Consiglio di Stato, Sez. V, n. 5120, del 14 ottobre 2014
Rifiuti.Deposito incontrollato in aree private

La nozione di “deposito incontrollato di rifiuti” di cui all’art. 14 del D.L.vo 22 del 1997 è volutamente generica e, pertanto, nell’ottica del legislatore, tenuto conto delle finalità dallo stesso perseguite correlate alla necessità di salvaguardare la salute e l’igiene pubblica, è da riferire anche ad aree private. La suddetta conclusione è avvalorata dal 3° comma della citata disposizione la quale, nel prevedere anche a carico del proprietario dell’area l’obbligo di procedere alla rimozione dei rifiuti, conferma che pure al deposito incontrollato di rifiuti in aree private non soggette ad uso pubblico è applicabile la misura ripristinatoria della rimozione.  (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese).

N. 05120/2014REG.PROV.COLL.

N. 01044/2003 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1044 del 2003, proposto da: 
Immobiliare Altedo S.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Antonio Centurione e dall’avv. Fabrizio Paoletti, con domicilio eletto presso lostudio di quest’ultimo in Roma, viale Maresciallo Pilsudski, 118;

contro

Comune di Roma (Rm), (ora Roma Capitale, a’ sensi del D.L.vo 17 settembre 2010 n. 156), in persona del Sindaco pro tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’avv. Pier Ludovico Patriarca, dell’Avvocatura Comunale, ed elettivamente domiciliato in Roma presso la sede dell’Avvocatura medesima, via del Tempio di Giove, 21; Provincia di Roma (Rm), in persona del suo Presidente pro tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’avv. Massimiliano Sieni, dell’Avvocatura Provinciale, con domicilio eletto presso lasede dell’Avvocatura medesima, via IV Novembre, 119/a;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per il Lazio, Roma, Sez. II, n. 7278 dd. 22 agosto 2002, resa tra le parti e concernente divieto di attività e revoca dell’iscrizione nel registro delle imprese che svolgono attività di recupero di rifiuti.



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Roma e del Comune di Roma (ora Roma Capitale, a’ sensi del D.L.vo 17 settembre 2010 n. 156);

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 marzo 2014 il Cons. Fulvio Rocco e uditi per l’appellante Immobiliare Altedo l’avv. Fabrizio Paoletti, per la Provincia di Roma l’avv. Massimiliano Sieni e per Roma Capitale l’avv. Angela Raimondo, dell’Avvocatura Comunale, in dichiarata sostituzione dell’avv. Pier Ludovico Patriarca;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

1.1. L’attuale appellante, Immobiliare Altedo S.r.l., è iscritta nell’apposito registro delle imprese che svolgono attività di recupero di rifiuti presso due aree di sua proprietà, ubicate nel territorio comunale di Roma, rispettivamente in Via di S. Cornelia n.149 e in via Flaminia Nuova n.280.

Più precisamente, Altedo era autorizzata a svolgere presso il sito di via Cornelia le operazioni di recupero R5 (consistenti in produzione di materia prima secondaria per l’edilizia mediante fasi meccaniche e tecnologicamente interconnesse di macinatura, vagliatura e selezione granulometrica e separazione della frazione metallica e delle frazioni indesiderate per l’ottenimento di frazioni inerte di natura lapidica) per i rifiuti di cui alla tipologia 7.1, (all.1 del D.M. 5 febbraio 1998 nonché le operazioni di cui all’attività R13 (messa in riserva) per i rifiuti classificati alla voce 7.2.

Viceversa, presso il sito di via Flaminia Nuova la medesima Altedo era autorizzata a svolgere unicamente l’attività di messa in riserva relativamente ai rifiuti di cui alla categoria 7.1.

1.2.1. Con ricorso R.G. 5781 del 2001 proposto innanzi al T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Altedo ha chiesto l’annullamento delle determinazioni nn.121 e 122 del 27 aprile 2001 del Dirigente del Servizio IV, Dipartimento II, della Provincia di Roma, recanti per entrambe le aree predette il divieto di svolgimento delle attività anzidette e la revoca dell’iscrizione nel registro delle imprese che svolgono attività di recupero di rifiuti, nonché l’annullamento di tutti gli atti presupposti e connessi, tra i quali, in particolare, le relazioni dd. 28 marzo 2001 e dd. 2 aprile 2001 richiamate nelle determinazioni predette.

