Consiglio di Stato Sez. IV n. 9330 del 26 novembre 2025
Rifiuti.Individuazione del soggetto responsabile dell’inquinamento 

La ricerca del soggetto responsabile dell’inquinamento non può seguire l’impostazione “penalistica” (e, dunque, giungere ad un risultato assistito dal massimo grado di certezza, “al di là di ogni ragionevole dubbio”), dovendo piuttosto applicarsi, ai fini dell’accertamento del nesso di causalità tra attività industriale svolta nell’area e contaminazione di essa, il canone civilistico del “più probabile che non”. Tale regola interpretativa, logicamente scaturente dall’esigenza di garantire l’effettività del principio “chi inquina paga” e dalla particolare complessità della materia ambientale, conduce a rielaborare la nozione di causa in termini di aumento del rischio e di contribuzione del produttore al pericolo del verificarsi dell’inquinamento. In tema di individuazione del responsabile della contaminazione ai sensi dell'art. 244 codice ambiente, all'Amministrazione competente non è richiesto di fornire prove di incontrovertibile evidenza scientifica circa il nesso fra una ipotizzata causa di inquinamento e i suoi effetti, essendo a tal fine sufficiente che il nesso eziologico ipotizzato dall'autorità competente sia più probabile della sua negazione. 

Pubblicato il 26/11/2025
N. 09330/2025REG.PROV.COLL.

N. 01231/2024 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1231 del 2024, proposto dalla Antonio Merloni s.p.a. in amministrazione straordinaria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Carlo Cicala, Alessandro Riccioni e Luca Palatucci, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Luca Palatucci in Roma, via Properzio, 5;

contro

Provincia di Ancona, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Claudia Domizio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Fallimento Edilninno s.p.a., in persona del Curatore pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Andrea Galvani, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Salaria n. 95;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per le Marche n. 731 del 13 novembre 2023


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Ancona e del Fallimento della Edilninno s.p.a.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 luglio 2025 il consigliere Ofelia Fratamico;

Viste le conclusioni delle parti, come da verbale.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’oggetto del presente giudizio è costituito:

- dalla determinazione dirigenziale della Provincia di Ancona, Settore IV, Area Tutela e valorizzazione dell'ambiente, rifiuti, suolo, n. 497 del 21 aprile 2022, recante “Individuazione del responsabile della contaminazione riscontrata nel sito <<area ex Antonio Merloni s.p.a. ora proprietà Edilninno s.p.a. in liquidazione>> via Carducci Fabriano (AN). Ordinanza ai sensi dell'art. 244 d.lgs. 152/2006 e ss.mm.ii.” e dalla relazione istruttoria ad essa allegata;

- dalla comunicazione d'avvio della Provincia di Ancona alla Antonio Merloni s.p.a. in a.s. del 29 marzo 2022, prot. n. 9436;

- da tutti gli atti antecedenti, conseguenti o comunque connessi del procedimento.

2. Tali provvedimenti sono stati impugnati dinanzi al T.a.r. per le Marche con ricorso e motivi aggiunti dalla Antonio Merloni s.p.a. in a.s. sulla base delle seguenti censure:

a) violazione e falsa applicazione degli art. 78-bis, co. 1, 78-octies, co. 1, 242, co. 12, 244 e 245 del d.lgs. n. 152/2006 nonché degli art. 1, co. 1, 6, lett. a) e b) e 7, l. n. 241/1990 – eccesso di potere per carenza d’istruttoria (violazione delle garanzie del procedimento);

b) violazione e falsa applicazione dell’art. 3, l. n. 241/1990 ed eccesso di potere per (a) insufficienza, (b) incongruenza e (c) contraddittorietà della motivazione, nonché per difetto d’istruttoria – contraddittorietà intrinseca ed estrinseca del provvedimento di imputazione (vizi della motivazione e dell’istruttoria);

c) violazione e falsa applicazione dell’art. 244, co. 2, e dell’Allegato 5 alla Parte IV, Titolo V del d.lgs. n.152/2006 – eccesso di potere per erroneità dei presupposti e per sviamento (violazione dei parametri prescritti dalla legge);

d) violazione e falsa applicazione dell’art. 244, co. 2, e dell’Allegato 5 alla Parte IV del Codice ed eccesso di potere per erroneità dei presupposti – divieto di applicazione di lex posterior

e) violazione e falsa applicazione degli art. 244, co. 2; 245, co. 3 e 242, co. 11, 12 e 13 – difetto di competenza.

