attraverso le metodiche ritenute adeguate da chi procede alle analisi, pena la inevitabile classificazione di tutti i rifiuti con voci speculari come pericolosi.

8. In realtà paiono al Collegio condivisibili quelle osservazioni secondo le quali ciò che si richiede, in tali casi, è in ogni caso una adeguata caratterizzazione del rifiuto e non anche la ricerca indiscriminata di tutte le sostanze che esso potrebbe astrattamente contenere.
In altre parole – e l’assunto sembra del tutto logico – tale affermazione starebbe a significare che, accertando l’esatta composizione di un rifiuto, è conseguentemente possibile verificare la presenza o meno di sostanze pericolose.
Altrettanto coerente sembra l’ulteriore osservazione secondo la quale la composizione di un rifiuto non è sempre desumibile dalla sua origine, come nel caso in cui non derivi da uno specifico processo produttivo, ma sia talvolta conseguenza di altri fenomeni o trattamenti che ne rendono incerta o ne mutano la composizione.

9. Prescindendo quindi dall’esaminare ulteriori aspetti, prettamente tecnici, non sembra al Collegio che i provvedimenti comunitari, più volte richiamati nel prospettare l’una o l’altra delle tesi contrapposte, consenta di rinvenire, nei provvedimenti medesimi, contenuti che permettano di rilevarne la fondatezza nei termini drastici talvolta prospettati e, conseguentemente, l’esistenza di presunzioni o criteri di valutazione fondati sulla probabilità.

10. Corretto pare, al contrario, il richiamo al principio di precauzione cui deve conformarsi la gestione dei rifiuti, come espressamente previsto anche dalla disciplina generale di settore (art. 178 d.lgs. 152\2006), che deve ritenersi applicabile anche nella classificazione dei rifiuti pericolosi con voci speculari al fine di garantire una adeguata protezione dell’ambiente e della salute delle persone.

11. Conforme a tale principio ed a criteri di ragionevolezza sembra la tesi, recentemente prospettata, sulla base di argomentazioni prettamente scientifiche, secondo la quale una caratterizzazione spinta e sistematica del rifiuto sarebbe necessaria quando lo stesso è sconosciuto, con la conseguenza che se la stessa dovesse richiedere costi eccessivi per il detentore, questi potrà eventualmente classificare comunque il rifiuto come pericoloso. Diversamente, quando il rifiuto è conosciuto, l’analisi chimica dovrebbe riguardare esclusivamente le sostanze che sono potenzialmente presenti in base alle fonti dei dati e del processo di formazione del rifiuto, osservando che una simile scelta non sarebbe comunque aleatoria, ma conseguente alla conoscenza delle materie prime che hanno concorso alla formazione del rifiuto e del processo di formazione dello stesso, con applicazione di metodi razionali di deduzione e che, in ogni caso, ove tale accertamento non fosse possibile, dovrebbe necessariamente procedersi alla classificazione del rifiuto come pericoloso.

12. Ciò nonostante, restano comunque margini di incertezza circa l’ambito di operatività della disciplina comunitaria, anche in conseguenza delle modifiche apportate nel tempo alla normativa nazionale, dapprima mediante l’imposizione, con la legge 116\2014, di specifiche procedure e, successivamente, con l’intervento abrogativo ad opera del decreto legge 91\2017 - che sembrerebbe recepire gli interventi esplicativi del Ministero e della Regione Lazio (peraltro del tutto irrilevanti, perché non vincolanti ed espressione di una semplice opinione), di cui si è dato conto in precedenza, sebbene con un mero richiamo alla disciplina comunitaria in vigore dal 1 giugno 2015 e senza rilevarne espressamente l’incompatibilità con la normativa nazionale previgente - con cui pare volersi avvalorarne una lettura nel senso della previsione di parametri di classificazione basati su discrezionali criteri di “opportunità” e “pertinenza”.

13. Paiono invece deporre in senso decisamente contrario alla classificazione meramente discrezionale la traduzione letterale dei richiamati provvedimenti comunitari, mentre i contenuti del citato documento della Commissione Europea del giugno 2015, nonché del manuale tecnico del Regno Unito del 2003, di cui pure si è detto, al quale si è aggiunto il rapporto 4/2/2016 (“Classification réglementaire des déchets. Guide d’application pour la caractérisation e dangerosité”), realizzato per il Ministero dell’ecologia francese (MEDDE) sembrano, al contrario, stabilire precise metodologie per l’individuazione delle caratteristiche di pericolosità del rifiuto.

14. Si impone pertanto, ad avviso del Collegio, stante l’incidenza della questione sul profilo del fumus commissi delicti, il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia secondo quanto previsto dall’ art. 267 del T.F.U.E. (che, come noto, prevede, salve le deroghe individuate appunto dalla stessa Corte di giustizia, un obbligo in tal senso a carico dell’organo giurisdizionale di ultima istanza).
Sussistendo, in definitiva, un ragionevole dubbio circa l’ambito di operatività delle disposizioni comunitarie che l’ultimo intervento del legislatore nazionale espressamente richiama, ritiene il Collegio che il presente processo sia sospeso, rimettendo gli atti alla Corte di Giustizia affinché si pronunci sui seguenti quesiti:

a) Se l’allegato alla Decisione 2014/955/UE ed il Regolamento UE n. 1357/2014 vadano o meno interpretati, con riferimento alla classificazione dei rifiuti con voci speculari, nel senso che il produttore del rifiuto, quando non ne è nota la composizione, debba procedere alla previa caratterizzazione ed in quali eventuali limiti;

b) Se la ricerca delle sostanze pericolose debba essere fatta in base a metodiche uniformi predeterminate;

c) Se la ricerca delle sostanze pericolose debba basarsi su una verifica accurata e rappresentativa che tenga conto della composizione del rifiuto, se già nota o individuata in fase di caratterizzazione, o se invece la ricerca delle sostanze pericolose possa essere effettuata secondo criteri probabilistici considerando quelle che potrebbero essere ragionevolmente presenti nel rifiuto

d) Se, nel dubbio o nell’impossibilità di provvedere con certezza all’individuazione della presenza o meno delle sostanze pericolose nel rifiuto, questo debba o meno essere comunque classificato e trattato come rifiuto pericoloso in applicazione del principio di precauzione


P.Q.M.

Dispone che, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, gli atti del presente procedimento vengano trasmessi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Così deciso in data 21.7.2017

Il Consigliere Estensore                                                                                                            Il Presidente
(Dott.. Luca RAMACCI)                                                                                                         (Dott. Aldo FIALE)