Avverso entrambi le anzidette determinazioni Altedo ha dedotto le seguenti censure:

1) violazione dell’art.3 della L. 7 agosto 1990 n. 241; eccesso di potere per difetto di motivazione;

2) violazione degli artt. 7 e 8 della L. 241 del 1990;

3) violazione dell’art.33, comma 4, del D.l.vo 5 febbraio 1997 n. 22; eccesso di potere per contraddittorietà, ingiustizia manifesta, perplessità, sviamento, vizio della funzione.

Avverso la determinazione n. 121 dd. 27 aprile 2001, relativa all’area di via S. Cornelia n. 149, la medesima Altedo ha dedotto:

4) eccesso di potere per vizio dei presupposti, mancata considerazione e valutazione di precedenti provvedimenti, travisamento, illogicità, vizio della motivazione;

5) eccesso di potere per vizio dei presupposti, mancata considerazione e valutazione di precedenti provvedimenti, travisamento, illogicità, vizio della motivazione;

6) eccesso di potere per mancata valutazione dei presupposti, difetto di istruttoria, mancato accertamento e verifica dell’attività effettivamente svolta;

7) violazione del D.M. 5 febbraio 1998, allegato1 sub 1; eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità, perplessità, sviamento, mancata valutazione dei presupposti;

8) violazione dell’ art.31 e ss. della L. 28 febbraio 1985 n. 47, incompetenza, eccesso di potere per vizio della motivazione, illogicità, perplessità e sviamento.

Avverso la determinazione n. 122 dd. 27 aprile 2001, relativa all’area di via Flaminia Nuova la medesima Altedo ha dedotto:

9) eccesso di potere per vizio dei presupposti, difetto di istruttoria e di verifica, vizio e falsità della motivazione, illogicità;

10) eccesso di potere per mancata valutazione dei presupposti, difetto di istruttoria, mancata accertamento e verifica dell’attività effettivamente svolta;

11) violazione dell’art 31 e ss. della L. 47 del 1985 e dell’art.3 della L. 241 del 1990, incompetenza, eccesso di potere per vizio della motivazione, illogicità, perplessità e sviamento.

1.2.2. Successivamente, a seguito del deposito nel fascicolo processuale da parte dell’Amministrazione provinciale di documentazione concernente la vicenda in trattazione, la società ricorrente ha proposto i seguenti motivi aggiunti di ricorso:

12) eccesso di potere per vizio e falsa invocazione dei presupposti; travisamento;

13) violazione dell’art. 33 del D.L.vo n.27 del 1997; eccesso di potere per vizio dei presupposti; violazione dell’art.3 della L. 241 del 1990 per difetto di motivazione.

La medesima Altedo ha chiesto – altresì - la condanna della Provincia di Roma al risarcimento dei danni da essa sofferti a seguito del blocco dell’attività produttiva discendente dagli atti impugnati.

1.2.3. Si è costituita in tale primo procedimento la Provincia di Roma, concludendo per la reiezione del ricorso.

1.2.4. Con ordinanza n. 3413 dd. 23 maggio 2001 la Sez. II dell’adito T.A.R. ha respinto la domanda di sospensione cautelare degli atti impugnati, avanzata da Altedo.

1.3.1. Nelle more della trattazione di tale prima impugnativa e in conseguenza delle anzidette determinazioni dell’amministrazione provinciale, il Comune di Roma ha a sua volta disposto a carico di Altedo con ordinanze sindacali nn. 43 e 44 dd. 8 agosto 2001 la rimozione dei rifiuti ed il ripristino dello stato dei luoghi presso le due aree di Via di S. Cornelia e di Via Flaminia Nuova.

1.3.2. Con ulteriore ricorso proposto sub R.G. 14322 del 2001 sempre innanzi al T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Altedo ha chiesto pertanto anche l’annullamento di tali provvedimenti, deducendo a tale riguardo:

1) violazione dell’art.3 della L. 241 del 1990; eccesso di potere per difetto di motivazione;

2) violazione degli artt. 7 e 8 della L. 241 del 1990;

3) illegittimità derivata;

4) violazione degli artt.14 e 50 del D.L.vo n.22 del 1997; eccesso di potere per vizio dei presupposti, difetto di istruttoria, vizio e difetto di motivazione e travisamento;

5) eccesso di potere per difetto di motivazione.

1.3.3. Si è costituito in tale secondo procedimento il Comune di Roma, eccependo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso e concludendo comunque per la sua reiezione.

1.3.4. Con ordinanza n. 260 dd. 16 gennaio 2002 la Sez. II dell’adito T.A.R. ha respinto la domanda di sospensione cautelare degli atti impugnati, avanzata da Altedo.