3. Con la sentenza n. 73 del 13 novembre 2023 il T.a.r. per le Marche, pur accogliendo in parte il ricorso introduttivo - limitatamente all’individuazione della Antonio Merloni s.p.a. quale responsabile della contaminazione riscontrata nella matrice terreno - ha respinto per il resto il ricorso stesso ed i motivi aggiunti, in rapporto alla contaminazione della matrice acque sotterranee.

4. La originaria ricorrente ha chiesto al Consiglio di Stato di riformare la suddetta pronuncia, nella parte che la vedeva soccombente, affidando il suo appello a nove motivi così rubricati:

I - error in procedendo e in iudicando: sulla violazione e falsa applicazione degli art. 78-bis, co. 1, 78-octies, co. 1, 242, co. 12, 244 e 245 del d.lgs. 152/2006, nonché degli art. 1, co. 1, 6, lett. a) e b) e 7, l. 241/1990 e sull’eccesso di potere per carenza d’istruttoria (violazione delle garanzie del procedimento);

II - error in iudicando e in procedendo: sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 3, l. 241/1990, e sull’eccesso di potere per (a) insufficienza, (b) incongruenza e (c) contraddittorietà della motivazione (vizi della motivazione e dell’istruttoria);

III - error in iudicando: sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 244, co. 2, e dell’Allegato 5 alla Parte IV del Codice, sull’eccesso di potere per erroneità dei presupposti e sul divieto di applicazione di lex posterior;

IV - error in iudicando: sulla violazione e falsa applicazione degli art. 244, co. 2;, 245, co. 3 e 242, co. 11, 12 e 13 e sul difetto di competenza;

V - error in iudicando: sulla violazione e falsa applicazione dell’Allegato II al Titolo V della Parte IV del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e sull’eccesso di potere per carenza d’istruttoria;

VI - error in iudicando: sulla violazione e falsa applicazione dell’Allegato II al Titolo V della Parte IV del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e dell’art. 1, co. 1, l. n. 241/1990 e sull’eccesso di potere per carenza d’istruttoria;

VII - error in iudicando: sulla violazione e falsa applicazione dell’Allegato II al Titolo V della Parte IV del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e dell’art. 1, co. 1, l. 241/1990 e sull’eccesso di potere per carenza d’istruttoria

VIII - error in iudicando: sulla violazione e falsa applicazione dell’Allegato II al Titolo V della Parte IV del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e sull’eccesso di potere per carenza d’istruttoria

IX - error in procedendo e in iudicando: sulla violazione e falsa applicazione dell’Allegato II al Titolo V della Parte IV del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e sull’eccesso di potere per carenza d’istruttoria.

5. Si sono costituiti in giudizio la Provincia di Ancona ed il Fallimento della società Edilninno s.p.a.

6. Con memorie del 6 e 9 giugno 2025 e repliche del 19 giugno 2025 le parti hanno ulteriormente articolato le loro argomentazioni, insistendo nelle rispettive conclusioni.

7. All’udienza pubblica del 10 luglio 2025 la causa è stata, infine, trattenuta in decisione.

8. Per una migliore comprensione delle doglianze sviluppate dalla società appellante, il quadro fattuale all’origine della vicenda in esame può essere così sintetizzato:

- in data 29 dicembre 2004 la Edilninno s.p.a. acquistava l’area cd. “ex Antonio Merloni”, ricompresa nel territorio del Comune di Fabriano, in cui dal 1989 al 2000 la Antonio Merloni s.p.a. aveva svolto la sua attività industriale di produzione di bilance a bauscula;

- il 2 maggio 2005 la Edilninno presentava al Comune di Fabriano un progetto di recupero dell’area, intendendo realizzarvi un complesso residenziale e commerciale:

- il 7 luglio 2006 la Edilninno, avendo riscontrato, nel corso delle indagini preliminari richiestele dal Comune sulla qualità ambientale del sito, il superamento delle soglie di contaminazione CSC in relazione ad alcune sostanze chimiche, ne effettuava notifica alla Provincia di Ancona in qualità di proprietario non responsabile, non avendo mai svolto sull’area alcuna attività;

- il 21 marzo 2022, dopo lunghi anni in cui la Edilninno si faceva carico di elaborare il piano di caratterizzazione e l’analisi del rischio, all’esito delle indagini svolte, la Provincia di Ancona trasmetteva alla Antonio Merloni s.p.a., alla curatela del Fallimento della stessa Edilninno, al Comune di Fabriano e alla Regione Marche la comunicazione di avvio del procedimento per l’individuazione del responsabile della contaminazione di cui all’art. 244 comma 2 d.lgs. n. 152/2006, congiuntamente alla relazione istruttoria di conclusione delle indagini;

- il 21 aprile 2022, con il provvedimento n. 497, la Provincia di Ancona individuava come responsabile della contaminazione la Antonio Merloni s.p.a.