2. Con sentenza n. 7278 dd. 22 agosto 2002 la Sez. II dell’adito T.A.R., previa riunione dei due ricorsi, ha in parte respinto e in parte dichiarato inammissibile il ricorso proposto sub R.G. 5781 del 2001, nel mentre ha respinto il ricorso proposto sub R.G. 14322 del 2001.

Lo stesso T.A.R. ha condannato Altedo al pagamento delle spese di tale primo grado di giudizio in parti eguali a favore del Comune di Roma e della Provincia di Roma, quantificandole quindi nella misura di € 3.000,00.- (tremila/00) per ciascuna.

3.1. Con l’appello in epigrafe Altedo chiede ora la riforma di tale sentenza, deducendo i seguenti motivi d’impugnazione, sostanzialmente riproponendo le medesime censure già da essa dedotte nei due giudizi di primo ma grado ma riferendole al contenuto della sentenza medesima.

1) violazione degli artt. 7 e 8 della L. 241 del 1990; eccesso di potere per travisamento, vizio dei presupposti, perplessità e vizio della motivazione;

2) violazione dell’art. 33, comma 4, e dell’art. 31 del D.L.vo 22 del 1997, eccesso di potere per difetto di adeguata motivazione, confusione e perplessità;

3) eccesso di potere per confusione, vizio dei presupposti, erroneità della motivazione, perplessità e travisamento;

4) violazione del D.M. 5 febbraio 1998, all. 1 sub 1; eccesso di potere per illogicità, vizio dei presupposti, travisamento, vizio della motivazione e perplessità;

5) eccesso di potere per travisamento, vizio dei presupposti e della motivazione; violazione dell’art. 31 e sss. della L. 47 del 1985, dell’art. 31, comma 6 del D.L.vo 22 del 1997, dell’art. 2, punto 9, del D.P.R. 24 maggio 1998 n. 203 e dell’art. 33, comma 12-ter del D.L.vo 22 del 1997 come introdotto dall’art. 4 del D.L.vo 8 novembre 1997 n. 389.

3.2. Si sono costituiti la Provincia di Roma e il Comune di Roma (quest’ultimo, in corso di causa diventa Roma Capitale a’ sensi e per gli effetti del D.L.vo 17 settembre 2010 n. 156) concludendo per la reiezione dell’appello.

3.3. Con ordinanza n. 1044 dd. 19 marzo 2003 la Sezione ha respinto la domanda di sospensione cautelare della sentenza impugnata, “ritenuto che, sia pure ai soli fini dell’esame dell’istanza cautelare, il ricorso non pare assistito dal necessario fumus boni juris e che anche la comparazione dei rispettivi profili di danno rappresentati non consente l’accoglimento dell’istanza” anzidetta.

4. Alla pubblica udienza del 4 marzo 2014 la causa è stata trattenuta per la decisione.

5.1. Tutto ciò premesso, l’appello in epigrafe va respinto

5.2. Giova preliminarmente evidenziare che, per quanto segnatamente attiene al ricorso proposto sub R.G. 5781 del 2001, il giudice di primo grado ha respinto le censure dedotte comunemente da Altedo nei riguardi di entrambe le determinazioni adottate dall’amministrazione provinciale affermando: che le stesse recano una dettagliata motivazione correlata alle presupposte relazioni ispettive del personale della Provincia; che non sussiste il vizio dell’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento stante la presenza di persona qualificata della stessa Altedo all’atto propulsivo delle determinazioni anzidette consistente nell’ispezione ai luoghi; e che risultava legittima la mancata prefissione di un termine per l’adeguamento degli impianti non sussistendo a’ sensi dell’art. 33 del D.L.vo 22 del 1997, all’epoca in vigore, la possibilità in tal senso, stante – tra l’altro - l’acclarata mancanza di titoli abilitativi all’esercizio dell’attività svolta.

Per quanto segnatamente attiene alla determinazione n. 121 del 2001 il giudice di primo grado ha ritenuto infondata la surriferita censura n. 4 (eccesso di potere per vizio dei presupposti, mancata considerazione e valutazione di precedenti provvedimenti, travisamento, illogicità, vizio della motivazione), posto che l’attività svolta nel capannone di Via S. Cornelia non aveva requisiti tecnici idonei a garantire l’ambiente.

Lo stesso T.A.R. ha anche respinto la censura n. 7 (violazione del D.M. 5 febbraio 1998, allegato1 sub 1; eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità, perplessità, sviamento, mancata valutazione dei presupposti) in quanto Altedo non era stata in grado di dimostrare, come previsto dal D.M. 5 febbraio 1998, la propria attività di commercializzazione della materia prima secondaria ottenuta.

Stante l’assorbenza di tali considerazioni di fondo, il T.A.R. ha pertanto ritenuto inammissibili per difetto di interesse le residue censure nn. 6 e 8.

Le censure dedotte avverso la determinazione n. 122 del 2011 (motivi da 9 a 11) sono state respinte nell’assorbente considerazione della sufficienza della motivazione di tale provvedimento, stante l’acclarata assenza di nulla osta allo svolgimento dell’attività di recupero nello stabilimento di Via Flaminia e stante la natura industriale e non commerciale dell’attività di recupero dei rifiuti: e ciò indipendentemente dalle strutture utilizzate al riguardo.

Viceversa, il titolo edilizio in sanatoria rilasciato dal Comune di Roma per lo stabilimento riguardava l’esercizio di un’attività commerciale e non poteva ex se legittimare lo svolgimento sull’area di un’attività di recupero di rifiuti.

Lo stesso T.A.R. ha ritenuto pure l’infondatezza dei motivi aggiunti di ricorso, essendo stata considerata legittima la revoca dell’iscrizione nel registro delle imprese che recuperano rifiuti in conseguenza del divieto di svolgimento dell’attività.

Viceversa, per quanto segnatamente attiene al ricorso proposto sub R.G. 14322 del 2001, lo stesso T.A.R. lo ha respinto avuto riguardo, innanzitutto, all’infondatezza della prima censura dedotta al riguardo, secondo la quale il ricorso doveva essere notificato all’Amministrazione dell’Interno in quanto gli impugnati provvedimenti erano stati adottati dal Sindaco quale Ufficiale del Governo: e ciò in quanto l’art. 1 del R.D. 30 ottobre 1933 n. 1611, che attribuisce all’Avvocatura dello Stato la rappresentanza e l’assistenza in giudizio delle Amministrazioni dello Stato, anche se ad ordinamento autonomo, si riferisce alle Amministrazioni dello Stato in senso proprio, ossia agli uffici o complessi di uffici facenti parte della struttura organica dell’Ente-Stato e non trova pertanto applicazione nel caso di organi di altri Enti che esercitano funzioni statali, come avviene per il Sindaco che agisce in veste di ufficiale di governo, con la conseguenza che deve considerarsi rituale la notifica di un ricorso presso la casa comunale anziché presso l’Ufficio dell’Avvocatura dello Stato competente (giurisprudenza pacifica: cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V, 7 settembre 2007 n. 4718).

E’ stata parimenti respinta anche la susseguente censura prospettante la violazione dell’art. 7 e ss. della L. 241 del 1990 in quanto i provvedimenti del Comune impugnati assumono natura di ordinanze contingibili ed urgenti a tutela dell’igiene e della salute pubblica, la cui adozione non è subordinata al rispetto delle formalità richiamate dalle disposizioni di legge dettate in tema di avvio del procedimento.

Il T.A.R. ha – altresì – evidenziato che il procedimento in forza del quale l’amministrazione comunale ha adottato i propri provvedimenti non è stato articolato in una pluralità di fasi, posto che il Comune medesimo si è attivato unicamente sulla base della segnalazione della Provincia, la quale ha ad esso comunicato la revoca a carico dell’Altedo dell’iscrizione nel registro delle imprese operanti nel settore del recupero ambientale: dimodochè, anche sotto questo ulteriore profilo, l’applicazione dell’art. 7 e ss. della L. 241 del 1990 risultava ultronea.

Il T.A.R. ha anche respinto la censura prospettante l’illegittimità derivata dei provvedimenti del Comune rispetto a quelli precedentemente adottati dalla Provincia, stante l’avvenuta reiezione delle censure dedotte contro questi ultimi.

Il T.A.R. ha pure respinto la censura con la quale Altedo aveva evidenziato che nella fattispecie in esame non poteva configurarsi l’esistenza di un deposito incontrollato di rifiuti poiché le aree in cui i rifiuti medesimi erano collocati non erano né pubbliche né aperte al pubblico; a tale proposito il giudice di primo grado ha rilevato che l’esegesi dell’art. 14 del D.L.vo 22 del 1997 non autorizzava l’interpretazione restrittiva sostenuta dalla medesima Altedo, “posto che la nozione di “deposito incontrollato di rifiuti” enunciata dall’articolo anzidetto” è volutamente generica e, pertanto, nell’ottica del legislatore, tenuto conto, altresì, delle finalità dallo stesso perseguite correlate alla necessità di salvaguardare la salute e l’igiene pubblica, è da riferire anche ad aree private. La suddetta conclusione, inoltre, è avvalorata dal 3° comma della citata disposizione la quale, nel prevedere anche a carico del proprietario dell’area l’obbligo di procedere alla rimozione dei rifiuti, conferma che pure al deposito incontrollato di rifiuti in aree private non soggette ad uso pubblico è applicabile la misura ripristinatoria della rimozione”(cfr. pag. 23 e ss. della sentenza impugnata).