9. Il suddetto provvedimento è stato impugnato, come detto, dalla precedente proprietaria del sito dinanzi al T.a.r. per le Marche che, pur accogliendo il ricorso in relazione alla contaminazione della matrice terreno, lo respingeva, congiuntamente ai motivi aggiunti, in rapporto alla responsabilità della Antonio Merloni s.p.a. per la contaminazione della matrice acque sotterranee, evidenziando che “con riguardo alla matrice acque, tutti i campionamenti riscontravano un grave superamento per la matrice Tetracloroetilene (e che)…i rilevamenti dei piezometri piazzati a monte del sito (erano) notevolmente inferiori a quelli a valle”, cosicché (come concluso nel documento istruttorio) “la presenza dell’inquinante in falda non (poteva) essere imputabile ad un apporto esterno”, dovendo ritenersi “che la sorgente di contaminazione (fosse) ubicabile all’interno del sito e, in particolare riconducibile ad una scorretta gestione delle sostanze impiegate in fase di sgrassaggio dei pezzi lavorati”.

10. Con il primo motivo l’appellante ha lamentato la violazione in suo danno delle garanzie partecipative, deducendo di essere stata messa al corrente dell’esistenza del procedimento solo al termine di esso, nonché l’irregolarità dell’intera istruttoria e l’invalidità dei dati raccolti, essendo le indagini state effettuate da un soggetto privato che si era dichiarato “non responsabile” dell’inquinamento, senza alcuna garanzia di imparzialità nello svolgimento degli accertamenti.

11. Con il secondo motivo l’originaria ricorrente ha insistito sull’insufficienza sia dell’istruttoria che della motivazione del provvedimento di imputazione della responsabilità della contaminazione, sostenendo che la sua adozione fosse avvenuta sulla base di una “inaccettabile inversione logica, sicché il ritrovamento di tetracloroetilene in concentrazioni superiori…(avrebbe confermato) che all’interno del ciclo produttivo veniva usato questo tipo di solvente”. Al riguardo la società appellante ha dedotto di non aver mai utilizzato il tetracloroetilene nel sito in questione, evidenziando che “l’area in oggetto (era) caratterizzata da una enorme concentrazione di attività artigianali ed industriali, al punto che lo stesso Comune aveva ipotizzato alcune (imprese) responsabili, tra cui…(essa stessa era) assente…”. Per tale ragione la sentenza appellata, nella parte in cui aveva respinto il ricorso quanto alla attribuzione della responsabilità per la contaminazione della matrice acque sotterranee, avrebbe dovuto, secondo la Antonio Merloni s.p.a., essere riformata “per aver assunto a proprio fondamento un fatto in realtà sia errato che contestato”, vista “la totale assenza di prove rispetto all’uso del tetracloroetilene” e la non decisività, per l’alto numero delle imprese potenzialmente inquinanti che avevano operato in zona, dei dati rilevati dai piezometri.

12. Con il terzo ed il quarto motivo la società appellante ha, poi, lamentato l’erroneità della sentenza impugnata, poiché in essa il T.a.r non avrebbe adeguatamente considerato il fatto che, con il provvedimento di imputazione della responsabilità e di imposizione dei relativi oneri, l’Amministrazione aveva applicato al procedimento una disciplina sopravvenuta “non vigente né efficace ratione temporis” al momento in cui le condotte erano state poste in essere, pretendendo di fare riferimento a parametri di contaminazione anch’essi sopravvenuti. A ciò doveva aggiungersi la circostanza per la quale i poteri di intervento nel caso di fenomeni di inquinamento dipendenti da eventi precedenti all’entrata in vigore del d.lgs n. 152/2006 erano stati attribuiti dalla legge alla Regione ai sensi degli artt. 245 comma 3, 242 comma 11 e 244 comma 2 del d.lgs. n. 152/2006 e non avrebbero potuto essere in alcun modo delegati ai Comuni, né tantomeno esercitati dalla Provincia.