Il T.A.R. ha da ultimo respinto la censura prospettante l’eccesso di potere per difetto di motivazione e fondata sulla circostanza che in entrambi i provvedimenti impugnati non risulterebbero indicati gli specifici pericoli per la salute pubblica tali da esigere immediati interventi repressivi.

Secondo il giudice di primo grado – per contro – l’amministrazione competente, una volta accertata la sussistenza di un deposito incontrollato di rifiuti, è vincolata a disporne la rimozione ed il ripristino dello stato dei luoghi, risultando del tutto inequivoca la volontà del legislatore di considerare di per sé lesiva della salute pubblica qualsiasi forma di deposito incontrollato di rifiuti.

5.3. Giova pure preliminarmente rilevare che in ordine all’attività svolta da Altedo sono pure intervenuti: 1) il decreto di sequestro preventivo penale dd. 6 maggio 2002 dell’area di via di S. Cornelia n. 149 interessata dal deposito di rifiuti, nonché del veicolo Fiat Iveco targato Roma 21391 V; il decreto di sequestro preventivo penale dd. 14 novembre 2002 dell’intera area di via S. Cornelia n. 149; 3) il decreto di sequestro preventivo penale dd. 11 novembre 2002 dell’intera area sita in via Flaminia Nuova n. 280.

5.4.1. Posto tutto ciò, va innanzitutto respinto il motivo d’appello formulato in ordine all’asserita violazione di cui agli artt. 7 e 8 della L. 241 del 1990.

A parte la corretta considerazione del giudice di primo grado secondo la quale l’avvenuta partecipazione all’atto propulsivo del procedimento consistente nel sopralluogo era sufficiente ragione di conoscenza dell’attività amministrativa in corso, va rilevato in ogni caso che nella specie si ricade in pieno nella condizione della particolare esigenza di celerità del procedimento medesimo che letteralmente esclude l’applicazione della disciplina che imporrebbe altrimenti l’obbligo della previa comunicazione dell’avvio del procedimento.

Del resto, con riguardo all’esonero dall’applicazione dell’art. 7 e ss. della L. 241 del 1990 l’urgenza è in re ipsa nel caso in cui la definizione immediata del procedimento risponda ad esigenze di tutela dell'integrità dell’ambiente (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 21 giugno 2007 n. 3431).

Le particolari esigenze di tutela ambientale e di conseguente celerità sono comunque nella specie giustificate se non altro avuto riguardo alle condizioni in cui venivano depositati i rifiuti e all’acclarata violazione della disciplina contenuta nel D.M. 5 febbraio 1998.

E’ stata infatti accertata nei confronti di Altedo l’effettuazione di attività di smaltimento o di messa in riserva con riferimento all’all. C. del predetto decreto ministeriale con riferimento all’art. 6, lett. h), del D.L.vo 22 del 1997, con inosservanza delle disposizioni contenute nel sub allegato 1, punto 7.1. per i rifiuti inerti oltre a quelle generali (cfr. artt. 3 e 6 del D.M. cit.).

Inoltre, contrariamente a quanto affermato da Altedo, i sopralluoghi effettuati dai tecnici della Provincia non erano solo volti ad acquisire atti ma erano invece vere e proprie ispezioni di controllo e, sempre a differenza di quanto sostenuto dalla medesima appellante, il giudice di primo grado non ha dunque presunto nulla, ma ha semplicemente preso atto del tenore testuale degli atti di ispezione e della conseguente e del tutto necessitata azione amministrativa attivata dall’amministrazione provinciale.

5.4.2. Per quanto poi attiene alla riproposta censura n. 3 dedotta in primo grado avverso entrambe le determinazioni adottate dalla Provincia, la circostanza che nella specie non sia stato fissato un termine nei confronti di Altedo affinché questa potesse conformare la propria attività alla disciplina vigente al riguardo, la stessa non può trovare accoglimento, stante la corretta notazione del giudice di primo grado circa l’impossibilità, nella specie, di applicare l’art. 33 del D.L.vo 22 del 1997.

A tale riguardo va rimarcato, infatti, che Altedo non solo non era in possesso dei titoli abilitativi all’attività svolta, e che comunque l’adeguamento era precluso dalla circostanza dell’avvenuto deposito in entrambi gli impianti di una notevole quantità di rifiuti collocato a diretto contatto del terreno, nel mentre la disciplina tecnica contenuta nel predetto D.M. 5 febbraio 1998 impone la collocazione dei rifiuti medesimi su di un basamento cementato; né i rifiuti stessi presentavano le caratteristiche previste per le tipologie 7 .l e 7.2 del D.M. anzidetto per le quali erano state rilasciate le iscrizioni al predetto registro.

Era stato inoltre riscontrato che gli impianti erano privi di sistema di raccolta delle acque piovane nonché privi di protezione dall’azione del vento.

Le rispettive condizioni operative ponevano - altresì - entrambi gli impianti al di fuori delle condizioni dettate dalle iscrizioni nel registro, posto che dall’impianto di Via Flaminia Nuova, dove i rifiuti giungevano per essere trattati secondo la tipologia R13 (messa in riserva), i rifiuti medesimi venivano successivamente avviati all’impianto di Via S. Cornelia per essere parimenti sottoposti ad R13, ossia – come detto innanzi – a messa in riserva, invece che all’operazione di R5 autorizzata per quest’ultimo impianto, e cioè quella di trattamento.

Del resto, in dipendenza di ciò la stessa difesa della Provincia ha buon gioco nell’evidenziare che la stessa Altedo aveva esposto a pag. 10 del ricorso proposto in primo grado sub R.G. 5781 del 2001 di svolgere un’attività difforme da quella risultante nel registro (cfr. ivi: “posto che il materiale prelevato dall’area di Via Flaminia viene poi in effetti trattato nell’impianto di Via S. Cornelia inconformità della previsione non esistendo, oltretutto, in questo ultimo sito, una area da destinare alla raccolta e cernita dei rifiuti, che avviene nella sola area di Via Flaminia”), essendo per contro possibile effettuare nell’impianto iscritto per R13 -messa in riserva il solo deposito dei rifiuti, nel mentre nell’impianto iscritto per operazione di R5- trattamento si devono sottoporre i rifiuti a selezione, vagliatura ecc. per l’ottenimento di materia prima secondaria utilizzata per l’industria edile.

A ragione la difesa della Provincia ha rimarcato che risulta ancor più grave la posizione della Società appellante ove si consideri che l’osservanza della disciplina imposta dall’anzidetto D.M., dei presupposti richiesti per lo svolgimento dell’attività di recupero e dell’idoneità degli impianti sono stati a suo tempo dichiarati come sussistenti dal legale rappresentante di Altedo e hanno consentito l’iscrizione della Società medesima nel registro delle imprese che svolgono attività di recupero dei rifiuti.

Né va sottaciuto che la stessa Provincia aveva in precedenza e in altro frangente accordato a beneficio della stessa Altedo con nota Prot. n. n. 98035458/944 dd. 21 ottobre 1998 un termine per l’adeguamento degli impianti, a suo tempo rispettato; e che le irregolarità poi riscontrate nella gestione degli impianti non avevano a quel momento assunto l’entità e gravità di quella poi rilevata nei sopralluoghi, nel corso dei quali era finanche emersa l’esistenza di un sequestro penale taciuto all’amministrazione provinciale pur istituzionalmente deputata a svolgere azioni amministrative in materia di trattamento di rifiuti.

5.4.3. Va quindi evidenziato che, per quanto segnatamente attiene alla determinazione n.121 relativa all’area di Via S. Cornelia, l’appellante in buona sostanza reitera le censure già svolte in primo grado e consistenti in eccesso di potere per vizio dei presupposti e mancata considerazione e valutazione di precedenti provvedimenti, limitandosi a sostenere che la documentazione da essa prodotta in giudizio avrebbe chiarito l’infondatezza dei rilievi sulle modalità di esercizio dell’attività ritenute inammissibili sul piano tecnico.

Tuttavia, qui per la prima volta Altedo sostiene che essa avrebbe dovuto beneficiare di un termine di adeguamento di 16 mesi decorrente dall’entrata in vigore del D.M. 5. febbraio 1998 e che poteva pertanto depositare addirittura i rifiuti a diretto contatto sul terreno.

Inoltre la medesima Altedo tenta addirittura di giustificare la presenza di sequestri penali sull’area quali esimenti per il suo operato.

In realtà nessuna autorizzazione a deroghe alle prescrizioni tecniche del D.M. 5 febbraio 1998 risulta essere intervenuta; e la disciplina transitoria contenuta nel decreto medesimo non consente comunque l’effettuazione di trattamenti difformi dei rifiuti senza osservare le regole tecniche ivi contenute, e tantomeno non consente la collocazione dei rifiuti a diretto contatto con il terreno negli impianti gestiti dall’appellante.