13. Con gli ulteriori cinque motivi l’originaria ricorrente ha, infine, ribadito che la Provincia non potesse validamente basare le proprie determinazioni sugli esiti di un’istruttoria affidata sostanzialmente ad un soggetto privato come la società che aveva acquistato l’area (rilevando successivamente il superamento delle soglie di contaminazione CSC ed effettuando la prevista notifica) poiché le modalità seguite per l’esame del sito e i risultati del piano di caratterizzazione e del piano di indagine condotti dalla Edilninno non erano stati validati dalla pubblica autorità e i campioni prelevati non erano stati suddivisi e conservati secondo quanto prescritto dalla legge. Risultavano, inoltre, mancanti alcuni tra i documenti essenziali per attestare la regolarità del procedimento, quali il giornale dei lavori e i verbali quotidiani, così come apparivano essere state pretermesse altre garanzie procedurali previste a presidio della correttezza delle indagini dal d.lgs. n. 152/2006.

14. A prescindere dall’esame dell’eccezione di inammissibilità parziale del ricorso di primo grado relativamente all’impugnazione della comunicazione di avvio del procedimento - riproposta dalla Provincia di Ancona anche dinanzi a questo Consiglio di Stato, ma, in realtà, non incidente in via diretta sulla questione al centro del presente giudizio, costituita dalla legittimità del provvedimento del 21 aprile 2022 – e dell’eccezione di “inammissibilità/irricevibilità/improcedibilità dell’appello” per omessa impugnazione della determinazione dirigenziale n. 465 del 15 aprile 2025 emessa dalla Provincia di Ancona in dichiarata esecuzione della sentenza n. 731/2023, che, a seguito di un rinnovato procedimento, ha individuato la Antonio Merloni s.p.a. in a.s. quale soggetto responsabile della contaminazione della matrice “terreno” – distinta, però, dalla matrice “acque sotterranee”, oggetto della presente causa, le suddette doglianze non sono fondate e devono essere respinte nel merito per le ragioni di seguito illustrate.

15. Il provvedimento del 21 aprile 2022 impugnato in primo grado è stato adottato in applicazione degli artt. 242 (“Procedure operative e amministrative”) e 244 (“Ordinanze”) del d.lgs. n. 152/2006 che disciplinano gli oneri ricadenti sul soggetto responsabile dell'inquinamento, sia per le contaminazioni recenti sia per quelle “storiche”, per quanto riguarda, in particolare, l'adozione delle necessarie misure di prevenzione, di ripristino e di messa in sicurezza d'urgenza, la comunicazione nei confronti dei soggetti pubblici competenti e l'esecuzione delle attività di bonifica, nonché i casi in cui sia stato accertato che la contaminazione abbia superato i valori di concentrazione soglia di contaminazione. In questa ipotesi, la Provincia diffida con ordinanza motivata il responsabile della potenziale contaminazione "a provvedere ai sensi del presente titolo" e, quindi, anche all'adozione delle misure indicate nell'art. 242. Il comma 3 del medesimo articolo stabilisce che "l'ordinanza di cui al comma 2 è comunque notificata anche al proprietario del sito ai sensi e per gli effetti dell'articolo 253" e il successivo comma 4 stabilisce che "se il responsabile non sia individuabile o non provveda e non provveda il proprietario del sito né altro soggetto interessato, gli interventi che risultassero necessari ai sensi delle disposizioni di cui al presente titolo sono adottati dall'amministrazione competente in conformità a quanto disposto dall'articolo 250". L'articolo 245 (rubricato "Obblighi di intervento e di notifica da parte dei soggetti non responsabili della potenziale contaminazione") al comma 1 prevede, poi, che: "Le procedure per gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale disciplinate dal presente titolo possono essere comunque attivate su iniziativa degli interessati non responsabili", mentre, secondo il comma 2 della medesima disposizione, "Fatti salvi gli obblighi del responsabile della potenziale contaminazione di cui all'articolo 242, il proprietario o il gestore dell'area che rilevi il superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento della concentrazione soglia di contaminazione (CSC) deve darne comunicazione alla regione, alla provincia ed al comune territorialmente competenti e attuare le misure di prevenzione secondo la procedura di cui all'articolo 242. La provincia, una volta ricevute le comunicazioni di cui sopra, si attiva, sentito il comune, per l'identificazione del soggetto responsabile al fine di dar corso agli interventi di bonifica. È comunque riconosciuta al proprietario o ad altro soggetto interessato la facoltà di intervenire in qualunque momento volontariamente per la realizzazione degli interventi di bonifica necessari nell'ambito del sito in proprietà o disponibilità".