Né, come viceversa sostenuto da Altedo a pag. 8 del ricorso proposto in primo grado sub R.G. 5781 del 2001, è ragionevolmente da essa invocabile la circostanza di aver subito il sequestro penale delle aree anzidette quale esimente per la mancata realizzazione dei basamenti in cemento imprescindibilmente necessari per evitare il contatto dei rifiuti con il terreno; e ciò, per di più, dopo aver taciuto la circostanza del sequestro medesimo all’amministrazione provinciale: semmai, la mancata realizzazione del basamento è da imputare ad esclusiva colpa della società, risalente a ben prima del sequestro medesimo.

Inoltre, proprio la mancata comunicazione dello stato di sequestro giudiziario del sito per il quale veniva effettuata la comunicazione di inizio attività ha erroneamente indotto la Provincia a iscrivere Altedo Immobiliare nel registro delle imprese che hanno effettuato comunicazione ai sensi dell’art. 33 del D.L.vo 22 del 1997 per lo svolgimento di una attività di recupero di rifiuti su un’area della quale la stessa non aveva disponibilità, a seguito del sequestro disposto in sede penale, con la conseguenza che la medesima Altedo non avrebbe potuto ottenere l’iscrizione di cui trattasi.

5.4.4. Risulta altrettanto assodato che i rifiuti posti in cumuli negli impianti di Altedo non hanno le caratteristiche di cui alla tipologia 7.1 e 7.2. dell’anzidetto D.M. 5 febbraio 1998.

In sede di sopralluogo, infatti, alla presenza dello stesso legale rappresentante della Società, è stata riscontrata la presenza sia di cumuli di rifiuti oggetto del sequestro giudiziario- e, pertanto, intoccabili – sia, su di un’area attigua, priva di pavimentazione, di cumuli di rifiuti frammisti a notevoli quantità di terra, buste di plastica, macchinari obsoleti ecc., non conformi – per l’appunto – alle predette ipologie 7.1 e7.2 e per le quali la ditta non aveva presentato comunicazione.

La giustificazione del ricorrente secondo cui l’inesatta tenuta dei registri sarebbe dovuta a mero errore di trascrizione viene contraddetta dall’osservazione dei rifiuti presenti in Via Flaminia, i

quali presentavano le stesse caratteristiche di rifiuti tenuti in deposito presso Via S. Cornelia, dimostrando così che anche in tale altro impianto si effettuava l’operazione R13 di deposito (messa in riserva).

5.4.5. Con il quarto motivo del ricorso in appello Altedo richiama il settimo motivo del ricorso di primo grado e si censura sul punto la sentenza impugnata laddove afferma che la medesima Altedo non ha comprovato la commercializzazione delle materie prime secondarie.

Alla carenza documentale oggettivamente evidenziata al riguardo dal giudice di primo grado l’appellante tenta di ovviare mediante perizia attestante la non pericolosità dei residui inerti di risulta dalle demolizioni edili e la conformità del prodotto ottenuto alle specifiche tecniche della Camera di Commercio di Milano, nonché ai punti 7.1. e 7.2 del D.M. 5 febbraio 1998.

Nondimeno, risulta dirimente ad avviso del Collegio la circostanza per cui Altedo, a fronte della richiesta dell’amministrazione provinciale di esibire i documenti comprovanti l’effettivo ottenimento di materie prime secondarie per l’edilizia conformi alle specifiche della CC.IAA di Milano, produceva documenti di trasporto intestati alla Movinter S.r.l. per inerti categoria A1B; e la circostanza che tali documenti siano intestati a tale Società costituisce prova del mancato rispetto della disciplina contenuta nell’anzidetto D.M., posto che Altedo deve produrre materia prima secondaria per l’edilizia e la dimostrazione di questa produzione è data proprio dalla commercializzazione del prodotto ottenuto e che la medesima Altedo non ha in ogni caso prodotto documentazione comprovante la vendita della materia prima secondaria ottenuta, bensì documentazione comprovante la vendita di materiale inerte tipo Ab, ossia di ben altra cosa.

5.4.6. Altedo ha anche riproposto i motivi n.6 ed 8 del ricorso di primo grado proposto sub R.G. 5781 del 2001 e dichiarati inammissibili dal T.A.R. per carenza di interesse.

Il sesto motivo riguardava il rilievo che nella documentazione di carico e scarico erano indicate operazioni non consentite (R13 anziché RS).