16. Nella fattispecie in esame è il proprietario non responsabile della contaminazione (Edilninno s.p.a.) ad aver intrapreso l’attività di caratterizzazione e di indagine sul sito che hanno fatto emergere gli elementi utilizzati successivamente dall’Amministrazione per la ricerca del soggetto cui il fenomeno di contaminazione fosse ricollegabile dal punto di vista causale, individuato, alla fine del procedimento, nella Antonio Merloni s.p.a. in s.a. che aveva svolto nell’area, dal 1989 al 2000, la sua attività industriale di costruzione di bilance a bauscula.

17. Quanto al primo motivo, con cui l’appellante ha lamentato la violazione delle sue prerogative di partecipazione al procedimento, deducendo, in particolare, di essere stata tenuta, nonostante il suo evidente interesse a partecipare, per lunghi anni all’oscuro delle indagini svolte sul sito e di aver appreso, in pratica, solo appena prima dell’adozione della determinazione finale da parte dell’Amministrazione di essere stata individuata come responsabile della contaminazione, deve osservarsi, come correttamente già ritenuto dal T.a.r. nella sentenza impugnata, che la Antonio Merloni s.p.a. risulta, in realtà, aver ricevuto il 21 marzo 2022 una rituale comunicazione di avvio del procedimento, completa della relazione istruttoria di supporto, scegliendo, però, di non presentare osservazioni nel corso del procedimento e di non chiedere neppure una proroga dei termini a sua disposizione per poter approfondire le questioni oggetto di causa, limitandosi a domandare l’accesso ad alcuni documenti. Né alcun obbligo di preventiva notifica nei confronti della odierna appellante poteva dirsi esistente al momento dell’ultima caratterizzazione del sito, conclusasi l’11 settembre 2020, essendo la procedura stata iniziata ad opera del (nuovo) proprietario dell’area, la Edilninno s.p.a. che, non avendo mai svolto alcuna produttiva in loco, era sicuramente estranea alla contaminazione.

18. Parimenti infondati si rivelano il secondo ed il terzo motivo di appello, con cui l’appellante ha tentato di porre in dubbio la riconducibilità alla sua attività della presenza, riscontrata nelle acque sotterranee del sito, del tetracloroetilene, contestando anche i parametri utilizzati per le valutazioni, che sarebbero stati introdotti solo successivamente rispetto al compimento delle eventuali condotte all’origine dell’inquinamento, ed evidenziando che nell’individuazione delle concentrazioni soglia cui rapportare la contaminazione si sarebbe dovuto tener conto non soltanto della destinazione impressa ai fondi dagli strumenti urbanistici, ma, inevitabilmente, anche dell’effettivo utilizzo, nel corso del tempo, dei terreni stessi.

19. In particolare, quanto al secondo motivo, è utile sottolineare che la ricerca del soggetto responsabile dell’inquinamento, secondo la costante giurisprudenza amministrativa e secondo le indicazioni della Corte di Giustizia UE, non può seguire l’impostazione “penalistica” (e, dunque, giungere ad un risultato assistito dal massimo grado di certezza, “al di là di ogni ragionevole dubbio”), dovendo piuttosto applicarsi, ai fini dell’accertamento del nesso di causalità tra attività industriale svolta nell’area e contaminazione di essa, il canone civilistico del “più probabile che non”. Tale regola interpretativa, logicamente scaturente dall’esigenza di garantire l’effettività del principio “chi inquina paga” e dalla particolare complessità della materia ambientale, conduce a rielaborare la nozione di causa in termini di aumento del rischio e di contribuzione del produttore al pericolo del verificarsi dell’inquinamento.

20. La Sezione ha avuto occasione di affermare più volte al riguardo, anche di recente, che, in tema di individuazione del responsabile della contaminazione ai sensi dell'art. 244 codice ambiente, all'Amministrazione competente non è richiesto di fornire prove di incontrovertibile evidenza scientifica circa il nesso fra una ipotizzata causa di inquinamento e i suoi effetti, essendo a tal fine sufficiente che "il nesso eziologico ipotizzato dall'autorità competente sia più probabile della sua negazione" (cfr. Cons. St., Sez. IV, 10 marzo 2025 n. 1969; 6 giugno 2022 n. 4588; 21 febbraio 2023 n. 1776, 7 gennaio 2021 n. 172, nonché Cons. Stato, Ad. plen. n. 10/2019) come del resto evidenziato anche dalla Corte di Giustizia (Corte Giust. UE, n. 534 del 2015) per cui per poter presumere l'esistenza del nesso di causalità "l'autorità competente deve disporre di indizi plausibili in grado di dar fondamento alla sua presunzione, quali la vicinanza dell'impianto dell'operatore all'inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell'esercizio della sua attività. Quando disponga di indizi di tal genere, l'autorità competente è allora in condizione di dimostrare un nesso di causalità tra le attività degli operatori e l'inquinamento diffuso rilevato”. Completano il quadro dei principi enucleati da questo Consiglio di Stato in materia, quello per cui la prova della responsabilità può essere data "in via diretta o indiretta, ossia, in quest'ultimo caso, l'amministrazione pubblica preposta alla tutela ambientale può avvalersi anche di presunzioni semplici di cui all'art. 2727 c.c." (Cons. Stato, Sez. V, 16 giugno 2009, n. 3885) e l’assunto per il quale, proprio per la specificità della tutela ambientale e per la complessità delle situazioni in concreto verificabili, il soggetto individuato come responsabile "non può limitarsi a ventilare genericamente il dubbio circa una possibile responsabilità di terzi", ma deve "provare e documentare con pari analiticità la reale dinamica degli avvenimenti e indicare a quale altra impresa, in virtù di una specifica e determinata causalità, debba addebitarsi la condotta causativa dell'inquinamento" (Cons. Stato, Sez. IV, sentenza n. 5668 del 2017).

21. Alla luce delle suddette regole interpretative, le conclusioni raggiunte dal T.a.r. circa la riconducibilità alla originaria ricorrente della responsabilità della contaminazione da tetracloroetilene della matrice acque sotterranee nel sito in questione appaiono pienamente condivisibili, essendo supportate da elementi chiari, precisi e concordanti costituiti, in primo luogo, dal ripetuto rilevamento del superamento del limite per il tetracloroetilene (PCE) in falda, in corrispondenza dei piezometri di valle idrogeologica del sito e dalla contestuale minima presenza della stessa sostanza nei piezometri di monte idrogeologica e dalla compatibilità del suddetto solvente (utilizzato per lo sgrassaggio dei componenti lavorati) con il ciclo produttivo della Antonio Merloni s.p.a. Al riguardo può richiamarsi, come fatto dalla difesa dell’Amministrazione, il contenuto della relazione istruttoria, laddove viene precisato che nel 1991 la Provincia di Ancona con atto n. 187/191 aveva autorizzato la Merloni allo stoccaggio provvisorio di rifiuti tossici e nocivi (fanghi di cabine di verniciatura, diluenti e solventi utilizzati per la pulizia); tale autorizzazione era stata, poi, rettificata con atto n. 239/1991, mentre la fase di pulitura del pezzo metallico preparatoria alle successive lavorazioni veniva specificamente introdotta nel ciclo produttivo dell’impresa nel 1996 come da apposita “richiesta di autorizzazione alla costruzione di un impianto che produce emissioni in atmosfera ai sensi dell’art. 6 del DPR 203/88 e DPR 25/07/1991”. L’attività della Merloni cessava, poi, nell’anno 2000 - come risulta dal verbale redatto dal Servizio Vigilanza Ambientale del VII Settore della Provincia di Ancona del 20/07/2001 n. 406 - e già nel 2001 il Comune di Fabriano rilevava in alcuni pozzi comunali utilizzati a scopo irriguo e idropotabile il superamento dei valori limite per il parametro del tetracloroetilene.