Altedo ha qui riproposto la tesi dell’errore materiale, la quale peraltro nella perlomeno equivoca situazione dei due stabilimenti non sembra sufficiente a smentire l’evidenza formale degli atti.

L’ottavo motivo di primo grado riproposto in appello riguarda viceversa l’omessa sottoscrizione del titolo edilizio in sanatoria da essa ottenuto dal Comune di Roma.

Ma, anche a prescindere dalla ben evidente insormontabilità di tale circostanza di forma, risulta dirimente la notazione che il titolo medesimo attiene all’esercizio in loco di un’attività commerciale, nel mentre risulta con ogni evidenza il carattere eminentemente industriale dell’attività di trattamento dei rifiuti materialmente svolto nell’area in questione (cfr. art. 31, comma 6, del D.L.vo 22 del 1997) con conseguente inidoneità del provvedimento al fine di legittimare quest’ultima.

Tale notazione vale anche per quanto attiene al’avvenuta riproposizione dell’undicesimo motivo del ricorso di primo grado proposto sub R.G. 5781 del 2001 relativo alla ritenuta inefficacia del nulla-osta sanitario rilasciato dalla USL per attività commerciale e non per l’attività di recupero o deposito di rifiuti.

5.4.7. Va soggiunto inoltre che, per quanto attiene all’affermazione che il cumulo di rifiuti sarebbe poggiato su di una piattaforma di cemento armato, appositamente realizzata e che è protetto dall’azione del vento da barriere naturali e da un muro realizzato sul lato scoperto dell’area, in sede di controllo effettuato dalla Provincia non è stato riscontrato alcun basamento di cemento armato, ma, al contrario, un cospicuo strato di terra, il quale comunque non consentiva la vista di un eventuale basamento di cemento armato, nel mentre gli altri tre lati risultavano esposti all’azione del vento.

In tal senso, infatti, la ivi rilevata presenza di una alberatura è funzionale alla delimitazione dell’area dell’impianto, ed è posta, peraltro, a ridosso della sponda di un corso d’acqua che confina direttamente con l’area del sito, ed è troppo distante dall’area del cumulo di rifiuti per poter costruire efficace protezione dell’azione del vento.

Né, come detto, l’area dell’impianto dispone dì alcun sistema dì captazione delle acque meteoriche, le quali pertanto si riversano nel corso d’acqua adiacente il sito senza alcuna preventiva depurazione dei detriti e rifiuti.

5.4.8. Va ribadita la circostanza che alla richiesta rivolta dai tecnici della Provincia di esibire, relativamente all’impianto di via Flaminia Nuova n. 280, tutta la documentazione relativa ai permessi, nulla osta e autorizzazioni necessari allo svolgimento dell’attività di recupero di rifiuti posta in essere, come richiesto dall’iscrizione nel registro, il legale rappresentante di Altedo si è limitato ad esibire un titolo edilizio in sanatoria rilasciato dal Comune di Roma per uso commerciale relativo ad un immobile ivi ubicato in Via Tuscia n. 95, palesemente inidoneo allo scopo richiesto dall’amministrazione provinciale.

5.4.9. Per quanto da ultimo attiene ai provvedimenti del Comune di Roma già impugnati in primo grado sub R.G. 14322 del 2001, va evidenziato che Altedo ha riproposto al riguardo nel presente giudizio d’appello le sole censure con le quali era stata dedotta la loro illegittimità in via derivata rispetto ai provvedimenti precedentemente adottati dall’amministrazione provinciale.

In dipendenza di ciò, dall’avvenuta reiezione dei motivi d’appello proposti avverso questi ultimi, discende pure l’infondatezza delle censure dedotte avverso i provvedimenti adottati dall’amministrazione comunale.

6. Sussistono peraltro i presupposti per compensare integralmente tra tutte le parti le spese e gli onorari del presente grado di giudizio.

Va tuttavia dichiarato irripetibile l’importo corrisposto per il presente giudizio a titolo di contributo unificato di cui all’art. 9 e ss. del T.U. approvato con D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 e successive modifiche.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa integralmente tra tutte le parti le spese e gli onorari del presente grado di giudizio.

Dichiara – altresì – irripetibile l’importo corrisposto per il presente giudizio a titolo di contributo unificato di cui all’art. 9 e ss. del T.U. approvato con D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 e successive modifiche.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 marzo 2014 con l’intervento dei magistrati:

Mario Luigi Torsello, Presidente

Fulvio Rocco, Consigliere, Estensore

Doris Durante, Consigliere

Nicola Gaviano, Consigliere

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 14/10/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)