22. Ai suddetti dati, già significativi nel senso dell’idoneità ad indicare una diretta correlazione tra l’attività produttiva e la contaminazione della falda, probabilmente ricollegabile ad una gestione non sempre corretta delle sostanze impiegate nella fase di sgrassaggio dei pezzi lavorati, deve aggiungersi la circostanza per la quale l’odierna appellante non ha prodotto alcuna documentazione volta a dimostrare specifici profili di erroneità o di inadeguatezza delle analisi svolte o a contrastarne le risultanze, né tantomeno prospettato, al di là di ipotesi del tutto generiche, una spiegazione causale alternativa dell’inquinamento, eventualmente riconducibile all’apporto di terzi. Le considerazioni sul punto riproposte dalla Antonio Merloni s.p.a. anche nel presente grado di appello non risultano, quindi, in grado di incidere in alcun modo sull’accertamento - nei termini del “più probabile che non” - del nesso di causa tra l’attività posta in essere dalla originaria ricorrente e la contaminazione rilevata, posto che la odierna appellante è stata l’ultimo soggetto ad aver svolto nel sito in questione attività industriale di tipo metalmeccanico, come dalla stessa ammesso nel corso del processo.

23. In rapporto, poi, alla doglianza espressa al terzo motivo relativamente alla necessità di tener conto, per l’individuazione dei parametri di riferimento, non solo della destinazione urbanistica, ma anche del concreto uso cui i terreni sono stati adibiti nel corso dei decenni, essa appare nel presente contesto, priva di rilievo, valendo solo per la matrice terreno, già oggetto di una valutazione del T.a.r. favorevole alla ricorrente, e non anche per l’acqua sotterranea, i cui parametri sono indipendenti dalla destinazione urbanistica, ma ancorati alla tabella 2 dell’allegato 5 in materia di “concentrazione soglia di contaminazione nelle acque sotterranee”.

24. Parimenti infondate si rivelano le censure sviluppate nel medesimo terzo motivo di ingiusta applicazione retroattiva, in relazione al fenomeno di contaminazione, di una disciplina sopravvenuta rispetto alle condotte eventualmente poste in essere dall’impresa ricorrente: come anche in questo caso sottolineato dalla prevalente giurisprudenza amministrativa, “in ipotesi di condotte lesive del bene ambiente antecedenti all'entrata in vigore del c.d. codice dell'ambiente, d. lgs. n. 152/2006, trovano comunque applicazione le norme in materia di obblighi di bonifica, di cui alla Parte IV del codice medesimo e, in particolare, gli artt. 244 e 242, che, peraltro, menziona espressamente i casi di “contaminazioni storiche”: ciò, in quanto tali norme non sanzionano ora per allora la (risalente) condotta di inquinamento, ma pongono un attuale rimedio alla (perdurante) condizione di contaminazione dei luoghi, per cui l'epoca di verificazione della contaminazione è del tutto indifferente” (cfr. ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 1 aprile 2020, n.2195).

25. In merito al quarto motivo può osservarsi che, a differenza di quanto sostenuto dalla Antonio Merloni s.p.a., nessun profilo di incompetenza è, poi, rinvenibile nella fattispecie in esame, nella quale occorre distinguere le funzioni amministrative in materia di bonifica dei siti contaminati, attribuite ai sensi dell’art. 242 del d.lgs. n. 152/2006 alle Regioni e legittimamente delegate dalla Regione Marche ai Comuni con la legge regionale n. 13/2006, dal compito di individuazione del responsabile della contaminazione di cui all’art. 244 comma 2 e all’art. 245 comma 2 del d.lgs. n. 152/2006, conferito dal legislatore alla Provincia, che svolge le indagini volte a ricercare il soggetto all’origine dell’inquinamento e, sentito il Comune, diffida con ordinanza motivata il responsabile della contaminazione affinché provveda ai sensi della parte quarta del Titolo V del d.lgs. n. 152/2006.

26. Quanto all’asserita “irregolare acquisizione dei dati” e a tutte le censure concernenti la pretesa non ritualità degli accertamenti compiuti, formulate dall’appellante attraverso il quinto motivo e tutti quelli successivi, deve sottolinearsi - come del resto già evidenziato dal T.a.r. - che l’individuazione del responsabile della contaminazione è avvenuta attraverso una attenta e completa istruttoria, costituita da attività poste in essere direttamente dall’organo tecnico ARPAM e da attività effettuate dai tecnici incaricati dal proprietario non responsabile nell’ambito delle procedure di bonifica del sito. Con specifico riguardo al quinto motivo di appello può osservarsi che, nel procedimento svolto, i dati e i documenti utilizzati risultano essere stati oggetto di valutazione ed approvazione da parte delle Autorità competenti, anche all’interno delle conferenze di servizi all’uopo indette, sempre previa validazione dell’organo tecnico ARPAM e non appaiono essere mai stati contestati, se non genericamente e nel loro complesso, dalla società appellante. In particolare, le risultanze del piano di caratterizzazione, come integrato nel 2017, hanno confermato gli esiti delle indagini preliminari e la relativa documentazione risulta essere stata approvata e validata dalle autorità competenti attraverso i seguenti atti: a) approvazione del Piano di caratterizzazione: decreto del dirigente del Settore Assetto del territorio del Comune di Fabriano n. 8 del 26.02.2007; b) approvazione delle integrazioni al Piano della caratterizzazione: decreto del dirigente Assetto e tutela del territorio del Comune di Fabriano, n. 274 del 30.11.2017; c) validazione da parte di ARPAM della caratterizzazione dell’anno 2007; d) validazione da parte di ARPAM della caratterizzazione dell’anno 2017-2018 (Allegati da n. 3 al n. 6 del deposito effettuato dalla Provincia di Ancona nell’agosto 2022, nell’ambito del giudizio di primo grado).

27. Tali documenti certificano, come anticipato, la regolarità delle operazioni svolte, che non può essere inficiata dalle generiche contestazioni dell’appellante riproposte anche dinanzi a questo Consiglio di Stato attraverso i motivi sesto, settimo, ottavo e nono – sulla mancata suddivisione dei campioni in due aliquote, sulla omessa conservazione e messa a disposizione degli stessi e sulla mancata redazione del Giornale dei lavori, dei certificati analitici di validazione del percorso e del verbale quotidiano - non accompagnate, però, neppure in questa sede, dall’indicazione dei concreti risvolti in termini di eventuale erroneità delle misurazioni o di inaffidabilità dei risultati che le denunciate carenze a livello di verbalizzazione o descrizione delle attività compiute di volta in volta avrebbero potuto determinare sugli esiti finali degli accertamenti compiuti.

28. Al riguardo il T.a.r. per le Marche, attraverso considerazioni coerenti e precise che possono essere pienamente condivise, ha già evidenziato che, per i prelievi eseguiti durante la caratterizzazione, le relazioni in atti riportano l’acquisizione delle aliquote e risultano regolarmente validate dall’ARPAM, osservando, inoltre, che le operazioni compiute appaiono essere state puntualmente verbalizzate senza che la società appellante sia riuscita ad indicare alcun aspetto rilevante che, non inserito nella verbalizzazione, abbia potuto compromettere o anche mettere solo in dubbio la correttezza delle risultanze delle indagini effettuate.

29. Alle predette argomentazioni sull’infondatezza delle doglianze “procedimentali” riproposte dalla società con gli ultimi quattro motivi di appello possono sommarsi le ulteriori considerazioni sviluppate dalla Provincia di Ancona nelle memorie in vista dell’udienza di discussione circa il fatto che le attività previste nel Piano preliminare di investigazione non dovessero essere considerate, in realtà, come sottoposte ai requisiti dell’Allegato 2 del d.lgs. n. 152/2006, in quanto svolte nell’ambito della disciplina delle “terre e rocce di scavo” di cui alla normativa di settore del d.lgs. n. 22/1997, della l.n. 443/2001 e della legge comunitaria n. 306/2003, e in relazione alla circostanza per cui le successive attività di caratterizzazione avevano sempre regolarmente comportato “l’acquisizione delle II aliquote e piombatura delle III aliquote” come richiesto dai verbali di campionamento contenuti nelle relazioni di validazione ARPAM. Dalle medesime relazioni si evince, altresì, la regolarità delle operazioni di campionamento e di conservazione dei campioni, secondo una ricostruzione dei fatti che non risulta, neppure in questo caso, essere stata efficacemente confutata dalla originaria ricorrente.

30. Alla luce degli atti di causa e in considerazione del carattere eminentemente formale e assai generico delle ultime doglianze sul procedimento seguito per l’acquisizione dei dati alla base dell’ordinanza di individuazione del soggetto responsabile della contaminazione, anche tali ultime censure devono essere dunque respinte.

31. In conclusione, stante l’infondatezza di tutti i motivi di appello, questo non può che essere integralmente respinto

32. Per la complessità delle questioni trattate, le spese del presente grado di appello possono, infine, essere compensate, sussistendone giusti motivi.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa tra le parti le spese del grado di appello.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 luglio 2025 con l'intervento dei magistrati:

Vincenzo Neri, Presidente

Francesco Gambato Spisani, Consigliere

Michele Conforti, Consigliere

Ofelia Fratamico, Consigliere, Estensore

Rosario Carrano, Consigliere